Cinema e psichiatri: dagli oracoli al cannibalismo

Cinema and Psychiatrists: from Oracles to Cannibalism

L. TARSITANI, P. PANCHERI

Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica, Università di Roma "La Sapienza"

Key words: Cinema • Commercial movies • Psychiatry • Image of psychiatrists and therapists

Correspondence:
Dr. Lorenzo Tarsitani – E-mail: lorenzo.tarsitani@uniroma1.it

Introduzione

Cinema e psichiatria condividono lo stesso soggetto: pensieri, emozioni, motivazioni, comportamenti e storie di vita rappresentano per l’uno e l’altra la principale, complessa, materia di studio. Questo spiega i continui incroci che hanno caratterizzato la storia di entrambi, con le numerose rappresentazioni cinematografiche dei disturbi mentali e degli psichiatri e il parallelo interesse da parte di questi ultimi per la celluloide. Questo rapporto sembra talmente intenso da poter individuare una correlazione tra le immagini della malattia mentale e le variazioni teoriche e cliniche della psichiatria attraverso l’analisi cronologica dei film che trattano l’argomento (1).

Il motivo di questo rapporto privilegiato risale probabilmente allo sviluppo della dimensione creativa e immaginativa che hanno reso il cinema espressione e non riproduzione della realtà, dando una notevole potenza suggestiva al mezzo.

Morin, nel 1957 scriveva che “… più della poesia, più della pittura e della scultura, esso [il cinema] opera mediante ed attraverso un mondo di oggetti dotati della determinazione pratica, ed espone narrativamente una serie di eventi … Il concetto gli manca, ma esso lo produce e con tal mezzo, se non esprime ancora tutte le possibilità dello spirito umano (per lo meno non ancora), pur tuttavia appare fermentato da tutte quelle potenzialità” (2).

La curiosità degli psichiatri nei confronti dei film nasce quindi dalle caratteristiche strutturali delle immagini in movimento e risale ai primi anni di vita del cinema: nel 1916 Hugo Münserberg scriveva che il cinema muto, raccontando la storia umana, superava “… le forme della realtà, cioè lo spazio, il tempo e la causalità, adattando gli avvenimenti alla sua realtà, cioè l’attenzione, la memoria, la fantasia e l’emozione” (3). L’Autore spiegava il motivo per cui il cinematografo riesce a riprodurre il funzionamento effettivo della mente umana meglio delle forme narrative classiche.

La psicanalisi, coetanea del cinema, è stata subito colpita dalle somiglianze tra il linguaggio non verbale del cinema e i sogni. Entrambi utilizzano l’astrazione, l’ambiguità, la stratificazione, la condensazione e lo spostamento. Il montaggio cinematografico cambia i tempi, gli spazi e associa le immagini senza dover seguire sequenze reali. E queste somiglianze, con il progredire delle tecniche di elaborazione delle immagini, sono divenute ancora più evidenti. La curiosità reciproca tra psicanalisti e registi si è espressa per tutto il Novecento con la presenza degli psicoterapeuti nei film e, parallelamente, attraverso l’applicazione di metodologie derivate dalla psicanalisi alla critica cinematografica.

I fratelli Gabbard, nella prima parte del loro celebre saggio sul cinema e la psichiatria (4), ripercorrono la storia del cinema americano attraverso le rappresentazioni degli psichiatri e del loro operato.

Tra le tipologie descritte dai primi decenni del ventesimo secolo spicca lo “psichiatra senza volto”, piatto, monodimensionale, utilizzato unicamente come veicolo narrativo volto a facilitare l’esposizione della storia di un personaggio, attraverso i sogni o i flashback che prendono forma durante le sedute. Basti pensare al dottor Brooks (Barry Sullivan) di Le schiave della città (1944) (4).

Questa rappresentazione si è spesso fusa con l’intramontabile stereotipo dell’analista con barba, pipa e accento mitteleuropeo [“… Sono uno psicanalista. Questa è la mia pipa”. Stardust Memories (1980)] che, con il passare degli anni e con la diffusione della psicanalisi americana, si ritrova sempre di più in pellicole mediocri.

Il cinema hollywoodiano sembra aver diviso gli psichiatri in “buoni” e “cattivi”. I primi sono efficaci, oracolari, compassionevoli; spesso applicano la spettacolare cura “catartica” basata sul semplice ricordo di memorie traumatiche infantili; a volte curano con l’amore, intrecciando storie passionali con i pazienti. La loro sola presenza fisica sembra avere un effetto terapeutico immediato; altre volte dispensano ottimi consigli che preparano la strada delle happy end consolatorie che caratterizzano il cinema americano dal periodo classico a oggi. Gli psichiatri cattivi invece sono gelidi, arroganti, ciarlatani, spesso ridicoli e manierati; non sono in grado di curare, né di capire i problemi dei loro pazienti. Si servono di strumenti coercitivi, utilizzano poteri ipnotici per il loro profitto, spesso appaiono vistosamente nevrotici o psicotici. A volte, per motivi diversi, uccidono i loro assistiti [La mia legge (1954), Candidato all’obitorio (1975), Vestito per uccidere (1980)] (4).

Irving Schneider (5) (6) (7), studiando le rappresentazioni della psichiatria nella storia del cinema riconosce questi stereotipi dominanti riportando una personale statistica quantitativa: il comico e bizzarro “Dr. Dippy” [Dr. Dippy’s Sanitarium (1906); Girandola (1938); Alta tensione (1977); Serial (1980)], descritto come sciocco, paradossale, incompetente, comico ma innocuo, sembra rappresentare il 15% dei colleghi. È psichiatra eccentrico, bizzarro o disordinato, al di là del ruolo positivo [Gente comune (1980), Good Will Hunting – Genio Ribelle (1997)] o negativo [Susanna (1938), La fossa dei serpenti (1948)] che occupa nello sviluppo del film. Il “Dr. Wonderful” (60%) [I Yam Lovesick (1938); Gente comune (1980)] è sensibile, comprensivo, indulgente e umano; utilizza le parole, i buoni consigli e le guarigioni catartiche. Questi due modelli sono ascrivibili alla grande categoria dello psichiatra “buono” e sembrerebbero raffigurare il 75% degli psichiatri cinematografici. Il 15% dei medici della mente risponderebbe al modello del sadico e crudele “Dr. Evil” [Il gabinetto del Dr. Caligari (1919); La fiera delle illusioni (1947); Frances (1982)] che racchiude gli psichiatri di celluloide punitivi, vendicativi, assassini e spesso più disturbati dei loro pazienti/vittime. Il rimanente 10% degli psichiatri di celluloide non sembra categorizzabile.

Ronald Pies (8) attribuisce agli stereotipi di Schneider valore di archetipo e rinomina il Dr. Evil come “Vampiro”, il Dr. Dippy come “Fischer King” e il Dr. Wonderful come “The Zaddik”, sottolineando l’importanza dell’atteggiamento hollywoodiano nella creazione di aspettative ambivalenti e poco realistiche nei confronti della psichiatria.

A volte gli psichiatri curano in modo efficace i pazienti, cadendo anche qui in alcuni stereotipi cruciali per le aspettative sociali nei confronti della psichiatria. La guarigione cinematografica, infatti, nasce quasi sempre dal potere esasperato delle parole: le malattie mentali di celluloide, spesso disturbi dissociativi, vengono sovente dissolte dall’emergere di un ricordo traumatico rimosso. Esemplare il caso di Jane in La donna dai tre volti (1957) e della sua improvvisa restitutio ad integrum da un disturbo di personalità multipla, quando lo psichiatra, con l’aiuto dell’ipnosi, permette il riaffiorare alla coscienza del momento in cui i genitori la avevano costretta a baciare il volto della nonna defunta. Erano gli anni ’50 e da allora molti psichiatri hanno guarito in pochi minuti attori e attrici colpiti da sintomi spettacolari. Hollywood ha sempre demedicalizzato la psichiatria “buona” riservando le terapie farmacologiche (enormi iniezioni intramuscolari), fisiche (ECT) e chirurgiche (lobotomia) a medici efferati e punitivi [Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975)]. Esistono però varie eccezioni in cui le terapie psichiatriche non verbali sono rappresentate senza rancore: in Qualcosa è cambiato (1997) l’amore di Carol (Helen Hunt) non guarisce Melvin (Jack Nicholson) dalle ossessioni e le compulsioni, ma lo convince ad assumere un farmaco proposto da uno psichiatra fuori campo e mai accettato dal paziente fino ad allora.

Pur riconoscendo la variabilità degli atteggiamenti dei registi nei confronti della psichiatria durante tutto il Novecento, i fratelli Gabbard (4) individuano alcune fasi storiche della figura dello psichiatra nel cinema del ’900, sintetizzate in Tabella I, con alcuni esempi.

Dai primi anni del secolo scorso inizia una fase iniziale con “alienisti, ciarlatani e oracoli” (4), in cui, dopo una scarsissima rappresentazione nei primi vent’anni, il mondo occidentale comincia a subire il fascino della psichiatria, e si forma un atteggiamento ambivalente nei confronti degli psichiatri. Accanto ai primi malvagi ipnotisti con accento tedesco che ingannano eroi ed innocenti con poteri speciali, si sviluppano i primi psichiatri buoni, che capiscono, consigliano e curano con metodi comunque poco credibili.

Tra il 1957 e il 1963 si colloca “l’età dell’oro della psichiatria nel cinema, durante la quale l’efficacia e la positività della psichiatria realizzano pienamente il loro potenziale mitico” (4). Secondo gli Autori i film di questo breve periodo rispecchiavano la crescente fiducia della cultura americana nei confronti della psichiatria che veniva assimilata alla ragione e al benessere. Compaiono in queste pellicole psichiatri sensibili e corretti come il dottor Swinford (Howard da Silva) in David e Lisa (1962); competenti come il dottor Bonny (J. Edward McKinley) in The Interns (1962), o il dottor Judd di Splendore nell’erba (1961) (4).

L’età dell’oro si esaurisce in pochi anni cedendo di nuovo il passo negli anni Sessanta e Settanta alle raffigurazioni negative della psichiatria, di cui il dottor Elliott (Michael Caine), rispettabile, educato e folle assassino in Vestito per uccidere (1980), sembra uno degli esempi più rappresentativi.

Undici anni dopo, il dottor Hannibal Lecter (Antony Hopkins) [Il silenzio degli innocenti (1997)], professionista dotato di intelligenza, istinto e olfatto fuori del comune, viene rinchiuso in una cella di massima sicurezza perché uccide e divora i suoi pazienti. “Un animale feroce consapevole della brutalità raggomitolata dentro di sé” (9).

I film degli ultimi anni sembrano riflettere la pluralità di vedute che caratterizza l’atteggiamento sociale nei confronti della psichiatria moderna. Gli psichiatri contemporanei del cinema hanno assunto un aspetto più variegato e profondo; è più difficile individuare stereotipi dominanti, soprattutto nei film di alto livello, in cui, parallelamente, anche la rappresentazione delle malattie mentali è divenuta più realistica e raffinata [La stanza del figlio (2001)].

A volte tornano gli psichiatri giusti, sensibili, competenti, disponibili a prendere per mano il paziente e guidarlo nella guarigione: oracoli simili a quelli dell’età dell’oro ma non “monodimensionali” [Judd Hirsch – Dr. Berger di Gente comune (1980); Malcolm Crowe – Bruce Willis ne Il sesto senso (1999)]. Sembrano intramontabili le donne psichiatra che si innamorano perdutamente dei loro pazienti [L’esercito delle 12 scimmie (1995); Goldeneye (1995); Mr. Jones (1993); Hunk (1987); Il principe delle Maree (1991)] quest’ultimo, crogiolo di luoghi comuni in cui trionfa, tra l’altro, la guarigione catartica da ricordo traumatico riemerso. I Dr. Evil continuano ad attrarre registi di ogni genere cinematografico [Ipotesi di complotto (1997); Sopravvivere al gioco (1994); Scissors – Forbici (1991); Omicidio allo specchio (1987); Fobia (1980)]. Sembrano di moda anche le violazioni deontologiche di ogni tipo [Sfera (1998)]: relazioni con pazienti [Conflitti del cuore (1996); Mariti e mogli (1992); Schizoid (1980)], con parenti dei pazienti [Analisi finale (1992)], figliolette portate in seduta dal padre che non trova la baby sitter [Un giorno per caso (1996)], falsificazioni di referti [Angel Heart – Ascensore per l’inferno (1987)] e molte altre.

La rappresentazione dello psichiatra assume però spesso maggiore complessità, almeno nelle pellicole di medio e alto livello.

In letteratura, accanto agli studi sul cinema e la psichiatria che prendono spunto da esempi filmici scelti dagli autori, non vi sono a nostra conoscenza analisi sistematiche sulla effettiva presenza di psichiatri in tutto il cinema del Novecento e sulle caratteristiche dei film “psichiatrici” confrontati alla globalità delle produzioni cinematografiche. Il presente studio è stato quindi finalizzato a fornire una elaborazione che confronti la quantità e il tipo di film contenenti la psichiatria al resto delle pellicole.

Metodologia

È stato utilizzato il database del dizionario Il Morandini in CDrom (10), contenente quasi ventimila schede filmiche. È stata eseguita una ricerca a tutto testo utilizzando 15 radici di parole chiave correlate alla psichiatria (es.: *psi*), con l’operatore booleano “OR”, che ha restituito 1.633 schede filmiche. L’analisi di queste schede ha permesso l’estrazione di 381 film nella cui trama viene citato un professionista della salute mentale (psichiatra, psicanalista, psicologo, “strizzacervelli” ecc.) o una struttura per malati mentali (manicomi, cliniche ecc.). Ulteriori film sono stati tratti da elenchi utilizzati nella didattica del nostro gruppo universitario e dalla filmografia dei fratelli Gabbard (4).

Le 617 schede filmiche ottenute sono state caricate su foglio elettronico Excel per Windows®, registrando le caratteristiche della produzione e, quando possibile, le tipologie dei personaggi legati alla psichiatria.

È stata condotta un’elaborazione statistica a fini descrittivi, utilizzando l’intera filmografia de Il Morandini come universo di riferimento e prendendo in considerazione la distribuzione dei film rispetto all’anno di produzione, alla presenza di psichiatri o di strutture per malati mentali, al genere dei terapeuti e alla tipologia dei film.

Risultati

L’analisi del rapporto tra film in cui appare un professionista della salute mentale e l’insieme dei film prodotti nei vari decenni, svela una presenza crescente di psichiatri o psicoterapeuti dall’inizio del secolo ad oggi (Fig. 1).

I film in cui, al di là della presenza di psichiatri, vengono rappresentati istituti psichiatrici, seguono invece un andamento differente, con una frequente rappresentazione negli anni venti, una sostanziale stabilità fino agli anni Sessanta, uno sviluppo notevole nel decennio successivo e un progressivo declino fino ad oggi (Fig. 2).

Le percentuali di terapeuti donne, a confronto con quelle degli uomini, evidenziano un’assenza negli anni ’20 e una graduale conquista dei set cinematografici fino al raggiungimento di un terzo delle presenze negli anni ’90 (Fig. 3).

Il confronto tra le distribuzioni dei generi cinematografici nei film in cui appare la psichiatria rispetto a quelli della filmografia di Morandini et al. (10) mostra nei primi una maggiore prevalenza di film thriller, horror, grotteschi e fantastici (Tab. II).

Nei film in cui appare la psichiatria, emerge un maggior numero di restrizioni parziali e assolute al pubblico minorenne, rispetto all’universo di riferimento (Fig. 4).

Discussione

È opportuno, prima di commentare i risultati, ricordare che i quasi 20.000 film utilizzati come universo di riferimento non rappresentano ovviamente tutti le pellicole prodotte per il cinema e per la televisione, ma una parte consistente dei film distribuiti in Italia. L’analisi delle schede, inoltre, implica che il personaggio psichiatra abbia un ruolo abbastanza importante da comparire nella trama: per questo motivo sono stati aggiunti oltre 200 film “sfuggiti” alla ricerca, attingendo alle conoscenze degli autori e ad altre fonti.

Dall’andamento dei film in cui appare la psichiatria nei decenni del ’900 emerge un trend di crescita costante fino alla fine del secolo, con un picco di presenze terapeutiche negli anni ’40. Quest’ultimo, potrebbe rappresentare il fascino crescente di Hollywood per l’establishment psicanalitico che, proprio in quegli anni rese gli psichiatri personaggi autorevoli che spiegavano le ideologie americane o, d’altro canto, malvagi ciarlatani con accento europei che le confermavano, mostrando agli spettatori alternative inaccettabili (4).

Un incremento progressivo di pellicole del genere dagli anni ’50 fino ad oggi è stato presunto da vari autori ma, a nostra conoscenza, questa è la prima analisi che tenga conto del vertiginoso aumento di film prodotti negli ultimi trent’anni che potrebbe aver rappresentato un bias nelle stime non sistematiche. È dunque confermato che la psichiatria, oltre ad essere sempre stata materia affascinate per il cinema, è stata scelta sempre più spesso da molte generazioni di soggettisti. E per ciò che riguarda gli ultimi anni, è facile immaginare un aumento di film con riferimenti espliciti alle malattie psichiatriche e che necessitano quindi di un personaggio terapeutico. L’ultimo ventennio, infatti, ha prodotto molte pellicole, hollywoodiane e non, che sembrano appartenere più o meno ufficialmente alla psichiatria: basti pensare agli scenari “paranoidei” apocalittici di fine millennio, alle invasioni, ai complotti, alle esplosioni di violenza seriale, sessuale e di gruppo, agli effetti dei traumi, delle catastrofi; e ancora ai sogni, alle allucinazioni, alle fantasie deliranti che si intrecciano con la realtà senza soluzione di continuo. Questi argomenti sembrano motivati anche dal progressivo miglioramento delle tecnologie digitali, che consentono la realizzazione di scene complesse ed elaborate.

I film in cui appaiono strutture per malati mentali sembrano caratterizzati da una storia diversa, essendo infatti diversi dai film focalizzati su un personaggio psichiatra. Ospedali psichiatrici [Birdy – Le ali della libertà (1984)], manicomi [Il gabinetto del dottor Caligari (1920); La morte dietro il cancello (1972)], manicomi criminali [Instinct – Istinto primordiale (1999)] e riformatori [Prigione senza sbarre (1938)] sembrano infatti utilizzati per ricreare il fascino dei film ambientati nelle carceri. In essi, la psichiatria dominante è quella punitiva dei trattamenti rappresentati come coercitivi e violenti [Il corridoio della paura (1963); Elettroshock (1964); Frances (1982)]. È tipica degli anni degli Settanta e Ottanta, periodo in cui dall’elaborazione risulta il maggior numero relativo di film (Fig. 2), la rappresentazione della psichiatria “punitiva” come strumento repressivo sociale contro la diversità, che si sposa quasi sempre con lo stereotipo della follia come anticonformismo, genialità e liberazione dalle oppressioni. Paradigmatico, in questo senso, è Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) di Milos Forman (4).

Negli anni Venti, invece, i manicomi erano scenografie perfette per il dottor Caligari [Il gabinetto del dottor Caligari (1920)], che fa compiere omicidi ad un sonnambulo, e per il criminale ipnotista dottor Mabuse [Il dottor Mabuse (1922)], esempi paradigmatici dell’ingresso dei dottor Evil nel cinema.

La diminuzione progressiva di film con istituti psichiatrici negli ultimi anni sembra riflettere un diminuito fascino per le rappresentazioni della psichiatria repressiva e probabilmente accompagna i processi di deistituzionalizzazione in atto nei paesi occidentali.

La presenze femminili nella psichiatria di celluloide mostrano un’evidente sproporzione rispetto agli psichiatri di sesso maschile, con un costante aumento delle percentuali, fino ad arrivare ad un terzo delle apparizioni negli anni Novanta (Fig. 3). Questa crescita quantitativa, spiegabile probabilmente con il crescente accesso delle donne alla professione medica durante il novecento, non sembra però corrispondere a significative variazioni nella rappresentazione dei personaggi. La psichiatra dei film spesso cede al fascino del paziente maschio [Io ti salverò (1945); Una splendida canaglia (1966); Il principe delle maree (1991); L’esercito delle dodici scimmie (1995); Harry a pezzi (1997)] curando con l’amore; aumenta la tensione narrativa con la sua bellezza e non con le abilità terapeutiche, rientrando con poche eccezioni nel discutibile atteggiamento generale del cinema nei confronti del genere femminile (11).

La situazione delle psichiatre, non sembra comunque diversa da quelle delle colleghe di altre specialità: Flores (12), infatti, in un campione di 131 film in cui appare un medico ha trovato soltanto il 15% di donne.

Il confronto tra le distribuzioni dei generi cinematografici svela una maggiore rappresentazione dei generi thriller, horror, grottesco e fantastico nei film in cui appare uno psichiatra (Tab. II). Questo dato rispecchia il ritratto dello psichiatra malvagio che utilizza poteri ipnotici o strumenti terapeutici per manipolare e danneggiare le menti e, in altre pellicole, il ruolo convenzionale di contrasto razionalista, in cui lo psichiatra spiega con riflessioni materialistiche gli eventi soprannaturali, fantastici o demoniaci. Sbagliando [L’esorcista (1973)], e venendo giustamente ucciso da Belzebù [L’esorcista III (1990)], o fulminato da una bambola [La bambola assassina (1988)]. Gran parte di questi film sembrano appartenere al periodo della “perdita della grazia” e, nel nostro campione infatti, si collocano quasi tutti tra gli anni Settanta ed oggi.

La stima di Schneider (5)-(7) che calcolava un 15% di Dr. Evil tra gli psichiatri di celluloide, appare a questo punto sottodimensionata; l’autore, infatti, aveva escluso dai suoi calcoli le pellicole del genere horror, che hanno probabilmente contribuito più di quanto si pensi all’immagine negativa dello psichiatra di celluloide.

Anche il maggior numero di film per soli adulti e di film la cui visione ai minori è consigliata in presenza di un adulto (Fig. 4) sembra riflettere le comparse psichiatriche macchiettistiche, utili nello sviluppo di trame thriller o dell’orrore. Tra i film sconsigliati ai minori sono compresi anche quelli in cui gli psichiatri di celluloide sconfinano dall’attività clinica diventando abili detective che risolvono e spiegano in modo brillante gli eventi criminosi. È questo il caso di Vicolo cieco (1939) e Psycho (1960) e di molti film del genere poliziesco o noir in cui la psicanalisi viene assimilata al lavoro investigativo e lo psichiatra ha il potere di immedesimarsi nelle menti criminali, per ricostruire i delitti e catturare i responsabili.

Conclusioni

In un anno gli americani vanno in media sei volte al cinema e trascorrono 54 ore guardando film in videocassetta (13). Il cinema continua ad essere un potentissimo mezzo comunicativo e gli psichiatri, dai nostri dati, oltre a continuare ad affascinare gli autori, compaiono sempre più di frequente nelle trame. È facile immaginare come, per la popolazione generale, sia molto più frequente vedere uno psichiatra di celluloide all’opera, che incontrarne uno dal vivo; ragionevolmente gli stereotipi cinematografici influenzano in modo cruciale quelli della vita reale. La varietà delle rappresentazioni che spazia dagli assassini agli oracoli, l’esigua presenza (in crescita) di psichiatri donna e la frequente ambientazione horror, noir o thriller della psichiatria, sembrano elementi destinati a giocare un ruolo fondamentale, in positivo e in negativo, sull’immaginario e sulle aspettative delle persone di tutto il globo.

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1 Fleming M, Manvell R. Images of madeness: the portrayal of Insanity in the Feature Film. Rutherford [N.J.]: Fairleigh Dickinson University Press; London: Associated University Presses 1985.

2 Morin E. Le Cinéma ou l’Homme Imaginaire. Paris: Minuit 1956.

3 Münstenberg H. Film: il cinema muto nel 1916. Tr. it. Pratiche, Parma 1986.

4 Gabbard GO, Gabbard K. Psychiatry and the Cinema. American Psychiatric Press, Inc. Washington and London 1999.

5 Schneider I. The theory and practice of movie psychiatry. Am J Psychiatry 1987;144:996-1002.

6 Schneider I. Images of the mind: psychiatry in the commercial film. Am J Psychiatry 1977;134:613-20.

7 Clara A. The image of the psychiatrist in motion pictures. Acta Psychiatr Belg 1995;95:7-15.

8 Pies R. Psychiatry in the Media: The Vampire, The Fisher King, and The Zaddik. J Mundane Behav 2001;2:1. http://mundanebehavior.org/index.htm

9 Ebert R. The Silence of the Lambs (review). Chicago Sun-Times, Feb. 14, 1991.

10 Morandini L, Morandini L, Morandini M. Il Morandini. Dizionario dei film 2003. Zanichelli, Bologna 2002.

11 Mulvey L. Visual pleasure and narrative cinema. Screen 1975;16:6-18.

12 Foles G. Mad scientists, compassionate healers, and greedy egotists: the portrayal of physicians in the movies. J Nat Med Association 2002;94:635-58.

13 Motion Picture Association of America�s Worldwide Market Research Department. MPAA 1998 US Economic Review. http://www.mpaa.org/useconomicreview/1998/ 1998econ.pdf.