Costrutti Teorici ed Obiettività clinico-sperimentale dell’intervento terapeutico nelle Depressioni Minori, “Sintomatiche Subcliniche” o “Subsindromiche”

Theoretical constructs and clinical-experimental objectivity of therapeutic intervention in Minor, "Sub-clinical Symptomatic" or "Sub-syndromal" Depressions

A. Palma, P. Pancheri

Parole chiave: Depressione sottosoglia • Depressione Minore Unipolare • Depressione Breve Ricorrente • Sottotipi di Disturbo Depressivo • Molecole Antidepressive • Farmaci Serotoninergici, Noradrenergici • Antidepressivi Inibitori ricaptazione Serotonina e Noradrenalina (SNRI) • Psicoterapie • Composti Fitoterapici
Key words: Subthreshold depression • Unipolar Minor Depression • Recurrent Brief Depression • Depressive Disorder subtypes • Antidepressive agents • Serotoninergic, Noradrenergic drugs • Serotonin and noradrenaline reuptake inhibitors (SNRI) • Psychotherapy • Phytotherapeutic agents • Phytotherapy

Esiste una vasta letteratura specialistica che si è occupata dell’elaborazione di criteri per l’inquadramento nosografico e della ricerca delle basi biologiche della depressione, rispettivamente attraverso lo studio della fenomenologia clinica e attraverso la ricerca dei meccanismi psicobiologici ed eziopatogenetici che sono alla base della malattia (1,2).

A proposito del Disturbo Depressivo, negli ultimi trent’anni, si è mantenuta vivace la discussione tra i sostenitori del criterio di una “unitarietà quantitativa”, ovvero di un disturbo unico che varia fenotipicamente in base alla gravità della sintomatologia, al maggior numero di sintomi, ed autori che, al contrario, propongono l’esistenza di una “molteplicità qualitativa”, secondo cui il disturbo depressivo è diversificabile in più categorie sulla base di un modello dicotomico, bipolare o bifasico al quale sono da correlare basi biologiche tra loro distinte. Nonostante i ripetuti sforzi innovativi proposti dai diversi modelli nosografici, si mantengono irrisolti molti problemi diagnostici e terapeutici relativi soprattutto agli stati depressivi minori, Subsindromici, a quei quadri affettivi negativi talvolta misti ad ansia o, comunque, con un aspetto clinico “Non Altrimentimenti Specificato (NAS)”.

Oltre alle note difficoltà d’inquadramento nosografico, nelle Depressioni Subcliniche persiste tutt’ora una scarsa chiarezza clinica, infatti mancano ancora dei criteri di riferimento standardizzati per decidere l’opportunità e la soglia di intervento terapeutico.

Gli studi disponibili a riguardo sono piuttosto limitati per definire apertamente quando e quale tipo di terapia sia da preferire in condizioni cliniche che, secondo alcuni autori, sono da ritenere al limite delle significatività clinica.

Con la definizione Depressione Sintomatica Subclinica (SSD) (3) o Depressione Subsindromica (4), viene fatto riferimento generalmente ad una condizione clinica che non aderisce pienamente ai criteri stabiliti dai comuni manuali diagnostici per il Disturbo Depressivo. Essa infatti è caratterizzata sostanzialmente da:

a) mancanza di uno o più sintomi per l’inquadramento nosografico categoriale, come previsto dal DSMIV o ICD-10;

b) mancanza di una completa aderenza al criterio che stabilisce un’obiettiva alterazione della capacità del funzionamento familiare e socio-lavorativo;

c) una sintomatologia depressiva prevalentemente o esclusivamente soggettiva caratterizzata più da vissuti depressivi che da riscontri clinici o comunque da sintomi obiettivabili dall’esterno.

L’assenza di alcuni sintomi, considerati da molti autori, “patognomonici” oppure un loro parziale riscontro per gravità, frequenza o durata, spesso comporta l’esclusione della Depressione Subclinica Sintomatica dal tradizionale inquadramento diagnostico categoriale, compromettendo talvolta il riconoscimento di una condizione patologica e quindi anche un adeguato intervento terapeutico. Queste circostanze possono avere ripercussioni significative sia sulla prognosi della salute individuale che sui costi della sanità pubblica.

Alcuni autori, inoltre, continuano ad interrogarsi se il disturbo bipolare sia ancor oggi sottodiagnosticato o se, al contrario, il trattamento antidepressivo sia utilizzato al di sopra di una reale esigenza clinica (5).

Negli ultimi anni una tendenza piuttosto comune è stata quella di considerare gli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI) come fattori in grado di abbassare la “soglia” per la terapia farmacologica della depressione (6). Logica conseguenza è chiedersi se questo fenomeno possa essere spiegato semplicemente sulla base di una maggiore tollerabilità dimostrata dai nuovi antidepressivi o se, al contrario, è possibile confermare, con dati sperimentali, una specificità ed una selettività di questi farmaci per alcune espressioni cliniche della depressione. Questa trattazione, pertanto, nasce dall’esigenza di offrire uno spunto di riflessione sulle indicazioni e le controindicazioni dei diversi interventi terapeutici proposti per le “Depressioni Subsindromiche e Minori”. Dopo una breve sintesi delle indicazioni generali stabilite secondo linee guida internazionali per la terapia psicologica o biologica nei disturbi depressivi, viene affrontato il concetto di normalità/patologia in psichiatria per la decisione della soglia terapeutica facendo particolare riferimento alle forme depressive subsindromiche. Da ultimo sono proposte alcune considerazioni sulla base di alcuni dati sperimentali e dei criteri clinici relativi all’efficacia di alcune molecole antidepressive e delle psicoterapie nella Depressione Sintomatica Subclinica (SSD).

Le indicazioni terapeutiche per i Disturbi Depressivi ed il problema delle Depressioni Subsindromiche

Come accade da diverso tempo in altre nazioni, anche in Italia, esperti di Psichiatria hanno elaborato una Consensus Conference sul trattamento farmacologico dell’episodio depressivo (7,8). Dopo un’attenta analisi degli ultimi studi controllati sulle molecole antidepressive e degli attuali criteri tassonomici internazionali sono state definite delle linee guida sugli obiettivi, sulle strategie e sulle fasi del trattamento antidepressivo.

Secondo la commissione tecnica di psichiatri italiani gli scopi da raggiungere nella terapia della depressione sono sostanzialmente: “l’eliminazione di qualsiasi segno o sintomo di depressione, il ripristino dei livelli di funzionamento sociale e lavorativo che precede la malattia ed infine la riduzione di recidive dello stesso episodio (di ricadute) oppure della ricomparsa a distanza di tempo di nuovi episodi (ricorrenza)” (7,8). Una nota conclusiva sottolinea tuttavia come il programma terapeutico debba essere comunque personalizzato in base al tipo di disturbo depressivo. L’eterogeneità clinica della depressione distingue pertanto necessità di farmaco o psicoterapie soprattutto in funzione del tipo di disturbo depressivo e, nel caso di diagnosi identiche, anche rispetto alle caratteristiche anamnestiche, psicologiche di tratto, di stato e, più in generale, dei problemi lamentati dal paziente, specialmente per quelli descritti prioritari da ciascun individuo e per i quali è richiesta un’immediata risoluzione.

Nella recentissima revisione della Consensus Conference della Società Italiana di Psicopatologia c’è stato un interessante approfondimento dei criteri specifici per la scelta del farmaco antidepressivo nella fase iniziale del trattamento. Oltre a sostenere l’efficacia delle varie molecole antidepressive in commercio, è ribadita la priorità nei casi più gravi dei farmaci triciclici che inibiscono preferenzialmente la ricaptazione di noradrelina come ad esempio la nortriptilina, la clomipramina e l’imipramina. L’innovazione ancor più interessante è stata la considerazione che la Consensus Conference ha rivolto ad un approccio dimensionale per la scelta del tipo di antidepressivo e, pertanto anche alla valutazione del tipo di temperamento premorboso del soggetto con disturbo dell’umore. La commissione di esperti ha concordato, infatti, nel sostenere che il temperamento di base ha un ruolo clinico molto importante e può contribuire alla scelta del farmaco. A questo proposito sono state ritenute eleggibili molecole pronoradrenergiche per tratti temperamentali basali orientati verso la passività e l’evitamento, mentre per i temperamenti caratterizzati da irritabilità, aggressività, disforia sono stati consigliati farmaci proserotoninergici. Nel caso poi di comorbidità con patologie di pertinenza medico-internistica, è stato indicato che è opportuno prediligere quelle molecole che presentano associato ad un alto indice terapeutico un buon grado di tollerabilità, come dimostrano ad esempio, in varia misura e, a secondo dei casi dagli Inibitori Selettivi della Ricaptazione di Serotonina (SSRI), dagli Inibitori della Ricaptazione della Serotonina e Noradrenalina (SNRI), dagli Antidepressivi Noradrenergici e Serotoninergici Specifici (NASSA), dagli Inibitori della Ricaptazione della Noradrenalina (NARI) ed inoltre da molecole come la S-Adenosil-Metionina (SAMe) che agisce inducendo un aumento della trasmissione neuronale.

Rispetto agli interventi psicoterapeutici, inoltre, persiste l’accordo condiviso da molti autori che, nei casi di Depressione Maggiore, utilizzare un intervento esclusivamente ad indirizzo psicoterapeutico sia una scelta insufficiente ed addirittura poco corretta per il benessere del paziente.

Anche per il Disturbo Bipolare viene sostenuta la priorità di una terapia biologica da impostare scegliendo, secondo i casi, tra le diverse molecole antidepressive soprattutto a prevalente attività serotoninergica e gli stabilizzatori dell’umore. Per alcuni Bipolari in fase depressiva vengono consigliati anche gli antidepressivi triciclici, poiché è ampiamente documentato che questa rappresenta la strategia terapeutica più efficace per una rapida risoluzione della fase acuta. In questo caso l’associazione di una psicoterapia viene considerata vantaggiosa per la continuità terapeutica, si ritiene infatti che questa combinazione migliori la prognosi determinando un aumento significativo della compliance del paziente.

Dilungarsi nella discussione delle priorità tra indicazioni di terapie biologiche rispetto a quelle psicologiche, personalizzate per ciascun disturbo affettivo, porterebbe lontano dallo scopo dell’attuale trattazione pertanto, la Tabella I propone un quadro riassuntivo degli accordi finora raggiunti. Per un approfondimento dell’argomento si rimanda comunque alla letteratura specifica (9). Fatta eccezione per le Depressioni Maggiori “con aspetti di tipo melanconico” per le quali viene data priorità al trattamento farmacologico con triciclici, persiste ancora poca chiarezza nella definizione della specificità dell’intervento terapeutico nelle depressioni di minore gravità. I moderni manuali nosografici infatti non trattano a sufficienza l’analisi di criteri che definiscano chiaramente il confine tra depressione e demoralizzazione. Di conseguenza si mantiene difficile la connotazione di una “soglia clinica” sulla quale stabilire il tipo di intervento terapeutico nelle Depressioni Lievi e Sottosoglia (10,11).

Dopo l’esclusione dal DSM-IV della “Nevrosi Depressiva”, che nel DSM-IIIR compariva tra parentesi accanto alla Distimia, i Reserch Diagnostic Criteria (RCD) continuano ad essere da oltre venti anni il sistema che offre una soluzione più aderente alla realtà clinica per l’inquadramento delle Depressioni Minori.

Attualmente infatti la Distimia rispetto alla Depressione Maggiore non presenta alcuna differenziazione qualitativa, poiché nel DSM-IV mantiene i caratteri di una sindrome depressiva, di gravità lieve, senza aspetti melanconici e con andamento clinico di tipo cronico.

Alla luce di quanto finora considerato risultano più evidenti le difficoltà di definire dei criteri terapeutici per alcune forme di depressione che, allo stato attuale e, rispetto ad un inquadramento categoriale sono considerate al limite della significatività clinica.

Le forme subsindromiche o con aspetti atipici continuano infatti ad essere incluse in contenitori diagnostici, residui, insieme a quadri clinici “non altrimenti specificati”, tra loro fin troppo eterogenei per uno studio sistematico approfondito. Si tratta infatti di quadri sintomatici che vengono descritti e considerati in sezioni aggiuntive, all’interno di cluster diagnostici aspecifici, da molti autori criticati perché considerati dei “contenitori spazzatura” o in appendici che mantengono comunque un ruolo nosografico di scarso rilievo.

I problemi per la scelta diagnostico-terapeutica divengono più complessi quando le flessioni dell’umore, di lieve gravità, sono apprezzate nei pazienti anziani o in soggetti con comorbidità per malattie somatiche. In quest’ultimi casi la Depressione Lieve si mostra più frequentemente associata ad Ansia intensa, spesso caratterizzata da manifestazioni neurovegetative con tendenza all’autocommiserazione, alla disforia e ad una proiezione della colpa dei propri disagi sugli altri. La discussione sull’opportunità e sul tipo di intervento terapeutico da impiegare nelle Depressioni Subsindromiche resta pertanto ancora oggetto di confronto e di stimolanti dibattiti tra gli psichiatri, soprattutto sulla base dei risultati di alcuni studi sperimentali che sono presentati di seguito.

Come premessa alla trattazione diagnostica-terapeutica delle Depressioni Sottosoglia, nel tentativo di definire il concetto di “soglia” clinica e l’opportunità di una scelta terapeutica nei casi di disturbi affettivi paucisintomatici, il paragrafo che segue descrive brevemente alcuni dati sulla rilevanza epidemiologica e prognostica del Disturbo Depressivo Sottosoglia.

La rilevanza clinica del Disturbo Depressivo Sottosoglia e l’intervento terapeutico

Una tra le ricerche più note è quella che la Task Force per il DSM-IV ha richiesto per definire la prevalenza delle forme depressive minori, “non altrimenti specificate” tra i soggetti che richiedono un intervento medico. I risultati dello studio hanno confermato come tra coloro che si rivolgono all’assistenza di ambulatori psichiatrici e di medicina generale esista un’importante casistica di soggetti affetti da “Depressione NAS” spesso associata ad una dichiarata sofferenza soggettiva che, in varia misura, interferisce sul funzionamento generale. In questi casi il disagio psichico è caratterizzato piuttosto da una riduzione dell’interesse, da una maggiore difficoltà e fatica nello svolgere le attività quotidiane che da una sostanziale compromissione qualititativa e da una riduzione degli impegni sostenuti.

In due studi che hanno fatto seguito al programma di ricerca del National Institutes of Mental Health (NIMH) Collaborative Depression Study (CDS) è stato osservato che i soggetti con un’iniziale diagnosi di Depressione Maggiore hanno continuato a lamentare un discreto corollario di sintomi depressivi ed una condizione generale di Depressione Subclinica Sintomatica (SSD) per più della metà (59%) dei 12 anni di studio di follow-up (12). Le conclusioni a cui sono giunti gli autori di questo lungo e complesso programma di ricerca sono riassunte nei seguenti due punti:

a) il decorso della Depressione Maggiore è molto eterogeneo, variabile nel tempo e con una grande morbilità residua per la SSD;

b) la SSD ha dimostrato essere una “fase attiva” del Disturbo Depressivo, essa pertanto è stata ritenuta una parte integrante del Disturbo Depressivo e un fattore predittivo per ulteriori recidive di episodi depressivi (13,14).

Secondo i dati epidemiogici riportati nello studio di Zurigo di Angst è possibile apprezzare un considerevole divario tra le stime che descrivono i tassi di prevalenza longitudinale dei disturbi depressivi di tipo unipolare e le percentuali relative all’impostazione di un intervento terapeutico. Le forme di Depressione Minore, che per gran parte sono inquadrate all’interno di categorie diagnostiche residue, hanno mostrato un tasso di prevalenza longitudinale pari al 9,9% superiore ad esempio al Disturbo Distimico (1,8%) e meno frequente sia rispetto ai Disturbi Depressivi Maggiori (16%) che alla Depressione Breve Ricorrente (14,6%).

Le percentuali di prevalenza subiscono un’evidente modificazione quantitativa quando, al contrario, si considera la scelta di un intervento terapeutico rispetto ai diversi quadri depressivi. Nei soggetti di età superiore ai 35 anni e con Depressione Maggiore, infatti, la decisione di una prescrizione terapeutica è presa nel 2,6% dei casi. In linea generale la percentuale di intervento appare superiore a quanto accade per il Disturbo Distimico (0,4%) ed inferiore rispetto alla Depressione Breve Ricorrente (3,8%). Nei pazienti che ricevono diagnosi di Depressione Minore inoltre la tendenza ad un’indicazione terapeutica risulta ancora più scarsa e quasi sempre è assente (0,3%) (15).

In questo studio, l’aspetto con maggiore significato clinico è l’osservazione che tra i depressi maggiori che richiedono terapia (55% dei casi) solo il 40% riceve un trattamento, quest’ultimo in una metà dei casi è costituito da antidepressivi, mentre nell’altra metà da benzodiazepine.

Dati interessanti sull’estensione dei disturbi affettivi lievi emergono inoltre dalle stime di uno studio europeo rivolto a 78.463 soggetti.In questa ricerca le percentuali di prevalenza per Depressione Maggiore, Minore e per “Sintomi Depressivi” sono state rispettivamente del 6,9%, del 1,8 e del 8,3%. Come sottolineato dagli autori, ad un anno di distanza, i pazienti con più alta morbilità per Episodio Depressivo Maggiore sono proprio coloro che presentano quadri di Depressione Breve Ricorrente e Subsindromica con delle percentuali rispettivamente del 11,7% e del 15,8% (16,17).

Diversamente da quanto ritenuto in passato, quindi, i recenti studi epidemiologici, allargati anche alla medicina di base e alla popolazione generale, hanno rivelato che le “Depressioni NAS e Sottosoglia”, le cosiddette condizioni affettive “al limite della patologia” e caratterizzate dai sintomi “minori” dello spettro depressivo, solo apparentemente presenterebbero una scarsa rilevanza epidemiologica.In realtà si ritratta di quadri clinici, spesso sottodiagnosticati, che hanno dimostrato un’evoluzione prognostica sfavorevole verso la cronicità soprattutto quando è presente una positività anamnestica per disturbi affettivi.

Il concetto normalità/patologia, il problema della “soglia” e i criteri di scelta per la terapia delle Depressioni Subsindromiche

Anche nell’intervento terapeutico delle Depressioni Lievi considerate al limite della significatività clinica e per le quali i criteri diagnostici fin qui discussi sono piuttosto indefiniti, le tappe da seguire per l’organizzazione di un programma d’assistenza si mantengono fondamentalmente tre: l’obiettivazione delle dimensioni patologiche, la definizione della gravità, la scelta della terapia prognosticamente più favorevole. Di seguito pertanto vengono proposte due sezioni separate, nella prima sono presentate alcune basi teoriche per la diagnosi differenziale tra normalità e patologia rispetto alle Depressioni Subsindromiche, nella seconda sono discussi i criteri utilizzati nella pratica medica per definire la soglia e la scelta d’intervento, sempre nei casi di depressioni considerate al limite della significatività clinica.

La diagnosi differenziale tra “normalità” e “patologia” nelle Depressioni Subsindromiche

Come ampiamente descritto da più autori nei testi classici di psicopatologia e ribadito nella letteratura più recente, il concetto di “norma” in psichiatria rappresenta un costrutto complesso, difficile da definire in modo univoco, poiché richiede uno studio approfondito in base a più criteri di valutazione, i quali rispondono a costrutti teorici multipli, tra loro diversi, ma complementari (18-21). Per una brevità descrittiva i principali criteri di valutazione del concetto di norma in psichiatria sono ricordati nella Tabella II (20).

Nei casi in cui la flessione dell’umore presenta una gravità lieve, al limite con la “demoralizzazione fisiologica”, emergono infatti con più forza le difficoltà di discriminare chiaramente i confini di normalità dello stato affettivo. Probabilmente, in questi casi, i principali parametri di riferimento nell’analisi differenziale con la patologia depressiva possono essere limitati soprattutto a quelli che valutano la sofferenza e il vissuto soggettivo, lo stato dello sviluppo psicoaffettivo e il criterio statistico-matematico.

Nelle Depressioni Subsindromiche, la fenomenologia clinica presenta infatti una scarsa espressività ed obiettività clinica e, spesso, la riferita consapevolezza di un cambiamento dell’equilibrio psichico, la valutazione da parte del clinico del grado di compromissione delle variabili psicologiche (Tab. III) (19,20) che definiscono la sofferenza psichica rappresentano alcuni dei principali fattori guida per l’elaborazione di una diagnosi. La presenza di un disagio psichico, infatti, viene riconosciuta principalmente dalla consapevolezza soggettiva e dall’osservazione esterna di una perdita della libertà nel pensare, nell’agire a causa del/i sintomo/i. Nel caso di una reale sofferenza psichica, al vario grado d’inibizione delle normali attività della vita si associa, inoltre, un’alterazione delle capacità di pianificare il futuro e di decidere o desiderare anche scelte che riguardano l’immediato. Per un migliore inquadramento del problema, la Tabella IV applica una traduzione del concetto di normalità/patologia alla “Depressione Sintomatica Sottosoglia”, tentando una diagnosi differenziale tra le caratteristiche qualitative e quantitative della “normale demoralizzazione” rispetto a quelle della “Depressione Sottosoglia”. Si è preferito elaborare la distinzione delle due condizioni psichiche sulla base dei criteri che la psicopatologia classica suggerisce per riconoscere la connotazione patologica del vissuto soggettivo.

Nell’inquadramento patologico del vissuto depressivo lo sviluppo psicoaffettivo rappresenta inoltre un importante criterio di riferimento. Spesso le forme depressive sottoglia fanno seguito ad eventi di vita stressanti associati a vissuti soggettivi di perdita che, come noto, in alcuni casi costituiscono delle tappe fisiologiche, adattative, di crescita nella storia dello sviluppo affettivo di ciascun individuo.

Un’attenta analisi degli eventuali fattori all’origine della Demoralizzazione o, di una Depressione Minore, conduce spesso a trovare come fattore eziopatogenetico una condizione di conflittualità primaria che scaturisce da episodi frustranti. Quando i sentimenti di tristezza, la ricerca di isolamento, il comportamento pessimista, scarsamente motivato, distaccato e preoccupato si presentano di seguito a episodi frustranti è opportuno considerare lo stadio di maturità affettiva. Se si tratta infatti di condizioni emotive che si risolvono in tempi molto limitati e senza alcuna conseguenza sulle attività generali della vita è opinione comune di ritenerli fisiologici e funzionali alla crescita dell’individuo. Al contrario, se si tratta di reazioni esagerate apparentemente svincolate da specifici eventi di vita è opportuno differenziare la qualità e la gravità della sofferenza soggettiva che, più verosimilmente, è da inquadrare in termini clinici.

Limitandoci da ultimo alla definizione di norma secondo un approccio statistico-matematico è noto, ad esempio, come una maggiore obiettività del giudizio clinico sulla gravità e sul decorso della malattia sia raggiunto in psichiatria con l’ausilio di strumenti psicometrici costituiti nella maggior parte dei casi da scale e questionari di valutazione standardizzati.

Nel caso delle forme depressive subcliniche dove è più evidente la centralità della sofferenza e del vissuto soggettivo le scale di autovalutazione come ad esempio la Rome Depression Inventory (Fig. 1), elaborata sull’osservazione clinica e sui sintomi lamentati dai pazienti ambulatoriali, rappresentano un importante amplificatore dell’obiettività clinica, poiché consentono un’analisi mirata del grado di compromissione delle diverse dimensioni psicopatologiche alla base del disturbo emotivo.

L’analisi della distribuzione dei punteggi ottenuti con scale di autovalutazione e, o con i comuni strumenti di eterovalutazione (Hamilton Rating Scale for Depression, Montgomery-Asberg Depression Rating Scale, Bech-Rafaëlsen Melancholia Scale, ecc) consente un’importante proiezione quantitativa della gravità della sofferenza psichica di ciascun individuo rispetto alla norma statistica ovvero ai valori medi ottenuti nella popolazione generale.

Il criterio di valutazione statistico fornisce infatti un interessante riferimento clinico per definire il range di normalità, il confine rispetto alla patologica e, quindi, la soglia oltre la quale diviene necessaria la scelta di un intervento terapeutico.

I criteri clinici per definire la soglia e la scelta dell’intervento nelle depressioni subsindromiche

La soglia di intervento viene stabilita dunque sulla base del confronto del comportamento e dello stato affettivo del singolo individuo rispetto a quanto osservato nella popolazione media in una stessa condizione di vita, sul grado di conformità/discordanza della valutazione psicometrica individuale rispetto ai punteggi medi attesi o, ancora, sull’osservazione clinica del grado di interessamento (parziale/completo) delle principali variabili psicologiche che definiscono la sofferenza psichica.

Come ricordato da alcuni autori, i sintomi che rispondono ai “criteri arbitrari” di soglia depressiva stabilita dal DSM-IV sono ritenuti causa di un’evidente compromissione del funzionamento generale (22). Nelle forme Depressive Subsindromiche, al contrario, il mantenimento, seppure con riferita fatica, delle attività di ogni giorno e quindi la presenza di un funzionamento generale solo parzialmente o appena lievemente compromesso pone serie difficoltà sul piano clinico per la decisione della soglia dell’intervento terapeutico.

Per quanto riguarda la Depressione Subclinica Sintomatica (SSD) è opinione comune che potrebbe essere meglio definita dal punto di vista sperimentale e clinico se venisse considerata, al pari del Disturbo Distimico, come una forma di Depressione Lieve sia nel caso che essa rappresenti una parte integrante della Depressione Maggiore o che, al contrario, sia un sottotipo di patologia affettiva a sé stante. A riguardo la Tabella V propone un tentativo di quadro sinottico per la diagnosi differenziale, secondo i criteri del DSM-IV, tra “Depressione Subsindromica” e “Depressione Sindromica”.

Per una discussione generale sulla soglia e la scelta di intervento sono proposti alcuni dei quesiti che emergono con maggiore frequenza quando il medico si trova a scegliere se e, quale terapia praticare nel caso di depressioni di grado lieve, subsindromico e NAS, ovvero di quadri affettivi con caratteristiche cliniche che non incontrano i criteri diagnostici considerati dai comuni manuali nosografici. Nella pratica clinica di fronte a questi quadri clinici emergono infatti interrogativi come:

1. quando è che è lecito e quali sono i criteri eleggibili per decidere la “soglia” di un intervento terapeutico?

2. è possibile isolare dei criteri su cui strutturare la scelta dell’intervento clinico?

3. quali sono i farmaci che presentano delle caratteristiche elegibili per una loro utilizzazione?

Per quanto riguarda il primo punto è importante considerare come coordinate generali soprattutto il tipo di richieste sollevate dal paziente rispetto alla sua sofferenza, il livello di tollerabilità nei riguardi del disagio lamentato, la presenza e il grado di supporto sociale di cui può beneficiare.

Tra i criteri clinici di comune riferimento per la scelta terapeutica ci sono inoltre l’eventuale comorbidità con altre malattie somatiche e mentali, mentre nel caso di una condizione di salute psicofisica un ruolo di primo piano viene attribuito alla compliance biologica (tipo di temperamento premorboso) e a quella psicologica (capacità di insight) che ciascun individuo presenta verso i molteplici interventi terapeutici disponibili nella pratica clinica.

La scelta della terapia dipende pertanto da fattori, in parte intrinseci al tipo di depressione (reattiva, endogena) ed in parte contingenti, come ad esempio, la possibilità di un intervento psicoterapeutico, o psicosociale, la tolleranza ai farmaci ecc. Nulla, infatti, sancisce il divieto all’uso di farmaci timolettici anche nelle forme depressive lievi o di un intervento psicoterapeutico nelle depressioni persistenti, purché sulla base delle caratteristiche del caso e dell’esperienza clinica siano prevedibili valide probabilità di raggiungere una modificazione positiva dell’alterato equilibrio neurotrasmettitoriale che sta alla base del disturbo.

Allo stesso modo non esistono ostacoli per un intervento a più livelli se ciò è rivolto ad ottenere una risoluzione rapida e duratura del problema e con un minor rischio di favorire una prevalenza di effetti dannosi rispetto a quelli terapeutici.

Una condizione depressiva, anche minore, può essere affrontata quindi secondo molteplici approcci: a livello psicosociale promovendo, qualora esistano, l’instaurarsi di legami d’attaccamento o amplificando la percezione del supporto sociale, a livello cognitivo modificando, ad esempio, il vissuto di perdita e a livello biologico agendo direttamente sui sistemi neurotrasmettitoriali interessati.

Nel caso in cui la depressione venga interpretata come una reazione adattativa e difensiva ad uno “stress di perdita” la scelta dell’intervento terapeutico presenta dei limiti (23). È lecito infatti chiedersi se la terapia farmacologia di tutti i pazienti che richiedono un intervento medico possa aumentare la vulnerabilità psichica e somatica nei riguardi di stressors esistenziali. Qualora venga ritenuto necessario fornire un aiuto clinico è opportuno tuttavia stabilire la possibilità e i rischi/benefici di una terapia che favorisca l’elaborazione del vissuto di perdita rispetto ad una che agisca eliminando la depressione stessa o viceversa.

In ogni caso, comunque, è evidente che non esiste una norma generale, ma nella scelta del tipo d’intervento è necessaria un’attenta valutazione delle caratteristiche cliniche dello stato depressivo, del temperamento basale e del contesto socio-familiare in cui si trova a vivere il soggetto. Un elemento di grande importanza per la riuscita dell’intervento clinico è la scelta di strumenti diagnostici e terapeutici che si adeguino il più possibile allo stato socio-familiare e alla risorse strutturali della personalità dell’individuo. Per sfruttare eventuali sinergismi terapeutici infatti è opportuna un’attenta analisi della tollerabilità del paziente rispetto alle numerose terapie disponibili piuttosto che cadere nell’errore di non considerare preesistenti resistenze che potrebbero pregiudicare la continuità e quindi la riuscita dell’intervento.

Talvolta infatti l’indicazione di una psicoterapia può trovare una scarsa adattabilità alle richieste individuali, familiari e di vita del soggetto come, al contrario, un intervento farmacologico se non combinato ad un lavoro psicologico può aumentare talvolta il grado di “conflittualità primaria” del soggetto e compromettere i tempi o addirittura la completa risoluzione del disturbo depressivo. Come noto, i fattori che facilitano una migliore prognosi sono soprattutto la capacità da parte del medico di accogliere la richiesta d’aiuto, ma soprattutto un’analisi quantitativa e qualitativa della sofferenza psichica lamentata.

La correttezza diagnostica e la scelta terapeutica può essere inficiata tuttavia dalla sensibilità dell’esaminatore nei riguardi del disturbo psichiatrico, come accade a volte in visite non specialistiche, o anche dall’utilizzazione e disponibilità di strumenti psicometrici sensibili per l’obbiettivazione della sofferenza soggettiva, anche di lieve intensità, come può succedere in contesti di consulenza o in strutture d’urgenza di medicina generale.

Sempre a proposito del secondo punto della nostra discussione, l’intervento terapeutico deve presentare come requisiti principali una buona tollerabilità e sicurezza.

I criteri generali da seguire nella scelta terapeutica e, soprattutto nel caso di un intervento farmacologico sono: la mancanza di interferenza della terapia con il funzionamento del soggetto, la valutazione di comorbidità sottosoglia con altri disturbi psichiatrici come il Disturbo Ossessivo Compulsivo, la Fobia Sociale ecc., l’analisi inoltre del temperamento premorboso e lo studio del rischio di eventuali risposte paradosse. Nei disturbi depressivi sottosoglia, più che in altri disturbi, un aspetto di importante rilievo clinico è quello di limitare le interferenze o il peggioramento rispetto al fattore qualità della vita; sono da evitare ad esempio prescrizioni molto restrittive che, nella maggior parte dei casi, riducono significativamente la compliance al trattamento e di conseguenza facilitano il rischio di cronicizzazione e, talvolta, l’insorgenza di disturbi più gravi.

Altro aspetto di grande importanza nella scelta dell’intervento clinico è l’isolamento di sintomi o “aree cliniche bersaglio” sulle quali definire la specificità della terapia psicologica e, o farmacologia ma, soprattutto, isolare lo spettro dimensionale del disturbo, in funzione del quale è possibile monitorare il cambiamento terapeutico ed il decorso del “malessere generale”, dei “vissuti spiacevoli” che, in termini troppo generici, caratterizzano la SSD.

Il criterio di “area clinica bersaglio” è strettamente associato allo stato delle conoscenze di psicofarmacologia. Nelle forme Depressive Minori e Subsindromiche infatti risulta più funzionale la descrizione delle aree di efficacia terapeutica secondo un approccio dimensionale. La scelta farmacologia che empiricamente ha dimostrato migliore efficacia è quella che non considera essenzialmente una diagnostica “categoriale”, ma si basa sulla valutazione della sintomatologia dominante, sui sintomi associati in comorbidità e di altri parametri clinici ad evidente connotazione dimensionale. Quanto finora discusso sui criteri ed i fattori che orientano la scelta terapeutica può essere sintetizzato e chiarito attraverso un modello grafico di albero decisionale che descrive la variabilità del percorso clinico in base ai diversi aspetti che contraddistinguono la fenomenologia delle Depressioni Subsindromiche (Fig. 2).

Nei disturbi depressivi minori i dati che fanno riferimento a studi sperimentali controllati di psicofarmacologia sono piuttosto limitati. Per rispondere al terzo quesito proposto in questa trattazione sono presentate tre sezioni che propongono rispettivamente una descrizione generale di quanto è disponibile in letteratura sulle caratteristiche biologiche e sul rapporto tollerabilità/efficacia delle principali molecole antidepressive nella terapia delle SSD.

Segue inoltre un rapido cenno sul ruolo terapeutico di composti medicali fitoterapici, conosciuti come “prodotti da banco”, integratori alimentari, vitamine, antiossidanti, rimedi di erboristeria o “antistress”, comunemente utilizzate anche fuori dal controllo medico. Infine per una completezza descrittiva sono considerati gli interventi psicoterapeutici ritenuti più specifici o proponibili per la risoluzione delle forme depressive minori.

La scelta del farmaco e le “Depressioni Minori”

Contrariamente alla vasta letteratura degli studi controllati sull’efficacia e sulla tollerabilità dimostrata dai vari farmaci nella Depressione Maggiore, le ricerche sulla specificità dell’azione nootropa degli psicofarmaci nelle Depressioni Minori, “Lievi-Subsindromiche” e “Non Altrimenti Specificate” sono piuttosto ridotte. Una spiegazione di questo fenomeno è probabilmente la differenza di opinioni ancora esistenti sull’opportunità di un intervento farmacologico nelle Depressioni “Sottosoglia”, ma soprattutto la scarsa disponibilità di criteri diagnostici chiari ed omogenei con cui i moderni manuali nosografici hanno definito, per lungo tempo, i quadri depressivi brevi e, o di lieve gravità, talvolta misti ad ansia o associati a disturbi somatici (24). Questa situazione nosografia ha impedito infatti l’organizzazione di studi sperimentali sistematizzati sulla specificità terapeutica nelle Depressioni Minori, per la mancanza di criteri tassonomici in base ai quali poter tipizzare la popolazione da studiare.

Un altro fattore che ha reso difficile lo studio sistematico delle “Depressioni Lievi” è stata inoltre, come già ricordato, la mancanza di strumenti psicometrici agili, applicabili su larga scala, sensibili e specifici per la valutazione dei quadri depressivi minori soprattutto secondo un approccio dimensionale.

Secondo le osservazioni di Montgomery ed il parere di gran parte degli esperti, tra i requisiti che hanno un maggior peso sulla compliance della terapia di pazienti con sindrome depressiva minore, c’è da considerare soprattutto il grado di tollerabilità.

In questi casi, la specificità terapeutica, deve tener conto di due aspetti importanti: il primo riguarda il corollario di sintomi psicofisici “non altrimenti specificati” lamentati dai pazienti, il secondo considera il substrato biologico-temperamentale e familiare sul quale si strutturano i sintomi depressivi della condizione subsindromica.

Per molti psichiatri la “sicurezza” di un farmaco rappresenta, inoltre, un altro importante fattore prognostico nella terapia a lungo termine di pazienti ambulatoriali con flessione dell’umore lieve-instabile e, soprattutto con un grado, appena prevedibile, di tendenza al suicidio o allo sviluppo di quadri maggiori e, o cronici.

Indipendentemente dai criteri diagnostici generali è stato osservato che la scelta dell’intervento terapeutico risente in modo considerevole del giudizio che il clinico ha costruito sulla propria esperienza sul rapporto potenza/tollerabilità dei singoli antidepressivi. A questo riguardo un’indagine conoscitiva svolta dalla Fondazione Italiana per lo studio della Schizofrenia (FIS) su oltre 3000 specialisti dei servizi psichiatrici italiani ha permesso di stilare una classifica degli antidepressivi rispetto all’opinione che i clinici hanno acquisito sull’indice terapeutico delle molecole attualmente in commercio in Italia.

Nel giudizio medico generale i triciclici (tranilcipromina, imipramina, amitriptilina, desimipramina) sono ritenuti, ad esempio, farmaci con una grande efficacia e potenza antidepressiva, ma con scarsa tollerabilità. Gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (fluoxetina, paroxetina, fluvoxamina, sertralina, citalopram) e quelli a doppio punto di attacco serotoninergico-noradrenergico (venlafaxina), seppure con una distribuzione eterogenea sono stati collocati nel versante opposto ai triciclici, essendo equiparati agli stessi livelli di efficacia, ma con un grado di tollerabilità considerata quasi doppia rispetto a quanto osservato per gli antidepressivi classici. Sempre secondo il campione di specialisti intervistati una posizione intermedia nella distribuzione dell’indice terapeutico tra le due precedenti categorie di farmaci è occupata dagli inibitori reversibili delle monoamino ossidasi (moclobemide), dalle benzamidi, dagli antidepressivi tetraciclici con attività dopaminergica (amineptina). Esiste poi un’altra categoria di antidepressivi, dei quali la S-Adenosil-Metionina, risulta essere la molecola più utilizzata e, come dimostrato in diversi studi, la più efficace e meglio tollerata.

Al fine di integrare gli studi epidemiologici sull’intervento terapeutico nelle Depressioni Lievi e quanto finora riportato sulla compliance dello psichiatra riguardo all’uso degli antidepressivi riportiamo di seguito alcuni dati della letteratura sull’efficacia/tollerabilità dei diversi antidepressivi distinguendoli sulla base del loro tropismo sistemico. La Tabella VI offre un quadro sinottico degli antidepressivi che di seguito verranno presi in esame, il criterio di riferimento seguito in questa trattazione è rappresentato principalmente dal loro tropismo sistemico.

I farmaci con effetto primario prevalente sul sistema 5-HT: gli SSRI

In gran parte degli studi controllati realizzati per definire il grado di efficacia per la terapia degli episodi depressivi maggiori, gli inibitori selettivi della ricaptazione della Serotonina hanno presentato nei vari studi controllati una generale buona tollerabilità ed una sufficiente sicurezza terapeutica. Le molecole serotoninergiche hanno dimostrato una specificità clinica soprattutto per i soggetti che strutturano una sintomatologia depressiva su un temperamento caratterizzato da tendenza all’aggressività e una comorbidità con tratti di personalità di tipo ossessivo-compulsivo. Andrews (25) ha provato a studiare l’efficacia degli SSRI rispetto ad alcune variabili psicologiche di tratto che, secondo l’autore, partecipano al mantenimento o all’insorgenza di una condizione depressiva, anche lieve e di breve durata. Per la descrizione dei profili di personalità è stata utilizzata un’ampia batteria psicometria costituita da strumenti di auto ed eterovalutazione ed in particolare da questionari per l’analisi della dimensione dominante della personalità rispetto ai tipi nevrotico, estroverso, accomodante, perfezionista, sincero (Neo Five Factor Inventory). Sono state somministrate, inoltre, scale per definire l’orientamento del “locus of controll”, il grado di instabilità individuale rispetto a situazioni stressanti e a forti attivazioni emozionali (EPQ-N di Eysenck e Eysenck). Lo studio ha riservato una particolare attenzione anche all’analisi dei tratti di personalità ansiosi, depressivi (Costello-Comrey Depression and Anxiety Scale) e alla tendenza verso automatismi cognitivi depressivi (The Automatic Thoughts Questionarie ATQ).

Per quanto criticabili, considerato il carattere naturalistico e retrospettivo della ricerca, i punteggi relativi al giudizio dei clinici e all’autovalutazione di ciascuno dei 53 pazienti hanno evidenziato una specifica attività della fluoxetina (30 mg/die), sertralina (100 mg/die), paroxetina (20 mg/die) sulla riduzione dell’irritabilità (40% dei casi), dei tratti depressivi di personalità (nel 39% dei casi) e su uno stile cognitivo-comportamentale pessimista, con tendenza alla demoralizzazione, nevrotico e preoccupato (25). Dopo terapia con SSRI gli effetti negativi lamentati con maggiore frequenza (37% dei casi) sono stati: stanchezza, riduzione del desiderio sessuale e/o anorgasmia.

La risposta terapeutica a serotoninergici rispetto a triciclici è stata osservata anche da una ricerca in doppio cieco che Szegedi ha svolto su pazienti con diversa gravità di Disturbo Depressivo. Da questo studio è emerso che nei pazienti con Depressione Minore, la percentuale di risposta terapeutica, misurata attraverso una riduzione dei punteggi delle scale di valutazione per la depressione (Hamilton, Montgomery-Asberg, Bech-Rafaelsen, Raskin), per l’ansia (Hamilton) e della Clinical Global Impression Scale, è maggiore di circa il 10% nel trattamento con paroxetina, anche a dosaggi limitati 20 mg, (82% dei casi) rispetto alla maprotilina somministrata a dosaggi medio-alti 100 mg (72% dei casi) (26). Tra i depressi minori la durata media della malattia è stata calcolata di circa 3-6 mesi, le differenze più significative del miglioramento clinico raggiunto con entrambi i farmaci (riduzione del 50% dei punteggi alla HAM-D) sono state descritte dopo la 4a e 6a settimana e al termine dello studio. Secondo un profilo generale i due antidepressivi hanno dimostrato di essere ben tollerati, tuttavia, come prevedibile, tra i pazienti curati con paroxetina è stata descritta una minore percentuale di casi (33%) con effetti collaterali anticolinergici rispetto al gruppo che assumeva maprotilina (56%). Lo studio oltre a sostenere e confermare l’ipotesi che la Depressione Subsindromica sia da ritenersi una forma clinica attenuata della depressione, sottolinea che nonostante in fase acuta l’efficacia dei due farmaci sia quasi sovrapponibile, nella terapia a lungo termine risulta favorita la scelta della paroxetina a causa della minore incidenza di alcuni effetti collaterali anticolinergici (secchezza delle fauci, costipazione, aumento ponderale) che al contrario sono stati riscontrati nel trattamento con maprotilina e che, in alcuni casi, hanno compromesso la continuità terapeutica.

Rapaport ha osservato inoltre che, nei disturbi depressivi, la somministrazione di fluvoxamina a dosaggi di 25-100 mg/die determina, dopo 8 settimane, una significativa riduzione dei sintomi depressivi la quale si associa soprattutto ad un importante miglioramento del funzionamento psicosociale. Si tratta di uno studio pilota che, tuttavia, ha evidenziato chiaramente come i soggetti con diagnosi di Depressione Minore o Subsindromica presentino una maggiore “sensibilità biologica” e rispondano a basse dosi giornaliere di serotoninergici. Di grande interesse clinico sono l’osservazione che, a distanza di due settimane di trattamento, i pazienti con Depressione Minore e SSD si differenziano per la discontinuità terapeutica. Importante è inoltre il dato che sottolinea come i soggetti con diagnosi di SSD sviluppano con maggiore frequenza una ricorrenza dei sintomi depressivi. Altro aspetto interessante è stato che tra i depressi minori di questo studio il rapporto maschi/femmine è risultato a favore dei primi. Quest’ultima osservazione sembrerebbe sottolineare l’obiettività clinica della sofferenza psichica degli stati depressivi subsindromici. Come è noto, infatti, la minore prevalenza dei tratti nevrotici nel genere maschile comporta, secondo le stime generali, una minore tendenza a richiedere aiuto in base a delle caratteristiche di tratto della personalità, ma al contrario rispetto ad una sofferenza soggettiva che deriva dalla realtà clinica di uno stato psichico ed affettivo disturbato (27).

Anche in questo caso i dati sono desunti da uno studio in aperto e rispetto ad una casistica fin troppo eterogenea, pertanto come sottolineato dagli autori, si tratta di risultati che presentano diversi limiti metodologici e che, dunque, necessitano di un approfondimento con una ricerca prospettica in doppio cieco.

Recentemente Hylan ha svolto uno studio naturalistico sotto certi aspetti complementare a quello già ricordato sulla compliance dei medici rispetto all’indice terapeutico degli antidepressivi. Lo scopo della ricerca statunitense consisteva nel valutare se il modello di scelta degli antidepressivi presenta nella pratica clinica delle relazioni con la risposta al trattamento. In questo caso l’efficacia e la specificità del farmaco veniva valutata attraverso il punteggio della Clinical Score Impression (CGI) (28). Anche in questo studio è stato osservato un interessante legame tra tollerabilità dei farmaci (fluoxetina, sertralina, fluvoxamina e paroxetina), continuità terapeutica, miglioramento della sintomatologia depressiva nelle diverse espressioni di gravità (da molto lieve a molto grave) e rapidità dei tempi di risoluzione della malattia. Numerosi trials farmacologici sottolineano infatti che la stabilità e la precocità dell’intervento farmacologico ha una significativa relazione con la prevenzione di ricadute (29). Una ricerca naturalistica finlandese su 14.182 pazienti con disturbi affettivi ha proposto un’interessante metodo per la valutazione dell’efficacia degli antidepressivi nel trattamento a lungo termine (30). L’efficacia delle varie categorie di farmaci triciclici, IMAO, serotoninergici è stata valutata in base alla risoluzione della malattia, rispetto alla stabilità del trattamento, ad un indice terapeutico a favore della tollerabilità, ma soprattutto come evento finale, alla casistica di soggetti che ricevono pensioni di invalidità per Disturbi Affettivi. In questa ricerca la fluoxetina ha presentato un effetto antidepressivo nella fase acuta simile alla moclobemide, mianserina, citalopram e una potenza terapeutica superiore agli altri antidepressivi soprattutto nella terapia a lungo termine. Ad eccezione dell’amitriptilina tutti gli altri interventi farmacologici descritti nello studio hanno presentato un’evidente correlazione con un più alto rischio di invalidità per disturbi affettivi.

Come spiegazioni del fenomeno gli autori suggeriscono che in Finlandia non esistono criteri per la decisione della priorità terapeutica dei farmaci, non ci sono infatti molecole di prima e di seconda scelta, pertanto spesso la fluoxetina e i farmaci serotoninergici, a più alto indice di tollerabilità, vengono indicati per ridurre sintomi depressivi anche “molto lievi”. Questa considerazione risulta tuttavia debole ed insufficiente per sostenere la specificità di alcune molecole antidepressive per le forme depressive minori. Se si considerano infatti i costi socio-sanitari delle terapie con serotoninergici e l’ordinamento sanitario finlandese emerge un’evidente incongruità tra la necessità di una diagnosi di Depressione Maggiore e la possibilità di ottenere un rimborso delle spese terapeutiche.

Riguardo la sicurezza e la tollerabilità degli IRSS nella terapia dei soggetti anziani con depressione, tra i quali esiste una maggiore comorbidità con disturbi somatici ed è più frequente la concomitanza con altre terapie, Jacquenod e Kat hanno osservato che la somministrazione per 6 settimane di fluvoxamina (50-300 mg/die) si correla nel 72,4% dei casi ad un significativo miglioramento psicofisico rilevato alla CGI (31). Il 20% dei soggetti dello studio hanno lamentato effetti collaterali relativi soprattutto al sistema gastrointestinale (nausea, costipazione, dolori addominali) e nervoso centrale (vertigini, tremore, irrequietezza), inoltre solo nel 14% dei casi la scarsa tollerabilità ha determinato l’interruzione della terapia. Interessante sottolineare come in un recente studio di Terra e Montgomery, è emerso che la fluvoxamina sia un farmaco indicato per la prevenzione di ricadute della depressione. Come descritto in questo studio, svolto in doppio cieco e controllato verso placebo, i pazienti con Depressione Ricorrente di gravità moderata-grave e trattati con 100 mg di fluvoxamina hanno presentato, dopo un anno, una riacutizzazione dell’episodio depressivo solo nel 12,7%, rispetto ad una percentuale di ricorrenza del 35% calcolata tra a coloro che avevano assunto placebo. Secondo un profilo generale gli SSRI hanno pertanto dimostrato nelle ricerche svolte negli ultimi anni una buona efficacia ed una sufficiente tollerabilità, comunque maggiore rispetto ai triciclici (Tab. VII). Questi attributi ne favoriscono un loro impiego, nelle diverse condizioni depressive, anche nei casi di comorbidità con malattie somatiche, come osservato negli studi sugli anziani e in alcuni casi su soggetti con problemi cardiovascolari (per una review si rimanda a Romiti (32) ). La loro somministrazione a dosaggi medio-bassi, e l’innalzamento progressivo della dose terapeutica, ha mostrato infatti un ulteriore aumento del grado di tollerabilità, favorendone pertanto l’utilizzazione soprattutto nelle fasi attenuate della malattia per la profilassi del Disturbo Depressivo Ricorrente e l’impiego nelle forme Depressive Minori e Sottosoglia nelle quali, come più volte ribadito, è opportuno rispettare la qualità della vita limitando al massimo l’insorgenza di spiacevoli effetti collaterali.

I farmaci con doppio attacco, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina e noradrenalina (SNRI), a prevalenza serotoninergica, quelli specifici noradrenergici e serotoninergici NASSA

Una considerazione a parte viene riservata a farmaci inibitori selettivi del riassorbimento sinaptico della serotonina e noradrenalina. La venlafaxina attualmente costituisce il maggior rappresentante delle molecole con prevalente azione sulla ricaptazione della serotonina e con un rapporto nella potenza di inibizione 5HT/NA che si modifica in base al dosaggio giornaliero. La rapidità d’azione dimostrata dalla venlafaxina rispetto ad altri antidepressivi (imipramina, clorimipramina e fluoxetina) e al placebo in pazienti ambulatoriali con diversa gravità di depressione ha favorito l’impiego con successo nelle depressioni associate ad intensa ansia e nelle forme lievi moderate (33-36). Secondo alcuni autori l’indicazione della venlafaxina a rilascio prolungato può trovare inoltre una specifica indicazione nelle depressioni lievi o minori, considerata la scarsa interferenza sullo svolgimento delle attività quotidiane e, a parità d’efficacia, la minore frequenza di effetti collaterali rispetto ad alcuni SSRI (37). Per una review più approfondita sulle caratteristiche farmacocinetiche, farmacodinamiche e degli studi controllai sulla sua efficacia rimandiamo ad articoli specifici di revisione sulla molecola (38).

Una considerazione a parte deve essere inoltre dedicata ai farmaci inibitori selettivi della ricaptazione delle monoamino-ossidasi. Per quanto riguarda le molecole con attività irreversibile come la Tranilcipromina e la Fenelzina, la somministrazione nei casi di Depressione Lieve e Subsindromica, come prevedibile, presenta una scarsa compliance, dal momento che la loro prescrizione prevede una serie di restrizioni dietetiche e comportamentali che talvolta possono limitare ulteriormente la qualità della vita. Altro limite delle IMAO non reversibili è la scarsa tollerabilità legata a malattie somatiche concomitanti e soprattutto alle loro interazioni con terapie per disturbi somatici come quelle a base di insulina, miorilassanti, anestetici, antinfiammatori ecc ed anche verso farmaci di uso psichiatrico.

Al contrario quelli appartenenti alla categoria di IMAO reversibili come la Moclobemide e il Toloxatone, presentano minori restrizioni e mantengono una buona tollerabilità (39).

A proposito dei farmaci con attività specifica noradrenargica e con effetti di mediazione sulla neurotrasmissione serotoninergica, anche detti NASSA, la mirtazapina ne costituisce il capostipite. Gli studi controllati sulla tollerabilità rispetto a placebo e verso amitriptilina, fluoxetina, trazodone, Doxepina, Clomipramina hanno evidenziato una complessiva minore incidenza di drop-out nei pazienti trattati con mirtazapina, probabilmente per la minore incidenza di effetti anticolinergici riscontrata rispetto agli antidepressivi classici (Tab. VIII) (40).

I farmaci selettivi della ricaptazione della noradrenalina NARI e con prevalente attività noradrenargica

Riguardo alla prima categoria la Reboxetina ne rappresenta il maggior rappresentante. Come gran parte dei principali farmaci antidepressivi a prevalente azione noradrenergica, alcuni compresi tra i triciclici, come la desimipramina, nortiptilina, altri tra gli atipici come la moprotilina, la specificità terapeutica per le forme depressive minori prevede la scelta di bassi dosaggi e lo studio delle componenti dimensionali prevalenti. Gli effetti anticolinergici che compaiono frequentemente dopo la loro somministrazione, ne favoriscono l’indicazione soprattutto negli stati depressivi unipolari, in soggetti che non hanno una familiarità per il disturbo bipolare e soprattutto in Depressioni Lievi associate ad un temperamento premorboso caratterizzato da aspetti melanconici, tendenza alla passività e ad una somatizzazione con sintomi vegetativi quali diarrea, inappetenza, astenia.

Altri antidepressivi

Esiste inoltre un’altra categoria di antidepressivi che hanno una formula di struttura tra loro eterogenea e diversa dai triciclici, dai tetraciclici, dagli inibitori delle monoamminossidasi (IMAO), dai serotoninergici e che, anche per il loro diverso meccanismo d’azione, vengono considerati separatamente rispetto alle categorie farmacologiche fin qui ricordate.

In questo sottogruppo di antidepressivi sono inclusi ad esempio l’amineptina, la viloxazina, il 5-Idrossitriptofano, la minaprina ecc. (41-43). Tra questi antidepressivi tuttavia quello che ha dimostrato, insieme ad una ben documentata efficacia, i più alti indici di tollerabilità ed il minor numero di interazioni con altri farmaci o il minor grado di incompatibilità con preesistenti disturbi fisici è la S-Adenosil-metionina (SAMe). Si tratta di una molecola naturale presente in tutti i tessuti e che interviene in diverse reazioni di transmetilazione come donatore di gruppi metilici.

La S-adenosil-metionina, infatti, riveste un importante ruolo sull’attività all’enzima feniletanolamina-N-metil-transferasi per la metilazione della noradrenalina in adrenalina e la sua attività antidepressiva è legata probabilmente alla sua capacità di aumentare le concentrazioni di serotonina e noradrenalina, di indurre il release e di inibire il reuptake della dopamina nel sistema limbico ed in altre strutture cerebrali (44).

Di recente inoltre è stato dimostrato che la SAMe interviene in particolare sui sistemi di trasduzione neuronali presinaptici e somatotodendritici (45). L’azione antidepressiva della SAMe, spesso discussa in passato, è stata confermata in trials controllati versus placebo e rispetto ad antidepressivi. Gran parte di queste ricerche hanno descritto una generale buona efficacia terapeutica unita ad un elevato profilo di tollerabilità (46). L’alto indice di tollerabilità e l’assenza di effetti iatrogeni sul sistema cardiovascolare ne suggeriscono l’impiego nel trattamento di pazienti che presentano una comorbilità tra depressione e malattie vascolari.

Come sottolineato inoltre in alcuni studi più recenti l’elevata tollerabilità di questo farmaco può favorirne l’uso nelle terapie di mantenimento a lungo termine, specie nei casi con sintomatologia clinica attenuata e pertanto nelle forme depressive lievi. Nelle Depressioni Minori, infatti, la maggiore suscettibilità verso effetti iatrogeni inibisce l’uso di molecole con un incisivo effetto inibitorio o agonista sui diversi sistemi neurotrasmettitoriali.

La SAMe è stata sperimentata principalmente su popolazioni di pazienti affetti da Depressione Maggiore, nei quali la sua efficacia antidepressiva e la sua tollerabilità sono state valutate in modo comparativo vs. altri farmaci antidepressivi (principalemente triciclici e maprotilina) (47,48). Questi studi tuttavia, almeno per quanto riguarda quelli condotti fino circa al 1995, sono stati generalmente effettuati su casistiche non molto numerose. Pertanto, per poter ottenere una lettura più adeguata dei loro risultati, questi sono stati sottoposti ad una valutazione meta-analitica, effettuata elaborandoli in modo cumulativo, come se fossero stati raccolti su un unico campione ottenuto sommando tutte le casistiche dei singoli studi (46). Questa meta-analisi ha dimostrato che la SAMe ha una efficacia paragonabile a quella degli antidepressivi con cui è stata confrontata, ma rispetto a questi è significativamente meglio tollerata.

Per confermare il dato ottenuto in questa meta-analisi, a partire dal 1995, sono stati effettuati altri 4 studi multicentrici randomizzati, condotti su popolazioni molto ampie in modo conforme alle più recenti raccomandazioni di rigore metodologico contenute nelle linee guida di Good Clinical Practice per la sperimentazione farmacologica. Nei primi due di questi studi, denominati MC1 ed MC2, è stata effettuata una comparazione di efficacia e tollerabilità della SAMe, somministrata per via e.v. al dosaggio di 800 mg/die, rispettivamente con placebo (MC1) o con clomipramina (MC2), somministrata sempre e.v. alla dose di 100 mg/die (49). Dai risultati di questi due studi è emerso che la SAMe, nel trattamento dei pazienti con depressione più grave (HAM-D > 26), si è rivelata significativamente superiore al placebo e di poco inferiore alla clomipramina e.v. Questo risultato sembra quindi omologare l’efficacia antidepressiva della SAMe a quella di altri antidepressivi di impiego comune, considerati in modo unanime dalla maggior parte dei clinici come farmaci utili per il trattamento della depressione. Infatti composti come, ad esempio, il citalopram (50), la paroxetina (51) o la moclobemide (52), hanno anch’essi dimostrato un’efficacia superiore a quella del placebo, ma leggermente inferiore a quella della clomipramina e.v., che viene quindi considerato il “golden standard” tra i comparatori di efficacia.

I risultati di MC1 ed MC2, pertanto, hanno ampiamente confermato le valide potenzialità antidepressive della SAMe, la quale inoltre, al di là della dimostrata efficacia, è risultata nettamente meglio tollerata dell’antidepressivo triciclico ed ha causato l’emergenza di un numero di effetti secondari non distinguibile da quelli indotti dal placebo.

Tuttavia in entrambi questi due studi la SAMe è stata somministrata per via e.v., modalità di somministrazione poco adatta per la gestione di un trattamento antidepressivo ambulatoriale. Pertanto, per poter generalizzare i risultati di MC1 ed MC2 anche a setting di questo tipo, sono stati effettuati due ulteriori studi multicentrici, MC3 ed MC4, nei quali la SAMe è stata somministrata, rispettivamente, per via orale (1600 mg/os/die) e per via intramuscolare (400 mg/im/die). In entrambe queste indagini l’efficacia e la tollerabilità della SAMe sono state confrontate in doppia ciecità vs. imipramina (150 mg/os/die). Dalla valutazione dei risultati di entrambe le indagini è emerso che la efficacia antidepressiva della SAMe, sia se somministrata oralmente che per via i.m., non era disstinguibile da quella dell’imipramina, mentre invece il suo profilo di tollerabilità, al contrario, era significativamente migliore (53).

L’utilizzazione della SAMe è stata studiata anche nella Demenza di Alzheimer, una malattia che nelle fasi iniziali presenta spesso un tono dell’umore depresso. Le ricerche svolte nei casi di deterioramento mentale hanno previsto una valutazione dettagliata dello stato e del decorso di alcune variabili psicologiche e mentali rispetto alla somministrazione della SAMe. I risultati finali hanno descritto una correlazione statisticamente significativa tra un aumento della concentrazione plasmatica e nel liquido cefalorachidiano della SAMe e un miglioramento delle funzioni cognitive, del tono dell’umore e della velocità dei processi mentali (54-56). Ulteriori studi sull’efficacia della SAMe hanno sottolineato come l’alto indice di tollerabilità di questa molecola ne favorisce l’indicazione nelle sindromi depressive con diversa gravità e soprattutto quando l’alterazione negativa dell’umore è associata a condizioni di salute fisica compromessa da malattie cardiovascolari, respiratorie, digestive, endocrino-metaboliche, nonché nella terapia di soggetti di anziani o con neoplasie maligne. Per un approfondimento degli indici di tollerabilità rispetto agli altri antidepressivi si rimanda ad articoli di review (40,45).

Le “sostanze” fitoterapiche

In generale i derivati di erbe medicinali come ginseng hanno dimostrato di indurre in soggetti in buona salute fisica e senza gravi problemi psicopatologici effetti positivi su alcuni parametri descrittivi della dimensione soggettiva “benessere/malessere” (“qualità della vita”, “distress”). Il parametro apparentemente più sensibile all’assunzione della sostanza è rappresentato dalla sensazione soggettiva di fatica. In via subordinata la sostanza sembra essere attiva su un insieme di vissuti a tonalità affettiva negativa inquadrabili in modo generale come tratti di depressione o di ansia subsindromica. In quest’ambito il ginseng sembra indurre infatti un’azione psicostimolante aspecifica. È probabile, anche se non dimostrato, che l’attivazione psicofisica di prodotti plurivitaminici, associati a sali minerali ed estratto della radice di ginseng sia da attribuire principalmente agli effetti della radice, sebbene ancora non è stata chiarita la dose minima efficace. Al dosaggio giornaliero di 80 mg sono stati osservati inoltre scarsi effetti indesiderati. Non ci sono dati sufficienti, tuttavia, per valutare la tollerabilità a dosi superiori. I dati disponibili non permettono infatti di definire se gli effetti positivi rilevati dopo assunzione di ginseng siano da attribuirsi ad un’azione metabolica somatica generale o, alle conseguenze di una stimolazione multimodale dei diversi sistemi neurotrasmettitoriali.

L’Iperico è un’altra delle sostanze fitoterapiche di più frequente uso nelle condizioni di “malessere” e caratterizzate da facile affaticabilità, scarsa motivazione nelle attività quotidiane con lieve flessione dell’umore.
In alcuni paesi europei la richiesta dell’Erba di San Giovanni ha raggiunto percentuali di molto superiori all’utilizzazione degli antidepressivi classici. Attualmente l’efficacia antidepressiva e il meccanismo d’azione dell’Iperico è ancora in fase di studio. Per ulteriori chiarimenti sulle qualità farmacodinamiche di questo composto rispetto a serotoninergici è attualmente in corso uno studio statunitense del National Institutes for Health. È stato ipotizzato tuttavia che questa “erba” presenterebbe un’attività su più sistemi neurotrasmettitoriali (serotonina, noradrenalina, sistema del GABA) ed ormonali. Alcune iniziali osservazioni sperimentali hanno descritto un’efficacia terapeutica paragonabile a quella dimostrata dalla imipramina e dall’Amitriptilina nella Depressione Maggiore. In ogni caso l’utilizzazione delle sostanze fitoterapiche, che negli ultimi tempi ha presentato un incredibile aumento, presenta inevitabilmente dei rischi che spesso sono sottovalutati da chi ne fa uso senza il controllo medico o di uno specialista. La scelta di utilizzare un fitoterapico, infatti, dipende spesso dall’esigenza personale di migliorare lo stato psicofisico ed il rendimento prestazionale generale e, purtroppo, segue informazioni derivate dall’esperienza di parenti o conoscenti, quasi mai segue il consulto di un esperto. Nel caso di medicamenti dei quali ancora non sono state studiate tutte le potenzialità terapeutiche e le attività biologiche, la somministrazione aspecifica ed allargata alla condizione “miglioramento della qualità della vita”, sottovaluta l’effetto placebo e le cause di drop out di qualsiasi composto assunto con la speranza di migliorare un “malessere generale, aspecifico”. Inoltre quando non è uno specialista a definirne l’indicazione terapeutica aumenta il rischio di non controllare gli eventuali effetti indesiderati e l’eventualità di un uso indiscriminato, condizionato da influenze culturali o sociali senza che, in alcuni casi, ve ne sia una reale necessità.

Le psicoterapie

Per quanto riguarda l’intervento psicologico nelle Depressioni Minori, è opportuno sottolineare i risultati positivi ottenuti attraverso i diversi modelli psicoterapeutici e in particolare con le terapie comportamentali basate sul “problem solving”.

Secondo alcuni esperti, le psicoterapie trovano un’indicazione più specifica nelle forme depressive di natura “reattiva-nevrotica”, la scelta del diverso approccio psicologico terapeutico risente comunque del tipo di formazione dello specialista e, in termini generali, si basa su osservazioni per gran parte naturalistiche considerata la scarsa quantità di studi controllati omogenei e sistematizzati.

Dati di interesse clinico sono emersi da una ricerca di meta-analisi su 78 studi controllati, relativi agli effetti della terapia cognitiva (TC) rispetto ad alcuni antidepressivi e a diversi tipi di psicoterapia su soggetti con Disturbo Depressivo di gravità lieve moderata e in assenza di sintomi psicotici o con diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore Non Bipolare (57).

Dobson e Stiles anche in una loro ricerca sottolineano la superiorità della terapia cognitiva rispetto a quella con indirizzo psicodinamico (58,59). A tale riguardo persistono tuttavia dati contrastanti, Crits-Cristoph infatti riportano un’equipollenza dei due interventi nelle Depressioni Lieve. Sulla base degli aspetti generali emersi dalle varie ricerche esaminate dal gruppo di Gloaguen è possibile concludere che la TC ha dimostrato un’efficacia significativa nel prevenire le ricadute di episodi depressivi di gravità lieve-moderata. Thase in un recente lavoro sulla potenza terapeutica della psicoterapia nelle depressioni con melanconia e negli stati depressivi maggiori conferma la specificità dell’intervento psicologico solo nei casi che non prevedono aspetti psicotici, una ricorrenza del disturbo e la tendenza al suicidio, in caso contrario persiste l’indicazione ad un intervento farmacologico (60).

Conclusioni

Nelle forme affettive minori più che in altri disturbi psichiatrici risulta molto importante per la scelta terapeutica la considerazione di criteri diagnostici dimensionali piuttosto che una valutazione categoriale della malattia.

Dopo il chiarimento degli aspetti eziopatogenetici della flessione dell’umore e soprattutto la distinzione della natura unipolare o bipolare del Disturbo Depressivo, le linee guida internazionali sottolineano l’importanza dello studio anamnestico generale e farmacologico e l’elaborazione di un giudizio clinico sull’eventuale fase di decorso della malattia.

Nelle Depressioni Minori e Subsindromiche inoltre è considerata prioritaria la definizione del substrato biologico, di stato, di ciascun individuo per la scelta del profilo farmacodinamico più adeguato al temperamento e alla storia clinica del paziente. Nella terapia delle Depressioni Subsindromiche e Minori, i dati della letteratura concordano nel ritenere più indicate le molecole antidepressive che hanno dimostrato alti livelli di tollerabilità. La sicurezza e la tollerabilità dell’antidepressivo sono fattori molto importanti per la continuità terapeutica. Secondo alcuni autori, queste due caratteristiche farmacodinamiche consentono di ridurre il rischio di drop-out e quindi un maggiore controllo del rischio di un’evoluzione verso la ricorrenza del disturbo, verso quadri clinici più gravi, spesso cronici e con tendenza al suicidio, che nelle forme lievi è ancor più difficile da prevedere. Quest’ultima evenienza infatti è stata descritta piuttosto frequente soprattutto in soggetti con familiarità psichiatrica e affetti da Depressioni Minori Ricorrenti o nei casi di Depressione associata a gravi disturbi somatici.

Altro aspetto di grande importanza clinica nella terapia delle forme depressive attenuate sono la rapidità d’azione del farmaco associata a fastidiosi effetti iatrogeni. Probabilmente è possibile ovviare a questi due inconvenienti, attraverso la scelta di basse dosi iniziali del farmaco ed utilizzando molecole a lento rilascio o molecole fisiologiche con provata attività antidepressiva. In questo modo si riduce il rischio di stimolare una maggiore suscettibilità biologica che può essere specifica di alcune strutture temperamentali ed è comunque più frequente nei pazienti con quadri depressivi subsindromici. A proposito dell’intervento psicologico alcuni lavori di meta-analisi hanno descritto l’efficacia di alcune psicoterapie soprattutto ad indirizzo cognitivo-comportamentale nelle depressioni moderate. Sembra infatti che l’associazione della terapia psicologia a quella biologica aumenti la compliance alla terapia con farmaci antidepressivi, in alcuni casi è stata osservata infatti una riduzione degli effetti collaterali lamentati. In linea generale le psicoterapia vengo indicate nelle forme Depressive Lievi purchè non vi siano associati aspetti psicotici, una ricorrenza del disturbo, siano presenti vissuti melanconici o la probabilità di rischio suicidario. È opportuno sottolineare infine che nonostante la grande richiesta dei composti fitoterapici, degli ultimi tempi, restano ancora poco studiati gli effetti secondari correlati sia al loro uso, che alle dosi minime ottimali rispetto alle molteplici condizioni di “malessere aspecifico”. Spesso infatti l’esigenza di un miglioramento “della qualità di vita”, di una riduzione di un disagio psichico non meglio definito, pone dei seri rischi per il generale equilibrio della salute specialmente quando la scelta di un’autoterapia con i diversi prodotti fitoterapici non è associata ad una diagnosi del quadro clinico da parte di uno specialista.

Tab. I. Indicazioni generali per la terapia psicologica e farmacologica nei Disturbi Depressivi secondo la diagnosi DSMIV e ICD10 (Biondi 1995 “Milano Medicina �94” 9).
General indications proposed according to the DSM-IV and ICD-10 diagnosis for the psychological and pharmacological treatment of Depressive disorders (Biondi 1995 “Milano Medicina �94” 9).

Utilità di psicoterapia Necessità di farmacoterapia
Disturbo Distimico (DSM-IV) Disturbo Bipolare I e II
Disturbo dell�Adattamento con Umore Depresso (DSM-IV) Episodio Depressivo Maggiore
Disturbo dell�Adattamento con Aspetti Emotivi Misti (DSM-IV) Sindrome Depressiva Ricorrente
Sindrome Ansioso-Depressiva (ICD10) Depressione in comorbidità
Personalità Depressiva

Tab. II. La dimensione “Sofferenza Soggettiva e Vissuto” costituisce uno dei criteri di valutazione più comunemente utilizzati in psicopatologia per differenziare la condizione di normalità dalla patologia. In tabella sono riportati i criteri di valutazione più comuni per differenziare la condizione psichica “normale” da quella “patologica” (modificata da Biondi M. 1996 20).
The “subjective sufferance and experience” dimension constitutes one of the commonly used assessment criteria in psychopathology to differentiate the condition of normalcy from pathology. The most common criteria for differentiating “normal” psychic conditions from “pathological” ones are reported in this Table (modified from Biondi M. 1996 20).

Criterio di valutazione Giudizio di normalità Anormalità e/o patologia
Statistico Frequenza di un comportamento Infrequenza e rarità di comportamenti simili
Biologico Normale funzionamento dei processi biologici cerebrali o periferici sottostanti pensiero e comportamento Presenza di alterazioni biologiche di processi biologici sottostanti pensiero e comportamento
Alterazioni del pensiero Forma e contenuti del pensiero e linguaggio adeguati Alterazioni di forma e contenuto del pensiero
Devianza della condotta sociale Conformità del soggetto rispetto alle norme sociali del gruppo o comunità di appartenenza Comportamenti osservabili diversi e non conformi a quelli attesi o approvati
Antropologico culturale Comprensibilità secondo la cultura di appartenenza Non comprensibilità
Sofferenza soggettiva e vissuto Sofferenza bassa o transitoria, conservata: libertà, capacità di progetto per il futuro, volontà Stato di sofferenza soggettiva, mancanza di libertà, progettualità per il futuro compromessa, volontà ridotta
Sviluppo psicoaffettivo Maturità di sviluppo psichico raggiunta Alterazioni rilevanti da blocchi, mancanze o ostacoli nella maturazione psichica o affettiva
Etologico Coerenza con alcuni comportamenti di base della specie umana (e dei mammiferi in generale) Alterazione o disgregazione di più comportamenti di base dei primati umani e dei mammiferi

Tab. III. Le componenti principali della sofferenza psichica. (Dati tratti da Jaspers K, Arieti S, Biondi M 19-21).
The main components of psychic sufferance (data from Karl Jaspers, Silvano Arieti, and Massimo Biondi 19-21).

Componenti Caratteristiche
Sofferenza soggettiva Stato psicologico auto ed eterovalutato, che può anche non essere riferito spontaneamente dal soggetto
Perdita della libertà Il sintomo limita o disturba in diversa misura le normali funzioni della vita. Il soggetto percepisce un�ingiustificata, esagerata riduzione o mancanza di libertà nel pensare e nell�agire a causa del/i sintomo/i
Progettualità Modificazione e/o riduzione della capacità di programmare attività future
Volontà Alterazione fino alla mancanza della capacità di decidere o di desiderare

Tab. IV. Nella decisione dell�intervento terapeutico risulta fondamentale la diagnosi differenziale tra normalità e patologia di una determinata condizione psichica. Nella tabella è proposto un tentativo di diagnosi differenziale tra uno stato di “normale demoralizzazione” rispetto ad una condizione di “Depressione Subsindromica” sulla base di alcuni criteri proposti dalla psicopatologia classica.
In deciding the therapeutic intervention, the differential diagnosis between normalcy and pathology of a given psychic condition is crucial. The Table proposes an attempt at differentially diagnosing a state of “normal demoralisation” with respect to e condition of “sub-syndromal depression” on the basis of some criteria proposed by classical psychopathology.

Differenziali Caratteri Demoralizzazione Normale Depressione Sottosoglia
Sofferenza soggettiva (aspetti qualitativi) Tristezza
Tristezza + � Pessimismo ]UmoreDepresso
� Sentimento
di solitudine
� Autocritica
Grado di libertà Sufficiente Lievemente ridotta
Volontà Sufficiente Lievemente ridotta
Progettualità Mantenuta Parzialmente compromessa
Sintomatologia clinica:
� Intensità Non calcolabile Lieve
� Frequenza Scarsa Lieve (Discontinua)
� Durata Molto limitata Scarsa
� Variabilità/reversibilità Presente Parzialmente ridotta, ma presente
� Egosintonia Variabile ma presente Modificata in senso egodistonico

Fig. 1. La Rome Depression Rating Scale uno strumento di autovalutazione per la misura della depressione di Pancheri P. e Angela Connolly.
The Rome Depression Inventory: a self-rated scale to measure depression, developed by Paolo Pancheri and Angela Connolly.

Tab. V. Proposta di diagnosi differenziale tra Depressione Subsindromica e Depressione Sindromica sulla base dei criteri nosografici del DSM-IV. A proposed differential diagnosis between Sub-syndromal Depression and Syndromal Depression, based on the DSM-IV nosological criteria.

Criteri di classificazione (dsm-iv) Depressione Subsindromica Depressione Sindromica
Sintomatologico: serie di sintomi Presenza da o a 4 sintomi Presenza di 5 su 9 sintomi
1. umore depresso Lieve che non incontra i criteri di DM 1) necessario in alternativa a 2)
2. perdita di interesse o piacere Lieve che non incontra i criteri di DM 2) necessario in alternativa a 1)
3. perdita o aumento di peso Possibile Possibile + altri 3 sintomi
4. insonnia o ipersonnia Possibile Possibile + altri 3 sintomi
5. agitazione o rallentamento psicomotorio Possibile Possibile + altri 3 sintomi
6. faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno Possibile Possibile + altri 3 sintomi
7. sentimenti di colpa, autosvalutazione eccessivi, inappropriati Possibile Possibile + altri 3 sintomi
8. riduzione della concentrazione, indecisione Possibile Possibile + altri 3 sintomi
9. pensieri ricorrenti di morte, idee suicidarie senza piano specifico Possibile Possibile + altri 3 sintomi
Cronologico
Durata ≤ 2 settimane ≥ 2 settimane
Frequenza:
� per la maggior parte del giorno NON SEMPRE SI
� quasi ogni giorno NON SEMPRE SI
Funzionale
Presenza di un disagio clinicamente significativo Assente o scarso Certo
Compromissione funzionamento sociale, lavorativo o altre aree importanti Assente o Non significativa Presente
Esclusione
Effetti di una sostanza Assente Assente
Condizione medica Dubbio Assente
Lutto o perdita Dubbio Assente
Legenda: DM = Depressione Maggiore

Fig. 2. Flow-chart per la decisione e la scelta di intervento terapeutico nei quadri Depressivi Subsindromici.
Flow-chart for deciding and choosing a therapeutic intervention in sub-syndromal depressive clinical pictures.

Richiesta di aiuto

I
n
t
e
r
v
n
t
o

d
i

c
o
u
n
s
e
l
i
n
g

Livello di sofferenza soggettivo
Alto

Basso
Durata della sofferenza
Elevata

Scarsa
Modificabilità della sofferenza
No

Si
Compromissione del funzionamento
Si

No
Conflittualità primaria
No

Farmacoterapia
Si
Psicoterapia

 

Tab. VI. Classificazione tradizionale dei principali farmaci antidepressivi rispetto ad una stima generale della loro tollerabilità a dosaggi medi terapeutici nelle Depressioni Lievi e Subsindromiche. La tabella è stata elaborata sulla base dei dati della letteratura a proposito della frequenza con la quale queste molecole determinano effetti collaterali nei soggetti in terapia per Disturbi Depressivi.
Traditional classification of the principal antidepressant drugs with respect to a general estimation of their tolerability at mean therapeutic doses in mild and sub-syndromal depression. The table has been worked-out on the basis of data in literature on the frequency with which these drugs determine side effects in subjects treated for Depressive Disorders.

Categorie Farmaci

Tollerabilità

IMAO
(Inibitori Monoamino Ossidasi)
Tranilcipromina (irreversibile)

+ –

Fenelzina (irreversibile)
Moclobemide (reversibile)
Toloxatone (reversibile)
NaSSA
(Noradrenergico e Serotoninergico Specifico)
Mirtazapina

+ –

NARI
(Inibitore Ricaptazione della Noradrenalina)
Reboxetina

+ –

SNRI
(Inibitore Ricaptazione della Noradrenalina e Serotonina)
Venlafaxina

+

SSRI
(Inibitore Ricaptazione della Serotonina)
Fluoxetina

+

Fluvoxamina
Paroxetina
Sertralina
Citalopram
TCA
(Triciclici)
Amitriptilina

+- –

Clorimipramina
Desimipramina
Dotiepina
Imipramina
Nortriptilina
Trimipramina
Altri Antidepressivi S-adenosi-L-metionina

+ +

Tab. VII. Tollerabilità degli SSRI. Percentuali di incidenza (≥ 19%) degli effetti collaterali di alcuni IRSS rispetto a placebo e imipramina. Tratta da Kaplan HI e Sadock BJ Eds italiana a cura di Chiò A. 1996. Adattata da Rickels K, Schwelzer E. 1990.
Tolerability of SSRI antidepressants. Percent incidence (≥ 19%) of side effects with some SSRIs compared to placebo and imipramine (from Harold I. Kaplan and Benjamin J Sadock (editors) CTP-V, Italian edition by A. Chiò, 1996. Adapted from Karl Rickels and Edward Schweizer, 1990).

Effetto collaterale

Fluoxetina
N = 1378

Fluvoxamina
N = 222

Paroxetina
N = 1387

Sertralina
N = 1568

Placebo
N = 851

Imipramina
N = 599

Nausea e vomito

25%

37%

29%

21%

Cefalea

22%

20%

20%

19%

Secchezza fauci

26%

20%

76%

Sedazione

26%

24%

30%

Nervosismo, ansia, irrequietezza

21%

Vertigini

27%

Insonnia

19%

Sudorazione

21%


Tab VIII
. Tropismo sistemico dei farmaci attivi nell�area bersaglio dei disturbi dello spettro depressivo. (Tratta e modificata da Pancheri P. 1995).
Action on neurotransmitter systems of antidepressants (drawn and modified from P. Pancheri, 1995).

Farmaci 5-HT-Tropi
(Effetto primario prevalente nel sistema 5-HT)
Tropismo sistemico
Fluoxetina 5-HT ***
Fluvoxamina 5-HT **
Paroxetina 5-HT ***
Sertralina 5-HT ***
Citalopram 5-HT ***
Farmaci 5-HT-Tropi a doppio attacco 5-HT e NA Tropismo sistemico
Venlafaxina 5-HT **- NA *
Farmaci 5-HT-Tropi e NA-Tropi Tropismo sistemico
Clomipramina 5-HT **- NA *
Tranilcipromina 5-HT **- NA *
Fenelzina 5-HT-NA-DA
Moclobemide 5-HT **- NA *
Farmaci NA-Tropi
(Effetto primario prevalente nel sistema NA)
Tropismo sistemico
Mirtazapina NA *** – 5HT *
Desipramina NA *** – 5HT *
Imipramina NA *** – 5HT **
Amitriptilina NA ** – 5HT**
Farmaci DA-Tropi
(Effetto primario prevalente nel sistema DA)
Tropismo sistemico
Mianserina DA *
Amineptina DA *
Minaprina DA *
SAMe DA *
5HT = Serotonina; NA = Noradrenalina; DA = Dopamina Il grado di tropismo sistemico tra i vari farmaci è indicato con i simboli. ***, **, *

 

Tab. IX. Farmaci antidepressivi e caratteristiche della struttura dimensionale del paziente. Linee guida per la scelta del farmaco (tratta e modificata da Pancheri P. 1995). Antidepressant drugs and characteristics of the dimensional structure of the patient. Guidelines for drug choice (drawn and modified from Pancheri P. 1995).

Dimensione Caratteristiche di scelta del farmaco Tipo di farmaco
Caratteri “melanconici” Prevalente azione inibitoria sul riassorbimento della Noradrenalina DESIMIPRAMINA
Oppure a “doppio punto di attacco” prevalentemente sulla Serotonina e Noradrenalina (SNRI) IMIPRAMINA
VENLAFAXINA
Caratteri “apatici” Se la dimensione “Apatia” è dominante sull�umore depresso: farmaci a prevalente azione inibitoria sul riassorbimento della Dopamina
Oppure parzialmente Dopaminergici
SAMe
AMINEPTINA
MINAPRINA
IMAO A, B
Caratteri “aggressivi” Prevalente azione inibitoria sul riassorbimento della Serotonina SSRI (Fluoxetina, Fluvoxamina, Paroxetina, Sertralina, Citalopram)
CLOMIPRAMINA
Caratteri “ansiosi” o “agitati” Prevalente azione di blocco sui recettori 5HT2 e a1 AMITRIPTILINA
CLOMIPRAMINA
IMIPRAMINA
MIANSERINA
SNRI = Serotonin Noradrenalin Reuptake Inhibitors,
SSRI = Serotonin Selective Reuptake Inhibitors
IMAO A, B = Inibitori Monoamino-Ossidasi A e B

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