Deficit intellettivo e disabilità sociale nella schizofrenia

Intellectual deficit and social disability in schizophrenia

V. Di Michele, P. Pincini, G. Di Zio, E. Di Fonzo

Azienda USL di Pescara, Dipartimento di Salute Mentale, Centro di Salute Mentale di Pescara, Pescara

Parole chiave: Schizofrenia • Funzionamento sociale • Cognitività
Key words: Schizophrenia • Social functioning • Cognition

Introduzione

La disabilità sociale, nella sua accezione più estensiva, riveste una rilevanza cruciale nella diagnosi, nel trattamento farmacologico e riabilitativo e nella prognosi della schizofrenia.

La presenza di indicatori di cattivo funzionamento sociale come la scarsa cura di sé, lo scadente funzionamento sociale, la scarsità di rapporti interpersonali, l’incapacità lavorativa, sono stati incorporati nei più recenti e diffusi criteri diagnostici come il DSM-IV (1) e l’ICD-10 (2) ,ma solo negli ultimi anni una serie di ricerche sistematiche ha chiarificato il ruolo di questi ultimi nella schizofrenia.

Inoltre, gli attuali modelli concettuali della schizofrenia, attribuiscono al funzionamento sociale valore di “outcome” principale (3,4) ,conferendo pertanto dignità di misuratore della efficacia e appropriatezza di qualunque intervento sia farmacologico che psicologico riabilitativo (5) .

In tale contesto concettuale la ricerca scientifica ha investigato in maniera sistematica il ruolo che il deficit cognitivo ha sul funzionamento sociale con risultati sostanzialmente univoci (6) .In altre parole, il deficit cognitivo è un importante predittore di esito e qualsivoglia intervento terapeutico riabilitativo è destinato al fallimento laddove si ometta un contestuale intervento sul funzionamento cognitivo. Purtroppo, nel momento in cui si è cercato di approfondire quali fossero i domini più criticamente coinvolti nel funzionamento sociale, le conclusioni della ricerca si sono fatte meno univoche e spesso contraddittorie (6,7) .

Il presente studio si propone di verificare e monitorare in maniera longitudinale l’efficacia e la validità dei vari interventi riabilitativi e soprattutto di identificare i principali predittori di esito in una coorte di pazienti affetti da psicosi schizofrenica che afferiscono alla Unità di Riabilitazione Psicosociale del Centro di Salute Mentale di Pescara.

Prerequisito indispensabile è una estensiva valutazione socio-demografica, psicopatologica, cognitiva e psicosociale trasversale al baseline.

Materiale e metodi

33 pazienti affetti da schizofrenia secondo i criteri dell’ICD-10 (2) in carico al Centro di Salute Mentale di Pescara sono stati inclusi nello studio. A causa della natura longitudinale e dello specifico oggetto dello studio, tutti i pazienti con età superiore a 18 anni e con consenso allo studio sono stati considerati potenzialmente eleggibili. Le valutazioni di base venivano effettuate su pazienti in stabilità clinica nei precedenti 3 mesi, definita come assenza di riacutizzazioni sintomatologiche o ricoveri ospedalieri psichiatrici (inclusi Day Hospital). I pazienti venivano seguiti con protocolli terapeutici standard dal loro psichiatra di fiducia ed erano in dosaggio di mantenimento con farmaci neurolettici. Il dosaggio medio convertito in Equivalenti di Clorpromazina era di 625,7 mg/die (8) .Il rapporto maschi/femmine era 18/15. Per le altre caratteristiche cliniche e socio demografiche vedi la Tabella I.

Materiali

Matrici di Raven-Colore

Questo test è stato utilizzato per la valutazione cognitiva del livello intellettivo. È un test breve, non verbale somministrabile anche a persone illetterate. I punteggi sono stati corretti sulla base della taratura per la popolazione italiana di Measso et al. (9) per rimuovere gli effetti di età, sesso e scolarità.

La scala PANSS (10) è stata utilizzata per la quantificazione della sintomatologia schizofrenica e per la valutazione dei sintomi positivi e negativi.

La Life Skills Profile (LSP) (11) è stata utilizzata quale scala per la valutazione del funzionamento sociale in pazienti schizofrenici che vivono nella comunità. Valuta 5 aree di funzionamento: cura di sé, non turbolenza, contatto sociale, comunicatività, responsabilità. Il punteggio totale conferisce una misura globale del funzionamento sociale. La scala è validata per la lingua Italiana (12) .

La Scala di Funzionamento Globale (SFG) (1) è stata utilizzata come valutazione globale del funzionamento in diversi domini psicosociali per la valutazione generale dell’esito.

Livello di Autonomia

Questa scala elaborata ad hoc per le necessità dello studio valuta il livello di autonomia personale e del contesto abitativo. Il punteggio di 1 indica una mancanza di autonomia e indipendenza ed il paziente vive in famiglia, il punteggio di 2 indica che il paziente vive da solo, ma con un forte continuo sostegno da parte di familiari e servizi pubblici. Il punteggio di 3 indica un soddisfacente livello di autonomia con parziale e limitato supporto esterno. I pazienti completamente autonomi e in grado di attendere e prendersi cura di altri erano valutati al punteggio di 4.

Analisi statistica

Il test di Pearson è stato utilizzato per il calcolo del coefficiente di correlazione fra variabili. Il t di Student è stato usato per il confronto fra medie. Il livello di significatività inferiore allo 0,05 veniva considerato statisticamente significativo.

Risultati

Le sei variabili di funzionamento sociale (cura di sé, non turbolenza, contatto sociale, comunicatività, responsabilità, e il punteggio totale della LSP) nel nostro campione non risultano correlate in misura statisticamente significativa con le principali variabili sociodemografiche come: età, durata di malattia e anni di scolarità.

Il dosaggio giornaliero di neurolettici (convertito in milligrammi equivalenti) risultava invece correlato soltanto con la sottoscala comunicatività (r = – 0,42; p = 0,015). Il punteggio conseguito nel test delle Matrici di Raven risultava invece correlato in misura statisticamente significativa con la sottoscala contatto sociale (r = 0,49; p = 0,004).

Per quanto riguarda le altre misure di esito, le sottoscale cura di sé, contatto sociale, comunicatività e punteggio totale della LSP risultavano significativamente correlate con il punteggio della Scala di Funzionamento Globale: r = 0,49, p = 0,004; r = 0,62; p = 0,000; r = 0,41; p = 0,015 e r = 0,46; p = 0,006 rispettivamente. Risultava significativamente correlata infine la sottoscala contatto sociale con il livello di autonomia (r = 0,49; p = 0,003).

L’analisi delle correlazioni aveva evidenziato una debole correlazione fra variabili di esito e performance intellettiva misurata alle Matrici di Raven Colore, risultando significativa la sola correlazione con contatto sociale (r = 0,49; p = 0,004). Tale dato tuttavia si prestava ad interpretazioni non univoche per tre importanti ragioni: 1) una ridotta varianza dei valori delle variabili spesso oscura l’esistenza di relazioni fra queste; 2) il livello di scolarità (che rappresenta una stima molto grossolana delle capacità intellettive) risultava completamente non correlato con l’esito; 3) non si era in grado di decifrare se un deficit intellettivo inteso come deviazione statistica dai dati normativi della popolazione fosse in ogni caso associato con un esito sfavorevole, così come ampiamente riscontrato nella letteratura scientifica. Pertanto il gruppo di pazienti veniva dicotomizzato sulla base della performance intellettiva in due gruppi: pazienti con definito deficit intellettivo (punteggio corretto inferiore al 10� percentile dei dati normativi della popolazione italiana) e pazienti non deficitari. I risultati, evidenziabili nella Figura 1 per una visualizzazione grafica, dimostrano che i pazienti con deficit intellettivo manifestavano un esito significativamente peggiore nella cura di sé e nel contatto sociale (t = 2,16; g.l. 31; p = 0,039 e t = 1,99; g.l. 26,62; p = 0,036) (Tab. II).

Discussione

Il presente studio suggerisce due importanti conclusioni. La prima attiene la assenza di relazione fra capacità di adattamento sociale e variabili sociodemografiche come età, livello di scolarizzazione e durata di malattia. L’adattamento sociale appare inoltre essere debolmente e equivocamente correlato con il livello di autonomia, in maniera abbastanza sorprendente, emergendo infatti la sola correlazione fra contatto sociale e livello di autonomia. Questo risultato, inizialmente abbastanza inesplicabile, può prestarsi a diverse interpretazioni: ad esempio, una buona capacità e competenza sociale può rappresentare un requisito necessario per mantenere un soddisfacente livello di autonomia, perché tali pazienti sono in grado di intessere e mantenere in maniera soddisfacente una rete sociale di mutuo supporto. Tuttavia è possibile, viste le caratteristiche di cronicità del campione, che si sia creato un vizio di selezione in cui solo i pazienti rimasti soli o con pochi e significativi legami familiari, debbano in qualche modo “esercitare e mantenere” le abilità residue: quindi l’essere in carico ad un Centro di Salute Mentale rappresenta un necessario e ulteriore supporto esterno. Va infine ricordato che la Scala sul Livello di Autonomia è stata disegnata sulle specifiche caratteristiche della popolazione afferente al nostro Centro e pertanto fotografa l’intero spettro di autonomie così come si sono cristallizzate in virtù di specifici contesti ambientali, economici, culturali e sociali della nostra realtà; pertanto confronti o speculazioni con realtà sociali del Nord Italia o delle culture Anglosassoni non sono applicabili sic et simpliciter.

La buona correlazione fra misure indipendenti di adattamento sociale come la LSP e la SFG conferma il buon valore predittivo di queste e ne conferma la validità per valutazioni in ampi gruppi di popolazione sia per disegni sperimentali trasversali che longitudinali. Va rilevata l’assenza di correlazione fra la sottoscala non-turbolenza e comunicatività con la SFG. Tale risultato può essere attribuito allo scarso peso che tali domini psicosociali hanno nella valutazione dell’adattamento sociale globale dell’individuo, ma che evidentemente hanno un grosso peso in soggetti che vivono nella comunità. Poiché per tali pazienti è stata specificatamente ideata la LSP, emerge con cristallina evidenza come sia importante una valutazione articolata e onnicomprensiva di tutti i domini socio-psico-relazionali del paziente che vive in comunità.

Un aspetto cruciale per la predittività dell’esito, e naturalmente per la implementazione di approcci integrati terapeutico riabilitativi, risiede nella valutazione degli aspetti cognitivi. Molti e autorevoli indirizzi riabilitativi sono esplicitamente cognitivi (13,14) o lo sono di fatto, utilizzando tecniche di apprendimento di tipo cognitivo comportamentale (15) .In ogni caso la via finale di ogni intervento si avvale di tecniche molto eterogenee che hanno nell’apprendimento la via finale per lo sviluppo di competenze e la riduzione della vulnerabilità. Poiché l’apprendimento è un processo cognitivo legato alla memoria, al linguaggio, al pensiero e alla organizzazione di abilità esecutive, si perviene ad una via finale con un loop a feedback positivo che coinvolge cognitività ed esito. In tale contesto molto articolato l’agire riabilitativo si differenzia a seconda dell’assetto cognitivo del paziente. I dati del presente studio evidenziano come pazienti con deficit intellettivo e delle abilità concettuali presentino significativi deficit nell’adattamento psicosociale. Due importanti implicazioni vanno considerate a tal proposito: una scadente prestazione al test di Raven non può essere semplicemente attribuita ad uno scarso funzionamento intellettivo, ma anche ad un rapido e progressivo decadimento di questo. Tale considerazione emergeva dal fatto che una analisi dei singoli casi con grave deficit intellettivo documentava che molti di questi avevano in realtà un buon livello di scolarità e addirittura che alcuni erano laureati. Quindi una stima dell’intelligenza premorbosa dovrebbe essere effettuata al fine di stimare l’entità del “deterioramento neuro-cognitivo” nei pazienti. Una seconda importante considerazione attiene la validità psicobiologica del Test di Raven come indicatore del livello intellettivo e di marcatore di danno neurocognitivo. Infatti questo è un test rapido, semplice da somministrare e ben accetto dal paziente, indipendente dalla capacità linguistica e somministrabile a pazienti illetterati e quindi all’intera tipologia di pazienti che sono in carico ai Centri di Salute Mentale. Non ultimo è un test dotato di coerenza biologica: infatti in una precedente ricerca condotta nel nostro Dipartimento, si è evidenziato che pazienti schizofrenici nati nei mesi invernali esibiscono prestazioni cognitive statisticamente peggiori rispetto a schizofrenici nati negli altri mesi dell’anno, ma non deficit psicosociali valutati alla SFG (16) .Tali risultati sono a sostegno dell’ipotesi che un fattore patogeno neurotropo, associato ai mesi invernali di nascita, sia responsabile di un “danno” rilevabile con una semplice misura di funzionamento intellettivo.

Il presente studio quindi estende precedenti evidenze, e ci permette di ipotizzare che il danno neurocognitivo si esprime in un esito psicosociale sfavorevole e quindi in una cattiva prognosi, perlomeno in soggetti relativamente giovani e con decorso cronico di malattia.

Conclusioni

Il presente studio conferma ed estende precedenti studi documentanti un ruolo cruciale del funzionamento intellettivo sulla disabilità sociale. Il grado di deterioramento cognitivo nei primi anni di malattia appare essere un importante elemento di considerazione per l’implementazione di strategie terapeutico riabilitative nella prassi territoriale. Scale di valutazione del funzionamento sociale articolate in più domini e con sufficiente sensibilità, tali da “catturare” le differenze che il vivere in comunità evidenzia, sono pertanto indispensabili sia per ridurre al minimo i “falsi negativi” sia per una corretta programmazione terapeutico-riabilitativa.

 Il presente studio è stato presentato in parte al 10th Biennal Winter Workshop di Davos, 5-12 febbraio 2000.

 Corrispondenza: dott. Vittorio Di Michele, via Berardinucci 95, 65123 Pescara – Tel. 085 4253446 – 0368 545895 – e-mail: csm.pe@ausl.pe.it


Tab. I
. Variabili sociodemografiche, cliniche e cognitive del campione.
Sociodemographic, clinical and cognitive characteristics of the sample.

media (DS)

Range

Età

39,3 (9,4)

22-58

Anni di scolarità

10,4 (3,1)

5-17

Durata di malattia

11,8 (7,7)

1-33

CPLZ/MgEQ*

625,7 (265,8)

125-1300

Test di Raven

22,8 (9,0)

3,7-35,8

LIFE SKILLS PROFILE

Cura di sé

29,9 (6,6)

16-39

Non-turbolenza

42,9 (5,8)

21-49

Contatto sociale

11,3 (2,8)

7-17

Comunicatività

18,7 (3,7)

10-24

Responsabilità

16,5 (3,5)

7-24

Life Skills Profile totale

119,8 (17,1)

81-145

Scala di Funzionamento

Globale

48,9 (14,0)

30-83

Sintomi negativi

23,4 (8,2)

10-46

Sintomi positivi

20,6 (5,8)

11-32

Psicopatologia generale

43,4 (8,5)

26-57

PANSS totale

87,3 (18,7)

48-114

* Milligrammi equivalenti di Clorpromazina

Fig. 1. Rappresentazione grafica dei confronti fra variabili psicosociali nei gruppi con e senza deficit intellettivo.
Comparison of psychosocial variables in impaired and unimpaired patients.

Tab. II. Funzionamento sociale in pazienti con deficit intellettivo (n� 11) vs. pazienti non deficitari (n� 22).
Social functioning in intellectually impaired (N = 11)
vs. unimpaired (N = 22) patients.

Pazienti deficitari Media (D.S.)

Pazienti non deficitari Media (D.S.)

Differenza delle medie

t

g.l.

P

Cura di sé

26,5 (7,7)

31,5 (5,5)

5,0

2,16

31

0,039

Non turbolenza

42,9 (6,4)

43,0 (5,7)

0,09

0,04

31

NS

Contatto sociale

10 (2,1)

12 (2,9)

2

2,21

26,62

0,036

Comunicatività

17,7 (4,1)

19,2 (3,5)

1,5

1,13

31

NS

Responsabilità

16 (4,6)

16,8 (2,9)

0,8

0,64

31

NS

Funzionamento

sociale globale

114 (20,9)

122,7 (14,5)

8,6

1,39

31

NS

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