Il modello animale spontaneo: implicazioni per la fisiopatologia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo

A spontaneously occurring animal model: implications for the pathophysiology of Obsessive-Compulsive Disorder

G. D'Urso, G. Muscettola, A. De Bartolomeis

Dipartimento di Neuroscienze e Scienze del Comportamento, Sezione di Psichiatria, Università di Napoli "Federico II"

Parole chiave: Disturbo Ossessivo-Compulsivo • Comportamenti aggiuntivi • Modello animale spontaneo • Isomorfismo • Neuroetologia
Key words: Obsessive-compulsive disorder • Adjunctive behaviors • Spontaneously occuring animal model • Isomorphism • Neuroethology

Introduzione

L’esistenza di un modello animale spontaneo può costituire un grosso vantaggio nello studio della patologia umana che quel modello riproduce.

Nel caso del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), l’ipotesi di una sovrapponibilità con un disturbo animale è stata per la prima volta avanzata in maniera formale nel 1991, quando Rapoport rilevò che cani affetti da dermatite acrale da leccamento rispondevano alla somministrazione di clomipramina, farmaco allora considerato di scelta nella terapia dei pazienti affetti da DOC (1); questa evidenza sperimentale ha stimolato un gran numero di studi che hanno portato alla reinterpretazione di comportamenti ripetitivi presenti in varie specie animali tra cui cani, gatti, cavalli, uccelli, animali da cortile e selvatici in cattività. In medicina veterinaria è stata poi introdotta, per definire atti ripetitivi e afinalistici, la denominazione di “comportamenti aggiuntivi”, che ne sottolinea la diversità da quelli ritenuti “normali” per la specie cui appartiene l’animale che li esibisce. Questa nuova denominazione completa quelle di “displacement behaviors” e stereotipie adoperate in precedenza (2).

In medicina umana il termine stereotipia è legato a movimenti ripetitivi semplici che contemplano, in ordine di complessità: tremori, tic e perseverazioni; i comportamenti compulsivi consistono, invece, in atti motori complessi e, soprattutto, generalmente preceduti da pensieri ripetitivi.

I movimenti ripetitivi degli animali sono per lo più atti motori semplici e, ovviamente, non possiamo dimostrare che seguano a ruminazioni ossessive; tuttavia, da un lato, negli animali, sono stati descritti anche comportamenti ripetitivi complessi, dall’altro, nello spettro ossessivo, in medicina umana, sono stati inseriti anche movimenti ripetitivi relativamente semplici, come la tricotillomania; inoltre è ormai dimostrata la comorbidità tra tic ed alcune forme di DOC (3) e la comune dipendenza da alterazioni dei sistemi della dopamina e della serotonina (4), nella regolazione dei circuiti che coinvolgono i gangli della base (5).

Alla luce di queste e di altre considerazioni si può sostenere, sia pure con le dovute cautele, la tesi della sovrapponibilità tra DOC e comportamenti aggiuntivi e riconoscere nell’analisi di questi ultimi e della loro risposta ai trattamenti antiossessivi un ausilio prezioso nello studio della patologia umana (6-8).

I comportamenti aggiuntivi

Gli atti ripetitivi degli animali sembrano essere specie-specifici: per ogni specie, ci sono determinati “patterns” comportamentali che, in particolari condizioni, possono essere messi in atto in maniera ripetitiva; si tratta per lo più di azioni finalizzate all’autoconservazione che, disassociate dal loro “trigger” naturale, vengono compiute in risposta ad un evento stressante o ad una situazione di disagio; prevalgono “patterns” motori associati alla locomozione, alla predazione, alla cura dell’igiene, al comportamento sociale e sessuale.

Nell’ambito di una stessa specie, invece, l’estrinsecazione di un comportamento aggiuntivo piuttosto che un altro è funzione della razza, dell’età, del sesso e del grado di “arousal” dell’animale considerato (9).

L’aspetto più interessante dei comportamenti aggiuntivi è che, molto probabilmente, nella loro determinazione intervengono fattori genetici, come dimostrano la familiarità del disturbo e la possibilità di evocare le stesse manifestazioni patologiche in tutti gli esemplari di una razza (o, addirittura, di una specie), anche se cresciuti in assoluto isolamento.

Si è rilevato che è tanto più probabile che l’animale risponda con atti ripetitivi, quanto più l’evento stressante è continuo ed inevitabile o interferisca con la soddisfazione dei normali bisogni fisiologici e psicologici; ad esempio, gli episodi di vomito stereotipato ed atti motori ripetitivi di una femmina di orso Melursus Ursinus sono più frequenti in presenza di un maschio aggressivo (10-13).

Il tipo di comportamento esibito può talvolta essere riconducibile alla natura del fattore causale; tuttavia non c’è, generalmente, una logica relazione di causalità tra i due; ad esempio, i daini sviluppano attività masticatoria quando vengono sottoposti contemporaneamente allo stimolo che li farebbe fuggire ed a quello opposto che li indurrebbe a restare.

Si noti che esiste una grossa variabilità interindividuale nella soglia di resistenza allo stress prima che venga esibita una risposta aggiuntiva (13); ciò induce ad ipotizzare che non soltanto il tipo di comportamento sia geneticamente determinato, ma anche la suscettibilità individuale ad estrinsecarlo.

Tuttavia, nella determinazione di tale soglia, interverrebbero, oltre ai fattori genetici, anche esperienze di vita, soprattutto precoci (14,15): a questo proposito è stata proposta l’associazione, nei gatti, tra svezzamento prematuro e “wool-sucking” o altri comportamenti orali aberranti; fattori predisponenti o scatenanti sembrerebbero anche le lesioni cerebrali organiche, come ferite alla testa, traumi neonatali, infezioni virali o batteriche (16,17).

La soglia è molto variabile, al punto che alcuni animali hanno mostrato l’insorgenza di comportamenti aggiuntivi in seguito ad eventi apparentemente non stressanti: in esemplari di scimpanzé, cresciuti in laboratorio, la semplice vista di un oggetto sconosciuto, o un rumore inaspettato, o la presenza di un uomo possono determinare l’insorgere di comportamenti aggiuntivi.

Tuttavia, generalmente, l’evento responsabile dell’esordio dei comportamenti aberranti è, oltre che identificabile, di grande impatto emotivo e, una volta che tali comportamenti hanno iniziato a manifestarsi, qualsiasi elemento psicologicamente disturbante è in grado di esacerbarli; è ipotizzabile, dunque, che la soglia venga abbassata dall’agente scatenante, il quale è in grado di far esordire il comportamento patologico, “segnando la via” dei circuiti neurali che lo sosterranno (18). In seguito, tale manifestazione patologica potrà essere evocata da eventi stressanti di minore rilievo (11-13,19).

Come esempio, ci soffermeremo sui più studiati tra i modelli animali di DOC, sottolineando i punti che avvalorano la tesi della sovrapponibilità con la patologia umana.

Comportamenti aggiuntivi correlati alla “sequenza predatoria”

Per alcune specie animali, ci sono comportamenti che hanno avuto più di altri un’importanza nell’evoluzione; tipico esempio è la cosiddetta sequenza predatoria, le cui componenti essenziali sono il comportamento esplorativo, per localizzare la preda, il comportamento agonistico, per sottometterla, e quello ingestivo.

Nei canidi, lo studio di questa sequenza presenta motivi di grande interesse scientifico, in quanto l’uomo è stato in grado di agire sulla riproduzione di questi animali, in modo da selezionare ora l’una ora l’altra delle componenti citate ed ottenere esemplari che avessero caratteristiche desiderate.

Ad esempio, selezionare l’abilità esplorativa ha consentito di ottenere esemplari “specializzati” nella ricerca di indizi visivi od olfattivi (20,21): il border collie (cane pastore) mostra uno spiccato comportamento di ricerca, senza andare lungo l’intera sequenza predatoria; i terrier sono stati selezionati in modo da ottenere animali che mostrassero un accentuato comportamento agonistico e che attaccassero strenuamente senza riguardo per eventuali ferite riportate in combattimento; il bulldog fu selezionato per la sua caratteristica di attaccare il muso dei buoi senza adoperare lo schema tipico di attacco da tergo degli altri canidi e dei lupi loro progenitori.

Dati clinici mostrano che il comportamento selezionato come più forte carattere distintivo di una specie e, quindi, più strettamente associato alla sua biologia, è anche quello che viene preferenzialmente esibito, in maniera ritualizzata, allorché un animale di quella specie venga sottoposto ad un prolungato conflitto: ad esempio, i pastori tedeschi sono più inclini ad esibire comportamenti ripetitivi legati alla caccia, come ricerca della palla, tail chasing, marcia stereotipata e corsa “in vacuo”.

Osservando i comportamenti aggiuntivi, i veterinari hanno adattato ad essi i criteri diagnostici del DSM IV per il DOC, indicando come patologica la condizione nella quale: 1) gli atti ripetitivi consumano più di tre ore al giorno; 2) sono causa di lesioni fisiche; 3) il comportamento interferisce significativamente con il funzionamento sociale dell’animale e con il suo rapporto con il padrone; 4) conflitto e frustrazione derivano all’animale se gli viene impedito di attuare il comportamento ripetitivo (9).

Esempi tipici di atti ripetitivi correlati alla sequenza predatoria, che soddisfino i precedenti criteri, sono i comportamenti ritualistici con oggetti ed il “tail chasing” dei bull terriers.

Questi animali si ottengono dall’incrocio di bulldogs e white terriers, entrambe razze, come accennato, selezionate per la loro tendenza all’agonismo; è possibile che, con questa caratteristica, l’uomo abbia involontariamente selezionato un associato temperamento iperattivo, che rende gli animali risultanti da questo incrocio particolarmente esposti alla malattia: il 25% di 180 bull terriers, i cui dati sono stati raccolti alla Tufts Behavior Clinic, mostrava comportamenti ritualistici con oggetti come giocattoli, ceppi di legna o piatti da tavola; questi consistevano nel cercare, portare o masticare tali oggetti al punto, per alcuni, da perdere peso e riportare lesioni fisiche.

Il “tail-chasing”, altro comportamento patologico correlato con la predazione, consiste in un atto motorio, in cui l’animale descrive un breve percorso circolare nel tentativo di afferrare e di mordere la propria coda e che può culminare nell’automutilazione; il cane può essere impegnato per ore in questa attività e mostrarsi assolutamente estraniato dal contesto in cui si trova.

Entrambe queste aberrazioni comportamentali, legate alla sequenza predatoria, sono più probabili in soggetti dal temperamento ansioso o iperattivo e durante periodi di stress; sono più frequenti in determinate famiglie, precedono o coincidono con la maturazione sessuale e, soprattutto, rispondono agli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRIs). Sono inoltre state associate ad attività epilettiche e a varie anomalie EEgrafiche, concomitanti, talora, con un’anormale geometria cerebrale (16,17,22).

Anche nei gatti è frequente il riscontro di atti ripetitivi legati alla sequenza predatoria: più spesso si correlano al comportamento ingestivo, come nel caso del “wool-sucking”, succhiamento prolungato di lana e fibre acriliche, che sembra essere l’equivalente felino del succhiamento del pollice nell’uomo, e che è associato a temperamenti ansiosi; talvolta i gatti affetti mostrano un’evoluzione in quadri più gravi, rappresentati da aberrante comportamento ingestivo nei confronti delle stesse fibre (23). In questi animali, i farmaci Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRIs) provocano un miglioramento della sintomatologia del 90-95%.

Alla sequenza predatoria è stato correlato anche il collezionismo, osservato in alcuni “Munchkin cats”, nei confronti di penne, anelli o gioielli, mentre altri atti ritualistici sono stati associati a comportamenti di difesa territoriale.

Comportamenti aggiuntivi correlati alla cura dell’igiene

Oltre che alla predazione, i comportamenti aggiuntivi possono essere connessi alla cura dell’igiene; nel cane, tali atti motori possono essere elicitati anche con la stimolazione elettrica dell’ipotalamo, a dimostrazione di quanto siano intimamente correlati alla biologia di questi animali.

La componente ereditaria di tali comportamenti può essere spiegata, dal punto di vista evoluzionistico, con la grande importanza della pulizia del corpo nella difesa dai parassiti, nella termoregolazione e nei rapporti sociali (quando intesa come pulizia reciproca).

L’esempio classico di questo tipo di comportamento aggiuntivo è la dermatite acrale da leccamento (ALD), un disordine psicogeno caratterizzato da un continuo leccarsi e mordersi le estremità delle zampe; provoca alopecia, ulcere cutanee ed aree granulomatose (24-26).

Piodermatiti, neoplasie, allergia e corpi estranei talora determinano i primi episodi di leccamento, ma il loro perpetuarsi dipende da eventi psicologicamente stressanti, che ne modificano l’intensità e la frequenza; è ipotizzabile che i processi istopatologici locali, determinati dal leccamento, contribuiscano ad esacerbare il bisogno di continuare tale comportamento. Qualora venga impedito all’animale di leccarsi o di mordersi, esso lo farà di nascosto.

Il 70% dei cani con diagnosi di ALD presenta anche altre condizioni correlate ad un temperamento ansioso, come “fobia da tuoni” ed “ansia da separazione”.

Dati preliminari suggeriscono una trasmissione dell’ALD come carattere autosomico dominante (23). Mentre i più vari tentativi terapeutici (contenzione fisica, terapia topica, farmaci anti-oppioidergici) hanno avuto scarso successo, sorprendente è la risposta di questi animali alla clomipramina (27-31): nello studio di Rapoport del 1991, il 25% degli animali mostrò, dopo un trattamento di sei mesi, una risoluzione totale della sintomatologia, il 55% un miglioramento dell’80%, il 10% del 60%, mentre i miglioramenti meno importanti, osservati nel 10% dei cani, comunque alleviavano la sintomatologia del 50% (1).

Anche nei gatti sono state riscontrate manifestazioni patologiche di comportamenti legati all’igiene; esempi sono l’alopecia psicogena, il gioco con i capelli ripetitivo, il leccamento di naso e labbra ripetitivo, il leccamento delle zampe ripetitivo e la sindrome dell’iperestesia felina.

Altri comportamenti di tipo aggiuntivo

Ci sono evidenze di sovrapponibilità tra la tricotillomania e un analogo disturbo osservato negli uccelli, sia dal punto di vista fenomenologico che farmacologico.

I comportamenti aggiuntivi equini sono correlati all’alimentazione, alla locomozione, alla sessualità e spesso sono associati a lesioni traumatiche o infettive; anch’essi hanno mostrato di rispondere ai farmaci antiossessivi.

Sono stati osservati, infine, molteplici casi di comportamenti ripetitivi afinalistici anche in animali da cortile e selvatici in cattività.

Validità del modello

Il DOC, nella sua fenomenologia clinica, condivide con i comportamenti aggiuntivi molte delle caratteristiche a cui si è fatto cenno nei paragrafi precedenti: 1) i comportamenti Ossessivo-Compulsivi (OC), nello stesso individuo, si restringono in una varietà di azioni abbastanza limitata, nella quale è possibile ravvisare, seppure in maniera meno evidente che negli animali, un senso autoconservativo; 2) lo stress esacerba la sintomatologia OC; 3) è frequente una metamorfosi dei sintomi nel tempo: nell’infanzia osserviamo prevalentemente azioni ritualizzate, nell’adolescenza soprattutto l’ablutomania (rituali di lavaggio), e nell’età adulta le ruminazioni (18); 4) l’adolescenza è il periodo di massima incidenza di patologia OC (4); 5) nei due sessi, anche nella nostra specie, il DOC ha modalità e tempi di insorgenza diversi.

Tali caratteristiche in comune costituiscono altrettanti punti a sostegno della validità di questo modello animale.

Abbiamo visto, inoltre, che i comportamenti aggiuntivi presentano una notevole eterogeneità fenomenologica tra i vari individui, il che rende talora difficile omologare sotto un’unica diagnosi disturbi comportamentali tanto diversi tra loro e sostenere l’ipotesi di un comune substrato neuro-disfunzionale; tuttavia, a ben vedere, quella del pleiomorfismo fenomenologico è una caratteristica che i comportamenti aggiuntivi condividono col DOC e può, così, addirittura diventare un dato a favore dell’attendibilità del modello; inoltre, per quanto riguarda l’aspetto neuroanatomofunzionale, è possibile spiegare la diversità dei comportamenti osservati ipotizzando che essi abbiano la stessa base neurale ed un comune coinvolgimento dei sistemi dopaminergico, serotoninergico ed oppioidergico, ma coinvolgano circuiti neuronali leggermente diversi nell’ambito delle stesse strutture anatomiche; in tal modo potrebbe anche spiegarsi la variabilità nella risposta farmacologica individuale.

Le evidenze biologiche, che supportano la validità di questo modello animale spontaneo, sono, per il momento, poche; esse sono rappresentate, esclusivamente, dall’efficacia terapeutica, nei confronti dei comportamenti aggiuntivi, degli stessi presidi farmacologici adoperati nella cura del DOC; l’esiguità dei dati disponibili è dovuta alle limitazioni esistenti all’applicazione delle tecniche delle neuroscienze in animali non di laboratorio.

Tuttavia, risultati interessanti provengono dallo studio di comportamenti ripetitivi indotti farmacologicamente in animali di laboratorio; tali comportamenti, pur essendo “artificiali”, presentano elementi di forte somiglianza con quelli spontanei precedentemente illustrati, sia dal punto di vista fenomenologico che da quello della risposta ai farmaci; si può, così, sostenere l’utilità di tali modelli sperimentali, nello studio del DOC, in attesa che i comportamenti aggiuntivi spontanei siano più approfonditamente analizzati da un punto di vista psicobiologico.

I dati più consistenti, emersi dagli studi sperimentali, riguardano i sistemi dopaminergico e serotoninergico: 1) la somministrazione di Inibitori delle Mono-Amino-Ossidasi (IMAO) con L-triptofano, o di 5-idrossi-triptofano da solo, hanno provocato sintomi di iperattività motoria e comportamenti ripetitivi in ratti e topi; in entrambe le specie i sintomi venivano specificamente bloccati da farmaci anti-serotoninergici; 2) la stimolazione diretta delle fibre dopaminergiche ascendenti passanti per l’ipotalamo laterale o quella indiretta provocata dalle amfetamine, portano, nei ratti, ad inadeguati atti motori correlati al comportamento ingestivo, che possono essere interrotti dalla somministrazione di 6-idrossi-dopamina o di antagonisti dopaminergici; 3) la somministrazione di paroxetina (SSRI) inibisce, nella scimmia, i comportamenti stereotipati indotti dalle amfetamine, mentre la ciproeptadina, antagonista serotoninergico, ne aumenta l’intensità; 4) un sottogruppo di neuroni del nucleo del raphe dorsale viene specificamente attivato, nel gatto, quando l’animale esibisce comportamenti ripetitivi correlati alla cura dell’igiene; 5) un comportamento aggiuntivo polidipsico, sperimentalmente indotto in ratti, viene significativamente attenuato (come unico effetto) dalla somministrazione di SSRIs e non di neurolettici o ansiolitici; 6) il preciso “pattern” neurometabolico degli SSRIs, è stato illustrato dimostrando che, a dosi minori ed in minor tempo (tre settimane), il “release” della serotonina viene aumentato in tutta la corteccia prefrontale del “Guinea pig”, con l’eccezione di quella orbito-frontale (OFC); a dosi più alte e dopo un trattamento più lungo (otto settimane), vengono interessate tutte le aree prefrontali, inclusa l’OFC. Tali osservazioni sono in linea con l’evidenza del coinvolgimento della corteccia orbito-frontale nel DOC e con la necessità di dosi e tempi d’attesa maggiori, nella terapia farmacologica di questa affezione, rispetto a quelli richiesti per la depressione.

Dati interessanti riguardano anche il coinvolgimento della neurotrasmissione oppioidergica e dei fattori ormonali: l’apomorfina ed altri agonisti degli oppioidi aumentano, in numerosi studi, i comportamenti ripetitivi indotti dalla somministrazione di corticotropina, mentre gli anti-oppioidergici esacerbano la sintomatologia.

I precedenti risultati concordano con i dati relativi alla biologia del DOC, in cui si osserva la maggiore risposta terapeutica a seguito di trattamento con SSRI ed un ulteriore miglioramento dei sintomi, in alcuni sottogruppi di pazienti, con l’associazione di antagonisti dopaminergici; inoltre, un gran numero di studi dimostra che l’uso di amfetamine provoca, nell’uomo, sintomi di iperattività motoria molto simili a quelli del DOC. Anche nell’uomo, come già osservato, è stata dimostrata l’importanza di fattori ormonali nella genesi e nell’andamento della sintomatologia OC; dalla sperimentazione sugli animali, infine, deriva lo stimolo ad indagare più a fondo il coinvolgimento, nella patologia umana, del sistema oppioidergico.

Alla luce di questi dati si può concludere che, anche in campo sperimentale, lo studio di comportamenti ripetitivi animali può costituire un’importante risorsa nella ricerca sul DOC, fornendo degli spunti sui meccanismi psicobiologici di questa malattia e costituendo un “campo di prova” per i nuovi presidi terapeutici.

C’è però, come accennato sopra, un limite all’interpretazione neuroetologica del DOC: la difficoltà, se non impossibilità, di dimostrare, nell’animale, la componente ossessiva.

Nell’uomo, come sappiamo, essa può mancare del tutto, ma talora costituisce l’unica manifestazione del quadro patologico. In via speculativa è possibile ipotizzare che anche nell’animale ci sia un’associazione tra processi cognitivi e risposta comportamentale ripetitiva, in linea con le più moderne idee in campo etologico, secondo le quali gli animali hanno la capacità di esperire se stessi come agenti liberi ed indipendenti e non rispondono, come i primi etologi sostenevano, agli stimoli esterni senza cognizione. A sostegno di questa visione, l’evidenza di problemi comportamentali simili a quelli umani: depressione, disturbi della condotta alimentare, fobie, ansia da separazione e la loro risposta ad un analogo approccio farmacologico (32).

Inoltre si può argomentare che gli animali, non avendo lobi frontali voluminosi come quelli umani, abbiano componenti emozionali e cognitive, connesse all’atto compulsivo, meno importanti di quelle presenti nell’uomo e che, quindi, questo provochi in essi minore sofferenza; ma tale osservazione ha valore soltanto speculativo, non essendo in alcun modo possibile verificarne l’esattezza (13).

A fronte di tale riserva, con la quale proponiamo questo modello, numerosi sono gli aspetti favorevoli dello studio del DOC che sfrutti le evidenze animali:

1. La diagnosi è molto più facile che nell’uomo; gli animali, infatti, non hanno le stesse pressioni sociali degli umani ed è molto meno probabile che abbiano vergogna di esibire un comportamento ripetitivo o che tendano a nasconderlo.

2. Si può disporre di larghe popolazioni di esemplari affetti e controlli sani senza grosse differenze nelle condizioni ambientali cui sono sottoposti.

3. Gli studi di fisiologia, neuroanatomia e biochimica dei trasmettitori presentano, ovviamente, negli animali, minori limitazioni etiche.

4. La genetica è più agevolmente indagabile data l’esistenza di registri per molte delle razze affette; inoltre, il basso tempo generazionale e le grandi cucciolate di alcune specie le rendono particolarmente indicate per studi genetici.

In conclusione, è opportuno sottolineare che qualsiasi tentativo di comparare specie diverse non può prescindere dalla nozione fondamentale, nel campo della scienza dell’evoluzione, che ogni specie si è evoluta indipendentemente dall’altra e che, quindi, nessuna può essere considerata un modello “esatto” per un’altra.

Allo stesso modo, quindi, un “buon” modello animale, per essere tale, non deve necessariamente riprodurre tutti gli aspetti della patologia umana a cui viene assimilato.

La Tabella I riassume comparativamente i punti di contatto tra DOC e comportamenti aggiuntivi.

Conclusioni

Da quanto esposto nei paragrafi precedenti si può concludere che è possibile inquadrare i comportamenti ripetitivi degli animali e le più complesse compulsioni umane come variazioni su un identico tema biologico: esistono “patterns” comportamentali-motori, il cui substrato neuro-anatomo-funzionale è (almeno in parte) da ricercarsi nei gangli della base, che sono finalizzati alla conservazione delle specie e che vengono, in individui predisposti e sotto stress, esibiti in eccesso e fuori del loro naturale contesto.

In linea con tale interpretazione, in questo lavoro si è sostenuta la validità del modello animale spontaneo per lo studio del DOC.

La rassegna di studi presentati consente altresì di esprimere delle considerazioni che hanno non solo valore euristico, ma anche importanti implicazioni cliniche, specie in prospettiva di nuovi approcci terapeutici:

1. Sono stati riconosciuti e studiati “comportamenti aggiuntivi” in diverse specie animali, sia in condizioni naturalistiche che sperimentali; pur con i limiti imposti dal riduzionismo del modello animale nei disturbi del comportamento, ciò consente un approccio di tipo neuroetologico ed evoluzionistico ai comportamenti compulsivi umani, e la possibilità di meglio specificarne il putativo substrato neurodisfunzionale.

2. L’evidenza di un isomorfismo farmacologico, oltre che fenomenologico, tra DOC e comportamenti aggiuntivi, consente di sperimentare, a livello preclinico, trattamenti potenzialmente utili nella terapia dell’uomo.

Tab. I. Caratteristiche e risposta farmacologica di DOC e comportamenti aggiuntivi.
OCD vs. adjunctive behaviors: features and pharmacological response.

DOC

COMPORTAMENTI AGGIUNTIVI

Genetica e familiarità

Evidenza di componente ereditaria

Evidenza di componente ereditaria

Esordio

Infanzia/adolescenza, ma può presentarsi ad ogni età

Periodo puberale, ma può presentarsi ad ogni età

Ossessioni e compulsioni

Ossessioni che inducono all�atto compulsivo, oppure ossessioni o compulsioni da sole

Ossessioni non rilevabili; comportamenti ripetitivi

Fenomenologia

Comportamenti autoconservativi attuati in maniera ripetitiva

Comportamenti specie/razza-specifici attuati in maniera ripetitiva

Entità del fenomeno

Occupa più di un�ora al giorno e interferisce con il normale funzionamento sociale; possono risultarne lesioni fisiche

Occupa più di tre ore al giorno e interferisce con il normale funzionamento sociale; possono risultarne lesioni fisiche

Complessità

Complesso

Semplice o complesso

Funzione del comportamento

Alleviare la tensione

Sconosciuta (ma la repressione dell�atto compulsivo provoca comportamenti di tipo ansioso)

SSRIs

Molte forme rispondono

Molte forme rispondono

Blocco oppioidergico

Alcune condizioni dello spettro OC rispondono

Alcune forme rispondono

Blocco dopaminergico

Alcune condizioni dello spettro OC rispondono

Alcune forme rispondono

Possibile associazione con danni cerebrali

Presente

Presente

1 Goldberger E, Rapoport J.
Canine acral lick dermatitis: Response to the antiobsessional drug clomipramine.
J Am Anim Hosp Assoc 1991;22:179-82.

2 Luescher UA.
Conflict, stereotypic and compulsive behavior.
Proceedings of American Veterinary Medical Association Annual Meeting, San Francisco, CA 1994.

3 Baer L.
Factor analysis of symptom subtypes of obsessive-compulsive disorder and their relation to personality and tic disorders.
J Clin Psychiatry March 1994;55(suppl.3):18-23.

4 Rapoport JL.
Recent advances in obsessive-compulsive disorder.
Neuropsychopharmacology 1991;5:1-10.

5 Rapoport JL, Wise SP.
Obsessive-compulsive disorder: evidence for basal ganglia dysfunction.
Psychopharmacol Bull 1988;24(3):380-4.

6 Stein DJ, Shoulberg N, Helton K, Hollander E.
The neuroethological approach to obsessive compulsive disorder.
Compr Psychiatry 1992;33(4):274-81.

7 Overall KL.
Use of clomipramine to treat ritualistic stereotypic motor behavior in three dogs.
J Am Vet Med Assoc 1994;205(12):1733-41.

8 Dodman NH.
Pharmacological treatment of behavioral problems in cats.
J Vet Int Med 1994;4:13-20.

9 Dodman NH, Moon Fanelli A, Mertens PA, Pflueger S, Stein DJ.
Veterinary models of OCD.
In: Hollander E, Stein DJ, eds. Obsessive-Compulsive Disorders. New York: Marcel Dekker 1998:99-143.

10 Insel TR.
Obsessive-compulsive disorder: new models.
Psychopharmacol Bull 1988;24(3):365-9.

11 Mason GJ.
Stereotypies: a critical review.
Anim Behav 1991;41:1015-37.

12 Dallaire A.
Stress and behavior in domestic animals.
Ann N Y Acade Sci 1993;697:269-74.

13 Insel TR, Mos J, Berend O.
Animal models of obsessive compulsive disorder.
In: Hollander E, Zohar J, Marazziti D, Olivier B, eds. Current Insights in Obsessive Compulsive Disorders. New York: Wiley 1994:117-35.

14 Ladewig J, DePassile AM, Rushen J, Schouten W, Terlouw C, von Borell E.
Stress and the physiological correlates of stereotypic behavior.
In: Lawrence AB, Rushen J, eds. Stereotypic Animal Behavior Fundamentals and Applications to Welfare. Wallingford, England: CAB International 1993.

15 Luescher UA, McKeown DB, Halip J.
Stereotypic or obsessive-compulsive disorders in dogs and cats.
In: Marder AR, Voith V, eds. Veterinary Clinics of North America. Small Animal Practice. Vol 21(2). Philadelphia: WB Saunders 1991:401-13.

16 Dodman NH, Bronson R, Gliatto J.
Tail chasing in a bull terrier.
J Am Vet Med Assoc 1993;202(5):758-60.

17 Blackshaw JK, Sutton RH, Boyhan MA.
Tail chasing or circling behavior in dogs.
Canine Practice 1994;19(3):7-11.

18 Ridley RM, Baker HF.
Stereotypy in monkeys and humans.
Psychol Med 1982;12:61-72.

19 Winchel RM.
Trichotillomania: presentation and treatment.
Psychiatr Ann 1992;22(2):84-9.

20 Coppinger R, Glendinning J, Torop E, Matthay C, Sutherland M, Smith C.
Degree of behavioral neoteny differentiates canid polymorphs.
Ethology 1987;75:89-108.

21 Arons CD.
Genetic Variability Within a Species: Differences in Behavior, development, and Neurochemistry Among Three Types of Domestic Dogs and Their F1 Hybrids.
Ph.D. dissertation, University of Connecticut, Storrs; CT 1989.

22 Brown SA, Crowell-Davis S, Malcolm T, Edwards P.
Naloxone-responsive compulsive tail chasing in a dog.
J Am Vet Med Assoc 1987;190:884-6.

23 Dodman NH, Tufts University Veterinary School, Grafton, MA, 1985.
Data on file.

24 Scott DW, Walton DK.
Clinical evaluation of a topical treatment for canine acral lick dermatitis.
J Am Anim Hosp Assoc 1984;20:565-70.

25 Voith L.
Acral lick dermatitis in the dog.
Canine Practice 1986;14(4):15-22.

26 Muller GH, Kirk RW, Scott DW.
Small animal dermatology.
4th ed. Philadelphia: WB Saunders 1989:750-7.

27 Doering GG.
Acral lick dermatitis: medical management.
Canine Practice 1974;5:21-5.

28 Reid JS.
Acropruritic granuloma.
In: Kirk RW, ed. Current Veterinary Therapy. Vol V. Philadelphia: WB Saunders 1974:441-3.

29 Bullock JE.
Acupuncture treatment of canine lick granuloma.
California Veterinarian 1978;32(4):14-5.

30 Richardson JS, Zaleski WA.
Naloxone and self-mutilation.
Biol Psychiatry 1983;18:99-101.

31 White SD.
Naltrexone treatment of acral lick dermatitis in dogs.
J Am Vet Med Assoc 1990;196(7):1073-6.

32 Stein DJ, Dodman NH, Borchelt P, Hollander E.
Behavioral disorders in veterinary practice: relevance to psychiatry.
Compr Psychiatry 1994;35(4):275-85.