Intossicazione acuta da olanzapina: un’esperienza clinica presso l’spdc di Varese

Acute olanzapine intoxication: clinical experience in the acute psychiatric care unit of Varese, Italy

N. Poloni, E. Bolla, S. Caperna, A. Grecchi

Università dell’Insubria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di medicina e sanità pubblica, Sezione di Psichiatria, Varese

Key words: Olanzapine • Diabetes mellitus • Toxicology • Suicide attempt • Acute psychiatric unit
Correspondence: Dr. N. Poloni, Università dell’Insubria, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento di medicina e sanità pubblica, Sezione di Psichiatria, Varese, Italy

Olanzapina

Olanzapina è un farmaco antipsicotico atipico, appartenente alla classe delle tienobenzodiazepine, presente sul marcato dal 1996 negli Stati Uniti d’America.

L’85% circa del farmaco viene assorbito dal tratto gastro-intestinale ed il 40% circa della dose viene inattivato dal metabolismo epatico di primo passaggio attraverso l’enzima citocromo P450 1A2 (il fumo di sigaretta inducendo tale enzima può portare ad una riduzione dei livelli ematici di olanzapina con relativa riduzione dell’efficacia). Il picco di concentrazione viene raggiunto dopo circa 6 ore dalla somministrazione orale e l’emivita è in media di 30 ore.

È un efficace antagonista dei recettori 5HT2A, D1, D2, D4, da M1 a M5 e H1.

È efficace sui sintomi positivi e negativi della schizofrenia con scarsa possibilità di provocare effetti extrapiramidali (il rischio di acinesia è presente a dosaggi elevati). Può dare ipotensione arteriosa, effetti anticolinergici, aumento ponderale, sedazione, nervosismo, allungamento del tratto QT (altre alterazioni cardiache possibili con gli atipici sono appiattimento dell’onda T, inversione dell’onda T). Un basso numero di pazienti, circa il 2%, ha bisogno di sospendere il trattamento per aumento delle transaminasi (generalmente valori superiori a tre volte nelle prime tre settimane).

La dose terapeutica giornaliera varia da 5 a 20 mg/die.

Sebbene la patofisiologia della sovrassunzione sia ad ora ancora sconosciuta, è verosimile che il meccanismo letale sia da ascrivere ad una cardiotossicità a livello della membrana cellulare.

Caso clinico

F. è una donna di 50 anni, nata in una città del nord Italia da padre artigiano (affetto da diabete mellito di II tipo, ipertensione) e madre casalinga (diabetica). Ha un fratello maggiore di sette anni (diabetico ed iperteso).

Fuma circa 2 pacchetti di sigarette al giorno ma non presenta altri fattori di rischio per patologia cardiovascolare.

Frequenta con profitto le scuole dell’obbligo; si iscrive quindi al liceo linguistico, che frequenta per soli tre anni. Successivamente consegue il diploma di ragioniera grazie a dei corsi serali. Lavora come segretaria dal 1972 fino al 1974, anno in cui sposa l’uomo con il quale era fidanzata da circa due anni. Da quest’unione nasce, nel 1976, una bambina. Solo due anni dopo (1978) l’unione matrimoniale entra però in crisi, sino al divorzio che arriva nel 1984.

Nello stesso anno, il 1978, F. per la prima volta viene ricoverata, per un periodo di circa 19 giorni, presso un SPDC, con provvedimento di T.S.O. Dimessa con diagnosi di disturbo schizofreniforme, viene indirizzata presso il CPS di competenza che frequenta con regolarità e si stabilisce, grazie al sostegno economico offertole dalla famiglia di origine, in un appartamento insieme alla figlia. A partire dal 1980 la paziente, nonostante le scarse risorse finanziarie, comincia a viaggiare per il mondo spinta da poco organizzati desideri di realizzazione affettiva. In questo periodo incontra un uomo, maggiore di lei di sette anni, insieme al quale vivrà per circa 10 anni tra la sua città natale e quella del compagno.

Già nel 1980, all’inizio di tale relazione, il convivente di F., per motivi familiari, si reca per un certo periodo presso la famiglia d’origine e la paziente, in seguito a questa breve e forzata separazione, inizia a lamentare ingravescenti disturbi somatici (cefalee, gastralgie etc.) e psichici (ansia, inquietudine ed angoscia) fino a mettere in atto condotte di tipo autolesivo (taglio di entrambi i nervi mediani) che rendono necessario un ulteriore ricovero in un SPDC. Negli anni seguenti F. continua a manifestare una sintomatologia caratterizzata da gravi alterazione del timismo (con gestualità autolesiva correlata), ricorrenti episodi di fuga e marcato apragmatismo. Dal 1980 al 1982 effettua ben otto ricoveri in ambiente psichiatrico; gode quindi di un buon compenso sul piano psicopatologico e comportamentale fino al 1987, anno in cui si trasferisce nell’Italia centrale insieme al proprio convivente. Purtroppo a causa del ripresentarsi dei sintomi di ordine psicotico F. viene ricoverata presso una clinica psichiatrica locale (1991) e dopo la dimissione la paziente torna a vivere nella città natale con i genitori e la figlia. Nel 1997 la morte del padre segna l’inizio di una nuova serie di ricoveri. Nel 2000, in seguito ad una delusione sentimentale, ingerisce una quantità imprecisata di compresse di Zyprexa con intento suicidiario, a causa del quale viene nuovamente ricoverata in Psichiatria. La paziente effettua nuovamente due ricoveri in ambiente psichiatrico nel 2000 e nel 2002. Nel 2003 la paziente, già seguita presso il CPS di competenza, inizia a frequentare il locale CRT. Nello stesso periodo inizia un trattamento di disintossicazione da dipendenza alcolica (F. riferisce abusi etilici a partire dal 2000).

Nell’aprile del 2004 la paziente ingerisce con dichiarato intento autolesivo Olanzapina (2 scatole, 56 cp).

Giunge in pronto soccorso, senza che vengano riferiti da i familiari né da lei successivamente episodi di vomito, in stato di coma di III grado secondo la classificazione di Bricolo (la paziente non si risveglia neppure con gli stimoli dolorosi più intensi, anche se questi possono determinare riflessi di difesa seppur vaghi ed imprecisi. Usualmente non vi sono movimenti volontari e la parola è limitata a gemiti o borbottii come risposta a stimoli particolarmente intensi. I riflessi sono conservati), presenta miosi pupillare iporeagente al fotostimolo, una meccanica respiratoria conservata, PA 135/70, sat. 100% di O2, Fc 90. I tracciati elettrocardiografici riportano esclusivamente una tachicardia sinusale. In base agli esami ematochimici risultano alterati i seguenti valori: INR (1,14); GOT (91); GPT (38); Bilirubina (tot. 1,92/ ind. 1,42/ dir. 0,5); CPK (1601); CK-MB (41); RBC (3,78); Piastrine (125).

Dopo due giorni trascorsi in pronto soccorso, la paziente viene trasferita presso il locale SPDC.

Interrogata sul perché del suo gesto la paziente riferisce confusamente di essersi spaventata perché convinta che la madre – che dormiva nella stanza accanto – fosse morta e che simile fine avessero fatto tutti i suoi familiari. Solo a distanza di alcuni giorni la paziente giungeva a motivare il gesto anticonservativo come impulso reattivo a conflittualità intrafamiliari. Raggiunto un buon compenso sia sul piano comportamentale che su quello idetico, la paziente viene dimessa.

Conclusioni

Nonostante la cospicua ingestione di olanzapina (circa 400 mg) da parte di F., non si sono verificati effetti che potessero mettere a repentaglio la sopravvivenza della paziente (Tab. I).

I parametri attesi dai dati sugli effetti indesiderati ed ipotizzati attraverso il profilo recettoriale del farmaco non si sono verificati. Questo è in accordo con quello che emerge dalla letteratura dove sembra essere necessaria una concomitante patologia cardiovascolare per portare al decesso dopo un’overdose di olanzapina.

La paziente non è portatrice, infatti, di particolari fattori di rischio per patologia cardiovascolare se si eccettua una familiarità per ipertensione ed un forte tabagismo che fungendo però da induttore del citocromo P450 potrebbe aver aiutato il metabolismo del farmaco.

Gli stessi ECG effettuati dalla paziente durante la degenza non hanno mai mostrato allungamenti del tratto QT tali da far supporre per la nostra paziente un grado di tossicità elevato di olanzapina.

La mancanza di dosaggio ematico del farmaco ci ha obbligato a prestare fede ai racconti dei familiari e della paziente stessa ed a riferirci esclusivamente ai dati clinici e di laboratorio ottenuti presso il P.S. del nostro ospedale ed effettuati dalla paziente durante la degenza in SPDC che non consentono un raffronto, se non indiretto, con gli altri studi presenti in letteratura.

Da questo deriva il carattere esclusivamente descrittivo della nostra esperienza clinica.

Bibliografia

Bellantuono C, Balestrieri M. Gli Psicofarmaci: farmacologia e terapia. Roma: Ed. Il Pensiero Scientifico 1997.

Chue P, Singer P. A review of olanzapine-associated toxicity and fatality in overdose. J Psychiatry Neurosci 2003;28:253-61.

Pancheri P. Farmacoterapia psichiatrica. Milano: Ed. Masson 2003.

Stephens BG, Coleman DE, Baselt RC. Olanzapine-related fatality. J Forensic Sci 1998;43:1252-3.

Tab. I.

Parametri Considerati

Effetti olanzapina

Profilo recettoriale

Effetti previsti/Effetti riscontrati

P.A. 135/70 mmHg

Ipotensione ortostatica,

Blocco M1: cambiamenti

Non si sono riscontrate
variazioni di rilievo

Ipotensione (1-10%)

pressori; Blocco alfa1:

ipotensione ortostatica

Sat. O2 100%

Ipoventilazione (0,1-10%)

Blocco M1: effetto sedativo;

Non si sono riscontrate
variazioni di rilievo

Blocco H1: effetto sedativo

Fc 90 batt/min

Tachicardia (1-10%)

Blocco M1: tachicardia;

Non si sono riscontrate
variazioni di rilievo

Blocco alfa1: tachicardia

riflessa; Blocco alfa2:

tachicardia

ALT 91 U/I

Aumento transitorio nei primi giorni di terapia

Moderato aumento (10-50 U/I)

AST 38 U/I

Aumento transitorio nei primi giorni di terapia

Nei limiti superiori della norma (10-35 U/I)

Bilirubina tot. 1,92 mg/dL

Moderato aumento
(0,0-1,0 mg/dL)

Bilirubina dir. 0,5 mg/dL

Lieve aumento (0,0-0,3 mg/dL)

CPK 1601 U/I

Notevole incremento
(v.n. 0-215 U/I)

CK-MB 41

Cardiotossicità

Blocco M1

RBC 3,78 mil./mmc

Lieve anemizzazione
(v.n. 4,2-5,4 mil./mmc)

Plt 125.000 mmc

Lieve riduzione
(v.n. 130.000-400.000 mmc)

Glicemia 122 mg/dL

Livelli aumentati di glucosio

Lieve aumento della glicemia
(v.n. 70-110 mg/dL)