La Cyclothymia, una malattia circolare dell’umore

Die Cyclothymie, eine circuläre Gemüthserkrankung

E. Hecker

Traduzione e Commento di A. Koukopoulos, G. Sani, A.E. Koukopoulos Centro "Lucio Bini", Roma

Correspondence: Dr. Athanasios Koukopoulos, Centro “Lucio Bini”, via Crescenzio 42, Roma 00193 – Tel. +39 06 6874727, Fax +39 06 68802345
e-mail: a.koukopoulos@fastwebnet.it

Von Dr. Ewald Hecker in Wiesbaden
Pubblicato in: Zeitschrift für practische Ärzte, 7, 1898

Cenni biografici su Ewald Hecker

Ewald Hecker è nato ad Halle, in Prussia, il 20 ottobre 1843. Suo padre era architetto. Si iscrisse alla facoltà di Architettura, ma presto cambiò idea, intraprese lo studio della medicina e si laureò a Koenigsberg nel 1866 con una tesi sulla tubercolosi. Lo stesso anno andò a lavorare all’Ospedale psichiatrico di Allenberg, nella Prussia orientale dove Kahlbaum lavorò per breve tempo con un incarico di insegnamento della facoltà di Koenigsberg. Nello stesso anno Kahlbaum andò a lavorare alla Clinica privata di Reimer a Goerlitz sempre nella Prussia orientale e l’anno dopo comperò la clinica. Nel 1867 invitò Hecker a lavorare con lui. Hecker lavorò con Kahlbaum dieci anni (1867-1876). Dieci anni di collaborazione che Hecker descrisse come perfetti. Nel 1868 Kahlbaum sposò una cugina di Hecker e nel 1871 questi sposò Henriette Leonhard. Ebbero due figlie, Else e Helena, ed un figlio Waldemar.

Dal 1876 all 1881 lavorò come direttore di un Ospedale psichiatrico a Plagwitz in Slesia. Nel 1881 comperò una clinica a Johannisberg sul Reno, dove applicò le sue moderne idee sulla cura dei malati psichiatrici.

Nel 1891 andò a Wiesbaden dove organizzò una clinica privata molto liberale e nella quale Hecker viveva con i suoi pazienti.

Non ricoprì mai una carica accademica, ma nel 1907 venne insignito dal Governo Prussiano del titolo onorifico di Professore. Morì di polmonite l’11 gennaio 1909.

Era una persona calda e gentile, umile e di idee liberali, come d’altronde anche Kahlbaum.

Il suo lavoro più noto, l’Hebephrenia (1), una forma riconosciuta e così nominata già da Kahlbaum nel 1863, ha costituito, insieme alla Catatonia (2), la base della Dementia praecox di Kraepelin e dell’attuale Schizofrenia. Ha anche descritto il metodo clinico di Kahlbaum, adottato in seguito da Kraepelin (3).

Ha pubblicato circa 30 lavori scientifici (4) e negli ultimi anni della sua vita, con un’attività prevalentemente ambulatoriale, si dedicò alla cura di pazienti “nevrotici” e pubblicò sull’ansia, la nevrastenia (5) e l’insonnia (6). Praticò l’ipnosi e la psicoterapia ed introdusse la terapia occupazionale e spazi ricreativi e culturali all’interno della clinica.

Hecker condivideva le idee di Kahlbaum e, come lui, si opponeva alla teoria della psicosi unica (7). Non si deve però considerare un semplice divulgatore delle idee di Kahlbaum. Oltre ai suoi lavori sull’ansia, indipendenti da quelli di Kahlbaum, ha fornito un contributo originale alla impostazione teorica di Kahlbaum grazie al suo acume psicologico ed alla sua esperienza clinica.

La Cyclothymia, una malattia circolare dell’umore

Nella sua relazione sulla “pazzia” ciclica, pubblicata sul “Irrenfreund” nell’anno 1882, Kahlbaum distingue fra due forme della psicosi ciclica, che secondo il suo punto di vista sono profondamente diverse l’una dall’altra.

La prima, chiamata da lui Vesania typica circularis, è caratterizzata dal fatto che presenta, in seguito al ritorno frequente di attacchi malinconici e maniacali che si presentano in alternanza, una marcata tendenza all’indementimento. La seconda forma, da lui definita come Cyclothymia, non sfocia invece, nemmeno nel caso della durata di un’intera vita, in stato confusionale e demenziale (Verwirrtheit und Blödsinn).

Mentre nella prima forma, la Typica circularis, possiamo osservare un coinvolgimento di tutte le funzioni principali della vita psichica, nella Cyclothymia vediamo solamente un oscillare fra due stati dell’umore opposti, quello della Dysthymia e quello della Hyperthymia, mentre rimane più o meno completamente illesa l’attività intellettiva, così che si può definire una pura malattia dell’umore.

Kahlbaum attira giustamente l’attenzione sul fatto che la Cyclothymia non raramente si manifesta con intensità così straordinariamente ridotta, che la grande maggioranza dei casi non arriva negli Ospedali psichiatrici.

Io stesso posso confermare questo, in base alla mia propria esperienza, contrariamente alla mia precedente occupazione quindicennale puramente psichiatrica (ospedaliera n.d.t.), adesso, che da altrettanto tempo, lavoro come psichiatra in un’attività privata, ho visto un numero imparagonabilmente maggiore di pazienti di questo genere in confronto al passato.

Quasi tutti i pazienti (cyclothymici) si presentarono la prima volta nello stadio depressivo. Lo stadio di eccitazione – e su questo desidero porre l’accento con particolare enfasi – era sfuggito nella maggior parte dei casi lievi sia all’osservazione del medico, che a quella dei suoi familiari e amici, e al paziente stesso. I parenti ne presero coscienza solo quando descrissi loro il carattere particolare di questi stadi di eccitazione.

Ancor più spesso, però, erano i pazienti, che una volta informati di questi stadi, che fino ad allora avevano considerato come i loro periodi più sani, ammettevano, ora senza riserbo, di dover riconoscere questi stessi periodi come patologici. In un caso osservato recentemente, i familiari, che prima avevano avuto una consultazione con me, negavano decisamente ogni traccia di una tale esaltazione. Quando però interrogai la paziente stessa, questa rispose con visibile sollievo: “Ah, temo queste terribili eccitazioni interiori ancor più della Melancolia stessa; cerco di nasconderli ai miei familiari con tutte le mie forze”.

Ho fatto simili osservazioni con una tale frequenza, da ritenermi autorizzato ad avere la supposizione che, a dir poco, la grande maggioranza dei casi ritenuti abitualmente come melancolie periodiche, oppure stati depressivi periodici, appartenga in realtà alla forma circolare della Cyclothymia di Kahlbaum. Per questo era per me di grandissimo interesse apprendere dalla più recente edizione del manuale di Kraepelin (edizione 1896 n.d.t.), che anche lui riteneva gli stati depressivi periodici come un disturbo non frequente, ammettendo addirittura la possibilità che un certo numero dei casi, da lui stesso definiti tali, fossero in realtà da attribuire alla “pazzia circolare”.

Recentemente Kurella ha riportato in tedesco uno scritto del professor Lange (Kopenhagen) con il titolo “Stati depressivi periodici e la loro patogenesi sulla base della diatesi urica”. Qui l’autore asserisce di avere osservato che gli stati depressivi, da lui dettagliatamente descritti, erano particolarmente frequenti “più frequenti che l’epilessia e l’isteria e tutte le forme di nevralgie prese insieme”. Proprio questa osservazione mi ha suscitato il sospetto che anche nelle osservazioni di Lange si tratti di cyclothymie, nelle quali lo stadio di eccitazione sia sfuggito all’autore.

La coincidenza completa, fin nel minimo particolare dei sintomi dello stato descritto da Lange, con quelli dello stadio depressivo della cyclothymia, eleva la mia supposizione quasi a certezza, soprattutto perché anch’io stesso posso solo confermare il dato di fatto che la cyclothymia, soprattutto nei tipi di percorso lievi, è sorprendentemente frequente e rappresenta un contingente inusualmente grande nella consultazione psichiatrica. Di particolare importanza inoltre è anche il fatto che certi pazienti cerchino il medico non a causa del loro reale stato psichico, bensì in un primo momento per lamentare una serie di sintomi somatici, senza porre il peso principale sulla depressione, che essi vedono solo come conseguenza dei disturbi somatici di cui soffrono.

Così accade poi che anche lo stadio depressivo della Cyclothymia venga spesso misconosciuto e che i pazienti vengano (come rileva anche Lange) ritenuti ingiustamente nevrastenici. Dato che la giusta impostazione della diagnosi è proprio in questi casi di particolare significato per il trattamento, ritengo importante che ogni medico, anche se non interessato ad una attività psichiatrica, familiarizzi con questo disturbo in particolar modo con le sue forme più lievi. La seguente descrizione dovrebbe fornire una certa base.

Sintomatologia

Il sintomo principale e fondamentale dello stato depressivo della Cyclothymia è l’inibizione psichica, e la mancanza allo stesso tempo di ogni idea delirante e di allucinazioni, ed una marcata, anche se non sempre correttamente interpretata, consapevolezza di malattia.

I malati si lamentano, in primo luogo e spesso, del completo appiattimento dei loro pensieri e delle loro sensazioni, del fatto di aver perso la capacità di lavorare intellettualmente e di divertirsi. Hanno l’impressione di non essere più in grado di fare qualsiasi cosa, di fare tutto sbagliato. Si lamentano della loro indifferenza nei confronti delle cose e delle persone che fino ad allora stavano loro molto a cuore. Descrivono il loro stato come quello di un indurimento interno di una pietrificazione, come se fra loro ed il mondo fosse stato tirato uno spesso sipario o eretto un muro. Ogni decisione diventa difficile, ogni azione diventa un tormento. Devono essere spinti a tutte le azioni che compiono. Preferibilmente non vorrebbero frequentare nessuno ed evitano tutti i conoscenti per il timore di dover affrontare un discorso. Alcuni vorrebbero restare a letto tutto il giorno per sottrarsi a qualsiasi dovere. Altri riescono invece, nonostante i disturbi vivamente percepiti, a controllarsi esteriormente al punto da non far accorgere di nulla l’ambiente sociale più esterno. Una volta iniziato a lamentarsi con tale ambiente, vengono ritenuti inevitabilmente nient’altro che malati immaginari. Questo giudizio appare ai profani maggiormente giustificato quando, come non raramente accade, vi sono singoli sintomi dello stadio di eccitazione che temporaneamente si mischiano nella fase depressiva.

Esiste un sintomo particolarmente in contrasto con quell’apatia ed indifferenza denunciata dal malato: ovvero una spiccata tendenza e capacità di criticare. Questi pazienti vedono e notano tutto e sentono, al contrario dei veri melancolici, mille piccole cose come inopportune e fastidiose. Si lamentano di imperfezioni nell’arredamento della stanza di degenza, del cibo, del servizio, anche se non sempre senza motivo, ma ciò, in contrasto con l’indifferenza da loro lamentata nei confronti del mondo esterno.

Generalmente i pazienti percepiscono il loro stato come estremamente tormentoso e si impadronisce di loro un grande scoraggiamento e disperazione; credono fermamente che non guariranno mai, anche se hanno superato felicemente altri attacchi del genere, perché “così grave” secondo loro “non era mai stato!”

Abbattimento e tristezza che si riferiscono, si noti bene, sempre solo al loro stato e solo secondariamente si sviluppano da questo, di solito si esprimono con crisi inarrestabili di pianto, e ogni tanto vi si accompagnano anche stati di ansia.

Quasi in tutti i casi, anche lì, dove non ci si sarebbe aspettato, a causa dell’aspetto del paziente e del relativamente lieve grado di umore melancolico, ho potuto constatare una tendenza più o meno intensa verso pensieri suicidi, in tale estensione come non ho osservato in altre forme di malinconia. Questa tendenza non è da considerare sempre innocua, nemmeno nei casi lievi. Inoltre mi accorsi, che i malati si sentivano molto sollevati quando potevano esprimersi apertamente riguardo a questo sintomo così particolarmente doloroso.

Osservando questo stato viene in mente involontariamente il paragone con una macchina, nella quale si è prosciugato l’olio, così che gli ingranaggi si muovano solamente con fatica e difficoltà e si strofinino a vicenda fino a raggiungere il dolore.

In contrasto con questo, la macchina appare eccessivamente lubrificata nello stadio dell’eccitazione, funzionante al massimo, così che tutte le sue funzioni si adempiono con una facilità fuori dalla norma, e specialmente nei casi lievi (dei quali soprattutto parlo qui) senza che si osservi una rilevante deviazione qualitativa.

Kahlbaum ha definito questo stato, in contrapposizione alla Dysthymia, come Hyperthymia, per il fatto che la Gemüthsstimmung elevata oltre la norma forma il sintomo fondamentale dal quale scaturiscono tutti gli altri.

Kraepelin usa l’espressione Hypomania e coglie forse con questa, allo stesso modo di Schüle con la sua definizione della mania mitis e mitissima, le forme un po’ più marcate (di eccitazione n.d.t.) le quali presentano con maggiore chiarezza le caratteristiche della nota folie raisonnante e della mania sine delirio.

In contrasto alla inibizione sentita precedentemente, il corso del pensiero è ora più veloce, la percezione di impressioni esterne è più immediata e più facile, così che il paziente appare più intelligente, più spiritoso e più divertente rispetto ai giorni di normalità.

Oltre all’aumentata capacità di criticare, si presenta ora addirittura, – come sintomo particolarmente evidente – che come già menzionato può manifestarsi anche nello stadio depressivo, una tendenza a criticare, che può diventare così forte, da essere sentita come molesta persino dal malato stesso. Questa si imprime spesso sul loro volto in una singolare espressione di derisione e di scherno.

L’elevata vivacità mentale comporta nella maggioranza dei casi un’operosità irrequieta, ed un impulso all’attività che si sviluppa nelle più svariate direzioni.

Nello stesso tempo non è solo la resistenza dei pazienti, che appare maggiore rispetto ai giorni di normalità, ma anche le loro capacità sono decisamente incrementate in svariate direzioni. Molti, per esempio, che normalmente erano musicalmente poco dotati ed avevano una voce modesta, cantano ora, non solo particolarmente volentieri, bensì anche con una migliore intonazione della voce ed un’espressione più vivace, altri dimostrano nei lavori di cucito, e nel modo di vestirsi, una destrezza ed un gusto che precedentemente non possedevano. Altri ancora manifestano, insieme ad un intenso desiderio di scrivere, una dote letteraria a loro altrimenti estranea.

Tutte queste caratteristiche sono, come già accennavo, l’espressione dell’umore espansivo, che di regola investe il paziente improvvisamente. Egli, tutto a un tratto, vede la vita dal lato “roseo”, ma sente contemporaneamente anche il desiderio di fare partecipare gli altri alla sua gioia, di aiutare il suo prossimo e sviluppa una solerte attività che non raramente porta dei frutti sul piano della beneficenza e degli interessi umanitari.

Ha probabilmente a che fare con questo, un’osservazione che feci troppo spesso, per poterla definire una coincidenza, cioè che un gran numero di infermiere, in organizzazioni religiose o laiche, soffrono di Cyclothymia di grado leggero.

Mentre il paziente si mostra non di rado di un’amabilità affascinante nei confronti degli estranei, amabilità che in certi casi porta leggeri tratti erotici, – uno dei miei pazienti, per esempio, si fidanzava ogni volta nella fase di eccitazione per poi rompere il fidanzamento sempre nella conseguente fase depressiva – spesso a casa o in ambiente diventato familiare (come in clinica) prende il sopravvento l’irritabilità contemporaneamente presente. Questa irritabilità si manifesta con una sorprendente intolleranza, accompagnata dalla tendenza a creare disaccordi, a complottare, minacciare e comandare, così che molti di questi pazienti diventano degli ospiti sgradevoli.

Appare completamente comprensibile che questo stato, quando è appena accennato, non venga riconosciuto dall’ambiente circostante e venga considerato come piena salute mentale. Laddove però questo stesso stato si sviluppi ulteriormente e diventi più completo, appaiono una serie di sintomi così marcati, che, anche per il profano, non sussiste più il dubbio dell’esistenza di una malattia: compulsione a comprare e dissipare denaro, tendenza a compiere scherzi esaltati ed azioni eclatanti (azioni che il malato sa difendere come “naturali” con l’aiuto di una grande dialettica), una autostima abnormemente elevata, che tende a voler mettere in risalto la propria persona, una vanità esageratamente messa in mostra (per esempio di portare onorificenze in occasioni inadeguate fino addirittura all’appropriazione illegale di titoli).

Mi è capitato varie volte di osservare pazienti con uno stadio di eccitazione cyclothymica così intenso da essere stati ritenuti, da profani o anche da medici, come dei paralitici (affetti da paralisi progressiva luetica n.d.t.). Questo errore appare ancor più comprensibile se ricordiamo il fatto che – come stigma dell’incidenza ereditaria – in molti dei nostri pazienti sussiste, benché spesso solo leggermente accennato, un “difetto morale” con tendenza alla menzogna, al bere, a frequentare ambigue compagnie, etc.

Nella maggior parte dei casi, però, mantengono una grande capacità di controllo verso l’esterno e conservano una piena ragionevolezza, così che anche in casi gravi, per un estraneo, è difficile la corretta valutazione di questo stato.

Per il medico specialista in materia, è naturalmente possibile, in molti casi, fare una diagnosi di cyclothymia sia nello stato depressivo come in quello di esaltazione anche senza conoscere la storia della malattia del paziente.

Anche Kraepelin ha fatto la stessa osservazione, sbagliando la diagnosi solo raramente come lui stesso asserisce (p. 645).

Dei sintomi somatici che accompagnano la cyclothymia risaltano, nello stadio depressivo, prescindendo da frequenti cefalee, una sensazione di compressione nella testa e nel torace, una sensazione di vuoto nella testa, uno stato generale di debolezza e di fiacchezza e soprattutto si nota un afflosciamento e un decadimento dei tratti del viso, che spesso non dipende solamente dal contemporaneo dimagrimento.

In particolare, i capelli diventano flosci e perdono lucentezza, le punte dei baffi pendono verso il basso mentre con l’inizio dello stadio di eccitazione sia i tratti del viso che il portamento tornano tonici ed espressivi (ho già menzionato sopra il tratto critico) e i baffi – contemporaneamente alla ritrovata attenzione per la cura del corpo e la toilette – riassumono la posizione naturale con le punte rivolte verso l’alto.

In due dei miei pazienti era questo sintomo ad indicarmi con infallibile certezza, come uno stereotipo, l’inizio dello stadio di eccitazione.

In generale è caratteristico che le singole fasi della malattia si introducano spesso attraverso gli stessi apparentemente piccoli sintomi, così che dal loro riapparire si possa, già qualche tempo prima, riconoscere e prevedere l’arrivo del viraggio della situazione.

Il sonno si svolge diversamente nei due stadi. Molti dei malati in fase depressiva sono affetti da una vera e propria dipendenza dal sonno, altri, particolarmente coloro che sono afflitti da stati d’ansia, soffrono di insonnia. Lo stesso vale per i periodi di eccitazione nei quali certi pazienti presentano un facile svolgimento di tutte le funzioni vegetative (appetito e digestione) ed hanno un sonno eccellente, mentre altri passano le notti quasi insonni a causa di irrequietezza e di una spinta all’iperattività, oppure si svegliano nelle prime ore del mattino, senza però avvertire alcuna stanchezza.

La durata dei singoli periodi è estremamente variabile. In singoli – più rari – casi, depressione e eccitazione si alternano di giorno in giorno, in altri, ogni singolo stadio dura molti mesi – o addirittura anni –; in certi casi i singoli periodi hanno sempre la stessa durata, in altri ancora, non sussiste nessuna regolarità; talvolta per anni vi sono nello stesso caso solo stadi depressivi, e poi si riafferma l’esaltazione.

Anche nella Cyclothymia si insinua quasi sempre, fra i due stadi, un intervallo di durata variabile. Di particolare importanza è il fatto che, all’interno dei lunghi periodi, si mostrano, non di rado, piccole oscillazioni giornaliere dell’umore. In particolare, sono caratteristici i miglioramenti serali dell’umore durante la depressione.

Vi sono però anche casi, sui quali Kraepelin attira particolarmente l’attenzione, nei quali temporaneamente “le manifestazioni depressive e quelle di eccitazione, si mescolano in modo indistinguibile, nei quali i singoli sintomi dei diversi stadi compaiono contemporaneamente l’uno accanto all’altro”.

Casi del genere non sono naturalmente sempre facili da interpretare, ma, con un’osservazione adeguatamente lunga, si arriverà sempre alla giusta diagnosi, perché i sintomi della nostra malattia sono così caratteristici in entrambi gli stadi, da non poter essere equivocati se si ha sufficiente esperienza e, anche perché, le singole fasi tendono comunque a riapparire di tanto in tanto nella loro forma pura.

Diagnosi differenziale

Quando si ha l’occasione di osservare entrambi gli stadi della malattia in un paziente, non vi è praticamente possibilità di sbagliare la diagnosi. Nel caso in cui si vede il paziente solo nello stadio depressivo, e i dati anamnestici non offrono chiarimenti, dovremmo porci la domanda se si tratti di una Melancolia genuina, una Melancolia Iniziale (inizio di un disturbo psicotico n.d.t.), oppure dello stadio depressivo della Cyclothymia. A favore della cyclothymia, parla “il più forte manifestarsi dell’inibizione paragonata all’umore triste e ansioso del melancolico” (Kraepelin p. 581), la mancanza di idee deliranti, in particolar modo quelle di carattere persecutorio e di colpa, inoltre l’esordio improvviso, senza preavvisi, come è caratteristico della Melancolia comune, il sonno eccessivo osservato in molti pazienti, mentre i pazienti affetti da Melancolia genuina dormono sempre male (Kraepelin p. 575), e ancora l’età giovanile di esordio del disturbo, e ancora “il rapido e benigno decorso del singolo attacco, ma soprattutto, il manifestarsi di sintomi maniacali, sia in accenni passeggeri, sia in episodi franchi”. Come tali si intendono le sopra citate forti remissioni serali ed il subentrare di leggere eccitazioni, e soprattutto il bisogno di criticare durante la depressione. Particolarmente caratteristica è, inoltre, in certi casi, la sorprendente tendenza al suicidio.

È stato sopra accennato come, occasionalmente, la Cyclothymia venga diagnosticata come Dementia paralitica. Anche quest’ultima presenta uno stadio prodromico melancolico con vaghi sintomi depressivi. A questi però si aggiungono molto presto le caratteristiche manifestazioni di debolezza e incapacità di critica, completamente in contrasto con la Cyclothymia. Allo stesso modo si manifestano chiaramente questi sintomi nello stadio di eccitazione della paralisi progressiva.

I casi lievi di Cyclothymia con modica eccitazione vengono non raramente scambiati per Hysterie, specialmente quando i singoli stadi si susseguono rapidamente ed in alternanza irregolare, o addirittura si mescolano.

Si pensa, in questi casi, di trovarsi davanti agli immotivati cambi di umore degli isterici, e si scambiano le leggere carenze morali, e specialmente i tratti erotici, per segni specifici di questa malattia, in accordo alla sempre diffusa falsa visione della reale essenza dell’Hysteria.

La mancanza completa dei sintomi cardinali dell’isteria, ovvero le anestesie, i crampi, le paralisi, l’aumento della suggestionabilità, etc. fornisce un facile chiarimento sulla diagnosi.

Lo scambio dello stadio depressivo della Cyclothymia con la Nevrasthenia, può avvenire in casi poco marcati.

Nella maggior parte dei casi, i sintomi psichici del nostro disturbo predominano così fortemente nella loro particolarità, che la diagnosi appare presto evidente.

La presenza di idee ossessive e di fobie indica sempre la nevrastenia.

Particolarmente decisivo per la Cyclothymia è, naturalmente, la periodicità, o ancor più il decorso circolare.

Quando Loewenfeld nel suo noto manuale, sotto il nome di “nevrasthenia ereditaria”, tratta una forma periodica di questa malattia, vi è secondo me, uno scambio con la Cyclothymia, tanto più che la Etiologia della Cyclothymia è, quasi senza eccezioni, da ricondurre ad un fattore ereditario.

Se parallelamente, come cerca di dimostrare Lange nel suo trattato, abbia anche un ruolo la diatesi urica, non sono ancora in grado di decidere per il fatto che le mie osservazioni non si erano rivolte in questa direzione fino ad ora.

Di alcuni dei casi da me trattati, so comunque casualmente che erano affetti da gotta (ereditaria) e coliche renali. Naturalmente farò in seguito particolare attenzione a questo fatto.

Come è noto alcuni autori francesi presentano la diatesi urica come una delle più frequenti cause della Nevrastenia. Sarebbe possibile, riguardo al già menzionato scambio frequente degli stati di depressione cyclothymica con la Nevrastenia, che nei casi osservati sia avvenuto un tale errore. La teoria di Lange acquisirebbe nuovo credito attraverso questa supposizione.

Per quel che riguarda la Prognosi della Cyclothymia, ritengo che non sia completamente sfavorevole. In primo luogo avvengono (come anche nelle altre forme cicliche) remissioni che durano decenni. Ma soprattutto riesce non raramente, secondo la mia esperienza, a diminuire l’intensità degli attacchi attraverso un trattamento mirato.

Di particolare importanza prognostica è naturalmente il dato di fatto che si possa escludere con certezza l’esito in indementimento.

Trattamento

È già stato evidenziato sopra che solo una minima parte dei nostri pazienti si trovi ricoverata in ospedali chiusi. Solo i casi veramente gravi, che mostrano una marcata tendenza al suicidio, oppure stadi di eccitazione tendenti a gravi eccessi, dovranno essere affidati all’ospedale psichiatrico.

Dato però il fatto che i pazienti reagiscono, irritati dalla costrizione, con eccessi ancor maggiori, è consigliato concedere loro possibilmente un trattamento in uno stato di libertà, e non trattenerli troppo a lungo. Gran parte dei cyclothymici trova accoglienza nelle strutture private per malati di nervi; la grande maggioranza cerca il trattamento in consultazioni psichiatriche. Come già menzionato, gli ammalati, nello stadio depressivo, cercano in primo luogo aiuto medico.

Secondo la mia esperienza non è benefico per il decorso e per l’esito generale, il tentativo di accorciare la durata dello stadio depressivo, attraverso il cosiddetto strappare il malato dal suo stato. La conseguenza di un tale procedimento è solamente quella di una più forte spinta verso l’esaltazione. Proprio la maggior possibile limitazione di quest’ultima (l’eccitazione) ritengo sia il compito principale del trattamento.

A questo scopo si dovrebbe usare lo stadio depressivo per informare il malato riguardo alla vera essenza del suo disturbo. In questo modo si mette il paziente nella condizione di controllarsi meglio già all’inizio dello stadio di esaltazione, così da poter poi reprimere l’eccitazione.

In altri casi è chiaro che il paziente, liberato dalla morsa della depressione, voglia ora godersi la vita, ed ho osservato abbastanza spesso, come medici e parenti lo abbiano, a suo discapito, vivamente sostenuto in questo.

Nello stadio di esaltazione si dovrebbe cercare di proteggere con tatto il malato da un ulteriore aggravarsi dell’eccitazione, circondandolo della maggior quiete possibile, senza costrizioni, sgombrando il campo da tutti gli stimoli provenienti dall’esterno, e attraverso conversazioni amichevoli.

In questo modo si influenzerà favorevolmente il decorso generale, e si otterranno risultati relativamente soddisfacenti.

Attraverso una metodica cura a base di oppio nella depressione, la galvanizzazione del Simpatico, e bagni tiepidi in entrambi gli stadi, è possibile rinforzare il trattamento in modo efficace.

Anche attraverso l’impiego dell’ipnosi ho a volte riscontrato un effetto benefico su sintomi singoli particolarmente dolorosi in casi di depressioni lievi.

Commento dell’articolo

È sorprendente la modernità e l’attualità di questo lavoro di Hecker sulla Cyclothymia, pubblicato più di un secolo fa. Con tale termine Hecker, in accordo con Kahlbaum, indica quasi tutto lo spettro bipolare attuale, dalle più leggere oscillazioni “cyclothymiche” dell’umore, sino alle gravi manie che necessitano il ricovero (forme bipolari I) e gli stati affettivi misti. Va ricordato che anche Kurt Schneider (8) usava il termine Cyclothymia al posto di Malattia Maniaco-Depressiva. Probabilmente la storia della nosologia e la clinica dei disturbi dell’umore sarebbero state diverse se anche Kraepelin avesse usato il termine di Cyclothymia nello stesso modo. Termine che indica chiaramente la natura ciclica dei disturbi dell’umore (da kyklos = ciclo, circolo e thymos = animo, sentimento, coraggio) e sottintende meglio l’omogeneità dei disturbi leggeri e dei disturbi gravi dell’umore; omogeneità che Kraepelin esprime bene nella ottava edizione (9) del suo libro ma il nome di Follia Maniaco Depressiva non implica. Forse non lo ha fatto per non entrare nella ingarbugliata questione della Vesania typica circularis (7), una forma bipolare grave con esito in indementimento, sulla quale Kahlbaum ha molto insistito. Un’altra ragione potrebbe essere che Kahlbaum e Hecker con il termine di Cyclothymia enfatizzavano maggiormente le forme bipolari più leggere pur includendo quelle che oggi si chiamano bipolari I. Nei decenni successivi il termine cyclothymico significò sempre più le forme leggere fino al grado di temperamento cyclothymico (10). L’essenziale unità fra forme leggere e forme bipolari gravi è stata rivalutata negli ultimi anni per opera di molti autori soprattutto di Hagop Akiskal (11) nel concetto di Spettro Bipolare. Questo grande ritardo avrebbe potuto essere evitato.

Il lavoro di Hecker, infatti, si concentra soprattutto sulle forme depressive alternate a modiche o leggere ipomanie (oggi chiamate forme bipolari II) e sulle forme caratterizzate dall’alternarsi di leggere eccitazioni e leggere depressioni (cyclothymia attuale). Anzi con grande intuito clinico, riconosce l’intimo rapporto tra queste due forme (12). Come era abitudine nell’Ottocento, Hecker non fornisce dei numeri, ma è chiaro che alcuni dei suoi casi erano dei rapidi ciclici e molte depressioni erano miste.

Oltre alla magnifica descrizione clinica e alle profonde osservazioni psicopatologiche, ancora oggi di grande interesse, Hecker affronta un problema cruciale all’epoca di Kraepelin (13), ma ancora più importante oggi: la vera natura delle depressioni periodiche (melancholie periodiche) dette oggi anche unipolari o Depressioni maggiori ricorrenti. In accordo con Kraepelin afferma che “a dir poco, la grande maggioranza dei casi ritenuti abitualmente come melancolie periodiche, oppure stati depressivi periodici, appartenga in realtà alla forma circolare della Cyclothymia di Kahlbaum” sono cioè delle depressioni bipolari. Saggiamente consiglia che anche i medici non psichiatri dovrebbero familiarizzare con questo disturbo. In effetti, oggi tutti i medici curano le depressioni ma con varia fortuna perché hanno familiarizzato con gli stati depressivi ma non con la bipolarità.

La storia dello sviluppo nosologico dei disturbi dell’umore negli ultimi decenni conferma questa osservazione di Hecker. Quaranta anni fa si pensava che la grande maggioranza delle depressioni fossero unipolari. Oggi è stata rivalutata l’importanza delle ipomanie, anche le più leggere, e le diagnosi di depressione bipolare sono in continuo aumento. La questione è della massima importanza clinica dato l’esteso uso attuale degli antidepressivi. Molti autori sostengono che l’azione stimolante degli antidepressivi aumenti la frequenza e l’intensità delle ricadute in pazienti bipolari, anche leggeri (14) (15). Molti consigliano l’uso degli stabilizzatori dell’umore ed, in effetti, tale uso è molto aumentato recentemente.

Su questo piano della terapia e della stabilizzazione dell’umore, Hecker precede anche le acquisizioni recenti più d’avanguardia. “Secondo la mia esperienza non è benefico per il decorso e per l’esito generale, il tentativo di accorciare la durata dello stadio depressivo, attraverso il cosiddetto strappare il malato dal suo stato (depressivo). La conseguenza di un tale procedimento è solamente quella di una più forte spinta verso l’esaltazione. Proprio la maggior possibile limitazione di quest’ultima (l’eccitazione) ritengo sia il compito principale del trattamento”. È sorprendente che Hecker, prima dell’esistenza di sostanze antidepressive, abbia fatto simili osservazioni ed abbia avuto una simile intuizione. È osservazione comune, oggi, vedere ipomanie e manie indotte dalle cure antidepressive, come anche la rapida ciclicità, gli stati misti e la cronicizzazione della malattia (16) (17). La maggioranza degli psichiatri ancora non accetta che simili effetti sul decorso dei disturbi dell’umore siano indotti dagli antidepressivi ma crede che anche questi sviluppi siano parte del decorso naturale della malattia (18).

Sono molto acute anche le osservazioni riguardo la diagnosi differenziale tra la Cyclothymia e l’Hysteria. Oggi tale problema è di grande attualità perché molti stati misti e disturbi cyclothymici e rapidi o ultrarapidi ciclici vengono erroneamente diagnosticati e trattati come disturbi di personalità, specialmente come Borderline (19).

La modernità di Hecker si vede anche nella sua raccomandazione di un trattamento più libero possibile, senza costrizioni per il malato.

Dal punto di vista storico va notato che questo lavoro, pubblicato nel 1898 dopo la quinta edizione del trattato di Kraepelin (1896) (20), alla quale Hecker fa vari riferimenti, anticipa la sesta edizione (1899) nel costruire un’entità bipolare, la Cyclothymia, simile alla maniaco-depressiva di Kraepelin della sesta edizione (13) escludendo le depressioni unipolari.

Non si può non ricordare che il lungo percorso nosologico della forma circolare (bipolare), cominciato con Griesinger (1845) (21) e Falret (1851) (22) e proseguito con l’opera geniale di Kahlbaum (23), si conclude nella sesta edizione di Kraepelin nel 1899 (13) con la formulazione delle due distinte entità: la Dementia praecox e la Malattia maniaco depressiva. Questa classificazione nosologica, che è ancora la nostra, fu possibile grazie al metodo clinico di Kahlbaum basato non solo sul quadro clinico ma soprattutto sul decorso ed esito delle varie sindromi. Nello stesso anno 1899, quando la sua opera raggiungeva il risultato più alto, moriva Kahlbaum. Un percorso straordinario, non raro nell’Ottocento ma unico nella storia della psichiatria.

Kahlbaum ha scritto molto poco perché la cura dei pazienti nella sua clinica non gli lasciava molto tempo per la ricerca (24). I suoi scritti forniscono l’impianto teorico del suo metodo e della sua classificazione, ma con la sola eccezione della Catatonia (2), non forniscono descrizioni cliniche delle varie forme cliniche da lui proposte.

Hecker con la descrizione clinica della Hebephrenia (1) e della Cyclothymia ha grandemente contribuito alla diffusione del pensiero di Kahlbaum. È da rimpiangere il fatto che Kahlbaum illudendosi di trovare il tempo per scrivere i lavori clinici lui stesso, non abbia accolto l’offerta di Hecker (con l’importante eccezione del lavoro sulla Hebephrenia e di pochi altri) di scrivere e pubblicare più estesamente sul pensiero di Kahlbaum e sulle loro comuni osservazioni.

Sia Kalhbaum sia Hecker non diventarono docenti universitari, e questo forse spiega la poca influenza che ha avuto la loro opera durante la loro vita. La validità del loro pensiero superò tali limiti, influenzò il pensiero di Kraepelin e tutta la psichiatria ed è tuttora la base della nostra nosografia.

Il loro esempio potrebbe essere utile a tutti quei giovani psichiatri che non possono trovare una adeguata posizione accademica. Anche loro, in ambiti più ristretti, pubblici o privati, possono dare validi contributi alla psichiatria.

Ringraziamento

Si ringrazia l’amica Julia Bracchi per la sua preziosa collaborazione nella traduzione del lavoro di Hecker.

Nota lessicale

Le parole Cyclothymia, cyclico, Dysthymia, Hyperthymia, Hebephrenia, Hysteria sono state riportate come scritte da Hecker, e nel modo in cui, anche oggi, vengono scritte nelle principali lingue occidentali. I traduttori hanno fatto questa scelta anche perché tale modo rispetta la grafia originale delle parole greche.

1 Hecker E. Die Hebephrenie. Virchows Archiv für pathologische Anatomie und physiologie und für klinische Medizin 1871;52:67-80.

2 Kahlbaum KL. Die Katatonie. Berlin: Kirschwald 1874.

3 Hecker E. Zur Begruendung des klinischen Standpunkts in der Psychiatrie. Virchows Archiv für pathologische Anatomie und physiologie und für klinische Medizin 1871;52:203-18.

4 Baethge C, Salvatore P, Baldessarini RJ. Cyclothymia, a circular mood disorder. Hist Psychiatry 2003;14:377-99.

5 Hecker E. Über larvirte und abortive Angstzustaende bei Neurasthenie. Zentralblatt für Nervenheilkunde und Pschiatrie 1893;16:565-72.

6 Hecker E. Die Behandlung der Schlaflosigkeit. Zeitschrift für praktische Aerzte 1897;6.

7 Kahlbaum KL. Ueber cyklisches Irresein. Der Irrenfreund – Psychiatrische Monaschrift für praktische Aerzte 1882;24:145-57.

8 Schneider K. Klinische Psychopathologie. Stuttgart: Thieme Verlag 1962.

9 Kraepelin E. Psychiatrie. Leipzig: JA Barth 1913.

10 Brieger P, Marneros A. Dysthymia and Cyclothymia: historical origins and contemporary development. J Affect Disord 1997;45:117-26.

11 Akiskal HS, Pinto O. The evolving bipolar spectrum. Prototypes I, II, III, and IV. Psychiatr Clin North Am 1999;22:517-34.

12 Koukopoulos A. Ewald Hecker�s description of cyclothymia as a cyclical mood disorder: its relevance to the modern concept of bipolar II. J Affect Disord 2003;73:199-205.

13 Kraepelin E. Psychiatrie. Leipzig: JA Barth 1899.

14 Kukopulos A, Reginaldi D, Laddomada P, Floris G, Serra G, Tondo L. Course of the manic-depressive cycle and changes caused by treatment. Pharmakopsychiatr Neuropsychopharmakol 1980;13:156-67.

15 Wehr TA, Goodwin FK. Can antidepressants cause mania and worsen the course of affective illness? Am J Psychiatry 1987;144:1403-11.

16 Koukopoulos A, Sani G, Koukopoulos AE, Minnai GP, Girardi P, Pani L, et al. Duration and stability of the rapid-cycling course: a long-term personal follow-up of 109 patients. J Affect Disord 2003;73:75-85.

17 Koukopoulos A. Agitated depression as a mixed state and the problem of melancholia. Psychiatr Clin North Am 1999;22:547-64.

18 Altshuler LL, Post RM, Leverich GS, Mikalauskas K, Rosoff A, Ackerman L. Antidepressant-induced mania and cycle acceleration: a controversy revisited. Am J Psychiatry 1995;152:1130-8.

19 Akiskal HS, Chen SE, Davis GC, Puzantian VR, Kashgarian M, Bolinger JM. Borderline: an adjective in search of a noun. J Clin Psychiatry 1985;46:41-8.

20 Kraepelin E. Psychiatrie. Leipzig: JA Barth 1896.

21 Griesinger W. Pathologie und Therapie der psychischen Krankheiten. Struttgart: Adolf Krabbe Verlag 1845.

22 Falret JP. Marche de la folie. in: Gazette Des Hospitaux. Paris: 1851.

23 Kahlbaum KL. Die Gruppierung der psychischen Krankheiten und die Eintheilung der Seelenstoerungen. Danzig: Kafemann 1863.

24 Hecker E. Karl Ludwig Kahlbaum. Psychiatrische Wochenschrift 1899;1:125-8.