Le psicosi acute: una catamnesi a 10 anni

Acute psychoses: a 10-year follow-up

E. Rasore, U. Menichini, P. Fornaro, F. Gabrielli

Dipartimento di Neuroscienze, Oftalmologia e Genetica, Sezione di Psichiatria, Università di Genova

Key words: Acute psychoses • 10-years follow-up
Correspondence: Prof. E. Rasore, largo R. Benzi 10, 16132 Genova, Italy – Tel. +39 010 3537668

Introduzione

L’evento psicotico acuto ha sempre presentato difficoltà di definizione ed interpretazione sotto il profilo diagnostico, prognostico e terapeutico. La sintesi dello sviluppo storico del pensiero psichiatrico su questo argomento (1) evidenzia come già in epoca pre-kraepeliniana fosse stata proposta da autorevoli psichiatri, come Haslam, Esquirol, Westphal e Kraft-Ebing, una collocazione nosografica autonoma per i disturbi psicotici ad acuta insorgenza e buona prognosi, e come Kraepelin fosse invece orientato a considerare questi quadri come forme iniziali acute di dementia praecox o stati misti in cui coesistevano sintomi affettivi e psicotici produttivi. Analoga impostazione era stata proposta da Bleuler con le Schizofrenie ad esordio acuto. Fu comunque la scuola psichiatrica francese, da Magnan fino ad Ey, a sostenere nuovamente l’autonomia nosografica dei “deliri acuti” con la sistematizzazione di una Sindrome delirante-allucinatoria acuta con screzio confusionale, poi più frequentemente denominata Bouffèe delirante acuta. La psichiatria tedesca del Novecento, con Kleist, Leonard, Weitbrecht, e Mayer-Gross, descrisse come Psicosi cicloidi, Psicosi degenerative atipiche, Stati crepuscolari episodici quadri clinici, simili alle bouffèes deliranti acute, caratterizzati da crisi deliranti accessuali e concomitanti alterazioni dello stato di coscienza e dell’affettività.

L’importanza dell’elemento reattivo in queste forme, denominate per questo anche Psicosi psicogene o reattive, venne sottolineata dalla scuola scandinava di Wimmer, Faegerman e Stromgren, e in studi poi ripresi negli USA da Meyer. Sulla stessa scia si pone la distinzione di Langfeldt tra schizofrenia ad andamento processuale cronicizzante e Disturbi schizofreniformi, ad andamento acuto e prognosi favorevole. Quadri clinici riconducibili a questo contesto nosografico sono ancora la Psicosi schizoaffettiva (Kasanin, 1933) e la Psicosi isterica (Hollender e Hirsch, 1964).

Nel brusco e drammatico passaggio tra apparente normalità e malattia, caratteristico di un primo episodio psicotico acuto, e nel quale si possono verificare quelle condizioni così diverse che Ey sintetizzava nell’alternativa “follia di un momento o follia di un’esistenza”, si configurano tre possibili aree diagnostiche (2): un’esperienza delirante primaria, sintomatica dell’esordio schizofrenico; un episodio di mania o una depressione delirante o uno stato misto, rivelatori dell’esordio di malattia maniaco-depressiva; un episodio psicotico acuto non inquadrabile nell’ambito di una delle due psicosi precedenti e nel quale alcuni sintomi schizofrenici complicano una psicosi bipolare, venendo a costituire forme psicotiche intermedie frequentemente segnalate in letteratura (3) (4).

Dalla revisione della letteratura sulla prognosi del primo episodio psicotico acuto emerge una sostanziale variabilità: è possibile che lo scompenso rimanga l’unico nella storia del soggetto nel 10%-50% dei casi, con un rischio di ricaduta del 30-50% dei casi; l’evoluzione verso una psicosi schizofrenica riguarda il 20-60% dei soggetti, quello verso la psicosi affettiva il 10-25% (2). Indicativi ai fini prognostici sarebbero l’età di esordio e la precocità del trattamento: una psicosi acuta esordita prima dei quindici anni evolve nella maggioranza dei casi verso la schizofrenia e la prognosi migliora progressivamente con l’elevarsi dell’età di esordio (5); quanto più lungo è stato il periodo di psicosi non trattata, tanto peggiore è la prognosi (6), anche perché un lungo periodo di psicosi non trattata è più compatibile con i quadri psicotici dove prevalgono sintomi negativi e subdoli (7).

Studi epidemiologici e catamnestici

Le difficoltà di inquadramento nosografico delle psicosi acute, non ancora superate nonostante l’introduzione dei manuali diagnostici internazionali, rendono controversi i dati circa la loro prevalenza e incidenza. In particolare confrontando studi americani ed europei si osserva nei primi un maggior utilizzo di diagnosi dello spettro schizofrenico rispetto alle categorie della psicosi reattiva e dei disturbi dell’area affettiva, più spesso impiegate, ad esempio, dagli AA. scandinavi (1). Un secondo problema non trascurabile riguarda la stabilità diagnostica visto che solo la valutazione catamnestica può confermare la diagnosi di “episodio psicotico acuto” o spostarla verso “quadri psicotici processuali”.

Studi condotti in Paesi diversi mostrano differenze significative nell’incidenza delle psicosi acute: dal 4% (8) fino al 25% (9) dei ricoveri totali, con una stabilità diagnostica a due anni limitata al 50-60% dei casi. In uno studio italiano l’incidenza di psicosi acute è risultata pari al 7,6% dei primi ricoveri, con una stabilità diagnostica inferiore al 26% (10).

In un follow-up a tre anni condotto in Inghilterra la stabilità diagnostica è risultata superiore, visto che solo per un terzo dei pazienti con iniziale diagnosi di psicosi acuta è stata fatta in seguito diagnosi di schizofrenia, senza significative differenze di stabilità diagnostica fra le diagnosi formulate secondo i criteri del DSM-III-R o dell’ICD-10 (11).

In una ricerca condotta negli USA, utilizzando in associazione i criteri diagnostici del DSM-III-R e dell’ICD-10, le psicosi brevi ad esordio acuto hanno mostrato un’incidenza del 3% tra i primi ricoveri per psicosi e una maggior frequenza nel sesso femminile (12); nei paesi in via di sviluppo l’incidenza delle psicosi acute sarebbe invece più elevata (13).

Studi di follow-up più recenti hanno evidenziato una correlazione positiva tra prognosi e mantenimento a lungo termine della terapia (14) e tra prognosi e precocità dell’inizio del trattamento (15), ma non tra prognosi e durata del periodo prodromico non trattato (16). Altre indagini di follow-up a tre anni su un ampio campione di pazienti con psicosi acuta al primo episodio hanno documentato una buona remissione nel 30-60% dei casi (17).

Anche se gli studi longitudinali possono fornire dati utili per una migliore comprensione e un più adeguato inquadramento delle psicosi acute, va segnalato che, per l’eterogeneità dei criteri diagnostici e nosografici utilizzati, gli studi sull’argomento forniscono risultati variabili e poco confrontabili, con l’eccezione di una maggiore omogeneità nel caso delle ricerche condotte negli USA sul disturbo schizofreniforme (18).

Aspetti psicodinamici

Searles, utilizzando la metafora del vaso di Pandora, ipotizza l’insorgenza dell’episodio psicotico acuto come risultato di una mancata integrazione di materiale emozionale urgente ed affettivamente pregnante: una liberazione esplosiva di spinte pulsionali, libidiche e distruttive, invadono così il campo psichico e vengono proiettate all’esterno, alla ricerca di nuovi oggetti da investire, situazioni nelle quali il delirio, paradossalmente, tenta di riportare ordine (19). Considerazioni sovrapponibili erano state anticipate da Nacht e Racamier (20). Secondo Searles molti scompensi psicotici acuti sono scatenati da circostanze che obbligano il paziente ad incontrare dolorose verità su se stesso e sui suoi rapporti con altri membri della sua famiglia: verità preziose, ma troppo repentine nella loro comparsa perché possano essere adeguatamente assimilate, cosicché l’Io regredisce, indietreggiando di fronte a questo vaso di Pandora scoperchiato. Quella che potrebbe essere una esperienza di conoscenza e di crescita, diviene invece talmente traumatica da condurre alla psicosi e da obbligare il paziente ad erigere contro di essa una serie di difese patologiche.

Il fallimento della differenziazione e del cambiamento, e, allo stesso tempo, il fallimento della possibilità di attingere ad un patrimonio di potenzialità, imprigionato nella psicosi, sembra che lasci solo l’alternativa tra confusione e catastrofe: di fatto però anche nelle manifestazioni più drammatiche della follia si possono ravvisare intenti e movimenti verso l’evoluzione e l’integrazione (21). Secondo Searles la “funzione psicodinamica della perplessità, della confusione, della diffidenza e degli stati mentali affini” si esprimerebbe nel tentativo di tenere al di fuori della coscienza affetti di intensità e qualità tali da risultare altrimenti intollerabili e capaci di sopraffare l’Io.

Se per Rosenfeld (22) la confusione, sperimentata dai pazienti psicotici, è considerata un retaggio delle prime esperienze percettive infantili, uno stato di non integrazione e di incompleta percezione di stimoli e di oggetti esterni ed interni che non possono essere differenziati, per Searles essa è piuttosto un’operazione attiva, attuata dall’Io a scopo difensivo. Dal livello difensivo, più arcaico e più oneroso, della perplessità-confusione, il paziente troverebbe una certa forma di sollievo nella semplificazione dei processi di pensiero prodotta dalla comparsa del delirio, che attenua, e poi spegne, la fonte precedentemente così attiva delle idee caotiche. Sovente tuttavia nelle psicosi acute le difese preliminari della perplessità-confusione risulterebbero meno efficaci e si instaurerebbe prontamente la difesa delirante.

Materiale e metodo

Sono stati selezionati i pazienti che avevano ricevuto alle dimissioni la diagnosi ICD-9 di “psicosi acuta”, tra tutti quelli ricoverati nel periodo dal Gennaio al Dicembre 1991, nei due reparti del Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell’Università e nel S.P.D.C. dell’Azienda Ospedaliera “S. Martino” di Genova. Per ognuno sono stati rilevati dalla cartella clinica i dati anagrafici, socio-familiari, anamnestici e clinici.

Per l’indagine catamnestica, effettuata a distanza di dieci anni dal ricovero, si è scelto, per ragioni etico-deontologiche, di non contattare direttamente i pazienti ma di ottenere dai medici curanti, ai quali erano stati affidati alla fine del ricovero di nostra osservazione, le notizie necessarie a valutare il successivo adattamento, gli eventuali nuovi ricoveri, le terapie e la diagnosi formulata.

Descrizione del campione

Il campione, 28 pazienti, il 3,3% del totale di 838 ricoverati, è composto da 13 uomini (46,4%) e 15 donne (53,6%), percentuali simili a quelle riportate in letteratura (10) (23), anche per quanto concerne la frequenza lievemente maggiore del sesso femminile.

Di seguito vengono esposti e commentati i dati socio-anagrafici e clinici relativi al campione all’epoca del ricovero.

Età

Il campione si caratterizza per la prevalenza di soggetti in età giovane-adulta (57,1% tra 21 e 40 anni), dato che non si discosta da quanto riportato in letteratura (10) (23).

Attività lavorativa

Un terzo dei pazienti risultavano disoccupati (32,1%), un terzo casalinghe o studenti (32,2%), i rimanenti svolgevano un’attività lavorativa (dati quasi sovrapponibili a quelli di nostre precedenti osservazioni sull’intera popolazione dei ricoverati nei reparti in cui è stata effettuata l’attuale osservazione) (24).

Precedenti psicopatologici familiari

L’anamnesi famigliare, positiva per psicopatologia in 11 pazienti (39,3%), e concernente in egual misura genitori e fratelli, riguardava, per la metà dei casi, disturbi psicotici (schizofrenia o psicosi affettive; in un caso suicidio del padre), per metà invece altri disturbi psichiatrici.

Modalità di ricovero

In 21 casi il ricovero è stato volontario, in 7 (25%) in regime di T.S.O., percentuale più elevata di quella (16,7%) riscontrata in indagini effettuate sull’intera popolazione dei ricoverati negli stessi reparti (25).

Durata del ricovero

La percentuale di ricoveri con durata non superiore a 14 giorni (67,8%) risulta più elevata rispetto precedenti rilevamenti sul totale dei ricoveri effettuati negli stessi reparti e nei quali prevalevano i ricoveri di almeno 30 giorni (24).

Precedenti ricoveri psichiatrici

Precedenti ricoveri psichiatrici sono segnalati in 12 casi (42,8%), percentuale inferiore a quella (63%) riscontrata da altri AA. (10).

Eventi stressanti significativi

Eventi di possibile significato psicotraumatico, tra i quali più frequentemente le malattie fisiche, le esperienze di lutto e le modificazioni rilevanti dello status sociale, sono stati segnalati nel 50% dei casi, una percentuale sovrapponibile a quella riferita da altri AA. (10) (26) (27).

Terapie praticate

L’impiego prevalente dell’associazione neurolettici-benzodiazepine, seguito dall’utilizzo dei soli neurolettici, è in accordo con i dati della letteratura (28)-(31). Le altre associazioni riflettono il rilievo di componenti affettive spesso concomitanti, o il sospetto di una possibile episodicità.

Affidamento post-ricovero

È ben comprensibile, data la gravità della psicopatologia, il prevalente affidamento ai Centri di Salute Mentale; può sembrare invece relativamente elevato il numero dei pazienti non segnalati, dato che appare però spiegabile sulla base delle condizioni socioambientali particolari di alcuni pazienti, dei quali quattro stranieri, e due senza fissa dimora.

La diagnosi ICD-10 formulata

Le diagnosi, riformulate secondo i criteri dell’ICD-10 sulla base dei dati ottenibili dalle cartelle cliniche e della diagnosi secondo i criteri dell’ICD-9 allora disponibili, hanno identificato in 17 casi (60,7%) disturbi dell’area schizofrenica e un numero elevato di “Psicosi acute transitorie non specificate”, formulazione diagnostica provvisoria di frequente impiego in tali eventi psicopatologici.

Risultati della catamnesi

Sono stati ottenuti dati catamnestici dai curanti ai quali erano stati affidatati al momento della dimissione o dai CSM di competenza territoriale, per 14 dei 28 dei pazienti reclutati, una percentuale (50%) relativamente elevata considerato il tempo di catamnesi (dieci anni) decisamente più protratto rispetto a quello (di 12-24 mesi) di altre ricerche citate in bibliografia. Dei pazienti per i quali non è stato possibile avere notizie catamnestiche, quattro risultavano stranieri di passaggio nella Città, due militari di leva residenti in altre Regioni; otto residenti a Genova o in zone limitrofe, dei quali 6, pur affidati alla struttura ambulatoriale, non vi si erano mai rivolti, forse anche per la rapida risoluzione del disturbo psicotico.

Durata del periodo delle cure ambulatoriali

Prevalgono nella casistica i pazienti che hanno avuto necessità di una lunga cura ambulatoriale. Dei pazienti non più in trattamento ambulatoriale al CSM, uno è passato ad assistenza ambulatoriale privata, uno ha raggiunto e mantenuto il benessere, due si sono trasferiti in altre Regioni; uno, infine, è deceduto.

Terapie psicofarmacologiche praticate

Prevalgono le terapie neurolettiche anche se in percentuale inferiore rispetto a quella impiegata durante il ricovero. La prescrizione di stabilizzatori dell’umore e dell’associazione neurolettici-antidepressivi indicherebbe l’evoluzione della psicosi acuta verso una patologia affettiva. Solo in 2 dei 14 casi sono stati praticati anche interventi psicoterapici.

Successivi scompensi psicotici

Metà dei pazienti hanno avuto successivamente almeno un ricovero per recidiva psicotica, una percentuale sovrapponibile al rischio di recidive nel 30%-50% dei casi, segnalato in letteratura.

Rilevanti cambiamenti socio-ambientali correlabili all’andamento della psicopatologia

Per 10 pazienti non sono stati registrati cambiamenti di rilievo nel corso degli anni; in un caso viene invece segnalata una grave malattia somatica, in due casi l’inserimento in strutture comunitarie, in uno l’inizio di un’attività lavorativa.

Diagnosi

Vengono riportate nella Tabella VIII le diagnosi ICD-10, desunte dalle cartelle cliniche, confrontate con quelle formulate attualmente dallo psichiatra che ha in cura ambulatoriale ciascun paziente.

Salvo un caso in condizioni di buon compenso, tutti gli altri pazienti hanno presentato alla catamnesi una condizione caratterizzata da patologia dell’area schizofrenica o da disturbi affettivi gravi, e, in un caso, l’evoluzione verso la demenza. Solo nel 7,1% dei casi vi è stata una stabilità diagnostica.

I dati, che indicano una prognosi sostanzialmente negativa per il disturbo psicotico acuto e la sua frequente evoluzione verso patologie gravi, sono sovrapponibili a quelli di alcune ricerche (32), e discordanti invece da quelli di altre, che indicano una stabilità diagnostica e una possibilità di remissione intorno al 50% (9) (11).

Si è constatato nel nostro campione un’evoluzione, in circa la metà dei casi, verso un disturbo dell’area schizofrenica e in un terzo verso un disturbo dell’umore; il caso con diagnosi attuale di disturbo paranoide di personalità, testimonia del non raro episodico “sconfinamento” di tali patologie verso franche manifestazioni psicotiche.

La prognosi che emerge dall’indagine, più severa rispetto agli altri studi citati, può derivare sia dal periodo più prolungato dell’osservazione, sia dalla mancanza di notizie relative ad alcuni pazienti per i quali non si può escludere che abbiano avuto prognosi migliore.

Discussione

Gli aspetti più interessanti dall’indagine possono essere sintetizzati come riportato di seguito.

– I pazienti con diagnosi di psicosi acuta, che rappresentano il 3,3% dei ricoverati nell’anno, appartengono alla fascia di età adulto-giovanile, hanno avuto frequentemente precedenti psichiatrici, talvolta con ricovero e in metà dei casi si sono verificati “life-events” correlabili con l’esordio della sintomatologia.

Durante il periodo della catamnesi ha prevalso nella terapia l’impiego dei neurolettici, da soli o in associazione; mentre è stato raro (3,6%) l’utilizzo di stabilizzatori dell’umore, forse per la difficoltà di riconoscere e valorizzare eventuali componenti affettive implicate nella psicopatologia. Tali dati si sovrappongono a quelli riportati nella letteratura citata in bibliografia.

– Nonostante l’assistenza post-ricovero sia stata quasi sempre affidata al Centro di Salute Mentale di competenza, una percentuale discreta (28,6%) dei pazienti non è stata rintracciata alla catamnesi. Tale dato può essere spiegato, almeno in alcuni casi, dalle condizioni socio-ambientali contingenti e particolari di alcuni dei pazienti (stranieri, senza fissa dimora, militari di leva).

– La brevità del ricovero caratterizza tutto il campione, con durata della degenza al di sotto dei 14 giorni nel 67,8% dei casi.

– Le diagnosi effettuate all’epoca del ricovero (1991) segnalano nel 60% dei casi sintomi dell’area schizofrenica, nel 25% disturbi psicotici acuti non specificati, nel rimanente 15% altre diagnosi che non comprendono i disturbi schizofrenici.

– Notizie catamnestiche sono state ottenute per il 50% dei pazienti; si può ipotizzare che nel gruppo per il quale non si sono potute raccogliere notizie siano compresi casi ad evoluzione positiva: con l’esclusione infatti di 6 casi (4 stranieri e 2 residenti fuori Regione), per altri 8 non risulta, alcuna presa in carico o terapia o segnalazione successiva, nei Centri di Salute Mentale di Genova.

– Dei 14 pazienti, dei quali è stato possibile concludere l’indagine catamnestica, 9 risultano ancora in trattamento ambulatoriale, 3 si sono rivolti ad altro curante o si sono trasferiti in altre regioni; per 1 solo paziente è stata documentata la guarigione clinica, mentre 1 è deceduto.

Per quel che riguarda le terapie si segnala un lieve aumento percentuale delle prescrizioni di stabilizzatori dell’umore (14,3%), rispetto le terapie durante il ricovero e una percentuale molto bassa di interventi psicoterapici (14,3%).

– L’elevata percentuale (50%) di ricoveri negli anni successivi, sovrapponibile ai dati della letteratura, è indicativa di un’evoluzione non favorevole del disturbo (2 dei 14 pazienti sono stati collocati in Comunità Terapeutica).

– Il confronto tra le diagnosi attuali e quelle del 1991 indica una tendenza peggiorativa: in metà dei casi la diagnosi attuale consiste in schizofrenia, sindromi deliranti persistenti, sindromi schizoaffettive e, in un terzo dei casi, disturbi dell’area affettiva (2 sindromi bipolari, 2 sindromi depressive). In un caso la diagnosi attuale è di demenza non specificata, in un altro di disturbo di personalità paranoide. Un solo paziente è attualmente in stato di buon compenso psichico.

Conclusioni

Il campione si connota globalmente per una bassa stabilità diagnostica, dato discordante con parte della letteratura, ma che potrebbe essere attenuato tenendo conto dei pazienti per cui non è stata possibile l’indagine catamnestica, e tra i quali potrebbero essere compresi casi con stabilità diagnostica.

D’altra parte il periodo prolungato di catamnesi potrebbe avere evidenziato aspetti peggiorativi della psicopatologia a lungo termine non rilevabili ai follow-up di più breve durata.

I dati presentati indicano per il Disturbo psicotico acuto una frequente evoluzione verso patologie psicotiche gravi e processuali e confermano le osservazioni critiche di alcuni AA. (9) (10) sulla precarietà dell’inquadramento nosografico attuale delle psicosi acute per le quali solo l’osservazione longitudinale può consentire una più precisa definizione diagnostica.

Tab. I. Età. Age.

Età N� soggetti %
Fino a 20 anni 1 3,6%
Tra 21 e 40 anni 16 57,1%
Tra 41 e 60 anni 7 25%
Oltre 61 anni 4 14,3%
Età media = 39,6 Tot. 28

Tab. II. Durata del ricovero. Lenght of hospitaliszation.

fino a 7 giorni

10

35,7%

tra 8 e 14 giorni

9

32,1%

tra 15 e 30 giorni

6

21,4%

oltre 31 giorni

3

10,8%

Tab. III. Terapie praticate. Drug treatment of in-patients.

Neurolettici + Benzodiazepine

20

71,4%

Neurolettici

4

14,3%

Neurolettici + Benzodiazepine + Antidepressivi Triciclici

2

7,1%

Benzodiazepine

1

3,6%

Neurolettici + Benzodiazepine + Stabilizzatori dell�umore

1

3,6%

Tab. IV. Affidamento post-ricovero. Out-patient treatment facilities after discharge.

Servizi di Salute Mentale

18

64,2%

Ambulatorio Dipartimento di Scienze Psichiatriche

1

3,6%

Clinica privata (trasferimento)

1

3,6%

Non segnalati al Servizio di Salute Mentale

8

28,6%

Tab. V. Diagnosi ICD-10. ICD-10 Diagnoses.

S. psicotica acuta prevalentemente delirante (F 23,3)

10

35,7%

S. psicotica acuta e transitoria non specificata (F 23,9)

7

25%

S. psicotica acuta schizofrenosimile (F 23,2)

4

14,3%

S. psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici (F23,1)

3

10,7%

S. psicotica acuta polimorfa senza sintomi schizofrenici (F 23,0)

3

10,7%

Altra S. psicotica acuta e transitoria (F 23,8) e Tossicodipendenza saltuaria da oppiacei (F 11,2)

1

3,6%

Tab. VI. Durata delle cure ambulatoriali. Duration of out-patient treatment.

1 anno

3 casi

21,4%

4 anni

2 casi

14,3%

10 anni

9 casi

64,3%

Tab. VII. Terapie praticate. Out-patient drug treatment.

Neurolettici

8 casi

57,1%

Stabilizzatori dell�umore

2 casi

14,3%

Benzodiazepine

1 caso

7,1%

Neurolettici + Triciclici

3 casi

21,5%

Tab. VIII. Confronto fra diagnosi alla dimissione e alla catamnesi. Comparison between diagnoses at admission and at discharge.

Diagnosi ICD-10 alle dimissioni

Diagnosi ICD-10 alla catamnesi

1, 2. S. psicotica acuta polimorfa senza sintomi schizofrenici (F 23,0)

1. Schizofrenia indifferenziata (F 20,3)

2. S. affettiva bipolare (F 31)

3, 4, 5. S. psicotica acuta polimorfa con sintomi schizofrenici (F 23,1)

3. Demenza non specificata (F03)

4. Schizofrenia paranoide (F20,0)

5. Nessuna diagnosi

6, 7. S. psicotica acuta schizofrenosimile (F 23,2)

6. S. schizoaffettiva, tipo depressivo (F 25,1)

7. Schizofrenia residuale (F 20,5)

8, 9, 10, 11, 12. S. psicotica acuta preval. delirante (F 23,3)

8. Schizofrenia residuale (F 20,5)

9. S. delirante (F22,0)

10. S. affettiva bipolare (F 31)

11. S. depressiva organica (F 06,32)

12. Schizofrenia paranoide (F 20,0)

13. S. psicotica acuta e transitoria (F23,8)

13. Disturbo paranoide di personalità (F 60,0) e Tossicodipendenza da oppiacei (F 11,2)

14. S. psicotica acuta e transitoria non specificata (F 23,9)

14. S. affettiva persistente non specificata (F 34,9)

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