L’insight nei disturbi d’ansia

Insight in anxiety disorders

A. CASTROGIOVANNI, S. IAPICHINO*, P. CASTROGIOVANNI

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Siena; * U.F. Salute Mentale Adulti USL 3, Valdinievole (PT)

Key words: Insight • Awareness • Anxiety Disorders

Correspondence: Dr. Andrea Castrogiovanni, Policlinico “Le Scotte” Siena – Tel. 0577 586275 – Fax 0577 233451

Introduzione

Il termine anglosassone “insight” viene generalmente tradotto in italiano come “introspezione”, “comprensione”, “convinzione” ed in psicopatologia indica il grado di consapevolezza di malattia. Fin dalle prime applicazioni del concetto di insight, in ambito neurologico prima e psichiatrico poi, ha prevalso un approccio esclusivamente categoriale in cui vi era una dicotomizzazione del tipo “tutto o nulla”, secondo la quale un paziente o era pienamente consapevole del proprio disturbo, oppure non lo era per niente (1) (2). McEvoy et al. (3) sono stati probabilmente i primi a proporre il concetto di insight come un costrutto multidimensionale e variabile lungo un “continuum” che va dalla completa assenza di consapevolezza alla presenza totale di insight. Secondo questi Autori alla definizione di insight non concorrerebbe soltanto la “consapevolezza di malattia”, ma anche della necessità di trattamento e dell’eventuale bisogno di ricovero. Il riconoscimento di questi tre elementi costitutivi dell’insight ha rappresentato la premessa per l’elaborazione del primo strumento standardizzato di valutazione denominato “Insight and Treatment Attitude Questionnaire” (ITAQ) (4). In linea con questo approccio, nel 1990 David (5) propose una panoramica dell’insight articolata secondo tre dimensioni: la consapevolezza che il soggetto ha di essere affetto da un disturbo mentale, la capacità di riconoscere ed etichettare come anormali fenomeni quali deliri ed allucinazioni ed il riconoscimento della necessità di un trattamento. In realtà le prime due dimensioni corrispondono a quello che Jaspers nel 1959 aveva chiamato “attribuzione del processo patologico ad un disturbo mentale”. La visione pluridimensionale dell’insight venne ripresa ed ulteriormente sviluppata da Amador et al. (6), i quali hanno descritto l’insight come un costrutto costituito da vari parametri quali la consapevolezza di avere un disturbo mentale, degli effetti ottenuti con terapia farmacologica, delle conseguenze sociali del disturbo mentale e la consapevolezza ed attribuzione degli specifici sintomi ai disturbi psicotici. Da queste dimensioni è derivata la “Scale to Assess Unawareness of Mental Disorder” (SUMD). Gli stessi autori (7), in lavori più recenti, hanno ulteriormente approfondito la definizione dell’insight aggiungendo alla scala due ulteriori dimensioni: la consapevolezza dell’opinione degli altri e “l’anosodiaphoria“, ossia l’indifferenza del paziente nei confronti dei vari aspetti del disturbo mentale o di specifici sintomi.

A conferma della complessità del fenomeno, alla composizione dell’insight potrebbero concorrere altre dimensioni. Per esempio i pazienti con psicosi cronica grave, verosimilmente con scarso insight, mostrano spesso un’analoga mancanza di consapevolezza rispetto ad un altro parametro fondante l’esistenza rappresentato dalla temporalità. Come nella anosognosia esiste un’incapacità di riconoscere un fenomeno così obiettivamente evidente come il deficit motorio di cui il soggetto è portatore, così negli psicotici cronici si verifica una sostanziale incapacità a riconoscere, o meglio a percepire affettivamente, il tempo che è trascorso dall’esordio della malattia (una sorta di acronognosia). Anche di fronte a discrete performances cognitive e ad un sufficiente orientamento rispetto ai parametri temporali, alla domanda relativa alla loro età attuale, questi pazienti possono dichiarare un’età più giovanile che risulta spesso corrispondente all’età che il soggetto aveva al momento dell’esordio della patologia. In altre parole, i pazienti credono di possedere tutte le medesime capacità e prospettive delle quali godevano prima dell’insorgenza della malattia e, in questo, tradiscono il blocco della storicizzazione determinato dal processo psicotico.

Fino ad oggi l’assenza d’insight è stata quasi costantemente associata ai disturbi psicotici o a quelli dell’umore con manifestazioni psicotiche. Solo pochi lavori hanno focalizzato l’interesse sui disturbi non psicotici. Ciò probabilmente è da imputare alla definizione stessa di delirio ed allucinazione (8). Anche quando analizzata nelle patologie tradizionalmente definite “nevrotiche” la ridotta consapevolezza è stata interpretata come “meccanismo difensivo” (9). Quindi l’interesse dei ricercatori si è focalizzato sulla eventuale correlazione tra livelli di insight e diverse variabili nell’ambito dei disturbi psicotici.

Il primo filone di ricerca ha evidenziato una relazione tra scarso insight, peggiore prognosi e scarsa compliance al trattamento (10)-(15).

La maggior parte degli Autori ritiene che non esista un rapporto tra gravità del quadro psicopatologico globale e consapevolezza di malattia (16)-(19), ma non mancano opinioni opposte (9) (20) (21). Risultati così nettamente in contrasto tra loro potrebbero essere giustificati dall’utilizzo di strumenti di valutazione diversi, sia per l’insight che per la psicopatologia. Una relazione significativa è stata riscontrata da Amador et al. (22) tra livelli di insight e gravità di specifici sintomi (es. delirio, disturbi formali del pensiero e comportamento disorganizzato). Inoltre gli Autori non confermano quanto precedentemente osservato da Van Putten et al. (2) che riscontrarono una relazione inversa tra insight e idee di grandiosità, sulla cui base ipotizzarono che coloro che rifiutavano la terapia ‘preferivano’ la condizione di grandiosità psicotica, alla più ‘normale’ condizione che sarebbe stata determinata dalla terapia. Successivamente il focus si è spostato sul ruolo dei deficit cognitivi (19) (23) (24) e, dal punto di vista neuroanatomico, sul riscontro di un allargamento dei ventricoli cerebrali (21).

Nonostante il numero consistente di lavori, tuttora non siamo giunti ad una posizione definitiva su quali di questi fattori possa realmente assurgere ad indicatore predittivo di scarso insight.

Pochi lavori hanno analizzato l’insight nei disturbi dell’umore senza manifestazioni psicotiche. Nella depressione unipolare l’insight non è compromesso, anzi correla direttamente con la gravità della sintomatologia (22) (25) (26); per esempio, nello studio di Michalakeas (27) et al., i pazienti depressi avevano livelli maggiori di insight rispetto sia agli schizofrenici che ai bipolari in fase maniacale. Verosimilmente la conservazione dell’insight è un elemento costitutivo della depressione visto che il paziente tende a percepire come estranei a se stesso il senso di disperazione, di angoscia e di morte. Questo dato potrebbe essere falsato dal ricorso a strumenti di valutazione creati esplicitamente per i disturbi psicotici.

Per quanto riguarda i pazienti bipolari non psicotici i risultati di recenti studi concordano sul fatto che ci sia un ridotto livello di insight durante le fasi acute del disturbo (28) (29). In un recente lavoro di Pallanti et al. (30) è stato evidenziato come la dimensione “consapevolezza” sia diversamente presente nei due sottotipi di disturbo bipolare (tipo I e II); infatti i pazienti affetti da disturbo bipolare tipo II mantengono livelli di insight più bassi anche nelle fasi di stabilizzazione clinica. Infine nell’unico lavoro relativo all’insight nel Disturbo Affettivo Stagionale, Ghaemi et al. (31) riportano un moderato livello di insight che rimane costante anche dopo la remissione dell’episodio depressivo acuto.

Aspetti cognitivi e neurobiologici dell’insight

Nonostante non si sia riusciti ancora a delineare l’origine del fenomeno insight, sono state proposti numerosi modelli, specialmente per quanto riguarda il basso livello di insight nei disturbi psicotici, con particolare riferimento alla schizofrenia e ai disturbi dello spettro schizofrenico. Mayer-Gross (32) nel 1920 ipotizzò che l’insight rappresentasse un meccanismo di difesa psicologica, così come figura nella concettualizzazione psicoanalitica (33), psicopatologica e fenomenologica (34), mentre Sackeim e Wagner (35) proposero un meccanismo adattativo. In ambito neurologico Babinski (36) per primo introdusse il termine di anosognosia – fenomeno per il quale pazienti con una lesione dell’emisfero destro, pur essendo paralizzati all’emisoma sinistro, frequentemente negano tale deficit – e quello di anosodiaforia, riferito all’atteggiamento di indifferenza nei confronti della malattia.

Gerstmann (37) successivamente si soffermò sui medesimi aspetti confermando le osservazioni di Babinski. Altri Autori (38) (39), studiando il fenomeno dell’anosognosia, presero in considerazione la possibile presenza di deficit neuropsicologici, ipotizzando un’alterazione del sistema di monitoraggio, ovvero di quel processo che dalla rappresentazione mentale di un’iniziativa, passando attraverso la sua esecuzione, consente di confrontare il risultato ottenuto con quanto progettato. In linea con queste osservazioni alcuni studi hanno verificato una correlazione tra deficit di insight e alterazioni neuropsicologiche (5) (12), come funzioni prassiche e capacità di fluenza verbale e visuo-spaziale (40), funzioni esecutive, working memory e vigilanza (24). Di parere contrario sono Cuesta e Peralta (19) che non solo non hanno trovato un’associazione tra ridotti livelli di insight e anormalità neuropsicologiche, ma hanno rilevato una relazione tra scarsa consapevolezza di malattia e migliorata funzionalità, riscontrata nei test valutanti compiti visivi immediati e ritardati, come la memoria verbale.

Queste ultime ricerche suggeriscono che l’insight nella schizofrenia potrebbe non essere correlato ad anormalità cognitive, ma potrebbe esso stesso rappresentare un sintomo primario “Bleuleriano”. Birchwood (41) e MacPherson (42) hanno proposto un modello cognitivo in cui l’insight sarebbe il risultato finale di vari processi concernenti l’attribuzione di significato e la comprensione dei diversi sintomi psichici. Lo stesso MacPherson (43), nel 1996, rielaborando questo modello ha proposto un approccio multifattoriale che prevede l’integrazione tra osservazioni cliniche (gravità e continuità della sintomatologia psicotica), neuropsicologiche (abilità di processamento delle informazioni e livello intellettivo) e l’apprendimento (metodi psicoeducativi relativi alla malattia).

I deficit neuropsicologici correlano con specifiche alterazioni neuroanatomiche. Le aree che sembrano essere maggiormente implicate sono quelle dell’emisfero destro, come l’area parietale (37) (44) (45) (46) e quella frontale (24). In particolare l’interessamento del lobo frontale giustificherebbe l’errata attribuzione del significato dato ai sintomi, piuttosto che la non-consapevolezza di malattia (25). L’errata attribuzione di significato è stata oggetto di studio da parte di Swanson et al. (47) che hanno evidenziato una differenza qualitativa nella mancanza di insight tra la schizofrenia e il disturbo bipolare in fase maniacale. Questi Autori hanno mostrato vignette illustranti alcuni quadri psicopatologici a 21 pazienti con schizofrenia e a 20 con mania confrontando successivamente la valutazione dell’insight con le risposte dei pazienti. Da questa comparazione è risultato che i pazienti con schizofrenia mal si riconoscevano con ciò che era illustrato nelle vignette, mentre quelli con mania valutavano correttamente le loro somiglianze con le illustrazioni, ma negavano che le stesse riflettessero un disturbo mentale.

È interessante notare che le stesse aree del cervello sono risultate essere quelle più coinvolte in certi tipi di malattie mentali gravi, quali ad esempio la schizofrenia.

L’ipotesi del danno focale ha sostituito quella secondo la quale la mancanza di insight sarebbe imputabile ad un danno cerebrale diffuso, generalmente in seguito a stroke (48)-(50). Nei pazienti con stroke il deficit di consapevolezza sembra determinato soprattutto da un declino delle funzioni cognitive, non necessariamente associato con la mancanza di insight.

L’insight nei disturbi d’ansia

I disturbi d’ansia presentano un meno palese decremento dei livelli di consapevolezza rispetto ai disturbi dell’umore e a quelli psicotici (51).

Tuttavia diversi studi hanno evidenziato che almeno un tipo di disturbo d’ansia, il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC), è talvolta associato ad uno scarso insight nei confronti della propria malattia (52) (53). Vista l’importanza e la frequenza della mancanza di insight, il DSM-IV sottotipizza il disturbo ossessivo-compulsivo in relazione alla consapevolezza di malattia: quindi DOC ‘con insight’ e DOC ‘con scarso insight’ (54). Nella pratica clinica è dato riscontrare pazienti con DOC nei quali la critica o l’adesione, la resistenza o l’accettazione del contenuto ideativo sono difficilmente identificabili tanto da non poter determinare con certezza se si tratti di un’idea ossessiva, prevalente o delirante. Infatti in questi pazienti si viene a creare una condizione di fluidità tra stato nevrotico e condizione psicotica in cui l’insight, la critica, la resistenza nei confronti delle manifestazioni ossessivo-compulsive sono variabili continue e non dicotomiche, cosicché le modalità di pensiero dei pazienti sembrano variare lungo un continuum che ha ad un estremo le ossessioni autentiche e all’altro i veri e propri deliri, passando per le idee prevalenti. In questo modo si delinea la possibilità di una transizione diretta dall’ossessione al delirio nella quale la critica nei confronti del contenuto ideativo cede il posto all’adesione, la resistenza al pensiero intrusivo trapassa nell’accettazione di questo, l’egodistonia diviene egosintonia e la presenza di insight cede il passo alla sua completa assenza (52) (53) (55) (56). La transizione da idea ossessiva a idea delirante è spesso preceduta da un evento stressante e la manifestazione psicotica appare circoscritta e transitoria (53). Insel e Akiskal (53) fanno altresì notare come nel paziente ossessivo possano essere differentemente compromessi gli aspetti “emozionali” e quelli “intellettuali” dell’insight; infatti molti pazienti sono consapevoli dell’assurdità delle loro idee ossessive, ma presentano minore convinzione rispetto alla possibilità che dal non mettere in atto le compulsioni possano scaturire conseguenze terribili. La divergenza fra questi due aspetti dell’insight da una parte fa si che i pazienti mostrino un certo grado di resistenza nei confronti delle loro idee ossessive e dall’altra contribuisce alla determinazione di “un’atmosfera delirante” con livelli di ansia molto bassi. Nel DOC con scarso insight, l’ideazione delirante, quand’anche sia predominante ad una osservazione trasversale, è quasi sempre riconducibile al “core” ossessivo (56). A conferma Lelliot et al. (57), in uno studio condotto su 49 pazienti affetti da DOC, riscontrarono in un terzo una modalità di pensiero che configurava la diagnosi di disturbo delirante secondo i criteri del DSM-IV in contrasto sia con l’evidenza clinica che con l’efficacia di un trattamento specifico per il DOC. Nel complesso queste osservazioni sono in accordo con la concezione di Lewis (58) che, già nel 1935, ammetteva che il riconoscere come assurde e senza senso le proprie ossessioni non fosse un aspetto essenziale e ci fanno altresì capire l’importanza, dal punto di vista clinico, prognostico e terapeutico, dell’individuazione, all’interno di un quadro psicotico, dell’eventuale presenza di un nucleo ossessivo.

Per quanto riguarda altri disturbi appartenenti allo spettro ossessivo-compulsivo, Philips et al. (55) fanno notare come il DSM-IV sia sorprendentemente silente a proposito dell’assenza di insight nell’anoressia nervosa, nel disturbo di dismorfismo corporeo e nell’ipocondria (per la quale però è prevista la specificazione “con scarso insight”); in questi ultimi è contemplato addirittura un cambiamento di diagnosi in disturbo delirante, tipo somatico, quando l’insight sia assente.

Nell’anoressia nervosa è spesso evidente come le pazienti siano assolutamente certe del loro sovrappeso mostrando una modalità di pensiero francamente delirante (59); così come la distorsione dell’immagine corporea assume spesso le caratteristiche di una “dispercezione”.

Per quanto riguarda il disturbo di dismorfismo corporeo (DDC), l’omissione del DSM appare criticabile dato che in questo quadro psicopatologico è stato segnalato un maggior decremento dell’insight rispetto al DOC, per il quale è almeno indicata l’evenienza “con scarso insight” (60). A questo proposito merita citare un lavoro di Jerome (61) condotto su un gruppo di 30 pazienti con diagnosi di DDC con ideazione delirante che non hanno risposto ai neurolettici tradizionali, ma risultavano responsivi a clomipramina e fluoxetina, quindi a un trattamento specifico per il DDC e non per un disturbo psicotico. Quindi anche per questo disturbo, come per il DOC, appare di fondamentale importanza l’individuazione del “core” di origine della sintomatologia psicotica onde evitare errori sia diagnostici che terapeutici. Altri autori (62)-(64), in accordo con la concezione di Jaspers, hanno avvicinato i sintomi della dismorfofobia all’idea prevalente piuttosto che a quella ossessiva, dato che la sensazione di difetto fisico non è vissuta in maniera particolarmente intrusiva e viene accettata con scarsa resistenza e sostenuta da un’intensa convinzione. I dati attualmente disponibili non consentono di collocare in maniera definitiva la dismorfofobia, rimanendo così ancora irrisolta la sua delimitazione dal DOC e dal disturbo delirante. Questa difficoltà ha portato alcuni Autori, fra cui Hollander, a suggerire di includere tra i criteri del disturbo di dismorfismo corporeo anche i sintomi di intensità delirante.

Anche per il Disturbo di Panico (DP) sono segnalati in letteratura alcuni reports che ne descrivono un sottotipo “con manifestazioni psicotiche”, esperite esclusivamente durante l’attacco di panico e risoltesi senza trattamento antipsicotico ma dopo un’efficace terapia anti-panico. Nel 1983 Akiskal et al. (65) riportarono 4 casi di psicosi atipiche con evidenti manifestazioni fobico-ansiose rispondenti ad un trattamento antidepressivo. Risultati simili sono stati descritti da Roth (66) e da Ciccone e Bellettine (67). Galynker et al. (68) più recentemente descrivono alcuni casi di DP con manifestazioni psicotiche come deliri persecutori e allucinazioni uditive, e suggeriscono che il substrato neurochimico comune sia al DP che ai sintomi psicotici ad esso associati potrebbe risiedere in una iperattività dopaminergica che però si differenzierebbe da quella presente nei disturbi psicotici codificati nella attuale nosografia vista l’inefficacia dei convenzionali trattamenti neurolettici. La compromissione dell’insight nel DP potrebbe derivare, anche nell’assenza di sintomi psicotici, da altri fattori. Innanzitutto i pazienti col disturbo di panico, per la loro spiccata tendenza alla somatizzazione e alla polarizzazione ipocondriaca che comporta una maggiore focalizzazione su un disturbo fisico, potrebbero essere ostacolati nella capacità di attribuire il sintomo somatico al disturbo mentale ed esserne quindi consapevoli. In altre parole, se per insight intendiamo non solo la consapevolezza di essere in qualche modo affetti da una malattia, ma anche della natura psichica del disturbo, spesso in questo senso i pazienti con DP dimostrano uno scarso insight. Inoltre i pazienti agorafobici, pur denunciando nelle parole una conoscenza della natura del loro disturbo, nel comportamento attuano delle condotte che sembrerebbero tradire una sostanziale inconsapevolezza.

L’integrità dell’insight nel DP potrebbe essere compromessa anche dalla presenza di sintomi dissociativi durante l’attacco, peraltro molto frequenti anche se non specifici (69% in uno studio di Ball et al. (69)). Certamente le caratteristiche psicopatologiche strutturali dell’attacco di panico hanno di per sé la potenzialità di scardinare il rapporto del soggetto con la realtà e con se stesso. Basti pensare a quanto il disturbo di panico, dopo il suo esordio, muti profondamente la consapevolezza delle proprie possibilità e della pericolosità della realtà esterna. Ciò non meraviglia se si pensa che una delle caratteristiche strutturali dell’attacco di panico è sicuramente l’esperienza di depersonalizzazione-derealizzazione, quand’anche essa non s’imponga sempre alla consapevolezza del soggetto più polarizzato sugli allarmanti sintomi somatici. A questo proposito Segui et al. (70) evidenziano come i pazienti affetti da DP con sintomi di depersonalizzazione sviluppano un maggior numero di attacchi e presentano un peggiore livello di funzionamento psicosociale, identificando così un sottogruppo di DP a maggior gravità, oppure una proporzionalità fra sintomi dissociativi e gravità del disturbo.

La presenza di derealizzazione nell’attacco di panico apre una serie di prospettive analogiche tra disturbo di panico e altre patologie: a partire dalle gravi esperienze dispercettive che possono verificarsi nell’attacco di panico si possono vedere correlazioni con l’epilessia del lobo temporale (TLE), così come a partire dalla depersonalizzazione si può pensare ad analogie con alcuni fenomeni dissociativi che a loro volta possono assumere le caratteristiche di franchi episodi “psychotic like“. Per quanto riguarda la TLE, per esempio, Bear (71) evidenzia come i pazienti con foci localizzati nell’emisfero sinistro siano più inclini ad episodi di tipo depressivo e presentino apparentemente un eccessivo livello di insight rispetto ai sintomi propri della malattia, mentre i pazienti con foci localizzati nell’emisfero destro tendano a presentare uno scarso livello di insight e mostrino più frequentemente sintomi di tipo maniacale, se confrontati con i soggetti con TLE con foci localizzati a sinistra. Suggestivo è il fatto che alcuni Autori abbiano confermato l’ipotesi di una disfunzione temporo-limbica destra nel DP (72).

Sia nel caso delle esperienze dispercettive simil epilettiche, sia in quello della depersonalizzazione, si intravede una via finale comune rappresentata dalla variante del disturbo di panico con manifestazioni psicotiche, condizione clinica in cui, nella fenomenica dell’attacco di panico, prevalgono sintomi cognitivi e dispercettivi concernenti gli attributi della realtà esterna e l’insight è decisamente compromesso.

Esasperando questo concetto potremo considerare appartenente a questo spettro anche la Wahnstimmung, quadro ad insorgenza acutissima, a “ciel sereno”, come l’attacco di panico, caratterizzato da un improvviso “mutamento pauroso” della realtà circostante che ricorda alcune esperienze terrifiche dell’attacco stesso con perdita dei significati.

Così il disturbo di panico, più di altri disturbi d’ansia, possiede potenzialità psicotogenetiche e più specificatamente è caratterizzato da fenomeni che, di per sé, incidono fortemente sulla aderenza ai parametri spazio-temporali, cardine dell’esperienza umana e verosimilmente fondamentali per conservare o acquisire la consapevolezza di sé. Questa potenzialità trova conferma anche da alcuni dati relativi a studi in cui il DP si presenta in comorbidità con altri disturbi psichiatrici. In particolare appaiono interessanti i risultati di Pini et al. (73) che analizzano l’insight nel disturbo bipolare (DB) con manifestazioni psicotiche in comorbidità con alcuni disturbi d’ansia. L’insight nel DB con manifestazioni psicotiche, già di per sé compromesso, viene ulteriormente peggiorato dalla comorbidità con il DP, a conferma dell’influenza di questo disturbo sugli aspetti relativi alla consapevolezza di malattia.

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS), un altro disturbo d’ansia, non comporta di per sé una compromissione dell’insight. L’evento traumatico, a parte i casi in cui è coperto dall’amnesia, è continuamente richiamato alla mente dai sintomi di “reexperiencing” come flash-back e sogni ricorrenti. Tuttavia il paziente non sempre ha la consapevolezza che il suo stato generale sia configurabile come una malattia, tendendo per lo più a considerarlo come una condizione quasi fisiologica, derivabile come è da un evento di vita. Tanto questo è vero che molti pazienti con DPTS sono restii a ricorrere all’intervento terapeutico, sia farmaco che psicoterapeutico. Al di là di questo non riconoscimento della natura patologica del proprio stato, sicuramente in quei momenti in cui il paziente rivive l’evento vividamente con tutta la sua carica emozionale, la coscienza è compromessa e conseguentemente la consapevolezza è ridotta, tanto che, in quelle condizioni, il paziente mette in atto comportamenti estremamente consoni al vissuto del momento, come se esso corrispondesse ad una realtà attuale.

La stessa relazione fra evento traumatico e condizione psicopatologica, quand’anche l’accaduto non sia coperto dall’amnesia, sfugge talvolta al paziente, specialmente quando non c’è uno stretto rapporto cronologico fra trauma e insorgenza del quadro clinico, come nel DPTS ad esordio ritardato.

L’evenienza di veri e propri sintomi psicotici nel DPTS, che potrebbe rappresentare un contesto di ridotto insight, è scarsamente documentata in letteratura (74); infatti il DSM-IV non contempla la possibilità di un DPTS “con manifestazioni psicotiche”, anche se nella text revision (75) è ammessa la presenza di allucinazioni uditive ed ideazione paranoide fra le “manifestazioni e disturbi associati” come sintomi ritrovabili in alcuni più gravi casi cronici. Comunque già Mueser et al. (76) avevano evidenziato come pazienti con DPTS cronico potessero esperire allucinazioni uditive. Più recentemente è stato segnalato come queste possano essere riscontrate in circa il 40% di pazienti con DPTS e la loro presenza potrebbe riflettere l’esistenza di un sottotipo del disturbo d’ansia, indipendente da un disturbo psicotico primario. I sintomi in questione possono includere allucinazioni uditive e visive nonché deliri, usualmente di natura paranoide (77) (78). Gli stessi Autori, confrontando il loro campione con un gruppo di schizofrenici, fanno notare come queste due popolazioni risultino simili non solo rispetto ai sintomi positivi ma anche per quelli negativi. Solitamente la manifestazione psicotica riflette tematiche correlate più o meno direttamente al trauma ed è caratterizzata da contenuti non bizzarri (74) e da una netta distinzione dai flashbacks (79). Altri Autori (80), descrivendo il caso di un paziente affetto da DPTS che presentava anche ideazione paranoide e deliri di riferimento, fanno notare come la sintomatologia psicotica possa trovare terreno fertile nella ipervigilanza, tipica del DPTS. Anche per questo disturbo la derivabilità del sintomo psicotico dal nucleo del disturbo d’ansia primario determina una sostanziale resistenza ai trattamenti antipsicotici classici (79) e una possibile rispondenza alle terapie specifiche per il DPTS con ovvie implicazioni dal punto di vista prognostico e nosografico. Quale potrebbe essere però il meccanismo che porta alla compromissione dell’insight nel DPTS?

Si potrebbe trattare di una sorta di “evitamento mentale” come meccanismo difensivo, oppure la compromissione dell’insight potrebbe rientrare nella dimensione del Numbing, ossia in quell’appiattimento affettivo che potrebbe giustificare il particolare senso di distacco dalla realtà che lamentano i pazienti con PTSD; altrimenti essere correlata alla presenza di sintomi psicotici, che, quando presenti, giustificano di per sé la compromissione dell’insight. Probabilmente l’insieme di tutti questi fattori fa sì che questi pazienti difettino soprattutto nell’attribuire il loro stato ad un evento traumatico occorso in passato; al contrario, il difetto di attribuzione potrebbe consistere nel ritenere i sintomi una conseguenza ovvia e, per così dire, fisiologica dell’evento traumatico, e quindi non considerarsi affetti da un disturbo mentale.

Infine, per quanto riguarda i pazienti affetti da un altro disturbo d’ansia quale la Fobia Sociale (FS), questi sono tutti accomunati dalla ipervalutazione del giudizio altrui ma, in qualche caso, appaiono seriamente convinti di essere oggetto di derisione a causa del loro atteggiamento impacciato ed inappropriato. Infatti non è irrealistico pensare che dalla ideazione di riferimento si possa trapassare in un vero e proprio delirio di persecuzione. Questa evenienza richiama assai da vicino il “delirio di rapporto sensitivo” descritto da Kretschmer (81) che può svilupparsi in una personalità cosiddetta “iperestesico-sensitiva”, ossia caratterizzata da una condizione di iperarousal che porta il paziente a percepire anche un minimo segno di critica nei suoi confronti. In questo modo si viene a creare la possibilità di un passaggio dall’interpretatività all’ideazione di riferimento fino ad una ideazione francamente delirante a contenuto persecutorio che identificherebbe perciò una “fobia sociale con caratteristiche psicotiche”.

Conclusioni

Le considerazioni soprasvolte portano ad ipotizzare una alterazione dell’insight in tutta la patologia mentale, cosicché, prescindendo dai quadri clinici specifici, l’alterazione dell’insight potrebbe essere considerata assolutamente transnosografica. Essa si verificherebbe, a livelli e con modalità diverse, anche per quadri clinici raggruppati nel capitolo dei disturbi d’ansia. Questa ammissione è possibile, soprattutto da quando essi sono usciti dalla forzosa aderenza all’etichetta della nevrosi che, nella sua aprioristica contrapposizione alle psicosi, comportava di necessità la conservazione dell’insight, visto che questo è abitualmente compromesso nei quadri psicotici.

In una visione transnosografica si tratterebbe, più che distinguere disturbi che per loro natura comportano o possono comportare uno scarso insight da disturbi che sono esenti da una tale evenienza, di accertare in qualsiasi patologia se e perché l’insight è compromesso, aggiungendo lo scarso insight come specifica di tutti o quasi tutti i disturbi mentali.

I corrispettivi neurobiologici dei disturbi d’ansia, come le alterazioni della corteccia frontale nel DOC, la scarica noradrenergica nel DP, la iperattivazione dell’amigdala e l’atrofia dell’ippocampo nel DPTS, in quanto alterazioni del funzionamento del cervello e quindi in una qualche misura della coscienza, sono compatibili con una compromissione dell’insight.

L’alterazione dell’insight nei disturbi d’ansia potrebbe essere dovuta:

  • allo sviluppo, attraverso una predisposizione genetica o la preesistenza di disturbi di asse II, di sintomi psicotici oppure
  • all’insorgenza di quadri dissociativi o
  • attraverso la loro cronicizzazione, al decadimento psicologico e all’isolamento sociale che comporta l’impossibilità di un confronto con gli altri che riduce la consapevolezza, così come anche
  • ad un meccanismo difensivo o ad un particolare schema cognitivo prevalente come quello del “controllo esterno”.

Il mito del Dio Pan testimonia la tendenza ad attribuire il disturbo (in questo caso l’AP) ad una forza che proviene dall’esterno, esprimendo in maniera massimale il controllo esterno e, se vogliamo, la mancanza di insight, così come l’etimologia del termine ossessioni (da ob-sidere = assediare) suggerisce qualche cosa che si impone dall’esterno ed è altresì esterno “il nemico” della fobia sociale nella quale il peraltro non condivisibile termine di “fobia” sembra voler individuare un oggetto fobico e pertanto esterno alla persona.

Da tutto ciò deriva la necessità di una ridefinizione del concetto di insight, non limitata ai fenomeni psicotici, ma comprensiva anche delle sue caratteristiche nei disturbi d’ansia e quindi l’esigenza di creare nuovi strumenti di valutazione coerentemente concepiti.

1 Carpenter WTJr, Strauss JS, Bartko JJ. Flexible system for the diagnosis of schizophrenia: report from the WHO International Pilot Study of Schizophrenia. Science 1973;182:1275-7.

2 Van Putten T. Why do schizophrenic patients refuse to take their drugs? Archives of General Psychiatry 1974;31:67-72.

3 McEvoy JP, Aland J, Wilson WH, Hawkins L. Measuring chronic schizophrenic patients� attitude towards their illness and treatment. Hospital & Community Psychiatry 1981;30:13-7.

4 McEvoy JP, Apperson LJ, Appelbaum PS, Ortlip P, Brekosky J, Hammill K, et al. Insight in schizophrenia. Its relationship to acute psychopatology. J Nerv Mental Dis 1989;177:43-7.

5 David AS. Insight and Psychosis. Br J Psychiatry 1990;156:798-808.

6 Amador XA, Strauss DH. The scale to assess unawareness of mental disorder (SUMD). New York: Columbia University and New York State Psychiatric Institute 1990.

7 Amador XF, Amodt I, Marcinko L, Seckinger RA, Yale S. SUMD-R (Scale to assess Unawareness of Mental Disorder � Revised). version 1.0 1999.

8 Markova IS, Berrios GE. Delusional misidentifications: facts and fancies. Psychopatology 1994;27:136-43.

9 Markova IS, Berrios GE. The meaning of insight in clinical psychiatry. Br J Psychiatry 1992;160:850-60.

10 Lin IF, Spiga R, Fortsch W. Insight and adherence to medication in chronic schizophrenics. J Clin Psychol 1979;40:430-2.

11 Heinrichs DW, Cohen BP, Phil M, Carpenter WT. Early insight and management of schizophrenic decompensation. J Nerv Mental Dis 1985;173:133-8.

12 Amador XF, Strauss DH, Yale SA, Gorman JM. Awareness of illness in schizophrenia. Schizophr Bull 1991;17:113-32.

13 Amador XF, David AS. Insight and psychosis. Amador XF, David AS (Ed.). New York, Oxford, Oxford University Press. 1998.

14 Buchanan A. A two-year prospective study of treatment compliance in patients with schizophrenia. Psychol Med 1992;22:787-97.

15 Ghaemi SN, Pope HG. Lack of insight in psychotic and affective disorders: a review of empirical studies. Harvard Review of Psychiatry 1994;2:22-33.

16 Bartko G, Herczeg I, Zador G. Clinical symptomatology and drug compliance in schizophrenic patients. Acta Psychiatrica Scandinavica 1988;77:74-6.

17 McEvoy JP, Apperson LJ, Appelbaum PS, Ortlip P, Brecosky J, Hammill K. Insight in schizophrenia: its relationship to acute psychopathology. J Nerv Mental Dis 1989;177:43-7.

18 McEvoy JP, Freter S, Merritt M, Apperson LJ. Insight about psychosis among outpatients with schizophrenia. Hospital Community Psychiatry 1993;44:883-4.

19 Cuesta MJ, Peralta V. Lack of insight in schizophrenia. Schizophr Bull 1994;20:359-66.

20 David AS. Illness and insight. Br J Hosp Med 1992;48:652-4.

21 Takai A, Uematsu M, Ueki H, Sone K, Kaiya H. Insight and its related factors in chronic schizophrenic patients: a preliminary study. Eur J Psychiatry 1992;6:159-70.

22 Amador XF, Flaum M, Andreasen NC, Strauss DH, Scott AY, Scott CC, et al. Awareness of illness in schizophrenia and schizoaffective and mood disorders. Arch Gen Psychiatry 1994;51:826-36.

23 Young DA, Davila R, Scher H. Unawareness of illness and neuropsychological performance in chronic schizophrenia. Schizophrenia Research 1993;10:117-24.

24 Lysaker PH, Bell MD, Bryson G, Kaplan E. Neurocognitive function and insight in schizophrenia: support for an association with impairments in executive function but not with impairment in global function. Acta Psychiatr Scand 1998;97:297-301.

25 Smith Te, Hull JW, Israel LM, Willson DF. Insight, symptoms, and neurocognition in schizophrenia and schizoaffective disorder. Schizophr Bull 2000;26:193-200.

26 Weiler MA, Fleisher MH, McArthur-Campbell D. Insight and symptom change in schizophrenia and other disorders. Schizophr Res 2000;45:29-36.

27 Michalakeas A, Skoutas C, Charalambous A, Peristeris A, Marinos V, Keramari E, et al. Insight in schizophrenia and mood disorders and its relation to psychopatology. Acta Psychiatr Scand 1994;90:46-9.

28 Ghaemi SN, Stoll AL, Pope HG. Lack of insight in bipolar disorder. J Nerv Mental Dis 1995;183:464-7.

29 Swanson CL, Freudenreich O, McEvoy JP,Nelson L, Kamaraju L, Wilson WH. Insight in schizophrenia and mania. Journal Nervous and Mental Disease 1995;193:752-5.

30 Pallanti S, Quercioli L, Pazzagli A, Rossi A, Dell�Osso L, Pini S, et al. Awareness of illness and subjective experience of cognitive complaints in patients with bipolar I and bipolar II disorder. Am J Psychiatry 1999;156:1094-6.

31 Ghaemi SN, Sachs GS, Baldassano CF, Truman CJ. Insight in seasonal affective disorder. Comprehensive Psychiatry 1997;38:345-8.

32 Mayer GR. Zeitschrifte fur die Gesmate. Neurol Psychiatr 1920;60:160-212.

33 Richfield J. An analysis of the concept of insight. Psycoanalytic Quarterly 1954;23:390-408.

34 Jaspers K. Allgemeine Psychopathologie. Springer Verlag 1959.

35 Sackeim HA, Wegner AZ. Attributional patterns in depression and euthymia. Arch Gen Psychiatry 1986;43:553-60.

36 Babinski MJ. Contribution a l�etude des troubles mentaux dans l�hemiplegie organique cerebrale (anosognosie). Revue Neurologique 1914;12:845-88.

37 Gerstmann J. Problem of imperception of disease of impaired body territories with organic lesions. Relation to body scheme and its disorders 1942.

38 Bernstein NA. Coordination and regulation of movements. New York: Pergamon Press 1967.

39 Goldberg E, Barr VB. Three possible mechanisms of anawareness of deficit. In: Prigatano GP, Schacter DL, eds. Awareness of deficit after brain injury: Clinical an theoretical issue. New York: Oxford University Press 1991:152-75.

40 McEvoy JP, Hartman M, Gottlieb D, Godwin S, Apperson LJ, Wilson W. Common sense, insight, and neuropsychological test performance in schizophrenia patients. Schizophr Bull 2000;22:635-41.

41 Birchwood M, MacMillan F. Early intervention in schizophrenia. Austr N Z J Psychiatry 1993;27:374-8.

42 MacPherson R, Double D, Rowlands P. Long term psychiatric patients understanding of neuroleptic medication. Hospital and Community Psychiatry 1993;44:71-3.

43 MacPherson R, Jerrom B, Hughes A. Relationship between insight, educational background and cognition in schizophrenia. Br J Psychiatry 1996;168:718-22.

44 Critchley M. The parietal lobes. New York: Hafner Publishing 1953.

45 Geschwind N. Disconnection syndrome in animals and man. Brain 1965;88:585-644.

46 Stuss DT, Benson DF. The frontal lobes. New York: Raven Press 1986.

47 Swanson Cl Jr, Freudenreich O, McEvoy JP, Nelson L, Kamaraju L, Wilson WH. Insight in schizophrenia and mania. J Nerv Mental Dis 1995;183:752-5.

48 Cole M, Saexinger HG, Hard A. Anosognosia: studies using regional intra-venous anashesia. Neuropsychologia 1968;6:365-71.

49 Sandifer PH. Anosognosia and disorders of body scheme. Brain 1946;69:122-37.

50 Ullman M. Behavioral changes in patients following strokes. Springfield IL: Charles C. Thomas 1962.

51 Ghaemi SN, Boiman E, Goodwin FK. Insight and outcome in bipolar, unipolar and anxiety disorders. Comprehensive Psychiatry 2000;41:167-71.

52 Eisen JL, Rasmussen SA. Obsessive compulsive disorder with psychotic features. J Clin Psychiatry 1993;54:373-9.

53 Insel TR, Akiskal HS. Obsessive-compulsive disorder with psychotic features: a phenomenologic analysis. Am J Psychiatry 1996;143:1527-33.

54 American Psychiatric Association. DSM-IV Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 4th Ed. Washington DC: American Psychiatric Press. Arch Neurol Psychiatry 1994;48:890-913.

55 Philips KA, Kim JM, Hudson JL. Body image disturbance in body dysmorphic disorder and eating disorder. Obsessions or delusions? Psych Clin North Am 199;18:317-34.

56 Fear C, Sharp H, Healy D. Obsessive-compulsive disorder with delusions. Psychopathology 2000;33:55-61.

57 Lelliot P, Noshirvani H, Basoglu M. Obsessive-compulsive belief and treatment outcome. Psychological Med 1988;18:697-702.

58 Lewis A. The psychopatology of insight. Psychiatry 1935;2:47-61.

59 Bruch H. Perceptual and conceptual disturbance in anorexia nervosa. Psychosom Med 1962;24:187-94.

60 Simeon D, Hollander E, Stei DJ, Cohen L, Aronowitz B. Body dismorphic disorder in the DSM-IV field trial for obsessive compulsive disorder. Am J Psychiatry 1995;152:1207-9.

61 Jerome L. Body dismorphic disorder: symptom or syndrome. Am J Psychiatry 1994;151:460-1.

62 McKenna PJ. Disorders with overvalued ideas. Br J Psychiatry 1984;145:579-85.

63 De Leon J, Bott A, Simpson GM. Dysmorphophobia: body dysmorphic disorder or delusional disorder, somatic subtype? Comprehensive Psychiatry 1989;30:457-72.

64 Vitiello B, De Leon J. Dysmorphophobia misdiagnosed as obsessive compulsive disorder. Psychosomatics 1990;31:468-9.

65 Akiskal HS, Arana GW, Baldessarini RJ, Barreira PJ. A clinical report of thymoleptic-responsive atypical paranoid psychoses. Am J Psychiatry 1983;140:1187-90.

66 Roth M. Psychiatric diagnosis in clinical and scientific setting. In: Akiskal HS, Webb WL, eds. Psychiatric Diagnosis. Exploration of biological predictors. New York, NY: Spectrum 1978:9-47.

67 Ciccone PE, Bellettirie GF. A patient with panic disorder eventuating in psychosis: nosologic implications. Psych J University Ottawa 1989;14:478-80.

68 Galynker I, Ieronimo C, Acquino AP, Lee Y, Winston A. Panic Attacks with psychotic features. J Clin Psychiatry 1996;57:402-6.

69 Ball S, Robinson A, Schekar A, Walsh K. Dissociative symptoms in panic disorder. J Nerv Mental Dis 1997;185:755-60.

70 Segui J, Marquez M, Garcia L, Canet J, Salvador-Carulla L, Ortiz M. Depersonalization in panic disorder: a clinical study. Comprehensive Psychiatry 2000;41:172-8.

71 Bear DM, Fedio P. Quantitative analysis of interictal behavior in temporal lobe epilepsy. Arch Neurol 1977;34:454-67.

72 Bucci P, Mucci S, Galderisi A, Bernardo A, Forte A, Maj M. Disfunzione dell�emisfero destro nel disturbo da attacchi di panico: uno studio di neuroimmagine ad alta risoluzione temporale. Giornale Italiano di Psicopatologia 2000;7:15-24.

73 Pini S (Dati non pubblicati).

74 David D, Kutcher GS, Jackson EI, Mellman TA. Psychotic symptoms in combat-related posttraumatic stress disorder. J Clin Psychiatry 1999;60:29-32.

75 American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders Text Revision (DSM-IV TR). Washington D.C. and London England 2000.

76 Mueser KT, Butler RW. Auditory hallucinations in combat-related chronic posttraumatic stress disorder. Am J Psychiatry 1987;144:299-302.

77 Hamner MB, Frueh BC, Ulmer HG, Arana GW. Psychotic features and illness severity in combat veterans with chronic posttraumatic stress disorder. Biological Psychiatry 1999;45:846-52.

78 Hamner MB, Frueh BC, Ulmer HG, Huber MG, Twomey TJ, Tyson C, et al. Psychotic features in chronic posttraumatic stress disorder and schizophrenia: comparative severity. J Nerv Mental Dis 2000;188:217-21.

79 Ivezic S, Bagaric A, Oruc L, Mimica N, Ljubin T. Psychotic simptoms and comorbid psychiatric disorders in Croatian combat-related posttraumatic stress disorder patiens. Croatian Medicine 2000;41:179-83.

80 Pinto PA, Gregory RJ. Posttraumatic stress disorder with psychotic features. Am J Psychiatry 1995;152:471-2.

81 Kretschmer. Die sensitive Beziehungswahn, ein Beitrag zur Paranoiafrage und zur psychiatrischen Charakterlehre. Berlin 1918.