Modificazioni neuropsicologiche da alta quota: una spedizione sul Pamir

Neuropsychological modifications at high altitude: an expedition to Pamir

B. Nardi, S. Rupoli, I. Capecci, S. Castellani, V. Frattesi

Centro Adolescenti per la Promozione dell’Agio Giovanile, Clinica Psichiatrica, Università Politecnica delle Marche, Ancona

Key words: Acclimatization • High altitude • Neuropsychology • Cognitive impairment
Correspondence: Dr. Bernardo Nardi, Clinica Psichiatrica, Università Politecnica delle Marche, via Tronto 10/A, 60020 Ancona, Italy
Tel. +39 71 5963303, E-mail:b.nardi @univpm.it

Introduzione

La respirazione è un atto automatico, ancorché soggetto a controllo volontario, che assolve la funzione di ricambio costante di gas tra l’aria ed il sangue, permettendo il passaggio continuo di ossigeno (O2) dall’aria al torrente circolatorio e la contemporanea rimozione dell’anidride carbonica (CO2) prodottasi per effetto del metabolismo tessutale.

È interessante notare che l’unica condizione fisiologica in cui può realizzarsi una ipossiemia arteriosa è rappresentata dal compimento di uno sforzo a grandi altitudini, ove è presente una ridotta pressione atmosferica e, di conseguenza, una ridotta PO2 alveolare (1)-(8). Ai valori di PO2 normalmente vigenti nell’alveolo (100 mm Hg) la percentuale di saturazione dell’emoglobina si approssima al 100%; ciò significa che un incremento, anche notevole, della PO2 in un alveolo già ventilato in modo efficiente ha effetti trascurabili sulla percentuale di saturazione dell’Hb per questo gas. Al contrario, la dissociazione dell’emoglobina per la CO2 avviene in modo pressoché lineare, quindi una riduzione della pressione di questo gas a livello alveolare si traduce in una proporzionale diminuzione della sua concentrazione nel sangue capillare che lascia gli alveoli. L’impegno fisiologico relativo all’esposizione ad alta quota è più evidente durante l’attività fisica, anche se chiunque si rechi ad altitudini elevate deve far fronte all’ipossia (riduzione della pressione parziale di ossigeno) che si verifica in modo proporzionale alla riduzione della pressione barometrica. La pressione atmosferica diminuisce con l’aumentare dell’altezza; in questo modo, come è logico, diminuiscono proporzionalmente anche le pressioni parziali di tutti i gas che costituiscono l’atmosfera. A livello del mare (0 metri) la pressione atmosferica è mediamente di 760 mm Hg e scende a 510 mm Hg ad una quota di 300 metri; sempre a livello del mare la pressione parziale di ossigeno (PO2) è circa 150 mm Hg (20,93%) e scende a 107 mm Hg ad una quota di 300 metri. La riduzione della pressione parziale di ossigeno atmosferico scatena una serie di processi di adattamento funzionale che nel loro insieme prendono il nome di acclimatazione (6) (8). Sino a 300 metri la saturazione percentuale dell’emoglobina diminuisce di poco rispetto al livello del mare a causa della forma della curva di dissociazione dell’emoglobina stessa; tale piccola differenza non influenza la vita quotidiana, ma può modificare sensibilmente l’attività aerobica intensa. Ad altezze elevate, la bassa pressione parziale di ossigeno e, quindi, la bassa saturazione percentuale dell’emoglobina rende molto faticoso il lavoro fisico. L’esposizione acuta ad un’altitudine di 4.300 metri causa una riduzione della capacità aerobica del 32%, sopra i 5.000 metri non è possibile vivere in modo continuo, a 5.500 metri la PO2 a livello arterioso è di 38 mm Hg e la saturazione dell’emoglobina è del 73%; al di sotto di questa saturazione la curva di dissociazione dell’emoglobina diventa molto ripida, pertanto un ulteriore aumento dell’altezza comporta un brusco calo della saturazione percentuale dell’emoglobina.

Acclimatazione ed il cosiddetto “mal di montagna”

Il complesso delle modificazioni fisiologiche che caratterizzano il quadro dell’acclimatazione è ovviamente finalizzato a migliorare la condizione di vita e la capacità di lavoro; l’entità del processo dipende dalla quota di esposizione. Una buona acclimatazione a quote intermedie è solo una tappa verso l’acclimatazione a quote elevate; popolazioni normalmente residenti ad altitudini intermedie presentano una minore riduzione della capacità di lavoro quando si spostano a quote elevate rispetto a soggetti normalmente residenti a bassa quota (6)-(8).

Alcune risposte dell’organismo all’aumento di quota sono immediate o a breve termine, altre si instaurano dopo giorni, settimane o mesi; in ogni caso, la velocità di risposta dipende anche dall’altezza, dalla differenza di quota e dal grado di ipossia. Nonostante ciò, esiste un’enorme variabilità di risposta individuale e il processo di acclimatazione può essere più o meno rapido o completo in soggetti diversi. Vi sono precise indicazioni che il limite della performance in quota è legato più alla tolleranza del Sistema Nervoso Centrale che a quella dell’apparato muscolare; infatti il tessuto che soffre maggiormente l’ipossia non è quello muscolare ma quello nervoso; in altri termini, la deambulazione potrebbe ancora essere possibile se il soggetto non perdesse conoscenza. La disidratazione è una condizione tipica dei soggetti che permangono in alta quota per periodi lunghi; essa è dovuta alla perdita di liquidi attraverso la respirazione (per la secchezza dell’aria e la riduzione della temperatura), la sudorazione e l’evaporazione cutanea. Un altro disturbo che si può manifestare durante un’esposizione ad alta quota è il cosiddetto “mal di montagna acuto”, dovuto alla scarsa tolleranza all’ipossia; esso si verifica soprattutto dopo qualche ora in caso di rapida ascesa, in modo particolare durante la notte. Il quadro clinico, che esordisce generalmente entro 4-12 ore e si protrae per pochi giorni, può variare da una condizione lieve (che è caratterizzata da inappetenza, nausea, cefalea, stordimento, vertigini, stanchezza, insonnia, e che è possibile riscontrare nel 30% delle persone che salgono ad un’altezza superiore a 3.500 metri e nel 50% di coloro che giungono ad altitudini superiori a 4.500 metri) ad una grave (con manifestazioni che arrivano all’edema polmonare e cerebrale). L’edema polmonare, riscontrabile nel 2% della popolazione sopra i 3.000 metri per ragioni non del tutto note, esordisce entro 12-36 ore, soprattutto se l’ascesa è stata rapida; la causa di questo quadro è lo stravaso di liquido dal microcircolo ai tessuti interstiziali e agli alveoli (4)-(8). Il quadro dell’edema cerebrale è sicuramente il più temibile tra quelli del mal di montagna poiché può essere letale (9). Il suo esordio è simile al semplice mal di montagna per manifestarsi presto in tutta la sua gravità. Esso colpisce circa l’1% dei soggetti che salgono ad una quota superiore ai 2.700 metri; la sintomatologia è caratterizzata da prostrazione generale, alterazioni del visus, modificazione della minzione e dell’evacuazione, riduzione del coordinamento neuromuscolare fino all’emiparesi, riduzione dei riflessi profondi ed osteotendinei, stato confusionale fino al torpore e al coma. La causa dell’edema cerebrale, similmente a quello polmonare, è lo stravaso di liquido dal microcircolo al tessuto interstiziale, probabilmente per la iperpermeabilità dell’endotelio capillare dovuto all’ipossia (9).

Modificazioni neuropsicologiche da alta quota

Una risposta all’ipossia acuta è la riduzione delle performance soprattutto nei test complessi relativi alle funzioni cognitive e motorie. Vari test indaganti il tempo di reazione (10) hanno rilevato che, in caso di ipossia acuta, non esiste un impatto evidente sulle percentuali di errore, mentre cambiamenti maggiori si verificano con test più complessi che richiedono una funzionalità cognitiva di livello maggiore. Studi effettuati sull’argomento nel corso degli ultimi decenni, e condotti su alpinisti che salivano ad altitudini superiori a 5.300 metri, hanno già rilevato notevoli modificazioni non solo nelle performance dei test cognitivi, ma anche nel comportamento, nell’umore e nelle funzioni neurologiche (10).

In tali indagini è stato osservato che i disturbi comportamentali persistevano persino dopo il ritorno a bassa quota per tempi variabili da alcune settimane ad un anno. Comparando le performance conseguenti all’ipossia con quelle precedenti l’ascesa in quota, sono state riscontrate con maggiore frequenza una compromissione delle capacità di attenzione e concentrazione (con difficoltà a cambiare argomento e a controllare gli errori), della memoria a breve termine, della velocità nel compiere i movimenti fini e delle funzioni fasiche. Nei controlli eseguiti 2-10 mesi dopo il ritorno a livello del mare permanevano la riduzione della memoria a breve termine e la riduzione della capacità di concentrazione e di flessibilità cognitiva nel cambiare argomento e nel controllare gli errori. Un anno dopo il ritorno a bassa quota, gli stessi ricercatori hanno riscontrato un ritorno alla normalità, ai livelli precedenti la salita in quota, in tutte le funzioni sopra ricordate, ad eccezione di una certa difficoltà nei movimenti fini. I dati della letteratura dimostrano pertanto che, anche senza una perdita di coscienza o sintomi manifesti di squilibrio funzionale, in alta quota si determina, in alcuni individui, un danno cerebrale, di natura funzionale, che persiste almeno per alcune settimane dopo il ritorno alla quota di partenza. Inoltre, dagli studi sopra riportati è risultata evidente la presenza di una variabilità individuale nella sensibilità alla ipossia da alta quota, in parte dovuta alla risposta ventilatoria.

Ulteriori approfondimenti in ambito neuropsicologico hanno dimostrato che l’alta quota sembra avere un effetto drammatico sulla rievocazione dei nomi propri, mentre sembra che i nomi comuni siano più resistenti all’ipossia. I soggetti ricordano meglio i primi nomi di una lista utilizzata per i test (effetto di prima posizione) e gli ultimi (effetto del più recente), rispetto a quelli disposti in mezzo. L’effetto di prima posizione è attribuibile alla memoria a lungo termine, associata alla decodificazione semantica, mentre l’effetto del più recente è attribuibile alla memoria a breve termine ed appare associato ad una decodificazione acustica. Anche in questo caso esiste una variabilità individuale per quanto riguarda tipo, entità, rapidità di esordio del deficit, ed è stata dimostrata un’associazione tra sintomi e altitudine e tempo di adattamento alla quota. Arrivare ad un’altitudine di 8.000 metri senza precauzioni può causare, come è stato dimostrato in precedenza, danni irreversibili o morte; già a 2.400 metri possono essere riscontrabili le prime lesioni.

Nomi comuni e nomi propri differiscono in diversi campi, dal momento che ciascuna categoria ha le sue proprietà semantiche e sintattiche. Molteplici studi neuropsicologici, tra i quali uno dei più interessanti è stato condotto da Hornbein e Schoene (11), hanno provato che le due categorie di nomi sottostanno a diversi processi, implementati, verosimilmente, in aree cerebrali distinte. Si pensa che le differenze semantiche consistano nel fatto che i nomi propri qualificano entità individuali, mentre i nomi comuni qualificano delle categorie. I deficit riscontrati, dunque, dopo l’esposizione ad alta quota, erano tipici della memoria a breve termine verbale e riguardavano la sola categoria dei nomi propri, in virtù, probabilmente, della loro particolare organizzazione all’interno del sistema semantico che ne rende la memorizzazione particolarmente complessa.

Obiettivo

Obiettivo di questo studio è stato quello di indagare le eventuali modificazioni neuropsicologiche nei soggetti partecipanti ad una spedizione alpinistica durante la salita ad alta quota e a distanza di quattro mesi, una volta rientrati in sede. Si è inteso verificare altresì, mediante confronti intrasoggettivi, quali potessero essere, tra le funzioni indagate, quelle più sensibili alle condizioni sperimentali legate all’alta quota.

Materiali e metodi

Soggetti

Lo studio è stato eseguito in occasione della spedizione organizzata da due Club di Ascoli Piceno (“Anime Verticali” e “Club Amici della Montagna”) nel Pamir cinese con scalata al massiccio del Muztagh-Ata (m 7.546). I quattro alpinisti (Marco Nardi: MN, Francesco Valente: FV, Marco Salvi: MS, Paolo Luzi: PL), tutti esperti di montagna e in buona salute fisica, con età media di 41,25 anni (dai 27 ai 51 anni) e scolarità media di 12,75 anni, hanno effettuato la spedizione nel periodo dal 30 luglio al 28 agosto 2003. Gli alpinisti hanno dato il consenso informato al protocollo sperimentale oggetto dello studio ed hanno letto la stesura del lavoro prima che venisse spedita. L’indagine è stata approvata dal Comitato Etico per la Ricerca Clinica sull’Uomo della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche e dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona (prot. 204421/2004).

La spedizione si è articolata nel seguente modo: raggiungere la regione del Muztagh-Ata dapprima in fuoristrada (fino a quota 1.500 m s.l.m. e poi su cammelli, fino a 3.600 m s.l.m., acclimatarsi e preparare i materiali, arrivare al campo base (CB, 4.350 m) per tentare di raggiungere la vetta (m. 7.546) attraverso tre campi in quota (I, II, III). Nell’ascesa sono state previste due cordate, di due uomini ciascuna (MN e FV; MS e PL). Non sono stati previsti sussidi respiratori.

Testistica

Prima della partenza, tutti i soggetti sono stati istruiti sulle modalità delle prove da effettuare e sono stati forniti del materiale cartaceo per i test con relativa matita (che consente di scrivere e disegnare anche ad alta quota).

È stata utilizzata la seguente batteria testistica:

– il Test di Orientamento Temporale (6), il cui scopo è quello di verificare l’orientamento del soggetto in esame;

– il Test “Animal naming” (7), che è uno strumento volto a dare una misura della capacità di ricerca rapida di parole nel lessico interno, in particolare per la categoria semantica riguardante gli animali;

– il Test di Fluenza Verbale per Accesso Fonemico (8), che misura la capacità di ricerca rapida di parole, in riferimento a quelle che iniziano con le lettere F, P e L;

– il Test dei Giudizi Aritmetici (9), che indica la capacità del “colpo d’occhio” sulle quantità aritmetiche e di fare uso della seriabilità della numerazione.

– il Test del Disegno della Figura Umana (10) di Karen Machover (12), che consiste nel dare l’indicazione di disegnare una persona e poi di disegnare una persona di sesso opposto; esso ha lo scopo di indagare la percezione del corpo nello spazio. Come sostiene l’autrice stessa infatti, “quando il controllo razionale è indebolito o per una malattia organica del cervello o per una psicosi funzionale, possono emergere ogni genere di distorsioni, incoerenze o sproporzioni di organi, spesso creando bizzarri effetti”. Rispetto al metodo di interpretazione dei disegni si sono attuati confronti qualitativi, intrapersonali e interpersonali, rispetto ai tre campi base e al livello del mare, sui seguenti elementi: espressione o atteggiamento delle persone raffigurate (indice dello stato d’animo del disegnatore); dimensioni e posizioni delle figure rispetto al foglio (rappresentando il foglio, per la figura disegnata, l’ambiente); presenza dei principali dettagli del corpo, specie quelli che ci permettono il contatto con il mondo esterno, come gli organi di senso (occhi, naso, bocca, orecchie), gli arti, le mani e i piedi.

La somministrazione di questi test è avvenuta al campo base e ad ogni sosta nei tre campi successivi; è stata, infine, ripetuta al livello del mare dopo quattro mesi dal ritorno.

Risultati

Gli alpinisti, che d’ora in avanti verranno convenzionalmente indicati con le prime quattro lettere dell’alfabeto, sono partiti dal campo base alle pendici del Muztagh-Ata il 1 agosto, giungendo al campo I (m 5.350) dopo due giorni, ed effettuando i test il 6 agosto. Al campo II (m 6.100) sono arrivati il 10 agosto i soggetti A, B, C, D, i quali hanno eseguito i test previsti il 12 agosto. Delle due cordate, una (B, D) ha raggiunto il campo III (m 7.000) il 19 agosto, l’altra, (A, C) dopo tre tentativi, è stata costretta a tornare indietro a quota 6.800 a causa di una bufera. Della prima cordata solo il soggetto B, il giorno seguente, ha eseguito i test ed il 22 agosto, partito alle 10.30, è riuscito a raggiungere la vetta (m 7.546) alle 17.45, per poi rientrare alle 20.30 al campo III. Tutti e quattro gli alpinisti si sono poi ritrovati al campo base: il 23 agosto i due soggetti che sono giunti al campo II e il 24 agosto gli altri che hanno proseguito la spedizione.

Per quanto riguarda i test cognitivi non si sono riscontrate differenze significative, in alcuno dei campi e al re-test, nell’orientamento temporale e nei giudizi aritmetici, in quanto tutti i soggetti hanno riportato un punteggio equivalente di 4 (superiore alla norma).

Una compromissione delle performance cognitive (Eq = 0) è stata osservata al campo I in tre soggetti (soggetti A, C e D), mentre il soggetto B ha ottenuto un punteggio nettamente superiore alla norma (Eq = 4). Al campo II, in cui tre dei quattro soggetti hanno effettuato i test, il soggetto A ha continuato a mostrare un deficit nelle performance (Eq = 0), il soggetto D un punteggio ai limiti inferiori di norma (Eq = 1) e il soggetto B una prestazione superiore alla norma (Eq = 4). Al campo III solo il soggetto B si è sottoposto ai test e il suo risultato, come quello nei campi precedenti, è stato nettamente superiore alla media (Eq = 4). Al re-test, dopo quattro mesi, tre soggetti (soggetti A, B e D) hanno riportato una prestazione superiore alla norma (Eq = 4) e il soggetto C un punteggio ai limiti inferiori di norma (Eq = 1).

La Figura 1 mostra i punteggi equivalenti (Eq) riportati nel test “Animal naming” (fluenza verbale per accesso semantico).

Analizzando i punteggi grezzi corretti ottenuti a questo test di fluenza verbale per accesso semantico, si può osservare che il soggetto A, che ha mostrato una compromissione delle performance cognitive sia al campo I che al campo II (Eq = 0), ha ottenuto un punteggio grezzo di 4 e di 8, rispettivamente. Al re-test, invece, il suo punteggio grezzo corretto è stato di 21, con una performance superiore alla media (Eq = 4). Il soggetto B, che ha sempre totalizzato una prestazione superiore alla norma (Eq = 4), è passato da un punteggio grezzo corretto di 43,5 al campo I, a 33,5 al campo II e a 36,5 sia al campo III sia al re-test. Il soggetto C ha ottenuto un punteggio grezzo corretto di 7 al campo I, che equivale ad una prestazione deficitaria (Eq = 0) e di 12 al re-test, indicante una prestazione ai limiti inferiori di norma (Eq = 1). Il soggetto D ha riportato un punteggio grezzo corretto di 7,5 al campo I, che è un risultato compatibile con una compromissione cognitiva (Eq = 0) di 9,5 al campo II, cioè una prestazione ai limiti inferiori di norma (Eq = 1) e di 17,5 al re-test, equivalente ad un punteggio superiore alla media (Eq = 4).

La Figura 2 illustra i punteggi equivalenti (Eq) ottenuti nel test di fluenza verbale per accesso fonemico.

Al campo I solo il soggetto C ha riportato un risultato deficitario (Eq = 0), due soggetti (A e D) una prestazione al limite inferiore di norma (Eq = 1) e il soggetto B una prestazione al di sopra della media (Eq = 4). Al campo II il soggetto D ha continuato a riportare un punteggio ai limiti inferiori di norma (Eq = 1) e due soggetti (A e B) un risultato superiore alla media (Eq = 4). Al campo III il punteggio dell’unico soggetto (B) ha continuato ad essere nettamente al di sopra della norma (Eq = 4). Al re-test tutti i soggetti hanno ottenuto una prestazione nella norma e, in particolare, tre soggetti (A, B, D) hanno riportato un punteggio superiore alla media.

Considerando i punteggi grezzi corretti risultanti dal test di fluenza verbale per accesso fonemico, si può osservare che il soggetto A è passato da un punteggio di 20 al campo I (Eq = 1: limiti inferiori di norma) a un punteggio di 45 al campo II e di 68 al re-test (Eq = 4: nettamente superiore alla media). Il soggetto B ha conseguito un punteggio grezzo corretto di 60 al campo I, di 33 al campo II, di 43 al campo III e di 53 al re-test, tutti attestanti una prestazione al di sopra della norma (Eq = 4). Il soggetto C ha riportato un punteggio grezzo corretto di 10 al campo I (Eq = 0: prestazione deficitaria) e di 23 al re-test (Eq = 2: nella norma). Il soggetto D ha ottenuto un punteggio grezzo corretto di 22 al campo I, di 17 al campo II (Eq = 1: limiti inferiori di norma) e di 39 al re-test (Eq = 4: superiore alla media).

Per quanto riguarda il test grafico, le figure umane tracciate al campo I da A, B, D sono risultate schematiche, impoverite nei dettagli, essenziali, poco o nulla caratterizzate dal punto di vista espressivo. Le dimensioni delle persone raffigurate sono risultate, rispetto ai valori medi, o superiori o inferiori: due soggetti su quattro (C e D) hanno disegnato figure molto grandi in relazione al foglio (rispettivamente 25 cm e 22,5 cm); A è rientrato nei valori medi, B ha disegnato figure più piccole della media.

Sono risultate mancanti in A, B, D parti del corpo deputate al contatto con l’ambiente (pupille, naso, orecchie, mani, piedi).

La figura umana rappresentata da C si è distinta nettamente dalle altre, sia per le dimensioni che per la ricchezza di particolari e non si riscontrano differenze fra le figure disegnate in quota e quelle a livello del mare.

Al campo II la caratterizzazione emotiva è stata accennata, gli schemi corporei sono risultati ancora schematici, le dimensioni ancora molto grandi o molto piccole rispetto ai valori medi. Sono stati tracciati però alcuni particolari in più dello schema corporeo (in B compaiono le mani e un abbozzo di dita, in D le gambe con i piedi). In tutti e tre non sono state disegnate le pupille e le orecchie.

Nell’unico disegno tracciato al campo III da B si è riscontrata la ricomparsa di occhi e bocca nel volto, mentre la figura umana continuava ad essere rappresentata piccola e schematica. Al re-test la tonalità emotiva delle figure è risultata presente in tutti i disegni, tranne in quello di D, in cui è presente solo il busto della persona, disegnata di profilo. Le dimensioni delle figure sono risultate nella norma e sono stati tracciati i principali componenti corporei (sopracciglia, occhi e pupille, bocca, collo, dita fino all’abbozzo del pollice, etc.). Nel disegno di B viene raffigurata anche la base su cui poggiano i piedi.

Discussione

I risultati ottenuti nei test neuropsicologici hanno evidenziato che, relativamente alle prestazioni di orientamento temporale e dei giudizi aritmetici, non si sono verificati cambiamenti di performance con l’ascesa in quota. Si è rilevata, invece, una compromissione delle funzioni fasiche ed anche la presenza di una variabilità individuale nella sensibilità all’ipossia da alta quota, come già evidenziato da studi precedenti (10) (11). Per quanto riguarda l’area del linguaggio, il nostro studio ha indagato sia la fluenza verbale semantica che quella fonemica; al campo I (m 5.350) è stata riscontrata una compromissione maggiore nella capacità di ricerca categoriale di parole rispetto alla capacità di ricerca per accesso fonemico, differenza mantenutasi al campo II (m 6.100) anche se è stato rilevato un miglioramento del rendimento in entrambe le prove. Il globale miglioramento evidenziato nelle prove di fluenza verbale, limitato agli alpinisti che hanno potuto proseguire la spedizione, è attribuibile alla graduale acclimatazione all’ambiente in alta quota, che ha consentito di migliorare le performance rispetto all’arrivo della spedizione ai piedi del massiccio da scalare.

Analogamente, anche i tempi di latenza di esecuzione della testistica si sono fatti più brevi: i soggetti al campo I hanno atteso tre giorni prima di effettuare le prove, che al campo II sono state svolte in tempi più brevi, mentre al campo III i test sono stati eseguiti solo il giorno dopo l’arrivo.

Al controllo, effettuato mediante la somministrazione degli stessi test dopo 4 mesi dal ritorno a bassa quota, le capacità di orientamento temporale e quelle di giudizio aritmetico hanno continuato a non mostrare di differenze rispetto all’aumento di quota. I test linguistici hanno evidenziato in tutti i soggetti prestazioni migliori a livello del mare e, soprattutto, è da sottolineare che tre soggetti su quattro hanno portato la loro prestazione al massimo livello. La percezione dello schema corporeo dei soggetti, evocabile tramite la somministrazione del test della figura umana, è risultata compromessa in modo evidente in alta quota. Le figure umane rappresentate, infatti, sono apparse schematiche, impoverite, ridotte o ingrandite nelle dimensioni rispetto a quelle disegnate a livello del mare. Il dato più interessante è stato proprio la mancanza dei principali elementi deputati al contatto con l’esterno (pupille, mani, piedi, naso, orecchie), mentre la rappresentazione di tali elementi corporei è tornata ad essere completa al re-test, effettuato a distanza di quattro mesi a livello del mare.

Al re-test, infatti, è stato evidenziato un buon recupero di tutti gli aspetti strutturali dello schema corporeo con reintroduzione del collo, della bocca, delle sopracciglia, delle dita, fino all’abbozzo del pollice, così come è tornata evidente una rappresentazione emotiva della persona ed un suo contatto percettivo con l’ambiente (il soggetto B ha disegnato persino la base stabile sotto i piedi della persona).

Le figure schematiche, le sproporzioni, la mancanza della rappresentazione di alcuni organi deputati al contatto con l’ambiente nei disegni tracciati, possono essere letti come un processo psicologico di ripiegamento su se stessi, ritiro dal mondo esterno, attenzione ai propri bisogni e coartazione delle emozioni, processo che sembra essere necessario per poter affrontare le modificazioni che l’alta quota comporta.

Come dimostrato dai dati ricavati dal confronto intraindividuale delle prove fornite durante la spedizione, ed a conferma dei dati presenti in letteratura, alcune risposte dell’organismo all’aumento di quota sono immediate o a breve termine, mentre altre si instaurano dopo giorni, settimane o mesi. Pertanto è apparso evidente, con il trascorrere dei giorni, l’intervento sia di modificazioni a breve che a lungo termine, che hanno portato ad un incremento delle prestazioni rispetto a quelle del campo I in cui i soggetti erano fisiologicamente “esordienti” nell’habitat di alta quota, raggiunto peraltro dopo molteplici voli aerei ed un lungo trasferimento con mezzi di trasporto locali.

D’altra parte, nei soggetti che hanno potuto ripetere le prove, si è visto che, raggiungendo le quote superiori ai 6 mila metri s.l.m., l’ipossia e gli effetti delle condizioni ambientali ostili (in particolare, le basse temperature) hanno determinato una progressiva compromissione della percezione dello schema corporeo, così come viene rappresentato dal test della figura umana. Tale compromissione funzionale è risultata completamente recuperata al controllo, tramite il re-test a livello del mare, eseguito a distanza di quattro mesi.

In sintesi, considerato il fatto che i deficit percettivi osservati hanno comunque consentito di completare il compito, i risultati ottenuti dimostrano che, quando esistono buone capacità di adattamento (di acclimatazione nel caso delle spedizioni alpinistiche), anche in condizioni precarie di saturazione di ossigeno e di temperatura, le funzioni mentali restano integre e consentono di mantenere attive quelle funzioni simboliche che rappresentano strategie fondamentali nell’orientamento spazio-temporale e nella valutazione delle difficoltà e dei pericoli da affrontare. Viceversa, nel caso in cui le difficoltà di acclimatazione non hanno consentito di proseguire l’impresa alpinistica, è stata osservata anche una precoce compromissione delle funzioni neuropsicologiche indagate. Pertanto, una testistica semplice e di rapida esecuzione, come quella proposta, è risultata utile al fine di mettere a fuoco le variazioni neuropsicologiche in condizioni di alta quota ed hanno fornito indicazioni predittive sulle difficoltà di acclimatazione dei soggetti che non hanno portato completamente a termine l’ascesa. Soprattutto tale dato segnala quindi l’opportunità di seguire, anche sotto il profilo neuropsicologico, soggetti che si cimentano con imprese alpinistiche ad alta quota, al fine di prevenire rischi connessi con un progressivo abbassamento delle performance mentali.

Conclusioni

I risultati sopra riportati confermano il fatto che l’ascesa ad alte quote, attivando una serie di processi fisiologici di adattamento, porta a modificazioni cognitive che nel complesso configurano il quadro della acclimatazione. Le alterazioni sono di tipo funzionale, finalizzate a migliorare la condizione di vita e la capacità di lavoro, e l’entità dei processi di acclimatazione dipende sia dalla quota di esposizione che dalla tolleranza individuale. Il fatto che il miglioramento delle prestazioni riscontrate al passaggio dal campo I al campo II sia proprio dovuto al fenomeno di una migliore acclimatazione è dimostrato anche dal caso dell’unico soggetto che è riuscito a raggiungere la vetta, che ha anche fornito le migliori prestazioni nel recupero delle performance rispetto alla prima prova.

Dalla presente ricerca è possibile affermare che in condizioni di ridotto adattamento alle precarie condizioni ambientali vigenti in alta quota (con particolare riferimento alla bassa pressione parziale di O2 ed alle basse temperature) sono riscontrabili alcune compromissioni precoci delle funzioni neuropsicologiche indagate. Tali deficit, a conferma della loro natura funzionale, scompaiono al re-test somministrato dopo quattro mesi dal ritorno a bassa quota.

In conclusione, dai dati raccolti nel nostro studio, è emersa l’importanza di effettuare un controllo attento del grado di acclimatazione durante le spedizioni in alta quota; controllo effettuabile tramite la somministrazione di semplici test come quelli utilizzati nella nostra ricerca.

Fig. 1. Punteggi riportati al test “Animal Naming” che misura la capacità di fluenza verbale per accesso semantico. Sull�asse delle ascisse sono riportati i luoghi in cui sono stati effettuati i test: campo I (m 5.350), campo II (m 6.100), campo III (m 7.000) e la somministrazione ripetuta dello strumento al ritorno (re-test), al livello del mare, dopo quattro mesi. Le colonne dell�istogramma rappresentano i quattro soggetti, come indicato in legenda: soggetto A (colonna nera), soggetto B (colonna con puntini), soggetto C (colonna con linee diagonali) e soggetto D (colonna con mattoncini). Sull�asse delle ordinate sono riportati i punteggi equivalenti ottenuti dai soggetti: 0 (prestazione deficitaria), 1 (prestazione ai limiti inferiori di norma), 2 (prestazione nella norma), 3 (prestazione superiore alla norma) e 4 (prestazione nettamente superiore alla norma). Scores obtained by climbers on the “Animal Naming Test” for semantic verbal fluency. Horizontal axis: I (5,350 m on sea level), II (6,100 m), III (7,000 m) camps where tests were performed, and after a 4 month re-test (at sea level). Columns indicate the 4 climbers: A (black), B (dots), C (diagonal lines), and D (bricks) subject. Vertical axis: equivalent scores obtained by the 4 subjects: 0 (deficitary), 1 (subnormal), 3 (normal), and 4 (supranormal) performances.

Fig. 2. Punteggi ottenuti al test di fluenza verbale fonemica. Sull�asse delle ascisse sono riportati i luoghi in cui sono stati somministrati i test: campo I (m 5.350), campo II (m 6.100), campo III (m 7.000); e la somministrazione ripetuta dello strumento al ritorno (re-test), al livello del mare, dopo quattro mesi. Le colonne dell�istogramma rappresentano i quattro soggetti, come indicato in legenda: soggetto A (colonna nera), soggetto B (colonna con puntini), soggetto C (colonna con linee diagonali) e soggetto D (colonna con mattoncini). Sull�asse delle ordinate sono riportati i punteggi equivalenti ottenuti dai soggetti: 0 (prestazione deficitaria), 1 (prestazione ai limiti inferiori di norma), 2 (prestazione nella norma), 3 (prestazione superiore alla norma) e 4 (prestazione nettamente superiore alla norma). Scores obtained by climbers on the phonemic verbal fluency test. Horizontal axis: I (5,350 m on sea level), II (6,100 m), III (7,000 m) camps where tests were performed, and afte ar 4 month re-test (at sea level). Columns indicate the 4 climbers: A (black), B (dots), C (diagonal lines), and D (bricks) subject. Vertical axis: equivalent scores obtained by the 4 subjects: 0 (deficitary), 1 (subnormal), 3 (normal), and 4 (supranormal) performances

.

1 Moore LG, Harrison GL, McCullough RE, McCullough RG, Micco AJ, Tucker A, et al. Low acute hypoxic ventilatory response and hypoxic depression in acute altitude sickness. J Appl Physiol 1986;60:1407-12.

2 Hultgren H. High Altitude Medicine. Stanford (Calif.): Hultgren 1997.

3 Pollard AJ, Murdoch DR. The High Altitude Medicine Handbook. Abingdon: Radcliffe Medical Press 1998.

4 Murray JF, Nadel JA. Textbook of Respiratory Medicine. Philadelphia: Saunders 2000.

5 Ward MP, Milledge JS, West JB. High Altitude Medicine and Physiology. London: Arnold 2000.

6 Reeves JT, Grover RF. Attitudes on Altitude. Colorado: Colorado University Press 2001.

7 Grassi C, Longhini E, Pardi R. Malattie dell�apparato respiratorio. In: Rugarli C, ed. Medicina Interna Sistematica. IV Ed. Milano-Parigi-Barcellona: Masson 2000, pp. 268-74.

8 Hackett PH, Roach RC. High altitude illness. N Engl J Med 2001;345:107-14.

9 Bernardi L, Bandinelli G, Passino C, Spadacini G, Bonfichi M, Arcaini L, et al. Autonomic Modulation of Cerebral Blood Flow at Altitude. Clin Aut Res 1998;8:279-80.

10 Proverbio AM, Lilli S, Zani A, Semenza C. Neural basis of common vs. proper name retrieval: An electrophysiological investigation. Brain Language 1997;60:31-3.

11 Hornbein TF, Schoene RB. High Altitude: An Exploration of Human Adaptation. New York: Marcel Dekker 2001.

12 Machover K. Il Disegno della Figura Umana. Firenze: Organizzazioni Speciali 1951.

13 Spinnler H, Tognoni G. Standardizzazione e taratura italiana di test neuropsicologici. It J Neurol Sci 1987;6:20-2.

14 Novelli G, Papagno C, Capitani E, Laiacona M, Vallar G, Cappa SF. Tre test clinici di ricerca e produzione lessicale. Taratura su soggetti normali. Arch Psicol, Neurol Psichiat 1986;47:477-506.