Nuovi orientamenti per il trattamento delle fasi acute della schizofrenia

New perspectives in the treatment of acute phases of schizophrenia

G. Perini, L.C. Bergamo*

Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova; * Dipartimento Interaziendale di Salute Mentale, Padova

Key words: Schizophrenia • Clinical practice guidelines • Atypical antipsychotic drugs • Neurodevelopment
Correspondence: Prof. Giulia Perini, Dipartimento di Neuroscienze, Via Giustiniani 2, 35100 Padova, Italy

Introduzione

La schizofrenia è un disturbo mentale grave, o meglio un gruppo di disturbi mentali gravi con una prevalenza nell’arco della vita di circa 1% nella popolazione generale. Tipicamente insorge nella tarda adolescenza-inizio età adulta ed è caratterizzata da un decorso molto variabile: in un terzo dei casi vi può essere una completa ripresa funzionale e sociale, ma nella maggior parte dei casi la malattia ha un decorso cronico e ricorrente con sintomi residuali e un incompleto recupero sociale. Con le appropriate cure farmacologiche e psicosociali è possibile indurre una remissione completa e duratura in circa il 50% dei pazienti. Di quelli che non mostrano un recupero, circa un quinto presenta pesanti limitazioni nella vita di tutti i giorni (1).

Per comprendere l’importanza di una corretta impostazione terapeutica, ai fini di una miglior prognosi ed evoluzione della schizofrenia, faremo riferimento al modello interpretativo proposto da Liberman (2), che illustra le fasi cliniche, la loro relazione con possibili meccanismi biologici, le strategie terapeutiche mirate (Fig. 1, Tab. I).

In questo modello sono considerate quattro fasi relativamente omogenee per la presentazione clinica, lo stadio di sviluppo e i processi patofisiologici che le sottendono:

– Fase Premorbosa;

– Fase Prodromica;

– Fase Progressiva;

– Fase Residuale.

Secondo le più recenti interpretazioni fisiopatologiche, la schizofrenia viene vista come un disturbo geneticamente mediato dello sviluppo neuronale: i fattori eziologici e patogenetici agiscono molto prima dell’inizio sintomatico della malattia (probabilmente già nel secondo trimestre di gravidanza), alterando il normale sviluppo e quindi l’organizzazione strutturale neuronale di aree cerebrali quali la DFPLC (dorso-lateral-prefrontal-cortex), importanti nei compiti esecutivi quali la working memory, coinvolte nella patogenesi dei sintomi negativi e, per mancata inibizione, responsabili anche dei sintomi positivi (3). Tuttavia le conseguenze di quest’alterato sviluppo non si manifestano già nelle prime fasi della vita, come in altre malattie dello sviluppo neuronale (autismo, X fragile, Down), ma si esprimono solo quando il SNC raggiunge un determinato livello maturativo che corrisponde alla adolescenza/giovane età adulta.

In fase premorbosa e prodromica (Fig. 1) sono presenti infatti solo lievi alterazioni motorie, cognitive e sociali non specifiche e non predittive, e sintomi prodromici attenuati positivi (illusioni, idee di riferimento, pensiero magico), dell’umore (ansia, disforia, irritabilità, e cognitivi (distraibilità). Le alterazioni neuropatologiche sono prevalentemente deficit di migrazione, di organizzazione corticale e apoptosi.

Nella fase acuta diventano invece preminenti i disturbi del sistema dopaminergico e del glutammato/NMDA, che sono alla base dei sintomi positivi (deliri, allucinazioni, disorganizzazione) e di quelli negativi. Dal punto di vista neuropatologico, la maturazione del sistema nervoso centrale interagisce con le anomalie di sviluppo e evidenzia la disregolazione dei sistemi corticali glutamatergici e sottocorticali dopaminergici.

In fase di progressione e in quella residuale possono essere presenti, nei pazienti con scarsa risposta al trattamento e con riduzione della funzionalità e persistenza di sintomi residuali, alterazioni neuronali neurodegenerative, con aumento di volume dei ventricoli cerebrali, riduzione della sostanza grigia, probabilmente mediati da aumento attività glutamatergica/ipofunzione NMDA e riduzione di quella gabaergica, sensibilizzazione e neurotossicità dopamino-mediate. (Fig. 1, Tab. I). L’andamento in queste fasi presenta un’ampia variabilità, da pattern di relativa stabilizzazione, anche se a livelli funzionali inferiori a quelli di partenza, a pattern di progressivo deterioramento con fasi di riacutizzazione e di remissione relativa.

La distinzione in più fasi è importante per una corretta impostazione terapeutica. Ci sembra importante sottolineare che una parte fondamentale della terapia e della prevenzione della evoluzione negativa della schizofrenia si deve basare su una precoce individuazione del disturbo e di un suo completo trattamento già nelle primissime fasi del disturbo, cioè nelle fasi prodromiche e al momento dell’insorgenza. Sono infatti state riportate due osservazioni importanti (2):

1. il tempo medio di riconoscimento del disturbo, dall’insorgenza dei sintomi al momento della diagnosi, varia fra uno e due anni, e, se si considerano i sintomi prodromici è di tre anni. Questo è un tempo troppo lungo ed è necessario fare tutto quello che si può per abbreviarlo (progetti di informazione, formazione, riduzione dello stigma, re-training degli operatori ecc.);

2. la durata del periodo di psicosi attiva non curata, vale a dire di sintomi psicotici attivi è stata dimostrata essere, in 25 studi sul primo episodio, associata in modo inequivocabile all’esito negativo, misurato con molteplici parametri di valutazione.

Tanto prima identificheremo la fase iniziale d’insorgenza della psicosi e tanto più accuratamente e correttamente tratteremo il primo episodio, tanto migliore sarà l’evoluzione successiva del disturbo.

In quest’ottica quindi, noi utilizzeremo i farmaci antipsicotici, soprattutto quelli atipici, non solo come sintomatici, per fornire una relativa libertà dai sintomi più disturbanti, ma anche come terapie che possono avere un ruolo importante nel modificare la progressione della malattia, nel limitare e prevenire il deficit, la disabilità e la residualità. Quali siano questi specifici effetti neuroprotettivi e come si possano potenziare con strategie aggiuntive o diverse nelle varie fasi è oggetto di molti studi, sia a livello preclinico che clinico, nei quali si sono evidenziati effetti non solo sui sintomi positivi, ma anche su quelli negativi e soprattutto cognitivi (4).

Le linee guida per il trattamento della fase acuta della schizofrenia

Le linee guida per il trattamento della schizofrenia distinguono gli interventi per la fase acuta (insorgenza o riacutizzazione), quelli per la fase di stabilizzazione e quelli per la fase stabile. Le modalità ed il tipo d’interventi vanno adattati, in ciascuna fase, al tipo di quadro clinico, di risposta alle terapie e di recupero psicosociale e lavorativo. Un’attenzione particolare va dedicata al trattamento delle forme resistenti.

In questo lavoro abbiamo esaminato e rivalutato, anche alla luce delle linee guida esistenti, nazionali ed internazionali (5) (6), quali possano essere le scelte terapeutiche ottimali in fase acuta o di riacutizzazione della schizofrenia più consone alla realtà prescrittiva italiana.

1. Valutazione della sintomatologia

Devono essere valutate la presenza di sintomi positivi, dei sintomi negativi, dell’ansia, agitazione, insonnia e della loro gravità mediante valutazione clinica e valutazione psicometrica mediante scale appropriate (SAPS, SANS, PANNS, HAMILTON per ANSIA, HAMILTON per DEPRESSIONE, MANIA RATING SCALE, OVERT AGGRESSION SCALE). La valutazione psicometrica standardizzata è consigliata per tutti i pazienti, sia in fase acuta sia di remissione, per una migliore valutazione oggettiva dei risultati delle terapie effettuate. Questa metodologia può risultare infatti qualificante per i processi di valutazione della qualità della cura e per l’accreditamento delle strutture che la utilizzano. Qualora le condizioni del paziente non permettano una valutazione sufficientemente approfondita (ad es. stato di agitazione importante, scarsa collaborazione) la valutazione va effettuata solo sui dati comportamentali registrati e l’eventuale valutazione più approfondita rimandata a tempi successivi.

2. Valutazione internistica e neurologica

La valutazione internistica e quella neurologica sono di fondamentale importanza per la diagnosi differenziale con le forme organiche e per la scelta dei trattamenti farmacologici. Quando il paziente è al primo episodio o in fase di riacutizzazione va sottoposto ad una batteria di esami ematochimici di base (emocromo, funzionalità renale, epatica, pancreatica, tiroidea, elettroliti, screening tossicologico) ed ad esami strumentali su indicazione dell’anamnesi, dell’esame obiettivo e di quello neurologico (TAC, RMN, SPECT, PET cerebrali, EEG e potenziali evocati) al fine di escludere una forma secondaria o una comorbidità organica.

3. Impostazione della terapia

a) Criteri per la scelta dei farmaci antipsicotici

Basi farmacodinamiche

Tutti i farmaci neurolettici hanno un’attività di blocco prevalente dei recettori della dopamina (D2) e quindi una buona potenzialità di trattamento dei sintomi positivi (deliri, allucinazioni, disorganizzazione), che sono determinati dalla iperattività dopaminergica nelle strutture mesolimbiche. L’attività di blocco si esercita, in maniera diversa a seconda della classe, nelle quattro principali vie dopaminergiche:

1. la via nigro-striatale a funzione motoria (effetti extrapiramidali);

2. la via mesolimbica (VTA-accumbens) a funzione di regolazione emotiva e di ricompensa (effetti deliriolitici);

3. la via mesocorticale (VTA-corteccia prefrontale) a funzione cognitiva e motivazionale (peggioramento dei sintomi negativi, cognitivi e affettivi);

4. la via tubero-infundibulare che inibisce, a livello ipofisario, la secrezione di prolattina (iperprolattinemia).

Gli studi condotti mediante PET hanno dimostrato che gli effetti terapeutici si evidenziano quando il 65-70% dei recettori D2 è bloccato da un antipsicotico tipico, mentre con un antipsicotico atipico, alle dosi terapeutiche è bloccata una percentuale inferiore al 60%. Per la clozapina è sufficiente un’occupazione recettoriale del 40% per l’efficacia antipsicotica. La soglia di occupazione recettoriale per gli effetti collaterali di tipo extrapiramidale e per l’iperprolattinemia è superiore al 70%, ma clinicamente per i tipici non è possibile ottimizzare, a livello clinico, questa differenza di soglia fra effetti antipiscotici ed effetti collaterali (7). Tutti gli antipsicotici tipici sono ugualmente efficaci, sebbene manifestino la massima azione antipsicotica a diversi dosaggi (differente potenza). In base alla potenza, gli antipsicotici tipici vengono distinti in agenti ad elevata, media e bassa potenza e per comodità vengono correlati alla potenza equivalente di 100 mg di Clorpromazina (6). Gli effetti collaterali variano invece in base alla diversa affinità per i recettori, a1-adrenergici, colinergici e/o istaminergici 5-HT2.

Alcuni neurolettici atipici sono stati definiti dal punto di vista farmacologico come antagonisti serotonino-dopaminergici (SDA): oltre a bloccare i recettori D2 bloccano anche i recettori 5HT2A e hanno un rapporto di blocco 5HT2/DA superiore a 1. Dal punto di vista funzionale, la serotonina inibisce normalmente il rilascio di dopamina dai terminali assonici dopaminergici nelle quattro diverse vie della dopamina, ma il grado di controllo differisce da una all’altra. Nella via nigrostriatale, grazie all’antagonismo 5HT2a, vi è minor blocco dei recettori D2 questo spiega la minore propensione a dare effetti EPS. Anche a livello mesocorticale prevale l’azione sui 5HT2a, che favorisce il rilascio di DA, dove non induce, ma migliora i sintomi negativi, cognitivi e affettivi. A livello tuberoinfundibolare, l’antagonismo della serotonina mitiga l’azione stimolatoria del blocco D2 sulla prolattina.

A livello mesolimbico prevale l’azione antagonista D2 antipsicotica classica.

Infine gli atipici hanno elevata affinità di blocco anche per altre sottoclassi recettoriali, in modo particolare per i recettori D4 dopaminergici, per i recettori 5HT1A, 5HT3, 5HT6 (clonati recentemente), 5HT7 nonché gli a1 e a2 adrenorecettori noradrenergici AchM, e NMDA. L’azione di blocco multirecettoriale può essere alla base sia di effetti terapeutici (ad es. sui sintomi cognitivi), che di effetti indesiderati (ad es. ipotensione, aumento di peso).

Infine, recentemente è stato proposto che l’azione diversa degli atipici dai tipici sia da riferirsi ad una più rapida dissociazione dal recettore D2, che permette una modulazione del sistema dopaminergico più vicina a quella fisiologica, in quanto il recettore D2 non è bloccato permanentemente, ma in maniera fasica, permettendo quindi alla dopamina di mantenere comunque una attività anche in presenza di antagonista (fast Koff theory). Il blocco D2 da atipici rispetterebbe maggiormente il funzionamento del sistema dopaminergico, senza indurne cambiamenti permanenti (Fig. 2) (7) (8).

Gli antipsicotici atipici quindi hanno un’efficacia antipsicotica almeno pari a quella dei tipici, con però minori o assenti effetti extrapiramidali e sui livelli di prolattina; essi inoltre migliorano in varia misura sintomi cognitivi ed affettivi presenti nelle forme psicotiche.

Indicazioni cliniche

Vi sono indicazioni chiare dalla letteratura recente che gli atipici possano essere considerati di prima scelta nei primi episodi e nelle fasi di riacutizzazione, sia in quelle con prevalenza di sintomi negativi, cognitivi e d’alterazioni dell’umore, sia in quelle con sintomi positivi e agitazione marcata, poiché a dosaggio terapeutico sono tollerati meglio dei neurolettici tipici, con però pari o superiore profilo d’efficacia (6) (9).

L’efficacia antipsicotica (sui sintomi positivi, negativi, cognitivi e affettivi) dei neurolettici atipici si è dimostrata infatti superiore per clozapina, olanzapina, risperidone e amisulpiride o uguale per i rimanenti atipici, a quella degli antipsicotici di prima generazione in una recente meta-analisi su 148 studi clinici controllati (9). Gli antipsicotici atipici hanno una documentata minore incidenza di effetti extrapiramidali e di discinesie tardive rispetto ai neurolettici convenzionali e richiedono un minor uso di farmaci antiparkinsoniani (9).

Poiché è un potente bloccante D2 con caratteristiche di relativa selettività, l’aloperidolo può essere considerato una alternativa in fase acuta, quando i sintomi positivi siano nettamente dominanti, in assenza di controindicazioni specifiche, quando ci sia una storia precedente di buona risposta e buona tollerabilità e quando vi sono problemi legati alla via di somministrazione orale. L’aloperidolo, infatti, è stato fino a poco tempo fa considerato superiore agli atipici per la disponibilità di varie formulazioni (im/ev, depot) Tuttavia, la disponibilità della nuova formulazione IM di olanzapina, già presente in commercio, è destinata a modificare in tempi brevi anche questa considerazione. In questa fase di trattamento si consiglia almeno un controllo settimanale per l’eventuale adeguamento della dose, per la valutazione di terapie aggiuntive, dell’aderenza al trattamento e degli effetti collaterali.

Al termine delle prime 3 settimane di trattamento con antipsicotici è opportuna una rivalutazione dell’efficacia e della tollerabilità (comparsa di effetti indesiderati), per decidere la continuazione o il cambiamento della terapia (vedi algoritmo).

Se vi è una soddisfacente remissione dei sintomi e buona tollerabilità si può passare alla terapia di stabilizzazione e di mantenimento con atipici, vista la loro buona tollerabilità anche a lungo termine.

In caso di intolleranza (comparsa di EPS o altri effetti indesiderati) e/o inefficacia (scarsa o nulla risposta al trattamento a dosi piene per un tempo adeguato) i bloccanti D2 “tipici” vanno sostituiti con farmaci di classe diversa (“atipici”) bloccanti 5HT2/D2 (risperidone, olanzapina, quetiapina), modificando gradualmente i dosaggi.

Nel caso di mancata risposta o intolleranza ad un atipico, valutata l’aderenza al trattamento e il profilo degli effetti collaterali, si può decidere di passare ad un altro neurolettico atipico (6).

Dopo due tentativi di questo tipo ed un giudizio clinico di scarsa o nulla risposta al trattamento, il caso va considerato come refrattario e deve essere valutata la terapia con clozapina.

Se anche il secondo cambiamento di farmaco non ha dato risultati adeguati, in alcuni casi, quando ad esempio non è possibile indicare la clozapina per motivi internistici, di compliance al monitoraggio o intolleranza a effetti collaterali specifici, può essere presa in considerazione un’associazione di farmaci tipici e atipici, anche se, secondo una meta-analisi recente, non esistono sufficienti dati da studi clinici controllati che supportino l’efficacia e la sicurezza di questa prassi.

b) Modalità e tempi di somministrazione

È importante scegliere una dose che sia efficace e che abbia una ridotta probabilità di indurre gravi effetti collaterali.

Se viene scelto un antipsicotico ad alta potenza, la dose giornaliera efficace è compresa tra 5 e 20 mg di aloperidolo, a bassa potenza tra 300 e 600 mg di clorpromazina (2). Terapie con dosaggi più bassi sono inefficaci, con dosaggi più alti sono rischiose per effetti collaterali importanti, senza aggiungere efficacia antipsicotica.

Per quanto riguarda il risperidone, la dose dovrebbe essere compresa tra i 4 e i 6 mg, per olanzapina tra 10 e 20 mg, e per quetiapina tra 150 e 750 mg.

Il paziente, salvo effetti collaterali, dovrebbe essere mantenuto a questo range per almeno 4-6 settimane. Dopo 3-4 settimane si valuta l’esito per un eventuale cambiamento (vedi algoritmo). Se invece il trattamento è efficace, si entra nella fase di stabilizzazione, durante la quale è fortemente indicata la continuazione dello stesso regime di trattamento che ha risolto la fase acuta, almeno per sei mesi. La sospensione durante questa fase mette a serio rischio di ricaduta il paziente.

Il monitoraggio dei livelli plasmatici può essere utile nelle seguenti circostanze:

• quando è necessario stabilire se si è nel range di tossicità della molecola (assunzione di farmaco in modo non congruo, aumento di dose per farmaci come la clozapina, associazione con farmaci che inibiscono il citocromo P450);

• quando il paziente non risponde a quella che è considerata una dose sufficiente;

• quando i sintomi della schizofrenia sono difficilmente distinguibili da quelli degli effetti collaterali (SNN, delirium);

• quando sono associati altri farmaci;

• quando il paziente è molto giovane, anziano o affetto da patologia che possa interferire con la farmacodinamica;

• quando si sospetta una scarsa collaborazione.

c) Terapie associate

Benzodiazepine

Le benzodiazepine da sole possono avere un’efficacia lieve nel ridurre alcuni sintomi (agitazione, ansia, livello globale di deficit, sintomi psicotici); più spesso associate agli antipsicotici, ne possono migliorare la risposta. La loro efficacia è tuttavia limitata alla fase acuta. È stato dimostrato che l’associazione di clonazepam e aloperidolo determinava un abbassamento significativo dei punteggi totali della BPRS dopo 1 settimana e che, quando l’alprazolam veniva aggiunto ad un antipsicotico si verificava una riduzione significativa del ritiro psichico dopo la prima settimana, ma alla quinta settimana tale effetto spariva. Il lorazepam infine, aggiunto ad un antipsicotico per il trattamento di gravi episodi d’aggressività, riduceva la dose media e il numero medio di dosi di antipsicotico richieste di circa il 50% rispetto a quando era somministrato solamente l’antipsicotico (10).

Le benzodiazepine presentano effetti collaterali quali sedazione, atassia, deficit cognitivi, tendenza a provocare disinibizione comportamentale. La loro sospensione può comportare sintomi d’astinenza, delirium e crisi convulsive. I pazienti schizofrenici, infine, sembrano essere particolarmente predisposti all’abuso e alla dipendenza.

La scelta della benzodiazepina è guidata da molti fattori, compresi l’emivita di eliminazione e la presenza di metaboliti attivi, l’età e l’integrità del metabolismo epatico, le vie di somministrazione disponibili, i rischi di arresto respiratorio, il potenziale pericolo di abuso e dipendenza.

Si consiglia di utilizzare le benzodiazepine solo per il periodo della fase acuta e per il tempo minimo necessario.

Litio

Gli studi che hanno valutato gli effetti antipsicotici del litio ne indicano un’efficacia limitata in monoterapia nella schizofrenia (10).

È stato dimostrato, invece, che il litio in associazione agli antipsicotici aumenta la risposta a questi farmaci e migliora i sintomi negativi.

Si è riscontrato anche un minor isolamento, miglioramento dei rapporti sociali, un miglioramento della collaborazione, dell’igiene personale, una riduzione dei manierismi, dell’irritabilità, dell’eccitamento e del deterioramento.

Il litio, infine, offre particolari benefici terapeutici ai pazienti schizofrenici con sintomi affettivi e a pazienti schizoaffettivi.

Gli effetti collaterali del litio includono poliuria, polidipsia, aumento del peso, disturbi cognitivi, tremore, sedazione o letargia, deficit della coordinazione, turbe gastrointestinali, perdita dei capelli, leucocitosi benigna, acne, edema.

La combinazione di un antipsicotico con il litio, può aumentare il rischio di sviluppare una sindrome maligna da neurolettici; il dato, tuttavia, non proviene da studi clinici controllati. La maggior parte dei casi riportati di sindrome maligna da neurolettici è riconducibile a casi di disidratazione e conseguente aumento dei livelli di litio. Nessuna particolare combinazione di farmaci è controindicata, ma bisogna stare attenti ad eventuali segni di tossicità, soprattutto nella fase iniziale del trattamento. Il litio è aggiunto all’antipsicotico dopo che il paziente ha ricevuto un adeguato trial con antipsicotico, ma ha raggiunto un plateau nel livello di risposta e i sintomi residui persistono. La dose di litio consigliata è quella che permette di ottenere un livello ematico di 0,8-1,2 mEq/l. La risposta al trattamento di solito compare fra le 3-4 settimane, in alcuni casi dopo le 12 settimane o più.

Utile il monitoraggio dei pazienti per rilevare l’eventuale comparsa degli effetti collaterali che sono comunemente associati al litio e alla sua interazione con un antipsicotico (EPS, SMN, confusione, disorientamento), soprattutto nella fase iniziale di trattamento.

Anticonvulsivanti

Alcuni studi hanno dimostrato che gli anticonvulsivanti possono essere utili in associazione agli antipsicotici in particolari popolazioni di pazienti, soprattutto in quelli che presentano anomalie EEG-grafiche, indicative della presenza di un’attività epilettica e in quelli con un comportamento agitato/violento. Inoltre possono essere indicati nei pazienti con disturbo schizoaffettivo e nei disturbi di personalità con scarso controllo degli impulsi.

Di solito questi farmaci vengono utilizzati agli stessi range di dosaggio terapeutico e ai medesimi livelli ematici impiegati nel trattamento dei disturbi convulsivi (minima dose efficace). La combinazione di farmaci anticonvulsivanti con antipsicotici non causa generalmente ulteriori effetti collaterali oltre a quelli indotti dai singoli farmaci, con alcune importanti eccezioni: infatti l’impiego della carbamazepina associata a clozapina è sconsigliato poiché entrambe possono determinare agranulocitosi, e l’uso della carbamazepina determina una riduzione dei livelli ematici degli antipsicotici a seguito dell’induzione degli enzimi epatici.

La carbamazepina viene utilizzata come prima scelta in pazienti con pregressa SMN in sostituzione dell’antipsicotico.

d) Efficacia e tollerabilità degli antipsicotici convenzionali e di nuova generazione

Aloperidolo

L’aloperidolo è l’antipsicotico tipico di riferimento utilizzato come confronto nella maggior parte degli studi clinici controllati. Le dosi giornaliere di aloperidolo variano da un minimo di 1,5 mg die ad un massimo di 20 mg/die con buona risposta terapeutica già ad una dose media di 3-4 mg/die. Dosi superiori ai 20 mg generalmente non determinano un aumento di efficacia, ma solo un aumento di effetti collaterali e sono quindi da usare solo sporadicamente. L’incidenza degli effetti collaterali, inoltre, aumenta con la dose. Gli effetti collaterali dell’aloperidolo sono principalmente neurologici (discinesie acute e tardive, acatisia, parkinsonismo, sindrome maligna da neurolettici), ipotensivanti, anticolinergici, endocrinologici e metabolici (iperprolattinemia, galattorrea, amenorrea, aumento di peso, aumento del rischio per diabete tipo 2). Possono esserci più raramente effetti allergici ed epatici, alterazioni della crasi ematica e crisi convulsive.

Possibili interazioni con fluoxetina, carbamazepina, terfenadina, sedativi, litio, anticolinergici, agonisti e antagonisti dopaminergici, antiepilettici, cimetidina, antidepressivi, sulfanilurea.

Cloropromazina

Le dosi giornaliere variano da 25 a 1.000 mg. In realtà l’uso di dosi superiori ai 600 mg è stato criticato per un eccessivo aumento di effetti collaterali senza un reale beneficio sui sintomi psicotici.

Una revisione sistematica di studi controllati e randomizzati ha riportato che la cloropromazina produce un miglioramento globale a breve e medio termine superiore al placebo.

Gli effetti avversi comprendono sedazione, disturbi neurologici (discinesie acute e tardive, acatisia, parkinsonismo, sindrome maligna da neurolettici) ipotensivanti e anticolinergici importanti (ritenzione urinaria, stipsi, annebbiamento del visus, secchezza delle fauci, confusione fino a delirium, soprattutto nell’anziano e nel paziente con malattie neurologiche concomitanti), endocrinologici (iperprolattinemia, galattorrea, amenorrea), aumento di peso, aumento del rischio per diabete tipo 2, fotosensibilità. Possono esserci più raramente effetti allergici, epatici, alterazioni della crasi ematica e crisi convulsive.

Il farmaco ha possibili interazioni con sedativi, litio, anticolinergici, antiepilettici, sulfanilurea, cimetidina, antidepressivi, agonisti e antagonisti dopaminergici (11).

Clozapina

È una dibenzoxazepina, capostipite degli antipsicotici atipici con una bassa affinità e rapida Koff utilizzata a dosaggi fra 150 e 900 mg (dose media 450 mg/die). La dose iniziale è di 12,5 mg/die, al primo giorno, 12,5 x 2 al secondo e successivamente gli incrementi giornalieri sono di 25-50 mg fino a 300 mg/die. La dose finale può essere raggiunta con aumenti di 50-100 mg/die settimanali. Una revisione sistematica di studi controllati e randomizzati ha riportato che la clozapina è più efficace dei farmaci antipsicotici classici nelle forme resistenti mentre un’altra revisione non ha rilevato differenze significative d’efficacia nei confronti degli altri atipici, anche se la numerosità degli studi era troppo limitata. L’efficacia della clozapina è risultata essere significativamente superiore a quella degli antipsicotici di prima generazione nella meta-analisi di Davis et al. (9). Può ridurre la violenza e l’aggressività nei casi più difficili, può migliorare la discinesia tardiva, ridurre i suicidi in corso di schizofrenia. Il miglioramento clinico continua progressivamente per molti anni,

Questo farmaco è stato tuttavia associato a discrasie ematiche potenzialmente fatali: può causare neutropenia (500-1.500/mm(3)) dall’1,5-2%, agranulocitosi (granulociti < 500/mm(3)) nel 08-0,9% dei casi. Il rischio è dell’85% nei primi 3 mesi, dopo 3 anni il rischio è sovrapponibile a quello degli AP tradizionali (0,12%) pertanto è obbligatorio il monitoraggio nelle prime 18 settimane di trattamento, settimanalmente e poi mensilmente. Rispetto agli antipsicotici classici, la clozapina ha maggiori probabilità di indurre scialorrea, aumento della temperatura corporea, sedazione, ma minori e assenti probabilità di indurre xerostomia e EPS.

Nei confronti dei nuovi antipsicotici atipici, la clozapina ha minor possibilità di causare effetti avversi extrapiramidali, xerostomia, ma maggiori possibilità di indurre astenia, nausea, senso di instabilità, scialorrea e ipersonnia.

Può determinare convulsioni dose-dipendenti, generalmente nella fase di salita troppo rapida di dosi; dosi superiori a 550 mg possono richiedere l’associazione di un anticonvulsivante. Il valproato può essere utilizzato per prevenire crisi convulsive da alti dosaggi di clozapina.

Ha un rischio elevato di aumento di peso importante ed è stato riportato un rischio diabetogeno in alcuni studi uguale in altri superiore agli antipsicotici convenzionali.

Interazioni farmacologiche:

– gli SSRI inibitori 2D6 possono aumentare i livelli di clozapina;

– potenti inibitori del 3A4 (Ketonazolo, eritromicina, fluoxetina, fluvoxamina) possono innalzare le concentrazioni di clozapina;

– gli anticoagulanti orali aumentano la concentrazione plasmatiche della clozapina;

– potenziamento dell’azione sui recettori muscarinici in associazione con anticolinergici;

– potenziamento dell’effetto ipotensivante degli antiipertensivi;

– il captopril e l’alfa metil-dopa possono aumentare il rischio di agranulocitosi;

– antagonizza l’effetto ipertensivante dell’adrenalina;

– in associazione con BDZ, depressione respiratoria;

– in associazione con CBZ, potenziamento effetto mielodepressivo;

– il Litio determina leucocitosi e può mascherare la neutropenia.

Olanzapina

L’olanzapina ha un profilo d’azione caratterizzato dall’antagonismo D2 e da un profilo di antagonismo multi-recettoriale sul recettore serotoninergico, istaminergico e colinergico (MARTA).

A dosaggi compresi tra 10 e 25 mg/die, olanzapina possiede una efficacia antipsicotica superiore al placebo (12) e agli antipsicotici convenzionali nei pazienti con disturbi schizofrenici e schizoaffettivi (9) e presenta meno effetti avversi extrapiramidali rispetto agli antipsicotici convenzionali, in particolare all’aloperidolo (13).

Presenta inoltre una superiorità significativa rispetto all’aloperidolo per quanto riguarda il miglioramento dei sintomi negativi primari e depressivi della schizofrenia (13) e riduce in modo significativo il numero dei soggetti che hanno abbandonato gli studi dopo un periodo di 6-8 settimane e oltre.

Oltre all’indicazione per la fase acuta della schizofrenia, vi è anche quella per la fase maniacale acuta da moderata a grave e quella, più recente, per la prevenzione delle recidive del disturbo affettivo bipolare

Dal punto di vista degli effetti collaterali, rispetto agli antipsicotici convenzionali, tutti gli effetti collaterali EPS (acatisia, distonia, discinesia tardiva, malattia di Parkinson e sindrome maligna), così come l’iperprolattinemia, sono significativamente meno frequenti; dà inoltre meno nausea o sonnolenza (12) (13); può determinare un aumento di appetito ed un incremento ponderale mentre, al pari degli altri farmaci di questa classe, sono stati segnalati casi di associazione con diabete tipo II.

Sebbene tra gli antipsicotici di nuova generazione l’olanzapina sia il farmaco più studiato, esistono dati limitati di confronto con gli altri atipici: l’olanzapina, rispetto al risperidone, è associata a meno effetti avversi di tipo extrapiramidale, ridotta insorgenza di parkinsonismo e ridotta necessità di trattamenti con anticolinergico, maggior incremento ponderale, più frequente xerostomia.

Gli effetti positivi sembrano massimi alla dose di 20 mg/die; dosi più elevate possono essere associate a un modesto aumento di alcuni effetti collaterali.

è necessario monitorare la funzionalità epatica nei pazienti con patologie epatiche. Le donne possono richiedere dosi più basse degli uomini, poiché presentano concentrazioni plasmatiche superiori, a parità di dosaggio.

L’olanzapina è metabolizzata dagli enzimi CYP 2D6 e del CYP 1A/2. Le interazioni farmacologiche più importanti sono le seguenti:

– la carbamazepina e il fumo riducono le concentrazioni di olanzapina del 20%;

– ciprofloxacina e norfloxacina inibendo l’isoenzima CYP 1A/2, aumentano le concentrazioni della olanzapina;

– gli SSRI inibitori del CYP 2D6 e del CYP1A/2 possono aumentare i livelli di olanzapina.

È di recente introduzione la formulazione 10 mg per soluzione iniettabile per uso intramuscolare, destinata ad un impiego in acuto (la scheda tecnica riporterebbe fino ad un massimo di tre giorni). Negli studi controllati in doppio cieco (14)-(16), la nuova formulazione i.m. si è dimostrata significativamente più efficace del placebo e sovrapponibile ad aloperidolo nel controllare l’agitazione ed i sintomi positivi nei pazienti schizofrenici in fase acuta. In termini di tollerabilità, la formulazione IM di olanzapina è decisamente migliore di quella dell’aloperidolo, che mostra una maggior incidenza di distonie acute (7% ALO, assenti invece con OLA). La dose iniziale è di 10 mg, ma possono essere impiegate anche dosi inferiori (5-7,5 mg); dopo due ore può essere somministrata una seconda dose di 5-10 mg senza superare la dose complessiva totale di 20 mg e comunque non più di tre iniezioni nelle 24 ore.

Il successivo passaggio ad utilizzo orale di olanzapina continua a mostrarsi estremamente efficace ed a mantenere un profilo decisamente migliore per quanto riguarda gli effetti collaterali, soprattutto l’assenza di EPS (distonie acute, acatisia), rispetto all’aloperidolo (17). Non sono riferiti effetti cardiaci (allungamento del QT) (19).

L’effetto che si determina è di tipo tranquillizzante, senza però una eccessiva sedazione, sovrapponibile a quello ottenuto con aloperidolo o lorazepam; questo effetto è stato rilevato in pazienti schizofrenici, con disturbo bipolare maniacale o con demenza (20)-(22).

È sconsigliata tuttavia l’associazione con BZD al fine di evitare una eccessiva sedazione.

Risperidone

Il risperidone è un antipsicotico con antagonismo 5HT2/D2 relativamente selettivo. Due revisioni sistematiche di studi controllati e randomizzati che confrontano risperidone con aloperidolo (14) (23), e la meta-analisi di Davis hanno indicato una maggiore efficacia del risperidone rispetto agli antipsicotici tipici, sia sui sintomi positivi che negativi della schizofrenia e una minore incidenza, a basso dosaggio, di effetti collaterali extrapiramidali. Sono riportati effetti clinicamente rilevabili sui sintomi cognitivi e affettivi. Trova indicazione, nella letteratura internazionale, anche nelle demenze di Alzheimer con disturbi del comportamento e nei disturbi dell’umore. Casistiche limitate ci sono nel DOC e nei disturbi di personalità. Effetti collaterali comuni sono agitazione, ipotensione, dolori addominali, affaticabilità, ansia, nausea e rinite. L’aumento di peso è riportato ma è d’entità minore rispetto a olanzapina e clozapina. Rilevante invece può essere l’iperprolattinemia con amenorrea, calo di libido, ginecomastia e galattorrea.

Il rischio diabetogeno è simile a quello degli altri farmaci di questa categoria.

Interazioni farmacologiche:

– potenziamento dell’effetto ipotensivo degli antiipertensivi;

– etanolo peggiora le performance cognitive;

– possibile antagonismo con levo-dopa;

– in caso di sospensione della CBZ in corso di associazione, ridurre dosaggio del risperidone per le variazioni della frazione attiva;

– l’associazione con paroxetina necessita di riduzione delle dosi di risperidone poiché la paroxetina inibisce il cyt 2D 6.

Si è in attesa della commercializzazione della relativa formulazione long-acting.

Quetiapina

La quetiapina è un antagonista D2 con una bassa affinità e rapida Koff (Fig. 2) come la clozapina, possiede inoltre un profilo di antagonismo multirecettoriale con azione antagonista serotoninergica, istaminergica e, in misura minore, colinergica.

La Quetiapina, a dosaggi compresi tra 400 e 800 mg/die, ha una efficacia antipsicotica superiore al placebo e sovrapponibile agli AP convenzionali (24), con una tollerabilità per gli effetti collaterali EPS ed effetti endocrini sulla prolattina significativamente migliore rispetto ai neurolettici convenzionali (14) (24).

Presenta una spiccata azione sedativa e ipotensivante, con incidenza di EPS e iperprolattinemia sovrapponibile al placebo. L’aumento di peso è descritto ma di entità inferiore a quello indotto da clozapina e olanzapina. Può essere associata a un maggior rischio di diabete di tipo 2 rispetto ai convenzionali. Non determina invece modificazioni della crasi ematica né dell’intervallo QTc.

A causa della recente introduzione in commercio, però, il database su cui si basano le osservazioni cliniche risulta modesto e numericamente inferiore rispetto agli altri AP atipici; un più esteso uso in clinica potrà nel tempo confermare il profilo di efficacia e di sicurezza di questo farmaco.

Interazioni farmacologiche:

– nessuna interazione con BDZ, litio, warfarin, SSRI;

– la fenitoina e la carbamazepina possono abbassare le concentrazioni della quetiapina, che quindi necessita di un incremento di dosaggio;

– incrementare le dosi in caso di associazione con CBZ per l’induzione enzimatica;

– l’associazione con eritromicina comporta inibizione del CYT 3A/4 pertanto è necessario ridurre le dosi in caso di associazione;

– la tioridazina induce metabolismo della quetiapina pertanto si rende necessario un aumento delle dosi.

Amisulpride

È una benzamide sostituita con azione selettiva e rapida antagonista sul recettore dopaminergico D2 (Fig. 2). Nella meta-analisi di Davis (9) possiede una efficacia antipsicotica superiore agli antipsicotici convenzionali nei pazienti con disturbi schizofrenici e schizoaffettivi. Non è rilevabile attività adrenolitica, anticolinergica e antistaminica. Assorbita per via orale, ha metabolismo epatico.

A dosaggi compresi tra 400-800 mg/die l’efficacia antipsicotica a breve termine dell’AMS sui sintomi positivi appare equivalente o superiore a quella dell’aloperidolo. Ancora non ben stabiliti sono gli effetti sulla sintomatologia depressiva, talora presente nei soggetti schizofrenici e sulla terapia di mantenimento. Gli effetti collaterali sono iperprolattinemia, ginecomastia, galattorrea, amenorrea, agitazione, insonnia, sonnolenza, ansia e aumento di peso ed EPS.

Non sono state descritte interazioni farmacologiche, attenzione tuttavia all’associazione con altri sedativi e con agonisti della dopamina

6. Complicanze o concomitanti patologie internistiche o neurologiche (EPS, diabete, SMN)

Effetti extrapiramidali

Sono dovuti al blocco D2 e sono più frequenti con antipsicotici tipici a potenza intermedia ed elevata.

I principali EPS

Distonie acute: di solito, si verificano durante le prime ore o nel corso dei primi giorni di trattamento in circa il 10% dei pazienti Sono più frequenti nel sesso maschile, al di sotto dei 40 aa, con antipsicotici ad elevata potenza e con somministrazione IM del farmaco (4). L’intervento di urgenza prevede l’uso di BDZ per via parenterale (Diazepam 10 mg/die iv o im) di anticolinergici (Biperidene) o antistaminici (Orfenadina). Il controllo della crisi si ottiene in circa 30 min, in caso di insuccesso si può ripetere la medesima dose dopo 30 minuti.

La comparsa della distonia acuta non giustifica l’interruzione della terapia con neurolettici né la riduzione del dosaggio terapeutico, ma il controllo della sintomatologia con l’associazione di anticolinergici e BDZ. È sconsigliato associare anticolinergici a scopo preventivo.

Parkinsonismo: si verifica nel corso dei primi tre mesi di trattamento e colpisce il 10% dei pazienti in terapia. I fattori di rischio associati sono: sesso femminile, età superiore ai 40 aa, e trattamento con antipsicotici tipici. Il tremore può essere peggiorato da terapia concomitante con Litio o antidepressivi

L’associazione di farmaci ad azione anticolinergica, deve essere effettuata in funzione della terapia antipsicotica già in atto e del potenziale effetto sommatorio anticolinergico che ne risulta. Un eccesso anticolinergico infatti può determinare una Sindrome Anticolinergica Centrale caratterizzata da disturbi della coscienza (delirium). L’uso di anticolinergici deve essere limitato nei soggetti anziani ove siano presenti segni di compromissione organica del SNC.

Alcuni antiparkinsoniani hanno meccanismo d’azione antistaminico e possono essere usati qualora si voglia evitare un effetto sommatorio anticolinergico; tuttavia essi comportano sonnolenza e sedazione.

Acatisia: è una sensazione soggettiva di irrequietezza muscolare soprattutto agli arti inferiori, che costringe il paziente a continui movimenti delle gambe e si associa ad agitazione e disforia. L’acatisia grave può associarsi a comportamento violento. Si riscontra nelle prime 10 settimane di terapia sino nel 60-90% dei pazienti in trattamento con bloccanti D2 ad alta potenza. È dovuta ad uno squilibrio tra i sistemi noradrenergico e serotoninergico da una lato e il sistema dopaminergico dall’altro. Il trattamento dell’acatisia prevede una riduzione di dose del neurolettico, il passaggio ad un neurolettico a bassa potenza o ad olanzapina/quetiapina/clozapina, l’uso di anticolinergici, che tuttavia sono efficaci solo se è presente un parkinsonismo, propanololo, benzodiazepine, ciproeptadina e clonidina.

Discinesia tardiva: è un disturbo neurologico ad insorgenza ritardata (dopo un anno circa di terapia) dovuto al trattamento con neurolettici.

Insorge più frequentemente nei pazienti sottoposti a terapia con bloccanti D2 tipici mentre è raro nel trattamento con atipici. Bisogna interrompere i farmaci antimuscarinici e considerare la sospensione lenta dell’antipsicotico. L’unica terapia dimostratasi efficace è rappresentata dalla Clozapina alle dosi standard. Si può utilizzare la vitamina E (400-1600 IU/die) anche se vi sono dubbi sull’efficacia.

Disturbi del metabolismo

In epoca pre-farmacologica, il rischio di diabete veniva riportato in aumento nella popolazione schizofrenica (25). Attualmente, la prevalenza di diabete mellito tipo II nella popolazione generale italiana non supera il 6% mentre nella popolazione schizofrenica la prevalenza è del 15,8% (25).

Dalla letteratura più recente, emerge come i pazienti schizofrenici trattati con farmaci AP (sia di prima che di seconda generazione) presentino un rischio di sviluppare diabete di tipo II circa doppio rispetto alla popolazione generale.

È comunque difficile capire quanto di questo rischio sia da attribuire ai farmaci AP e quanto piuttosto alla schizofrenia in quanto tale e/o allo stress presente durante un episodio acuto (26).

Studi accurati, ma su campioni al momento limitati, hanno mostrato che in pazienti schizofrenici non trattati al primo episodio si assisteva ad un incremento del grasso viscerale, della resistenza all’insulina, di valori glicemia elevati a digiuno e di elevati livelli di glucosio, insulina e cortisolo; questi dati quindi confermerebbero un effetto diretto della patologia mentale sul rischio di diabete (27).

Recentemente diverse segnalazioni riportano la comparsa di diabete tipo 2, non sempre correlabile all’incremento ponderale, non-dose dipendente e solitamente reversibile, associato al trattamento sia con antipsicotici tipici che atipici (26). Tuttavia questa associazione è stata rilevata per la maggior parte in case reports e in una decina di studi retrospettivi prescription-based (25) (28). Solo due studi prospettici su piccoli campioni e per tempi limitati vengono riportati (29).

I limiti metodologici degli studi presenti in letteratura e i dati spesso contrastanti non permettono al momento di trarre conclusioni definitive e sicure sulle reali differenze di rischio fra i diversi antipsicotici, convenzionali e non.

I meccanismi ipotizzati per spiegare tale associazione sono molteplici: effetto diretto sulla risposta all’insulina supposta azione tossica degli AP sulle cellule b del Langherans, effetto neuroendocrino centrale da parte degli AP con effetto sull’asse HPA, aumento di peso e cambiamento della disposizione del grasso corporeo con aumento del grasso viscerale.

Dal punto di vista clinico, si ritiene opportuna, all’inizio del trattamento con antipsicotici, la valutazione dei fattori di rischio per singolo paziente (anamnesi personale e familiare di obesità, diabete e dislipidemie, peso, circonferenza della vita, pressione arteriosa, glicemia basale a digiuno, profilo lipidico a digiuno).

Il successivo monitoraggio deve essere effettuato con regolari controlli periodici ogni 12 settimane e ad un anno (26).

Infine in caso di iperglicemia insorta durante un trattamento (> 126 mg/dl) saranno utili delle valutazioni diabetologiche del paziente, valutazioni atte ad instaurare le strategie terapeutiche utili per il controllo (dieta, ipoglicemizzanti orali ecc.) della iperglicemia in corso di terapia antipsicotica.

Fig. 1. Storia naturale della schizofrenia. Natural history of schizofrenia.

Tab. I. Fasi cliniche e neuropatologiche della schizofrenia. Clinical and neurolopathological phases of schizofrenia.

Fase

Stadio sviluppo

Caratteri clinici

Processo fisiopatologico

Terapia

Premorbosa

Gestazione, infanzia/adol.

Lievi alt. fisiche, cognitive, sociali

Alterazioni del neurosviluppo

No Prev.

Prodromica

Adolescenza/Giovane età adulta

Sintomi affettivi non specifici (ansia depressione ecc.) lievi sintomi psicotici (illusioni, sospettosità. pensiero magico) abuso, ritiro sociale

Eventi maturativi ormonali: pubertà mielinizzazione, regressione sinaptica Interagiscono con alt. neurosviluppo e slatentizzano la vulnerabilità neuroplastica

No/ Preventiva GABA Agonisti, antiossidanti AP antipici

Insorgenza/ Deterioramento

Adol./Giovane età adulta

Psicosi, sintomi negativi alt. cognitive e deficit sociali

Sensibilizz. Endogena neurochimica dei circuiti meso-limbico Corticali DA-e Glutammatergici

AP/ Neuroprotettiva

Cronico residuale

Età adulta/ Mezza età/ Senescenza

Sintomi negativi, alt. cognitive, deficit sociali e psicosi

Neuroprogressione: neurotossicità, perdita di processi cell. apoptosi

AP: eff. limitata

Modificata da Liberman, 2001

Fig. 2. Differenze nella k-off fra i farmaci neurolettici. Differences in k-off between neuroleptics.

1 WHO, The World Health Report 2001: Burden of Mental Diseases.

2 Liberman J. The Early Stages of Schizophrenia: Speculation on Pathogenesis, Pathophysiology and Therapeutic Approaches. Biol Psychiatry 2001;50:825-44. Review.

3 Weinberger DR, Egan MF, Bertolino A, Callicott JH, Mattay VS, Lipska BK, et al. Prefrontal cortex and the genetics of schizophrenia. Biol Psychiatry 2001;50:884-97.

4 Bilder RM, Goldman RS, Volavka J, Czobor P, Hoptman M, Sheitman B, et al. Neurocognitive effects of Clozapine, Olanzapine, Risperidone and Aloperidol in patients with Chronic Schizophrenia or Schizoaffective disorder. Am J Psychiatry 2002;159:1018-28.

5 Linee guida per la farmacoterapia della schizofrenia. Consensus Conference, Roma, 14-15 aprile 2000. Giorn Ital Psicopatol 2000; 6, suppl.

6 Taylor D, McConnel D, Mc Connell H, Kerwin R. Le linee guida per la terapia psicofarmacologica, preparate dal Maudsley Hospital, Londra, Martin Dunitz Ed. Italiana (a cura di Pariante C, Dazzan P), 2002.

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8 Seeman P. Atypical antipsychotics: mechanism of action. Can J Psychiatry 2002;47:27-38.

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