Nuovo approccio alla terapia antipsicotica: un agonista parziale D2-5HT1A

A new approach to antipsychotic therapy: a D2-5HT1A partial agonist

P. Pancheri, L. Tarsitani

Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica, Università di Roma "La Sapienza"

Key words: Aripiprazole • Dopamine partial agonists • Pharmacotherapy of schizophrenia • Atypical antipsychotics
Correspondence: Prof. Paolo Pancheri, Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica, Università di Roma “La Sapienza”; viale dell’Università 30, 00185 Roma, Italy, e-mail: paolo.pancheri@uniroma1.it

Introduzione

La farmacoterapia della schizofrenia è oggi al centro dell’attenzione dei farmacologi, dei clinici, delle strutture assistenziali e delle aziende. Ciò è dovuto a diversi fattori. Anzitutto, la deistituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica ha imposto nuovi schemi di terapia basata su interventi ambulatoriali e domiciliari. In questo contesto, la compliance dei pazienti, favorita da una elevata tollerabilità dei farmaci ‘antipsicotici’, è divenuta un elemento terapeutico fondamentale. Il secondo fattore è la richiesta delle famiglie, sulle quali ora ricade gran parte del peso della gestione dei pazienti con gravi disturbi psichiatrici, di disporre di terapie sempre più efficaci e, soprattutto, sempre più maneggevoli. Il terzo fattore è la crescente consapevolezza, a livello della comunità sociale, della concreta possibilità con i farmaci attuali di ottenere una remissione dei sintomi di una malattia prima considerata come non curabile e destinata ad un progressivo deterioramento. Il quarto fattore è l’evidenza crescente che il contenimento dei costi dell’assistenza psichiatrica per i malati con disturbi psichiatrici gravi è in gran parte legato all’efficacia e alla tollerabilità dei farmaci utilizzati per la loro cura.

Questi mutamenti sono in atto da almeno dieci anni e le aziende produttrici di farmaci hanno compreso da tempo che lo sviluppo e la promozione di farmaci ‘antipsicotici’ a sempre maggiore efficacia e tollerabilità era destinato ad essere il focus centrale del mercato dei farmaci psicoattivi. Di conseguenza, sono stati progressivamente immessi in commercio farmaci che favoriscono sempre di più l’aderenza al trattamento e hanno una più significativa efficacia in alcune aree della sintomatologia schizofrenica.

Per comprendere lo stato attuale e i futuri sviluppi della terapia della schizofrenia è opportuna una breve analisi dei mutamenti avvenuti negli ultimi cinquanta anni sia a livello dei farmaci messi a disposizione del clinico dalle aziende che nell’ambito dei modelli esplicativi della patofisiologia dei disturbi dello spettro schizofrenico. È un dato certo che questi due elementi si sono influenzati a vicenda in modo determinante. La prima serie di farmaci entrata sul mercato nel 1952 era caratterizzata dal blocco prevalente o selettivo dei recettori encefalici D2 per la dopamina. Fin dagli anni ’70 era stata dimostrata una correlazione lineare tra affinità per i recettori D2 e dose terapeutica. L’affinità per altre classi di recettori non era considerata rilevante, ma solo complementare per la terapia del disturbo schizofrenico. Questi dati di farmacologia clinica sono stati alla base del modello patofisiologico della schizofrenia basato sull’ipotesi di una iperattività dei sistemi dopaminergici mesolimbici (‘ipotesi dopaminergica’). Questo modello era tuttavia solo parzialmente corretto in quanto gli studi di correlazione tra antagonismo D2 e risposta terapeutica si basavano quasi esclusivamente sulla remissione della sintomatologia ‘positiva’ e trascuravano il fatto che i sintomi ‘negativi’ tendevano in genere a persistere e in alcuni casi potevano peggiorare se i bloccanti D2 venivano utilizzati a dosi troppo elevate. Inoltre gli antagonisti D2, soprattutto se potenti e selettivi, inducevano disturbi extrapiramidali (EP) secondari che ostacolavano l’aderenza al trattamento.

A partire dagli anni ’90 viene introdotta in commercio una nuova serie di farmaci caratterizzati sul piano farmacodinamico da una elevata attività antagonista sui recettori 5HT2 della serotonina, da una minore attività antagonista sui recettori D2 e da una variabile affinità, in rapporto alle singole molecole, per altri recettori. Clozapina, già registrata nel 1972, ritirata per problemi di agranulocitosi e di nuovo immessa in commercio nel 1990, è il primo di questi farmaci. Successivamente vengono commercializzati risperidone, olanzapina, quetiapina e ziprasidone. La nuova classe di farmaci dimostra, rispetto ai bloccanti selettivi D2, una scarsità o assenza di disturbi EP e quindi garantisce una migliore aderenza al trattamento. Sul piano della clinica gli antagonisti 5HT2 > D2 mostrano, a confronto con aloperidolo, una uguale efficacia sui sintomi positivi, una migliore efficacia sui sintomi negativi e un risultato complessivamente più favorevole sul quadro sintomatologico totale (1) (2). Su questa base viene formulata l’ipotesi serotoninergico-dopaminergica della schizofrenia (3). La possibilità di un’efficacia dei bloccanti 5HT2 > D2 sui sintomi negativi ‘primari’ della schizofrenia diviene tuttavia oggetto di ampie discussioni in quanto, da parte di molti autori, il miglioramento dei sintomi negativi nel confronto con aloperidolo viene ritenuto solo una conseguenza della diversa potenza di blocco dei recettori D2.

Weinberger, nel 1987 (4) (5), sulla base di un’ampia revisione di dati clinici, sperimentali e farmacologici, aveva tuttavia formulato un modello patofisiologico diverso che postulava una ‘lesione primaria’ nella corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC). A seguito di questa ‘lesione’ vi sarebbe stata una riduzione della attività dopaminergica prefrontale con perdita del controllo inibitorio sull’attività dopaminergica (DA) delle strutture mesolimbiche. L’ipoattività DA della DLPFC veniva formulata come causa dei sintomi negativi (e come causa primaria della malattia) mentre l’iperattività mesolimbica secondaria era considerata la matrice patogenetica dei sintomi positivi.

L’ipofrontalità primaria nella schizofrenia è stata confermata da un numero sempre più crescente di linee di evidenza. Studi di morfologia in vivo (RMN) hanno mostrato alterazioni volumetriche della sostanza grigia prefrontale, studi di brain imaging funzionale (fRMN, PET, SPECT) hanno messo in evidenza riduzioni dell’attivazione metabolica nella DLPFC correlate con alterazioni specifiche della memoria di lavoro, studi condotti con la RMP hanno mostrato una riduzione selettiva di N-acetil aspartato nella corteccia prefrontale e studi di istopatologia hanno messo in evidenza modificazioni dell’organizzazione neuronale in questa area.

Questi dati hanno portato all’attuale modello ipo-iperdopaminergico della schizofrenia. Il modello postula una ipoattività (probabilmente primaria) dopaminergica corticofrontale e una iperattività (probabilmente secondaria) a livello di alcune strutture limbiche, in particolare dell’accumbens (6)-(11).

L’approccio terapeutico alla schizofrenia si è di conseguenza modificato dando una priorità alla normalizzazione dell’attività DA in sede corticofrontale, parallelamente alla correzione dell’iperattività DA in sede limbica.

In questo contesto va visto lo stato attuale della farmacoterapia della schizofrenia.

I bloccanti prevalenti o selettivi D2 (‘antipsicotici tipici’), utilizzati alle abituali dosi terapeutiche, normalizzano l’iperattività limbica ma hanno una scarsa attività sull’ipoattività DA corticale. Non solo, ma se usati a dosi troppo elevate possono ulteriormente peggiorarla, con induzione di sintomi negativi secondari. Quest’ultima evenienza tuttavia non si verifica utilizzando bassi dosaggi che possono, al contrario, indurre miglioramenti sulla sintomatologia negativa primaria. Ciò è stato interpretato con l’azione antagonista a bassi dosaggi sui recettori presinaptici DA inibitori con possibile azione di potenziamento DA a livello corticale. Il problema, tuttavia, con gli antagonisti DA ad alta potenza come l’aloperidolo è la scarsa maneggevolezza dei dosaggi e la difficoltà di ottenere contemporaneamente un’azione agonista a livello corticale e antagonista a livello limbico.

I bloccanti 5HT2 > D2 (‘antipsicotici atipici’) avrebbero dimostrato una maggiore efficacia sui sintomi negativi e una comparabile efficacia sui sintomi positivi rispetto all’aloperidolo. L’efficacia terapeutica di questo gruppo di farmaci è concordemente attribuita al blocco dopaminergico in sede mesolimbica, con una maggiore maneggevolezza rispetto all’aloperidolo data la loro minore affinità per i recettori D2. Al blocco dei recettori 5HT2 è stata attribuita una possibile azione di potenziamento dell’attività DA in sede corticofrontale.

Allo stato attuale, la terapia della schizofrenia resta tuttavia insoddisfacente per la mancanza di farmaci che possano agire contemporaneamente su entrambe le disfunzioni del sistema della dopamina che caratterizzano in modo variabile le multiformi condizioni di stato e di decorso della malattia. I tentativi di associazione in add-on alla terapia di base con farmaci potenzianti direttamente o indirettamente l’attività DA corticofrontale hanno dato risultati solo parzialmente soddisfacenti. Vi è pertanto attesa, da parte dei clinici, di nuovi farmaci ‘stabilizzatori’ dell’attività DA alterata nella schizofrenia con azione bilanciata sui sintomi positivi e negativi e che abbiano, al contempo, una elevata sicurezza e tollerabilità soprattutto nei trattamenti a lungo termine.

Farmacodinamica

L’aripiprazolo è una nuova molecola antipsicotica, approvata per il commercio negli USA nel 2003 e di prossima introduzione nel mercato italiano. Il profilo d’azione è caratterizzato da un antagonismo per i 5HT2A e un potente agonismo parziale per i recettori 5HT1A e D2. Quest’ultima caratteristica rende la molecola un prodotto innovativo nel gruppo dei farmaci antipsicotici.

Gli agonisti parziali della dopamina sono molecole che coniugano un’alta affinità ad una limitata attività intrinseca per i recettori dopaminergici. L’affinità recettoriale è la capacità (probabilità) del composto di legarsi al recettore, si misura con tecniche di binding recettoriale e viene quantificata dalla costante di dissociazione; l’attività intrinseca invece è la capacità di un composto di modificare la funzione del recettore, determinando una specifica variazione cellulare, come l’attivazione di cascate trasduzionali (12). Queste proprietà farmacologiche non vanno confuse con l’efficacia clinica che, pur essendo correlata ad esse, dipende da variabili diverse e di maggiore complessità (13).

Gli agonisti parziali si differenziano dagli agonisti completi per la possibilità di svolgere un’attività agonista o antagonista, in funzione della sottopopolazione recettoriale a cui si legano e della concentrazione locale di dopamina. Gli agonisti parziali come la 3-(3-idrossi fenil)-N-n-propilpiperidina (3PPP), riducono la sintesi e il rilascio di dopamina soltanto in condizioni sperimentali di alta concentrazione basale del neurotrasmettitore, come nel blocco con gamma-butirrolattone, nel trattamento con reserpina o dopo denervazione dopaminergica (14).

In presenza di alta attività dopaminergica, gli agonisti parziali si legano agli autorecettori presinaptici dei neuroni dopaminergici inibendo, con le stesse modalità della dopamina endogena, la sintesi e il rilascio di neurotrasmettitore e il firing neuronale (12)-(14). Questo effetto, comunque, si pensa che corrisponda ad un’efficacia clinica a breve termine, vista la rapida down-regulation degli autorecettori in presenza di agonisti della dopamina (15).

Molto più rilevante è, a livello post-sinaptico, l’inibizione della trasmissione dopaminergica indotta dagli agonisti parziali dovuta all’occupazione del recettore senza produrre con la stessa intensità le variazioni della dopamina endogena, da cui ne risulta la riduzione netta della trasmissione del segnale e delle risposte biologiche (16) (Fig. 1).

In assenza o scarsità di dopamina invece, gli agonisti parziali come l’aripiprazolo si legano ai recettori D2 determinando un aumento netto dell’attività recettoriale, anche se di livello inferiore rispetto al neurotrasmettitore endogeno (Fig. 1). In questo caso, il ruolo degli autorecettori appare meno chiaro e, probabilmente, meno importante.

L’aripiprazolo mostra un’alta affinità per i recettori D2 (0,74 nM, maggiore di altri antipsicotici atipici) (17). Su volontari sani la somministrazione di questo farmaco a dosaggi compresi tra 0,5 e 30 mg/die ha portato ad occupazione recettoriale D2 dal 40 al 95% (18). In vitro, l’aripiprazolo mostra una spiccata attività di agonismo parziale sui recettori umani D2 (in entrambe le isoforme D2S e D2L (19)), con proprietà agoniste simili qualitativamente, ma non quantitativamente alla dopamina (20). In assenza di dopamina, l’aripiprazolo attiva i recettori D2 producendo un aumento netto nell’attività recettoriale. Se la dopamina è presente, come atteso, l’aripiprazolo ne inibisce il legame ai recettori D2 riducendo l’attività recettoriale, senza abolirla completamente, vista la capacità intrinseca di attivazione del farmaco (20).

Inoltre, per ciò che riguarda la farmacodinamica sul sistema dopaminergico, alcuni studi hanno interpretato i dati sperimentali ipotizzando una “selettività funzionale” dell’aripiprazolo, per la quale le possibili azioni agoniste parziali, agoniste o antagoniste sarebbero determinate anche dal tipo di cellula, dalle condizioni intracellulari e dalla collocazione del recettore sulla membrana cellulare (concentrazione e tipo di proteine G ecc.) (17) (21). Questa ipotesi, per la sua complessità, necessita comunque di ulteriori studi sperimentali.

Nella sperimentazione animale, l’aripiprazolo sopprime la secrezione spontanea di prolattina da sezioni di ipofisi anteriore di ratto, dimostrando un profilo misto di agonismo/antagonismo sui recettori D2 delle cellule lattotrope (22). Questa inibizione è inferiore a quella ottenuta con il talipexolo, agonista completo dei recettori D2, e viene bloccata dall’aloperidolo.

In vivo, l’aripiprazolo ha effetti antagonisti sui recettori D2 nei modelli animali di iperattività dopaminergica (come il blocco di comportamenti stereotipati e iperattività motoria indotti dall’apomorfina nel ratto e nel topo) e attività agonista D2 nei modelli di ipoattività dopaminergica (inibizione dell’aumento di dopamina indotta dalla reserpina nel ratto) (23).

L’agonismo parziale per la dopamina rappresenta quindi una caratteristica farmacodinamica unica nell’intera classe degli antipsicotici tipici e atipici, tutti contraddistinti dall’antagonismo per i recettori D2, anche se con affinità e selettività diverse. Il blocco della dopamina mesolimbica, infatti, è sempre stato considerato il pilastro dell’efficacia antipsicotica sulla sintomatologia positiva (24) (25). Tuttavia, il blocco recettoriale dopaminergico nelle vie nigrostriatali, mesocorticali e tuberoinfundibolari è legato all’insorgenza di noti effetti secondari come i sintomi extrapiramidali e l’iperprolattinemia, che inficiano l’esito della terapia antipsicotica compromettendo inoltre l’aderenza al trattamento (26). L’agonismo parziale D2 appare quindi un obiettivo logico, alla luce del modello ipo-iperdopaminergico della schizofrenia, per la possibilità di ottenere un antagonismo funzionale nelle aree cerebrali con iperattività dopaminergica, senza interferire con i livelli fisiologici di dopamina nelle vie responsabili della normale funzione motoria ed endocrina. Per ciò che riguarda la sintomatologia negativa, l’agonismo dopaminergico parziale dovrebbe svolgere un’azione agonista funzionale nelle vie a bassa concentrazione dopaminergica, come la mesocorticale, contribuendo alla normalizzazione della funzione neurotrasmettitoriale.

Le aspettative teoriche generate dallo studio degli agonisti parziali erano state deluse da una molecola precedente all’aripiprazolo, il preclamol [(-)3-PPP] della classe delle fenilpiperidine, che aveva dimostrato un’efficacia clinica nella schizofrenia soltanto in acuto e subacuto, con una drastica riduzione dell’efficacia dopo una settimana di trattamento (27). La brevità dell’effetto antipsicotico, successivamente non confermata dall’aripiprazolo, era dovuta probabilmente ad una down-regulation degli autorecettori dopaminergici e le differenze cliniche rispetto all’aripiprazolo potrebbero risiedere nella diversa attività intrinseca sui recettori D2 (20).

Studi preclinici hanno dimostrato un’affinità relativamente alta dell’aripiprazolo per i recettori ricombinanti umani della serotonina 5HT1A con una potente attività di agonismo parziale (dimostrata con recettori ricombinanti umani su membrane cellulari CHO [Chinese Hamster Ovary]) (28) probabilmente correlabile, come nel caso della clozapina, all’efficacia sui sintomi negativi e cognitivi della schizofrenia (29) (30). All’attività di agonismo parziale dei recettori 5-HT1A è probabilmente attribuibile un effetto ansiolitico; infatti questo recettore ha dimostrato su modelli animali un importante ruolo nello sviluppo di sintomi ansiosi e nella vulnerabilità allo stress (31) (32). Sempre i recettori 5-HT1A sono stati chiamati in causa nella formulazione delle ipotesi per spiegare gli effetti ansiolitici dello ziprasidone (33). Inoltre, anche nei sintomi depressivi, nella predisposizione alla depressione maggiore e nella risposta ai trattamenti antidepressivi, i recettori 5HT1A sembrano giocare un ruolo importante per le influenze che hanno sul sistema serotoninergico nelle aree libiche e corticali (34). Per ciò che riguarda la schizofrenia, l’affinità generale per i recettori serotoninergici 5-HT è reputata una caratteristica fondamentale nella terapia della schizofrenia e particolarmente nella risposta clinica agli antipsicotici atipici (35).

L’evidenza di attività agonista parziale sui recettori D2 e 5HT1A dell’aripiprazolo ha indotto alcuni autori a coniare la definizione di “stabilizzatore” del sistema dopaminergico-serotoninergico (20) (22) (28).

L’aripiprazolo mostra inoltre, come altri antipsicotici atipici, un’attività antagonista per i recettori 5HT2A (36), anch’essa ipotizzata vantaggiosa nei sintomi negativi e affettivi (37) (38) e protettiva nei confronti dei sintomi extrapiramidali (30).

È stata inoltre dimostrata un’elevata affinità del farmaco per recettori D3 (probabile agonismo parziale) e 5HT7, e un’azione di agonista inverso del recettore 5HT2B, caratteristica particolare il cui ruolo non è ancora ben chiarito (17). Infine, a differenza di altre molecole antipsicotiche, l’aripiprazolo mostra una moderata affinità per recettori H1 e H3, e un’affinità da scarsa a moderata per i recettori H2 e H4, adrenergici e muscarinici (17).

Farmacocinetica, metabolismo e interazioni farmacologiche

In due studi condotti su 48 soggetti sani, l’aripiprazolo ha mostrato una farmacocinetica lineare a dosaggi compresi tra 5 e 30 mg/die, con un modello aperto a due compartimenti (39). L’attività dell’aripiprazolo è dovuta principalmente al farmaco-base e, in minor misura, al suo metabolita attivo, diidro-aripiprazolo, che mostra un’affinità per i recettori D2 simile all’aripiprazolo e rappresenta il 40% del farmaco base nel plasma.

Le emivite medie sono di circa 75 ore per l’aripiprazolo e 94 ore per il diidro-aripiprazolo; per entrambi, lo steady state viene raggiunto in 14 giorni di somministrazione.

Allo steady state, la farmacocinetica dell’aripiprazolo è proporzionale alla dose. Tra 5 e 30 mg non vi sono evidenze di saturazione o induzione del metabolismo del farmaco. L’aripiprazolo viene eliminato prevalentemente per via epatica, con un metabolismo che coinvolge due isoenzimi P450, il CYP2D6 e il CYP3A4.

Assorbimento

L’aripiprazolo viene rapidamente assorbito, con un picco di concentrazione plasmatica a 3-5 ore. La biodisponibilità orale assoluta delle compresse è dell’87% e l’orario di somministrazione e l’assunzione di cibi non sembrano influenzare significativamente la cinetica (40).

La somministrazione di 15 mg con un pasto standard ricco di lipidi non ha modificato la concentrazione massima né l’area sotto la curva (AUC) dell’aripiprazolo o del suo metabolita attivo ma ha ritardato il tempo di picco di 3 ore per il primo e di 12 ore per il secondo.

Distribuzione

L’alto volume di distribuzione allo steady-state dell’aripiprazolo dopo somministrazione EV (404 L o 4,9 L/kg) indica un’ampia distribuzione nello spazio extravascolare. A concentrazioni terapeutiche, il legame dell’aripiprazolo e del suo principale metabolita alle proteine sieriche (principalmente all’albumina) è maggiore del 99%. In volontari sani che hanno assunto da 0,5 a 30 mg/die di aripiprazolo per 14 giorni, è stata dimostrata un’occupazione dei recettori D2 dose-dipendente, che prova la diffusione del farmaco nell’encefalo.

Metabolismo ed eliminazione

L’aripiprazolo viene metabolizzato principalmente attraverso tre vie di biotrasformazione: deidrogenazione e idrossilazione da parte degli enzimi CYP3A4 e CYP2D6, e N-dealchilazione catalizzata dal CYP3A4.

I “metabolizzatori lenti”, l’8% dei caucasici che non hanno la capacità di metabolizzare i substrati del CYP2D6, hanno circa l’80% di aumento dell’esposizione all’aripiprazolo e il 30% di diminuzione dell’esposizione al metabolita attivo rispetto ai “metabolizzatori rapidi”. Ne risulta approssimativamente il 60% in più di esposizione totale alle molecole attive. La cosomministrazione di inibitori del CYP2D6, come la quinidina nei metabolizzatori lenti, provoca un aumento del 112% dell’aripiprazolo plasmatico, richiedendo un aggiustamento del dosaggio. Il tempo di emivita plasmatica medio è di 75 ore nei metabolizzatori rapidi e 146 nei metabolizzatori lenti. L’aripiprazolo non inibisce né induce la via del CYP2D6.

Dopo una dose singola orale di aripiprazolo marcato con il carbonio 14, circa il 25% della radioattività viene rilevata nelle urine e il 55% nelle feci. Meno dell’1% di aripiprazolo non modificato viene escreto nelle urine e circa il 18% della dose assunta viene eliminato non modificato nelle feci.

Popolazioni speciali

In generale, non sono necessari aggiustamenti di dosaggio per età, genere, razza, uso di tabacco, funzionalità epatica o renale. In uno studio con dosaggio fisso di 15 mg di aripiprazolo in soggetti con vari gradi di cirrosi epatica, l’area sotto la curva, rispetto a soggetti sani, è aumentata del 31% nella cirrosi lieve, dell’8% nella moderata ed è scesa del 20% nella cirrosi grave. Queste differenze non richiedono variazioni del dosaggio. In pazienti con insufficienza renale grave (clearance della creatinina < 30 mL/min), la concentrazione massima dopo somministrazione di 15 mg di aripiprazolo e diidro-aripiprazolo è aumentata rispettivamente del 36% e del 53%, ma l’area sotto la curva è diminuita del 15% per l’aripiprazolo e aumentata del 7% per il diidro-aripiprazolo. Non è richiesta quindi alcuna variazione di dosaggio nell’insufficienza renale, vista la minima escrezione renale del farmaco.

Studi di farmacocinetica negli anziani con somministrazione unica di 15 mg, hanno riportato una clearence del farmaco diminuita del 20% in soggetti con più di 65 anni confrontati ad adulti più giovani. Non è stato comunque rilevato alcun effetto misurabile dell’età sulla farmacocinetica su pazienti affetti da schizofrenia. Inoltre, la farmacocinetica dell’aripiprazolo dopo somministrazioni multiple in pazienti anziani è risultata simile a quella osservata in soggetti sani e giovani. Non si raccomanda quindi alcuna variazione di dosaggio in pazienti anziani.

Nelle donne, la concentrazione massima e l’area sotto la curva dell’aripiprazolo e del suo metabolita attivo aumentano del 30-40% rispetto agli uomini e la clearance orale apparente diminuisce. Queste differenze sono comunque motivate dal peso corporeo di circa un quinto inferiore nelle donne. Non vengono raccomandate variazioni di dosaggio per genere.

Sebbene non esistano studi finalizzati agli effetti della razza sulla farmacocinetica dell’aripiprazolo, le valutazioni su varie popolazioni hanno escluso differenze clinicamente significative e non si consigliano quindi variazioni del dosaggio.

Il fumo di tabacco non dovrebbe avere alcun effetto sulla farmacocinetica dell’aripiprazolo, dal momento che il farmaco non è un substrato del CYP1A2 e non va incontro a glucuronidazione, come dimostrato da studi in vitro su enzimi epatici umani. Le valutazioni farmacocinetiche su varie popolazioni hanno confermato l’assenza di differenze nei fumatori, che non necessitano quindi di variazioni di dosaggio.

Interazioni farmacologiche

L’aripiprazolo non rappresenta un substrato degli enzimi CYP1A1, CYP1A2, CYP2A6, CYP2B6, CYP2C8, CYP2C9, CYP2C19 e CYP2E1, né va incontro a glucuronidazione diretta. Questo suggerisce la scarsa probabilità di interazioni con i farmaci che inducono o inibiscono questi enzimi.

Il CYP3A4 e il CYP2D6 sono responsabili del metabolismo del farmaco: molecole che inducono il CYP3A4, come la carbamazepina, potrebbero aumentare la clearance dell’aripiprazolo diminuendone i livelli plasmatici e richiedendo un aumento del dosaggio. Gli inibitori del CYP3A4 come il ketoconazolo, o del CYP2D6 (ad es.: quinidina, fluoxetina e paroxetina) possono inibire l’eliminazione del farmaco, aumentando i livelli plasmatici e rendendo necessaria la diminuzione del dosaggio. L’aripiprazolo non dovrebbe avere interazioni significative con farmaci metabolizzati dai citocromi P450.

Secondo la scheda tecnica statunitense non sono state osservate interazioni che hanno richiesto variazioni del dosaggio con la famotidina, il destrometorfano, il warfarin e l’omeprazolo.

In due studi in aperto la farmacocinetica e il raggiungimento dello steady state dell’aripiprazolo non hanno subito variazioni sostanziali con la cosomministrazione di acido valproico o sali di litio (41).

Valutazione sintomatologica dell’efficacia

L’efficacia clinica dell’aripiprazolo è stata valutata in studi randomizzati e controllati su pazienti affetti da schizofrenia (anche resistente al trattamento), disturbo schizoaffettivo e disturbo bipolare. In Tabella I vengono riportati gli undici studi randomizzati in doppio cieco che hanno confrontato l’aripiprazolo al placebo e ad altri antipsicotici in questi disturbi psichiatrici.

Vengono descritte di seguito le evidenze disponibili in letteratura divise per diagnosi e per disegno dello studio.

Schizofrenia e disturbo schizoaffettivo

Studi controllati a breve termine

Le prime evidenze sull’efficacia dell’aripiprazolo nella schizofrenia provengono da studi di fase due pubblicati in forma di abstract. In un trial randomizzato a 4 settimane di fase 2 (42) (48), su 102 pazienti con diagnosi di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo ricaduti in fase acuta e con una storia di risposta positiva a precedenti trattamenti antipsicotici, l’aripiprazolo titolato fino ad una media di 25,8 mg/die è stato confrontato all’aloperidolo e al placebo. Le misure primarie di efficacia erano le variazioni dal baseline della Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) (55) e la percentuale di pazienti migliorati di 1 punto alla scala Clinical Global ImpressionsSeverity of Illness (gravità di malattia) (CGI-S) (56). Il 34% dei pazienti del gruppo placebo, il 62% del gruppo aripiprazolo e il 59% del gruppo aloperidolo hanno completato il trial. Nell’analisi LOCF (last observation carried forward – ultima osservazione portata al termine), l’aripiprazolo è stato superiore al placebo nella valutazione con la CGI-S (p = 0,045), ma i miglioramenti al punteggio totale BPRS non sono risultati statisticamente significativi. L’aloperidolo invece ha fatto registrare riduzioni alla BPRS maggiori del placebo (p = 0,01).

In un altro studio di fase II, su pazienti in condizioni cliniche simili a quelle del trial precedente (43) (48), l’aripiprazolo è stato somministrato a dosaggi di 2 (n = 59), 10 (n = 60) e 30 (n = 61) mg/die; per queste dosi le percentuali di pazienti che hanno completato lo studio sono state rispettivamente del 63, 58 e 67%. Il 54% del gruppo aloperidolo 10 mg (n = 63) e il 45% del gruppo placebo (n = 64) sono arrivati all’ultima valutazione. I miglioramenti emersi alla BPRS derivata dalla Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) (57) tra i singoli gruppi aripiprazolo e il placebo non hanno raggiunto la significatività statistica, mentre nella elaborazione LOCF l’aloperidolo è stato superiore al placebo sui punteggi BPRS derivati dalla PANSS alla quarta settimana (p < 0,05). L’aripiprazolo a un dosaggio di 30 mg ha fatto rilevare miglioramenti significativi alla CGI-I (Improvement) rispetto al placebo (p < 0,006).

Nel primo studio multicentrico randomizzato in doppio cieco pubblicato, Kane et al. (44) hanno valutato per 4 settimane 414 pazienti con schizofrenia o disturbo schizoaffettivo (secondo i criteri del DSM-IV) ricaduti in fase acuta e con una storia di risposta positiva ad un trattamento antipsicotico precedente, confrontando l’aripiprazolo (15 mg/die n = 102; 30 mg/die n = 102), l’aloperidolo (10 mg/die n = 104) e il placebo (n = 106).

Le percentuali di soggetti che hanno completato lo studio sono state del 67% per il gruppo aripiprazolo a 15 mg/die, 60% per gruppo aloperidolo, 59% per l’aripiprazolo 30 mg/die e 55% per il placebo. Per i farmaci attivi, la ragione più frequente di interruzione è stata la revoca del consenso; per il placebo, curiosamente, l’insorgenza di eventi avversi.

Le misure di efficacia utilizzate sono state la PANSS e la CGI, con la definizione di risposta clinica basata su una diminuzione > 30% della prima o un punteggio di 1 o 2 alla seconda. Sono stati anche utilizzati i punteggi core della BPRS ricavati dalla PANSS. Nell’analisi LOCF del campione, i tassi di risposta sono risultati significativamente più alti per entrambi i dosaggi di aripiprazolo rispetto al placebo (15 mg/die 35% p = 0,002; 30 mg/die 28% p = 0,05), ma non sono emerse differenze significative tra aloperidolo e placebo (26% vs. 17% p = 0,089). Entrambi i dosaggi di aripiprazolo e l’aloperidolo si sono rivelati superiori al placebo nel punteggio totale della PANSS (p < 0,009), nei sintomi positivi della stessa scala (p < 0,001), nella BPRS derivata dalla PANSS (p < 0,001), nella scala CGI-S (p < 0,019) e nella CGI-I (improvement – miglioramento) (p < 0,02). Rispetto al placebo, l’aripiprazolo a 15 mg/die (p = 0,006) e l’aloperidolo (p = 0,043) hanno ridotto maggiormente i sintomi negativi misurati con la PANSS; tuttavia l’aripiprazolo a dosaggio giornaliero di 30 mg/die non ha avuto lo stesso effetto. L’inizio della risposta, con la separazione dai punteggi PANSS del placebo, è avvenuta alla seconda settimana per entrambi i farmaci attivi.

In uno studio di fase III multicentrico randomizzato in doppio cieco, sempre a 4 settimane, Potkin et al. (47) hanno confrontato aripiprazolo a 20 mg (n = 101), aripiprazolo a 30 mg (n = 101), risperidone a 6 mg (n = 99) e placebo (n = 103) in pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo, ospedalizzati per una ricaduta.

Il 60% dei pazienti hanno completato lo studio e le percentuali di interruzione sono risultate più alte con il placebo e simili nei farmaci attivi. Con l’analisi LOCF, entrambi i dosaggi fissi di aripiprazolo sono risultati superiori al placebo al punteggio totale della PANSS (p < 0,003), alla sottoscala positiva (p < 0,02), negativa (p = 0,002) e alla gravità della CGI-S (p < 0,03). Il trattamento con risperidone titolato a 6 mg in tre giorni ha ridotto le stesse scale maggiormente del placebo (p < 0,005). Complessivamente, i miglioramenti sintomatologici osservati con l’aripiprazolo sono paragonabili a quelli ottenuti dal risperidone, utilizzato come controllo attivo nel trial. Rispetto al placebo (23%), i tassi di risposta sono risultati significativamente maggiori con l’aripiprazolo a 20 mg (36%; p = 0,04) e a 30 mg (41%; p = 0,005), e con il risperidone (40%; p = 0,008). Il distacco significativo dal placebo nei punteggi PANSS totale e positiva è avvenuto per entrambi i farmaci durante la prima settimana, ma soltanto per l’aripiprazolo viene riportato questo effetto sulla sottoscala PANSS negativa; con il risperidone, infatti, la significatività verso placebo sui sintomi negativi è stata riscontrata alla seconda settimana.

In uno studio in doppio cieco controllato verso placebo, a 6 settimane di fase tre, su 420 pazienti ospedalizzati per schizofrenia (studio 138001 (46)-(48) (58)), l’aripiprazolo (10 mg, n = 106; 15 mg, n = 106; 20 mg, n = 100) è stato associato a maggiori miglioramenti rispetto al placebo (n = 108) nel punteggio totale della PANSS (p < 0,05 LOCF), nella BPRS da essa derivata e nella sottoscala negativa (p < 0,05 LOCF).

Una meta-analisi (48) di quattro studi a breve termine discussi in questo paragrafo ha aggregato i dati di 1.545 pazienti ospedalizzati con una ricaduta di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo e trattati con aripiprazolo (n = 898), placebo (n = 381), aloperidolo (n = 167) o risperidone (n = 99). Rispetto al placebo, l’aripiprazolo a tutti dosaggi a provocato una più ampia diminuzione dei punteggi totali PANSS dalle valutazioni della prima settimana (p < 0,05) (Fig. 2).

Valutati complessivamente, gli studi a breve termine condotti su pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo in fase acuta hanno dimostrato un’efficacia superiore al placebo, paragonabile all’aloperidolo e al risperidone (anch’essi superiori al placebo) sulla sintomatologia positiva e negativa, e una insorgenza della risposta tra le prima e la seconda settimana (47) (58).

Studi controllati a lungo termine

Uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco (49) a 52 settimane ha confrontato l’aripiprazolo a 30 mg e l’aloperidolo a 10 mg su 1.294 pazienti con diagnosi di schizofrenia in fase di ricaduta utilizzando, come misura d’efficacia primaria, il tempo trascorso prima di una successiva ricaduta nei responder, valutati con la PANSS e con la CGI-I. Secondo una definizione di risposta basata sul 20% di riduzione del punteggio PANSS, il 72% del gruppo aripiprazolo e il 69% del gruppo aloperidolo hanno risposto al trattamento. I pazienti con una diminuzione > 30% alla PANSS sono invece stati il 52% di quelli trattati con aripiprazolo e il 44% di quelli che hanno ricevuto l’aloperidolo (p = 0,003). Con quest’ultimo criterio, rispetto all’aloperidolo, una percentuale maggiore del gruppo aripiprazolo ha mantenuto la risposta clinica alle valutazioni dopo 8, 26 e 52 settimane (p < 0,012). I due farmaci non si sono differenziati significativamente nel calcolo del tempo medio prima della ricaduta, ma l’aripiprazolo ha mostrato un tempo maggiore prima dell’interruzione a causa di mancanza di efficacia o di effetti collaterali (p < 0,001). Inoltre, il 43% dei pazienti trattati con aripiprazolo (n = 861) e il 30% dei pazienti trattati con aloperidolo (n = 433) sono arrivati alla valutazione della cinquantaduesima settimana (p < 0,001). I due farmaci hanno dimostrato efficacia simile nel trattamento a lungo termine nella valutazione del punteggio totale PANSS, nella sua scala positiva e nella CGI, con il 77% del gruppo aripiprazolo che ha mantenuto la risposta, rispetto al 73% del gruppo aloperidolo (risk ratio = 0,88). Tuttavia, alla sottoscala negativa della PANSS e alla Montgomery-Åsberg Depression Rating Scale (MADRS) (59) per la depressione, l’aripiprazolo ha provocato un miglioramento maggiore dell’aloperidolo (p < 0,05 LOCF). Questo trial, pur confermando la pari efficacia dell’aloperidolo nella prevenzione delle ricadute, suggerisce nel lungo termine una superiorità dell’aripiprazolo in alcune variabili studiate, come il tempo in cui i pazienti hanno assunto il farmaco, le percentuali di interruzione nonché il raggiungimento e il mantenimento della risposta clinica secondo la definizione di diminuzione > 30% della PANSS.

Un altro studio multicentrico randomizzato, controllato in doppio cieco a 26 settimane su pazienti stabili (ad almeno 2 anni dalla diagnosi e nessun miglioramento o peggioramento significativo nei 3 mesi precedenti) con schizofrenia (50) ha confrontato l’aripiprazolo a 15 mg (n = 155) e il placebo (n = 155) nella capacità di prevenire le ricadute. La ricaduta è stata definita in base a uno o più dei seguenti criteri: punteggio CGI-I > 5, punteggio della PANSS > 5 per almeno 2 giorni agli item “ostilità” e “non cooperatività”, aumento del 20% o più al punteggio totale PANSS. I pazienti che hanno ricevuto il placebo sono ricaduti prima e in una percentuale maggiore di quelli trattati con il farmaco attivo. I tassi di sopravvivenza secondo il metodo Kaplan-Meier sono stati del 62,6% con l’aripiprazolo e del 39,4% con il placebo (p < 0,001). Il rischio relativo di ricaduta con l’aripiprazolo rispetto al placebo è risultato di 0,50 indicando una probabilità dimezzata di ricadere con il farmaco attivo (95% IC = 0,35-0,71). Alla fine dello studio, il 58% del gruppo aripiprazolo non ha interrotto il trattamento per mancanza di efficacia, ricaduta ed effetti collaterali, mentre la stessa percentuale nel gruppo placebo è stata del 38,1% (p < 0,001). Oltre a dimostrare la superiorità dell’aripiprazolo nelle percentuali e nei tempi di ricaduta, la PANNS e la CGI hanno rilevato miglioramenti significativi della sintomatologia generale, positiva e negativa rispetto al placebo.

I due trial multicentrici randomizzati a medio e lungo termine confermano la maggiore efficacia rispetto al placebo in tutti i parametri considerati (miglioramento globale, sintomi positivi e negativi, prevenzione delle ricadute, tempi di interruzione del trattamento). Il miglioramento in questi parametri è uguale a quello ottenuto con l’aloperidolo, con l’eccezione dei sintomi negativi e di alcuni parametri di esito (tempi di trattamento, interruzioni, risposta clinica definita come diminuzione > 30% della PANSS), dove l’aripiprazolo ha mostrato una maggiore efficacia.

Studi su pazienti resistenti al trattamento

Uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco (51) (52) presentato in forma di poster, ha valutato l’efficacia dell’aripiprazolo verso la perfenazina in pazienti con schizofrenia resistente al trattamento. Sono stati inclusi nel campione soggetti in cui erano falliti 2 o più trial di 6 o più settimane con antipsicotici (almeno un tipico) con un punteggio totale PANSS > 75 o punteggi > 4 ad alcuni item selezionati (disorganizzazione concettuale, sospettosità, allucinazioni o deliri) e CGI-I > 4. Successivamente i pazienti sono stati trattati 4-6 settimane con risperidone 2-8 mg o olanzapina 10-20 mg per confermare la resistenza al trattamento, escludendo i responder in questa fase. I 300 soggetti che hanno soddisfatto questi criteri di inclusione sono stati randomizzati ad aripiprazolo 15-30 mg/die o perfenazina 8-64 mg/die. Dal baseline alla sesta settimana, in entrambi i gruppi il trattamento è stato associato ad un significativo miglioramento al punteggio totale PANSS (p = 0,044 LOCF) al core BPRS derivato dalla PANSS e alla CGI, senza differenze significative tra farmaci. Il 27% dei pazienti trattati con aripiprazolo e il 25% di quelli a cui è stata somministrata perfenazina sono stati classificati come responder. L’analisi OC (‘osservato – calcolato’) alla sesta settimana ha rivelato una percentuale di risposta del 35% per l’aripiprazolo e del 26% per la perfenazina. Inoltre, la valutazione della qualità della vita con la Quality of Life Scale QLS (60) ha favorito l’aripiprazolo con il 38% dei pazienti aumentati più del 20% al punteggio contro il 23% del gruppo perfenazina (analisi OC: p < 0,05). Questi risultati, suggeriscono un potenziale ruolo dell’aripiprazolo nei pazienti resistenti al trattamento, ma richiedono ulteriori conferme, soprattutto utilizzando il gold standard di riferimento, rappresentato dalla clozapina.

Studio di switch ad aripiprazolo

Uno studio multicentrico randomizzato in aperto a gruppi paralleli (61) ha valutato tre modalità diverse di switch ad aripiprazolo da monoterapie orali con altri antipsicotici in 311 pazienti con schizofrenia o disturbo schizoaffettivo cronico e stabile che assumevano aloperidolo, tioridazina, olanzapina o risperidone da almeno un mese e con una motivazione clinica che rendesse indicato lo switch.

Le possibili modalità di switch erano: a) sostituzione immediata del farmaco con 30 mg/die di aripiprazolo (n = 104), b) somministrazione immediata di 30 mg/die di aripiprazolo, con graduale sospensione del vecchio farmaco in 2 settimane (n = 104), oppure c) titolazione graduale dell’aripiprazolo fino a 30 mg/die e graduale sospensione della terapia in atto in 2 settimane (n = 103). L’efficacia è stata valutata con la PANSS e la CGI. I pazienti avevano un grado moderato di malattia. Il 28% ha interrotto il trattamento principalmente per un peggioramento della sintomatologia, senza differenze significative tra gruppi. Tutte le modalità di switch hanno provocato un miglioramento non significativo del punteggio totale della PANSS, delle sue sottoscale positiva e negativa e della CGI.

Questi risultati indicano la possibilità di switch ad aripiprazolo dal trattamento in atto nei pazienti schizofrenici senza aumento di rischio di esacerbazione della sintomatologia. Inoltre, i dati suggeriscono che la modalità di switch rapido da un farmaco all’altro è ben tollerata come i metodi graduali.

Disturbo bipolare

Uno studio multicentrico, randomizzato in doppio cieco (53) ha valutato l’efficacia dell’aripiprazolo (n = 130) a 30 mg/die (ridotto a 15 mg/die nel 14% dei pazienti per ragioni di tollerabilità) verso placebo (n = 132) in pazienti con diagnosi di disturbo bipolare I, ospedalizzati per un episodio acuto maniacale o misto (nel 33% del campione). La sintomatologia è stata misurata con la Young Mania Rating Scale (Y-MRS) (62), con una definizione di risposta clinica basata sulla diminuzione > 50% del punteggio e con la versione per il disturbo bipolare della CGI (63). L’aripiprazolo ha prodotto un miglioramento significativamente maggiore del placebo al punteggio Y-MRS (analisi LOCF: -8,2 vs. -3,4; p = 0,002), con differenze significative in tutte le 5 valutazioni psicometriche; la quantificazione del miglioramento sintomatologico e della gravità della mania con la CGI ha mostrato una significativa superiorità del farmaco attivo in tutte le visite. Alla terza settimana il tasso di risposta è stato del 40% con l’aripiprazolo rispetto al 19% del placebo (p < 0,005), con percentuali significativamente superiori di responder a tutte le valutazioni cliniche. Nelle variabili di efficacia (Y-MRS e CGI), l’aripiprazolo si è differenziato significativamente dal placebo al quarto giorno di trattamento, dimostrando un’azione rapida. Nel 42% dei pazienti l’aripiprazolo è stato somministrato fino alla fine del trial, con una percentuale del 21% nel gruppo placebo (p < 0,001). Questo studio è tra i più ampi esistenti nel trattamento della mania con antipsicotici atipici e dimostra l’efficacia dell’aripiprazolo rispetto al placebo dai primi giorni di trattamento, e durante un periodo di tre settimane.

Uno studio randomizzato in doppio cieco (54) (58) ha confrontato per 12 settimane l’aripiprazolo (a dosaggio flessibile a partire da 15 mg/die) all’aloperidolo (a partire da 10 mg/die) in 347 pazienti con disturbo bipolare, durante un episodio maniacale o misto (11% del campione). Il 51% dei pazienti trattati con aripiprazolo e il 29% dei pazienti randomizzati ad aloperidolo ha completato il trial. L’aripiprazolo ha indotto la riposta clinica (punteggio < 50% alla Y-MRS) nel 50% dei pazienti, l’aloperidolo nel 28% (p < 0,001).

Considerati complessivamente, questi due studi dimostrano un’efficacia dell’aripiprazolo superiore al placebo e all’aloperidolo nel trattamento dei sintomi maniacali e misti e nell’induzione della risposta clinica.

Altri disturbi psichiatrici

Uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco a 10 settimane (64), ha confrontato l’aripiprazolo (a dosaggi variabili fino ad un massimo di 15 mg/die) al placebo su 208 pazienti anziani con sintomi psicotici associati alla malattia di Alzheimer. Alla valutazione con la sottoscala “psicosi” della Neuropsychiatric Inventory (NPI), tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento medio, senza differenze significative tra gruppi (p = 0,2).

Un recente studio retrospettivo (65) ha valutato l’augmentation con aripiprazolo (15-30 mg/die) in pazienti con disturbi d’ansia (disturbo di panico, disturbo d’ansia generalizzato, fobia sociale e disturbo da stress post-traumatico) con risposta incompleta agli SSRI. In un’analisi intent-to-treat, dopo 12 settimane, in più della metà dei pazienti il punteggio CGI-I è stato di 1 o 2 (migliorato o molto migliorato) nei sintomi ansiosi e depressivi, con una risposta insorta tra la prima e la quinta settimana e mantenuta nel tempo. L’aripiprazolo era stato precedentemente somministrato in add-on agli SSRI in 6 pazienti con disturbi d’ansia e dell’umore parzialmente resistenti al trattamento con un significativo miglioramento della sintomatologia in 4 pazienti (58) (66).

Un case report descrive risultati brillanti e duraturi ottenuti con l’add-on di 30 mg/die di aripiprazolo alla venlafaxina (600 mg/die) e mirtazapina (15 mg/die) in una donna con diagnosi di depressione maggiore ricorrente, grave, senza manifestazioni psicotiche, resistente a vari trattamenti antidepressivi (67).

Un trial in aperto ha valutato l’aripiprazolo a vari dosaggi (58) (68), a seconda del peso corporeo, su 23 bambini e adolescenti con diagnosi di disturbo della condotta o disturbo oppositivo provocatorio, e una notevole quota di aggressività. Due settimane di trattamento hanno fatto rilevare un miglioramento nel punteggio della Rating of Aggression Against People and/or Property (RAAPP), che misura i comportamenti aggressivi, e della CGI-S. Il 64% dei bambini e il 45% degli adolescenti hanno soddisfatto i criteri CGI di risposta clinica (punteggio 1 o 2).

Valutazione dimensionale dell’efficacia

Una modalità emergente per valutare la schizofrenia dal punto di vista diagnostico, prognostico e terapeutico è la descrizione dimensionale del quadro clinico. Questo approccio è stato confermato da una crescente mole di dati (69) e dal DSM-IV-TR (70) che, nella appendice B delinea gli indicatori dimensionali alternativi per la schizofrenia adottando un modello tridimensionale (fattore psicotico, disorganizzativo e negativo) per descrivere la sintomatologia in atto e quella del decorso. Numerose analisi fattoriali hanno proposto modelli a 5 o più dimensioni includendo, oltre ai fattori citati dal DSM, le dimensioni “eccitamento-aggressività”, “cognitiva”, “depressiva” e altre. Al di là delle indicazioni categoriali dei farmaci, una conoscenza dell’efficacia delle molecole disponibili sulle singole dimensioni psicopatologiche è in grado di guidare il clinico nella scelta del farmaco da somministrare, in base alle caratteristiche del singolo paziente (71). Una discussione dell’argomento esula dagli obiettivi della revisione, ma esistono attualmente alcuni dati tratti dagli studi clinici o specificamente ricercati che permettono di tracciare un profilo provvisorio dell’efficacia dimensionale dell’aripiprazolo che necessita, vista la recente introduzione del farmaco, di ulteriori evidenze.

Dimensione positiva

La “distorsione della realtà”, che si esprime nella schizofrenia con sintomi come deliri e allucinazioni, è ben misurabile con la sottoscala positiva della PANSS e viene considerata un obiettivo cardine della farmacoterapia, soprattutto in acuto. Dai due studi randomizzati e controllati in doppio cieco a breve termine che hanno utilizzato le variazioni della scala positiva come misura di efficacia primaria (44) (45), è emersa una riduzione indotta dall’aripiprazolo significativamente maggiore rispetto al placebo e paragonabile all’aloperidolo e al risperidone. In particolare, nello studio di Kane et al. (44) le variazioni medie della sottoscala positiva sono state di -4,2 (p < 0,001 vs. placebo) e -3,8 punti (p < 0,05 vs. placebo) per 15 e 30 mg di aripiprazolo e di -4,4 punti per 10 mg di aloperidolo (p < 0,001 vs. placebo). Lo studio di Potkin (45) descrive diminuzioni simili, comprese tra -3,9 e -5,2 per aripiprazolo e risperidone, tutte significative rispetto al placebo.

Anche nello studio a 52 settimane su 1.294 pazienti (49) che ha utilizzato come misura d’efficacia il tempo trascorso prima di una successiva ricaduta nei responder, gli autori riportano una diminuzione significativa della sottoscala positiva della PANSS sia per l’aripiprazolo che per l’aloperidolo.

Il trial a 26 settimane sulla prevenzione delle ricadute (50), oltre a dimostrare la superiorità dell’aripiprazolo nelle percentuali e nei tempi ricaduta, ha riportato miglioramenti significativi della sintomatologia positiva misurata con la PANSS rispetto al placebo.

Considerati nell’insieme, quindi, sia gli studi a breve termine che quelli a lungo termine hanno dimostrato un’efficacia dell’aripiprazolo nella dimensione positiva superiore al placebo e paragonabile a quella dell’aloperidolo e del risperidone.

Dimensione negativa

La dimensione negativa indica il grado di presenza di sintomi negativi come l’appiattimento affettivo, l’alogia e l’abulia e rappresenta un target farmacologico difficile e fondamentale, date le conseguenze a lungo termine sul funzionamento relazionale, sociale ed occupazionale nella schizofrenia.

Nello studio di Potkin (45) l’aripiprazolo a 20 e 30 mg ha mostrato un’efficacia significativa rispetto al placebo alla sottoscala negativa della PANSS. Il distacco significativo dal placebo nei punteggi negativi della PANSS è avvenuto per l’aripiprazolo alla prima settimana; con il risperidone invece la significatività verso placebo sui sintomi negativi è stata riscontrata alla seconda settimana. Nello studio di Kane (44), l’aripiprazolo a 15 mg ha prodotto un miglioramento di -3,6 punti della sottoscala negativa (p = 0,006 verso placebo), l’aloperidolo ha diminuito la stessa scala di -2,9 punti (p = 0,043) e l’aripiprazolo a 30 mg di -2,3 punti, variazione che non è risultata statisticamente significativa. Nello studio 138 001 (46)-(48) su 420 pazienti, l’aripiprazolo a 10, 15 e 20 mg ha diminuito la sottoscala negativa di -3,5, -2,7 e -3,3 punti dimostrando la significatività verso placebo per tutti i dosaggi.

Nello studio a 26 settimane su pazienti stabili con schizofrenia (50), la sottoscala negativa della PANSS ha fatto registrare miglioramenti significativi con l’aripiprazolo rispetto al placebo.

Nello studio a 52 settimane sul tempo trascorso prima di una ricaduta nei responder (49), alla sottoscala negativa della PANSS l’aripiprazolo è stato associato ad un miglioramento maggiore dell’aloperidolo (analisi LOCF: p < 0,05). Una path analysis dei dati provenienti da questo trial finalizzata alla valutazione di questa dimensione (72), ha esaminato gli effetti dei farmaci sulla sottoscala negativa della PANSS, controllando per possibili fattori di confondimento come i sintomi positivi, depressivi e i sintomi extrapiramidali. Dall’elaborazione è emersa una riduzione dei punteggi negativi PANSS significativamente maggiore nell’aripiprazolo rispetto all’aloperidolo (rispettivamente -4,57 vs. -3,59, p = 0,011). Nei pazienti con sintomi negativi più pronunciati (PANSS negativa > 24) l’aripiprazolo ha provocato una diminuzione di -6,97 punti rispetto a -5,25 per l’aloperidolo (p = 0,005). La riduzione dei sintomi negativi dopo la stabilizzazione della fase acuta è risultata superiore con l’aripiprazolo (p = 0,02). Un’ulteriore subanalisi di questo trial ha confermato questi dati (73).

Questi dati, considerati nel loro insieme, dimostrano un’efficacia dell’aripiprazolo rispetto al placebo sulla dimensione negativa, suggerendo una superiorità rispetto all’aloperidolo nel lungo termine e una pari efficacia, ma una maggiore rapidità d’azione, rispetto al risperidone.

Dimensione cognitiva

Per dimensione cognitiva si intende l’insieme di sintomi e segni che svelano una compromissione delle funzioni cognitive nella schizofrenia. Questa dimensione sembra fondamentale negli esiti funzionali delle terapie ed è stata studiata con vari antipsicotici atipici.

Uno studio multicentrico in aperto (74) ha confrontato i benefici neurocognitivi ottenuti con aripiprazolo a 30 mg (n = 76) e olanzapina a 15 mg (n = 93) in pazienti con diagnosi di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo trattati per 26 settimane. Le misure di esito sono state tratte da una batteria di test (California Verbal Learning Test, Benton Visual Retention Test, Wiscounsin Card Sortine Test, Continuous Performance Test e altri) di cui sono stati valutati tre fattori principali: la working memory, il problem solving e il verbal learning. Nella working memory sia l’aripiprazolo che l’olanzapina hanno rivelato miglioramenti significativi all’ottava settimana e un trend non significativo alla ventiseiesima nella stessa direzione, senza differenze tra gruppi. Il fattore problem solving non ha mostrato differenze tra gruppi. La valutazione del verbal learning, invece ha fatto registrare miglioramenti significativi soltanto con l’aripiprazolo in entrambe le valutazioni (p < 0,001), mostrando variazioni significative rispetto all’olanzapina (p < 0,04). Questo studio suggerisce quindi un effetto promettente dell’aripiprazolo nella dimensione cognitiva della schizofrenia, particolarmente nelle capacità di apprendimento verbale e nella working memory.

Dimensione depressiva

Un fattore depressivo della schizofrenia è emerso in molte analisi fattoriali che hanno estratto un numero di fattori superiore a 3 (69) dimostrando un’importanza clinica spesso sottovalutata nelle valutazioni psicometriche dei trattamenti farmacologici.

Lo studio multicentrico randomizzato in doppio cieco (49) a 52 settimane che ha confrontato l’aripiprazolo a 30 mg e l’aloperidolo a 10 mg su 1.294 pazienti in fase di ricaduta, alla Montgomery-Åsberg Depression Rating Scale (MADRS) per la depressione, l’aripiprazolo ha provocato un miglioramento maggiore dell’aloperidolo (analisi LOCF: p < 0,05). Una subanalisi (75) (76) dei dati provenienti da questo studio ha valutato, oltre alla MADRS, l’item “depressione” della PANSS e il cluster “ansia-depressione” (preoccupazione somatica, ansia, sentimenti di colpa, depressione) emerso da un’analisi fattoriale a 5 fattori della stessa scala sui dati dei trial sull’aripiprazolo. Questa elaborazione ha dimostrato una significativa superiorità dell’aripiprazolo rispetto all’aloperidolo nell’indurre un miglioramento nei sintomi “depressivi” della PANSS rivelata all’ottava settimana e mantenuta fino a fine trial. Questo effetto è stato particolarmente pronunciato nei pazienti che al baseline avevano riportato maggiori sintomi depressivi al cluster della PANSS.

Un’analisi di dati aggregati da trial a 4 e 6 settimane che ha valutato 1.290 pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo, ha calcolato una riduzione significativa dei sintomi depressivi ed ansiosi rispetto al placebo (p < 0,05) (77).

Anche se non effettuato su pazienti schizofrenici, lo studio di Keck et al. sull’aripiprazolo nell’episodio maniacale o misto riporta miglioramenti significativi dal baseline (p = 0,006) e rispetto al placebo (p = 0,03) nel punteggio della depressione alla versione per il disturbo bipolare della scala CGI.

Senza tralasciare le differenze tra i disturbi studiati, questo studio, assieme al case report e alle serie di casi riportati nel paragrafo sull’efficacia in “altri disturbi psichiatrici”, potrebbero indirettamente suggerire un’efficacia dell’aripiprazolo sui sintomi depressivi e ansiosi della schizofrenia, che sembra essere dimostrata dagli studi citati sopra.

Dimensione eccitamento-aggressività

Una dimensione che comprende eccitamento, ostilità, attivazione, disforia, aggressività e irritabilità sembra emergere da varie analisi fattoriali a più di 3 fattori della schizofrenia e di vari altri disturbi psichiatrici.

Un’elaborazione finalizzata agli effetti dell’aripiprazolo sui sintomi di eccitamento e ostilità della schizofrenia ha analizzato i dati provenienti dagli studi a breve e lungo termine sull’aripiprazolo per identificare un cluster eccitamento/ostilità della PANSS con l’analisi fattoriale, e studiarne le variazioni a seguito dei trattamenti (78). Nei trial a breve termine, questo fattore ha mostrato un aumento medio di 1,29 punti con il placebo (n = 405) e una diminuzione di 0,94 punti con l’aripiprazolo (n = 885) (p < 0,001), con un effetto più pronunciato per i pazienti con più sintomi e segni di eccitamento e ostilità al baseline. Queste differenze rispetto al placebo si sono confermate anche dopo aver controllato l’elaborazione per i sintomi positivi PANSS e per la sedazione. Gli studi a breve termine in cui è stato somministrato l’aloperidolo come controllo attivo, hanno dimostrato pari efficacia di quest’ultimo all’aripiprazolo. Nel trial a 52 settimane, l’analisi ha dimostrato un abbassamento di 2,56 punti per l’aripiprazolo e di 2,43 punti per l’aloperidolo, con un mantenimento dell’effetto fino all’ultima valutazione.

Queste analisi suggeriscono un’efficacia dell’aripiprazolo sulla dimensione eccitamento/aggressività superiore al placebo e paragonabile a quella dell’aloperidolo.

Inoltre, il trial in aperto (58) (68) su 23 bambini e adolescenti aggressivi con diagnosi di disturbo della condotta o disturbo oppositivo provocatorio, che ha fatto rilevare un miglioramento nel punteggio della Rating of Aggression Against People and/or Property (RAAPP), potrebbe confermare indirettamente una generale efficacia antiaggressiva dell’aripiprazolo.

Tollerabilità e sicurezza

L’aripiprazolo è stato valutato per la tollerabilità su 7.951 pazienti arruolati in trial premarketing sulla schizofrenia, mania nel disturbo bipolare e demenza tipo Alzheimer, che hanno totalizzato approssimativamente 5.235 anni-paziente di esposizione. Un totale di 2.280 pazienti è stato trattato per almeno 180 giorni e 1.558 pazienti per almeno un anno, in studi in doppio cieco e in aperto, su pazienti ambulatoriali e ospedalizzati, a dosaggio fisso o variabile, a lungo e a breve termine.

Vengono riportati di seguito i dati sulla tollerabilità generale e specifica degli antipsicotici, emersi dagli studi clinici che hanno confrontato l’aripiprazolo al placebo, all’aloperidolo o ad altri antipsicotici. Per comodità, l’analisi degli eventi avversi sarà divisa per farmaco comparatore e verranno trattate separatamente la “tollerabilità generale”, che comprende gli effetti collaterali riscontrati frequentemente in molte classi di farmaci, e gli effetti secondari caratteristici del profilo recettoriale di gran parte degli antipsicotici oggi disponibili.

Aripiprazolo verso placebo

Profilo di tollerabilità generale

In Tabella II vengono riportate le incidenze degli eventi avversi avvenuti durante il trattamento (fino a 6 settimane per la schizofrenia e 3 nell’episodio maniacale), in ordine decrescente per l’aripiprazolo.

L’analisi aggregata del data set, riportata nella scheda tecnica approvata dalla FDA, per i sintomi “generali” con incidenza > 10 riporta gli eventi avversi in cui l’incidenza è stata superiore nei pazienti trattati con aripiprazolo rispetto a quelli trattati con placebo.

L’analisi di sottogruppi di popolazioni non ha rilevato differenze evidenti nell’incidenza di eventi avversi in base all’età, al genere e alla razza.

Una meta-analisi (79) di cinque studi a breve termine (da 4 a 6 settimane) ha analizzato i dati di 1.549 pazienti ospedalizzati per una ricaduta nel corso di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo e trattati con aripiprazolo (N = 932; dose giornaliera: 2-30 mg), aloperidolo (N = 201; dose giornaliera 5-20 mg) o placebo (N = 416). Gli effetti indesiderati generali più comuni sono stati cefalea, agitazione, insonnia e ansia, con frequenze simili nei tre gruppi. Considerati nel loro insieme, questi dati aggregati non mostrano differenze significative nell’incidenza di interruzione del trattamento per eventi avversi tra pazienti trattati con aripiprazolo (7%) e pazienti trattati con placebo (9%). Il tipo di effetti secondari che hanno motivato l’interruzione non differisce sostanzialmente tra i due gruppi.

In uno studio di 26 settimane controllato verso placebo, sulla prevenzione delle ricadute in pazienti stabilizzati con diagnosi di schizofrenia cronica (50), la percentuale di interruzione del trattamento è risultata simile nei pazienti trattati con aripiprazolo e in quelli che hanno ricevuto il placebo. Gli unici effetti collaterali emersi in una percentuale maggiore di pazienti trattati con il farmaco sono stati l’insonnia, i tremori, l’acatisia, il vomito e la nausea; tuttavia le differenze tra i gruppi sono risultate lievi.

Un trial multicentrico, randomizzato in doppio cieco a 52 settimane su 1.294 pazienti con una diagnosi di schizofrenia cronica ricaduti in fase acuta (49), riporta che gli effetti collaterali generali avvenuti con aripiprazolo, in una percentuale > 5% nelle prime 8 settimane di trattamento, sono notevolmente diminuiti nel tempo, essendo raramente riscontrabili in più del 2% dei pazienti alla ventiseiesima settimana. Questo studio ha inoltre escluso l’insorgenza tardiva di eventi avversi in pazienti esposti all’aripiprazolo a lungo termine, e ha registrato 4 decessi (0,5%) nel gruppo trattato con aripiprazolo, ma nessuno di questi è risultato attribuibile al farmaco.

L’analisi di un trial multicentrico di 3 settimane, con 15 o 30 mg di aripiprazolo verso placebo in 262 (254 inclusi nell’analisi della sicurezza) pazienti con episodio maniacale o misto (53), non ha fatto emergere differenze significative nell’incidenza di interruzione del trattamento a causa di eventi avversi tra farmaco (5,5%) e placebo (5,1%). Eventi avversi gravi si sono verificati in 4 pazienti trattati con aripiprazolo (“reazione maniacale”, scompenso psichiatrico, overdose di sedativi e ipertensione) e in 4 pazienti trattati con placebo (agitazione, lesioni accidentali, dolore toracico, sincope). Sintomi generali come nausea, vomito, dispepsia e sonnolenza sono avvenuti all’inizio del trattamento e nella gran parte dei pazienti si sono risolti nella prima settimana.

L’analisi dei segni vitali non ha fatto emergere differenze significative tra aripiprazolo e placebo nei trial controllati (44) (45) (50).

Considerati nel loro insieme, questi dati dimostrano un profilo di tollerabilità generale favorevole, con pochi eventi avversi superiori al placebo, percentuali di interruzione del trattamento simili e la tendenza alla rapida risoluzione.

Effetti secondari specifici per gli antipsicotici

Nell’analisi riportata in scheda tecnica, la sindrome extrapiramidale è stata rilevata soltanto nel 6% dei pazienti trattati con aripiprazolo e nel 4% di quelli trattati con il placebo; analogamente, i tremori sono stati osservati nel 4% con il farmaco e nel 3% con il placebo.

In uno studio controllato verso placebo a lungo termine (26 settimane) nella schizofrenia (50), i dati sulla sindrome extrapiramidale valutati obiettivamente con la Simpson Angus Rating Scale, la Barnes Akathisia Scale e le Assessments of Involuntary Movement Scales non hanno rivelato differenze tra l’aripiprazolo e il placebo.

Lo stesso studio ha confermato il profilo di tollerabilità emerso dai trial a breve termine, ad eccezione dei tremori [9% (13/153) per l’aripiprazolo vs. 1% (2/153) per placebo], che comunque sono risultati per la maggior parte di lieve intensità e di durata limitata (9/13 < 10 giorni) e hanno portato ad interruzione del trattamento meno dell’1% dei pazienti.

La valutazione dei sintomi extrapiramidali, nella meta-analisi di 5 studi clinici su pazienti ospedalizzati (79), non ha rivelato differenze significative tra l’aripiprazolo e il placebo nei sintomi riportati, nelle sindromi obiettivate e nelle relative interruzioni del trattamento. Gli eventi avversi correlati ai sintomi extrapiramidali sono avvenuti nel 21% per ogni dosaggio di aripiprazolo vs. il 19% per il placebo; la sindrome extrapiramidale è stata riscontrata nel 6% di entrambi i gruppi. Nell’analisi della Assessments of Involuntary Movement Scales sono stati notati miglioramenti lievi ma significativi alla fine dei trial nei gruppi trattati con tutti i vari dosaggio di aripiprazolo (n = 891) rispetto al placebo (n = 407) (p < 0,01).

In uno studio sulla prevenzione delle ricadute, in pazienti stabilizzati con diagnosi di schizofrenia cronica (50), l’incidenza di almeno un sintomo extrapiramidale è risultata bassa per l’aripiprazolo e per il placebo (rispettivamente 20% e 13%). L’incidenza di tremori, di intensità lieve/moderata e di breve durata, viene riportata in una percentuale maggiore di pazienti trattati con il farmaco (8,5% vs. 1,3%). L’incidenza di acatisia è risultata simile nei due gruppi, il placebo ha causato una percentuale maggiore di sindromi extrapiramidali e la Simpson-Angus Rating Scale ha registrato un miglioramento dei sintomi extrapiramidali dal baseline significativamente maggiore nei pazienti trattati con l’aripiprazolo.

Nel trial effettuato su 262 pazienti bipolari (53), i più comuni eventi avversi legati ai sintomi extrapiramidali sono stati l’acatisia (11%) e i tremori (6%) con l’aripiprazolo, e i tremori (3%) e la sindrome extrapiramidale (3%) con il placebo. La riduzione dei dosaggi (3%) e l’interruzione del trattamento (1,6%) per l’acatisia sono stati comunque rari per l’aripiprazolo. Le variazioni dal baseline dei punteggi della Simpson-Angus Rating Scale e della Barnes Rating Scale for Drug-Induced Akathisia sono state lievi ma significativamente maggiori per il gruppo trattato con aripiprazolo. Le variazioni della Abnormal Involuntary Movement Scale non hanno invece fatto emergere differenze significative tra i due gruppi.

I pazienti trattati con aripiprazolo a vari dosaggi inclusi nella meta-analisi dei 5 trial (79) hanno mostrato incrementi di peso minimi (0,71 kg) ma statisticamente significativi rispetto al placebo. La stessa elaborazione dei dati ha rilevato variazioni minime della glicemia dal baseline (aripiprazolo 0,1 mg/dl; placebo 2,1 mg/dl), colesterolo totale e LDL hanno subito una diminuzione e le HDL sono aumentate senza differenze intergruppo tra aripiprazolo e placebo.

Nei 262 pazienti con episodio maniacale o misto (53), sia i pazienti trattati con aripiprazolo che quelli che hanno ricevuto il placebo, sono andati incontro ad una lieve diminuzione del peso corporeo medio (placebo: -0,8 kg; aripiprazolo: -0,3 kg). Non sono emerse differenze significative nella bassa percentuale di pazienti con aumento di peso clinicamente significativo (> 7% del peso al baseline; aripiprazolo, n = 2, placebo, n = 0). Le percentuali di pazienti con livelli clinicamente significativi di glicemia (> 110 mg/dl) o colesterolo totale (> 200 mg/dl) sono stati simili nei due gruppi.

Nello studio sulla prevenzione delle ricadute in pazienti con schizofrenia cronica (50), il peso corporeo medio dei pazienti dopo 26 settimane è diminuito di 0,87 kg nel gruppo placebo e di 1,26 kg nel gruppo aripiprazolo; la bassa percentuale di pazienti aumentati significativamente di peso era simile nei gruppi e la stratificazione del Body Mass Index ha confermato la diminuzione media di peso per tutti i livelli. Le misurazioni della glicemia, del colesterolo e dei trigliceridi non hanno rivelato variazioni clinicamente significative.

Una stima del rischio medio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 dopo 7,5 anni di terapia, calcolata con un modello di regressione logistica su uno studio a 26 settimane (80), non ha trovato differenze significative tra aripiprazolo e placebo. Tuttavia questa analisi necessita di ulteriori conferme, dal momento che il rischio calcolato da un modello predittivo non corrisponde con certezza al rischio reale, che attualmente è sconosciuto.

Nella meta-analisi dei 5 trial in pazienti ospedalizzati (79), l’aripiprazolo non ha indotto iperprolattinemia, ma una riduzione clinicamente non significativa dei livelli di prolattina sierica, con una percentuale mediana di variazione dal baseline più bassa rispetto a quella del placebo (-56,5% vs. 0,0%; p < 0,01).

Nello studio sulla schizofrenia cronica stabilizzata (50), il trattamento con aripiprazolo e quello con placebo hanno entrambi abbassato i livelli di prolattina normalizzandoli, dal momento che i pazienti mostravano livelli al baseline superiori al limite della norma, presumibilmente a causa di altre terapie antipsicotiche. Anche in questo trial, la percentuale di pazienti al di sopra dei limiti della norma alla fine della valutazione è risultata maggiore nel gruppo placebo.

Nei pazienti con disturbo bipolare (53), i livelli di prolattina nel corso dello studio sono diminuiti sia con l’aripiprazolo che con il placebo, con valori medi all’endpoint nei limiti della norma. La percentuale di pazienti con prolattinemia al di sopra dei limiti è risultata più alta nel gruppo trattato con il placebo (17%) rispetto a quello che ha ricevuto l’aripiprazolo (11%).

Dalle misurazioni dell’intervallo QT all’elettrocardiogramma nella meta-analisi dei 5 studi su pazienti schizofrenici ospedalizzati (79), è emersa una diminuzione media dell’intervallo con l’aripiprazolo, e le basse percentuali di pazienti in cui è stato rilevato un allungamento non sono differiscono tra aripiprazolo e placebo. Lo studio sulla prevenzione delle ricadute in 310 pazienti schizofrenici (50) riporta dati simili all’analisi precedente.

La scheda tecnica conferma questi dati e riporta per l’aripiprazolo un aumento medio della frequenza cardiaca di 4 battiti al minuto, rispetto ad 1 battito di aumento nei pazienti trattati con placebo.

Nello studio con pazienti bipolari (53) in nessun paziente trattato con aripiprazolo è stato riportato un aumento clinicamente significativo dell’intervallo QT.

Nell’insieme, l’aripiprazolo mostra una tendenza sovrapponibile al placebo ad indurre sintomi extrapiramidali, con l’unica eccezione dei tremori, che risultano comunque di lieve intensità e di durata limitata. Rispetto al placebo, il farmaco induce aumenti di peso minimi e non sembra incidere significativamente sul metabolismo, sui livelli di prolattina e sui parametri elettrocardiografici.

Aripiprazolo verso aloperidolo

Profilo di tollerabilità generale

In uno studio di Kane et al. (44), che hanno confrontato aripiprazolo, aloperidolo e placebo in 414 pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo, le interruzioni del trattamento a causa di effetti collaterali sono avvenute nell’11% dei pazienti trattati con aloperidolo, nel 9% di quelli trattati con 15 mg di aripiprazolo e nell’8% dei pazienti a cui sono stati somministrati 30 mg dello stesso farmaco.

Gli effetti secondari generali maggiormente riportati sono stati la cefalea con il 24% e 29% dei pazienti trattati con aripiprazolo a 15 mg e 30 mg e il 25% del gruppo aloperidolo; ansia e insonnia, con percentuali simili tra i due farmaci; nausea e vomito causati maggiormente dall’aripiprazolo a 30 mg, che sono comunque risultati lievi e quasi tutti risolti entro la prima settimana di trattamento.

Lo studio a 52 settimane su 1.294 pazienti con diagnosi di schizofrenia cronica, trattati con aripiprazolo o aloperidolo (49), descrive un periodo prima dell’interruzione del trattamento, per effetti collaterali, decisamente più breve per l’aloperidolo rispetto all’aripiprazolo. La percentuale di interruzioni a causa di eventi avversi è stata del 32% nel gruppo aloperidolo e del 25% nel gruppo aripiprazolo. Il 78% dei pazienti con aripiprazolo e l’87% dei pazienti aloperidolo ha riportato almeno un evento avverso, con psicosi, ansia, agitazione, cefalea e sonnolenza ai primi posti, senza spiccate differenze tra i due farmaci. Gli eventi avversi gravi non avvenuti in percentuali sovrapponibili nei due gruppi in studio e sono stati attribuiti al disturbo psichiatrico, più che al trattamento.

Questi dati dimostrano una tollerabilità generale dell’aripiprazolo simile all’aloperidolo, ma una tendenza minore ad indurre l’interruzione del trattamento per effetti collaterali.

Effetti secondari specifici per gli antipsicotici

La meta-analisi citata in precedenza (79) di 5 studi clinici su pazienti schizofrenici o schizoaffettivi ospedalizzati ha incluso anche 201 pazienti trattati con aloperidolo da 5 a 20 mg/die. Questo farmaco ha causato una maggiore incidenza di acatisia e sindrome extrapiramidale rispetto all’aripiprazolo.

Nello studio a 52 settimane su 1.294 soggetti con schizofrenia cronica (49), il 58% dei pazienti trattati con aloperidolo, rispetto al 27% di quelli trattati con aripiprazolo, ha lamentato almeno un sintomo extrapiramidale. Inoltre, la valutazione standardizzata dei movimenti involontari anormali, ha rivelato che l’aripiprazolo è associato significativamente a minori effetti del genere, per l’intera durata del trattamento. Di conseguenza, il 57% del gruppo aloperidolo ha ricevuto farmaci anticolinergici, contro il 23% dei pazienti trattati con aripiprazolo.

Nello studio di Kane (44), l’incidenza di almeno un sintomo extrapiramidale durante il trattamento è stata del 18% e 20% nei pazienti trattati con 15 e 30 mg di aripiprazolo (percentuali sovrapponibili al placebo), e del 36% nei soggetti trattati con 10 mg di aloperidolo; tra questi ultimi, al 30% è stata somministrata benzatropina, farmaco anticolinergico, che è risultato necessario nell’8 e 15% dei pazienti trattati con 15 e 30 mg di aripiprazolo. Con la Simpson-Angus Rating Scale e la Barnes Rating Scale for Drug-Induced Akathisia, l’aripiprazolo, al contrario dell’aloperidolo, non ha spostato significativamente i punteggi rispetto al placebo.

Nello stesso studio (44), le variazioni medie di peso non hanno rivelato differenze significative tra aripiprazolo, aloperidolo e placebo. Tuttavia, l’incidenza di aumento di peso clinicamente significativo (> 7%) è stata del 7% e 4% con l’aripiprazolo 15 e 30 mg, e del 10% con l’aloperidolo.

Nella meta-analisi dei 5 trial su pazienti ospedalizzati (79), gli aumenti di peso clinicamente significativi (> 7%) sono stati osservati nell’8,1% dei gruppi trattati con aripiprazolo e nel 9,8% dei gruppi trattati con aloperidolo.

Nello studio a 52 settimane su 1294 pazienti con schizofrenia cronica (49), i pazienti con un Body Mass Index (BMI) < 23 sono aumentati di peso maggiormente con l’aripiprazolo rispetto all’aloperidolo, mentre i pazienti con un BMI > 27 al baseline hanno perso peso con entrambi i farmaci.

La meta-analisi di Marder (79) ha descritto un aumento mediano della concentrazione di colesterolo totale di 1 mg/dl per l’aripiprazolo (N = 860), di 3 mg/dl per il placebo e di 8 mg/dl per l’aloperidolo (p < 0,05 vs. placebo).

Nel campione trattato per 52 settimane (49), l’aripiprazolo ha causato una diminuzione dei livelli sierici medi di prolattina, mentre l’aloperidolo li ha aumentati. Inoltre, soltanto il 3,4% del pazienti trattati con aripiprazolo ha fatto rilevare valori superiori ai limiti della norma, rispetto al 61% del gruppo aloperidolo.

Nel trial di Kane et al. (44) su pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo, nei pazienti trattati con aripiprazolo è stata riportata una riduzione media, non significativamente differente dal placebo, dei livelli sierici di prolattina; mentre il trattamento con aloperidolo è stato associato ad un aumento significativo rispetto al placebo.

Nello stesso campione, l’intervallo medio QT dell’elettrocardiogramma non ha registrato differenze significative dal placebo né per l’aripiprazolo né per l’aloperidolo; tuttavia nel 3% dei pazienti trattati con aloperidolo (e in nessun paziente del gruppo aripiprazolo) è avvenuto un allungamento significativo dell’intervallo QT.

Nello studio che ha confrontato aripiprazolo verso aloperidolo in 1.294 pazienti (49), nessuno dei due farmaci ha causato alterazioni clinicamente significative all’ECG.

Considerati nell’insieme, questi dati dimostrano l’evidenza di una minore induzione di effetti extrapiramidali da parte dell’aripiprazolo rispetto all’aloperidolo, con aumenti di peso simili tra i due farmaci e una maggiore tendenza dell’aloperidolo a causare aumento della prolattinemia, che risulta invece diminuita dall’aripiprazolo.

Aripiprazolo verso antipsicotici “atipici”

In uno studio in doppio cieco a 4 settimane che ha confrontato aripiprazolo, risperidone e placebo in 404 pazienti con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo (45), le interruzioni del trattamento dovute ad eventi avversi sono avvenute nell’8% dei pazienti trattati con 6 mg di risperidone o 30 mg di aripiprazolo, e nell’11% del gruppo randomizzato a 20 mg di aripiprazolo. Il 91% del gruppo aripiprazolo e il 93% del gruppo risperidone ha riportato almeno un effetto secondario.

Nello stesso trial, l’incidenza totale di effetti extrapiramidali e i punteggi alle scale di valutazione specifiche sono stati simili in entrambi i farmaci attivi e rispetto al placebo. Tuttavia, la distonia o l’ipertonia sono state riportate nel 14% del gruppo risperidone, nel 3% e nell’1% del gruppo aripiprazolo a 20 e 30 mg e nel 6% del gruppo placebo.

Nello stesso campione (45), i pazienti trattati con aripiprazolo 20 e 30 mg sono andati incontro ad un aumento del peso corporeo di 1,2 e 0,8 kg, quelli trattati con il risperidone sono aumentati di 1,5 kg e il gruppo placebo è diminuito di 0,3 kg. La percentuale di pazienti con aumento significativo è stata simile nei trattamenti attivi e significativamente maggiore rispetto al placebo.

Una meta-analisi finalizzata alla valutazione degli effetti dell’aripiprazolo sul peso corporeo ha calcolato un aumento medio di peso corporeo negli studi a breve termine (1.648 pazienti con schizofrenia o disturbo schizoaffettivo) di 0,7 kg con l’aripiprazolo, 0,6 kg per l’aloperidolo e 1,3 kg con il risperidone (81).

In uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco a 26 settimane su 317 pazienti (82)-(84), gli aumenti clinicamente significativi di peso sono avvenuti in una percentuale maggiore di pazienti trattati con olanzapina 10-20 (37%) mg rispetto a quelli trattati con aripiprazolo 15-30 mg (14% p < 0,001). All’end point il gruppo olanzapina ha fatto rilevare un aumento di peso di 4,23 kg rispetto a 1,37 kg del gruppo aripiprazolo (p < 0,001). I valori ematici di colesterolo totale, HDL e trigliceridi hanno rivelato una maggiore percentuale di differenze clinicamente significative nei pazienti trattati con olanzapina, associata ad un peggioramento del profilo lipidico.

Casey et al. (85) hanno effettuato stima dell’incidenza cumulata di sindrome metabolica (86) e un’analisi di sopravvivenza, utilizzando i dati provenienti da due studi in doppio cieco di 26 settimane con olanzapina o aripiprazolo su pazienti con schizofrenia in fase acuta (N = 314) e aripiprazolo o placebo in pazienti in fase cronica stabilizzata (N = 306). Con il metodo di Kaplan-Meier, l’incidenza cumulata a 26 settimane di sindrome metabolica è stata del 19,2% con l’olanzapina, 12,8% con il placebo e 7,6% con l’aripiprazolo (p = 0,003). I risultati di questo studio suggeriscono un aumento del rischio di sindrome metabolica con l’olanzapina rispetto all’aripiprazolo e al placebo.

Nello studio su 404 pazienti (45), i livelli sierici di prolattina hanno mostrato variazioni nei gruppi: mentre i pazienti trattati con aripiprazolo hanno mostrato una diminuzione della prolattinemia, nel gruppo risperidone è stato riscontrato un aumento medio di 47,9 ng/ml, con il 90,5% dei pazienti al di sopra del limite superiore della norma (fenomeno osservato nel 4,1 e nel 3,3% dei gruppi aripiprazolo 20 e 30 mg).

Per ciò che riguarda l’intervallo QT, soltanto nel gruppo risperidone è stato registrato un allungamento potenzialmente significativo dal punto di vista clinico nel 3% dei pazienti; l’intervallo medio è diminuito nel gruppo aripiprazolo 30 mg ed aumentato di 0,97 millisecondi nel gruppo 20 mg e di 6,31 millisecondi nel gruppo risperidone.

Un’analisi (87) di dati raccolti in un trial a 26 settimane su ricadute in pazienti con schizofrenia ha calcolato il 22% di riduzione del rischio relativo per malattia coronarica in pazienti trattati con aripiprazolo 15-30 mg rispetto a olanzapina 10-20 mg (p = 0,005).

Questi dati dimostrano una tollerabilità generale dell’aripiprazolo simile al risperidone, che tuttavia si differenzia dall’aripiprazolo per gli aumenti dei livelli sierici di prolattina e l’allungamento del tratto QT. L’olanzapina, rispetto all’aripiprazolo, è associata ad un aumento di peso medio maggiore, ad una probabilità superiore di causare aumenti di peso significativi e a maggiori alterazioni metaboliche.

Discussione

Quando, in psichiatria, viene presentato un farmaco con una farmacodinamica e un meccanismo di azione innovativi rispetto a prodotti precedenti sorge sempre il problema dei correlati clinici della nuova molecola. Molti farmaci, apparentemente innovativi a livello della sperimentazione pre-clinica vengono abbandonati per la loro bassa efficacia o tollerabilità nelle sperimentazioni cliniche pilota. Altri farmaci, approvati al commercio da parte delle autorità regolatorie sulla base degli studi controllati, nella pratica clinica non rispondono alle attese basate su presupposti farmacodinamici.

Aripiprazolo è il primo agonista parziale della dopamina ad essere stato approvato dalle autorità regolatorie sulla base degli studi controllati che hanno dimostrato il suo adeguato rapporto efficacia/tollerabilità. Come per ogni farmaco di recente approvazione la letteratura disponibile è quantitativamente inferiore rispetto a quella di altre molecole già da tempo presenti sul mercato ma è qualitativamente adeguata per trarre alcune conclusioni.

Efficacia

Aripiprazolo è superiore al placebo in tutti i parametri considerati: efficacia globale, sintomi positivi, sintomi negativi, prevenzione delle ricadute.

Il confronto di efficacia con aloperidolo, considerato come uno standard di riferimento in quasi tutte le sperimentazioni controllate dei nuovi antipsicotici, ha mostrato un’equivalenza a livello della sintomatologia totale e della sintomatologia positiva della schizofrenia. A livello della sintomatologia negativa si rileva una tendenza ad una maggiore efficacia di aripiprazolo nei confronti di aloperidolo. Nettamente superiore ad aloperidolo è l’efficacia di aripiprazolo nei confronti della dimensione depressiva. Il confronto di efficacia con antipsicotici antagonisti 5HT2 > D2 (atipici) è disponibile solo verso risperidone e, limitatamente ai sintomi cognitivi, verso olanzapina. Nei confronti di risperidone non sono state rilevate differenze significative di efficacia negli studi controllati in nessuno dei parametri considerati (ma è stata riscontrata una migliore tollerabilità a livello di alcuni parametri). Inoltre l’aripiprazolo sembra avere un’efficacia particolare su alcune dimensioni particolari della schizofrenia rappresentate dalla depressione e dall’impulsività-aggressività.

Nel complesso aripiprazolo si presenta come un farmaco di dimostrata efficacia nella terapia della schizofrenia, almeno pari a quella di altri farmaci già da tempo sul mercato. La sua migliore tollerabilità rispetto a questi ultimi potrebbe rappresentare quindi decisivo fattore di scelta terapeutica.

Il problema della possibile superiore efficacia di un agonista parziale della dopamina come aripiprazolo va visto tuttavia alla luce della metodologia attuale degli studi controllati ai fini registrativi. Questi ultimi, infatti vengono condotti su pazienti in condizioni molto variabili di stato e di decorso inseriti nelle sperimentazioni sulla base di una diagnosi di schizofrenia secondo i criteri diagnostici DSM-IV. Il carattere multicentrico, l’elevata numerosità del campione e l’eterogeneità sintomatologica tendono ad appiattire le possibili particolarità di azione di un nuovo farmaco sulle specifiche caratteristiche dimensionali in un generico giudizio di miglioramento medio.

Un agonista parziale dei recettori D2 (e 5HT1A) con azione antagonista 5HT2A, come aripiprazolo è possibile che abbia invece un’azione superiore ad altri antipsicotici in alcune condizioni cliniche particolari. Una di queste condizioni è il trattamento dei primi episodi dove lo scompenso conclamato dei sistemi dopaminergici (ipoattività DA corticofrontale e iperattività DA mesolimbica) è di recente insorgenza e non vi sono ancora modificazioni secondarie recettoriali indotte da trattamenti precedenti con antagonisti DA. È da attendersi che uno stabilizzatore dei sistemi DA abbia in questa fase la sua massima efficacia. Purtroppo, negli studi controllati solo una non specificata minoranza di casi è costituita dai ‘primi episodi non trattati’.

Un’altra area di estremo interesse per le possibilità applicative di aripiprazolo è rappresentata dai prodromi della schizofrenia. Gli studi condotti su soggetti ad alto rischio con sintomi prodromici hanno mostrato che il trattamento con antipsicotici ‘atipici’ a basso dosaggio può prevenire in misura significativa la comparsa dell’episodio schizofrenico conclamato (88)-(90). È in fase prodromica infatti che incomincia a manifestarsi la prima disregolazione del sistema dopaminergico in sede prefrontale. Uno stabilizzatore dei sistemi dopaminergici, con azione agonista parziale come aripiprazolo potrebbe trovare in questa condizione una applicazione specifica, con probabilità di risultati favorevoli sulla prevenzione dell’episodio schizofrenico.

L’azione normalizzatrice sul sistema DA di aripiprazolo riveste un’estrema importanza a livello della terapia della dimensione negativa della schizofrenia. Quest’ultima è correlata ad una ipoattività dopaminergica corticofrontale e rappresenta lo ‘zoccolo duro’ principale causa di invalidità della malattia. Varie strategie terapeutiche (antagonismo alfa2, inibizione del re-uptake DA, blocco del recettore D2 presinaptico) sono state proposte o utilizzate finora con modesti risultati. È da attendersi che un farmaco che possa potenziare l’attività DA corticofrontale con il nuovo meccanismo dell’agonismo parziale possa ottenere risultati particolarmente favorevoli a questo livello. Anche in questo caso gli studi controllati disponibili non sono adeguati per valutare una possibile efficacia selettiva di un farmaco antipsicotico sulla dimensione negativa della schizofrenia. Sono opportuni studi con l’aripiprazolo su gruppi di pazienti a sintomatologia negativa primaria e dominante, possibilmente ancora non trattati con altri antipsicotici.

Di particolare interesse è l’efficacia di aripiprazolo sulle dimensioni affettive della schizofrenia. Il farmaco ha mostrato un’azione sui sintomi depressivi superiore all’aloperidolo. Inoltre ha mostrato un’efficacia particolare sulla dimensione eccitamento-aggressività della schizofrenia. L’efficacia in questa dimensione trova conferma nella efficacia di aripiprazolo nella terapia della mania, dove esercita probabilmente un’azione primaria ‘antipsicotica’ nel nucleo del disturbo bipolare. Questi dati suggeriscono una potenzialità di aripiprazolo come normalizzatore dell’umore con azione ‘transnosografica’. È possibile che ciò sia collegato alla sua azione di agonismo parziale D2 e 5HT1A.

È aperta la possibilità di una relativa maggiore rapidità di azione di aripiprazolo rispetto ad altri antipsicotici. Alcuni degli studi controllati hanno rilevato una separazione significativa dal placebo già alla prima settimana di trattamento, altri studi hanno messo in evidenza una differenza significativa alla seconda settimana. Una eventuale significativa rapidità di azione antipsicotica andrà tuttavia confermata da ulteriori studi tenuto conto che i dati finora disponibili sul trattamento antipsicotico depongono per una latenza di azione, con le altre molecole, di 2 settimane per i sintomi positivi e di almeno 4 settimane per i sintomi negativi.

Infine, per quanto riguarda i dosaggi, i dati disponibili depongono per una dose terapeutica ottimale di 15 mg, senza necessità di titolazione e in monodose giornaliera, senza differenze significative di efficacia rispetto ai 30 mg. Va tuttavia tenuto presente che i risultati degli studi controllati non tengono conto della variabilità di risposta interindividuale in funzione di numerose variabili interagenti. Come si è verificato nel caso di altri antipsicotici atipici, è probabile che la dose media terapeutica di 15 mg debba essere aggiustata in rapporto alle esigenze dei singoli casi.

Tollerabilità e sicurezza

Tollerabilità e sicurezza sono punti centrali nella scelta di un farmaco antipsicotico, a parità dei parametri di efficacia. Una eventuale preferenza per un farmaco con problemi di tollerabilità e sicurezza può essere giustificata solo da un’efficacia nettamente superiore, tenuto conto della gravità e del potere invalidante della malattia schizofrenica.

I farmaci antipsicotici attuali hanno sulla base degli studi controllati una efficacia equivalente (con l’unica eccezione di clozapina che ha, tuttavia, ben noti problemi di agranulocitosi e di abbassamento della soglia convulsivante). La scelta di un farmaco per la terapia della schizofrenia deve tenere conto della lunga durata del trattamento e della necessità di ottenere una costante aderenza alla prescrizione medica. In questo contesto la massima sicurezza e la minimizzazione degli effetti indesiderati sono fattori determinanti per il successo della terapia.

La maggior parte degli studi che hanno utilizzato l’aripiprazolo in popolazioni cliniche definisce il farmaco come “ben tollerato” e riporta eventi avversi da lievi a moderati, spesso risolti entro la prima settimana di trattamento. Nessun effetto collaterale riportato ha soddisfatto i criteri FDA per la definizione evento avverso comune e significativo (incidenza > 5% e almeno doppia rispetto a quella causata dal placebo) (58).

Per quanto riguarda i sintomi di carattere ‘generale’ essi non hanno mostrato differenze significative rispetto al placebo, anche se si sono presentati in misura leggermente superiore a quest’ultimo. Il profilo di tollerabilità può deporre per una lieve tendenza ‘attivante’ di aripiprazolo. In ogni caso i sintomi di carattere generale non si sono presentati con frequenza tale da generare interruzioni del trattamento in misura significativa rispetto al placebo. Va infatti osservato che i dati ricavati dal data set degli studi controllati fanno in genere riferimento alla frequenza di comparsa di eventi secondari e non alla loro persistenza nel tempo che, ove riportato, risulta molto breve, con la maggior parte degli eventi che si estinguono entro la prima settimana. È infatti la persistenza degli eventi avversi che porta con maggiore frequenza all’interruzione del trattamento.

Di maggiore interesse sono i dati relativi ai sintomi collaterali ‘specifici’ per gli antipsicotici. Rispetto al placebo, non vi sono differenze significative a livello dei disturbi della serie extrapiramidale (distonie, sindrome parkinsoniana, acatisia). Il dato di un rilevamento in entrambi i gruppi di una limitata percentuale di pazienti con disturbi EP di breve durata può essere attribuito ai precedenti trattamenti. Anche i dati relativi alla prolattina non mostrano differenze rilevanti rispetto al placebo.

Il confronto con aloperidolo ha dato un profilo di tollerabilità nettamente favorevole per aripiprazolo a livello di tutti i parametri considerati. La maggiore incidenza di disturbi EP nel trattamento con aloperidolo (in media 10 mg) può spiegare la significativa maggiore incidenza di interruzioni di terapia con il farmaco di confronto.

La scarsa o nulla incidenza di disturbi EP indotta da aripiprazolo è un dato comune al trattamento con antagonisti 5HT2 > D2 (‘atipici’). Anche aripiprazolo ha un’azione antagonista 5HT2 ma, rispetto agli antipsicotici ‘atipici’ ha un agonismo parziale D2 che previene ulteriormente la comparsa di effetti EP significativi. Anche se questo dato non è stato valutato in misura specifica è anche da attendersi che aripiprazolo non induca sintomi negativi secondari (Sindrome Negativa da Neurolettici). Inoltre, anche se mancano ancora studi di durata sufficiente, è probabile che nel trattamento con aripiprazolo vi siano scarse probabilità di comparsa di discinesia tardiva.

I confronti diretti con gli antagonisti 5HT2 > D2 sono ancora scarsi e andranno meglio studiati. In uno studio controllato verso risperidone (e placebo), aripiprazolo ha mostrato una minore incidenza di disturbi EP come ipertonia e distonia, e un minore aumento di prolattina (45). Va tuttavia osservato che in questo studio la dose utilizzata di risperidone era di 6 mg, superiore alla dose media consigliata di 4-5 mg.

Il profilo favorevole di tollerabilità e sicurezza risponde alle aspettative emerse dagli studi sperimentali sul meccanismo d’azione dell’aripiprazolo. L’agonismo parziale per la famiglia dei recettori D2 motiva la mancata insorgenza di iperprolattinemia e gli scarsi effetti extrapiramidali, causati con molti altri antipsicotici dal blocco della trasmissione dopaminergica rispettivamente nel tratto tuberoinfundibolare e nella regione nigrostriatale. Mentre con altri farmaci antipsicotici come l’aloperidolo e l’aripiprazolo la comparsa di effetti extrapiramidali sembra legata ad una soglia di occupazione dei recettori D2 (91) (92), che si aggira attorno al 70-80%, l’aripiprazolo non sembra seguire questa regola. Infatti, in uno studio finalizzato all’analisi dell’occupazione recettoriale D2 con l’aripiprazolo su 15 soggetti sani (18), non sono stati osservati sintomi extrapiramidali neanche in soggetti in cui più del 90% dei recettori D2 risultava occupato, dopo l’assunzione di dosi maggiori di 30 mg/die di farmaco. Questo dimostrerebbe indirettamente che la scarsa probabilità di effetti extrapiramidali risiede nell’antagonismo parziale, al di là dell’affinità per i D2 e della conseguente percentuale di occupazione.

Altre caratteristiche peculiari dell’aripiprazolo come la scarsa affinità per i recettori istaminergici, adrenergici e muscarinici, potrebbero render conto della scarsa insorgenza di aumento di peso e di effetti metabolici indesiderati. Di notevole interesse sono i dati relativi all’aumento di peso corporeo e alle alterazioni metaboliche che sono state riscontrate, in varia misura, nel trattamento con farmaci antipsicotici atipici. Aumento di peso, modificazioni nel metabolismo glucidico o lipidico e alterazioni elettrocardiografiche non differiscono in misura significativa rispetto al placebo in corso di trattamento con aripiprazolo a breve e a lungo termine.

Il problema dell’aumento di peso in corso di trattamento con farmaci antipsicotici atipici ha assunto una crescente importanza negli ultimi anni. Il miglioramento sintomatologico, con scarsi effetti extrapiramidali indotto dal gruppo dei farmaci antagonisti 5HT2 > D2 ha favorito indubbiamente l’aderenza al trattamento e ha migliorato la qualità della vita dei pazienti schizofrenici. Il recupero delle capacità di critica e l’aumento della socializzazione attiva e passiva vengono tuttavia compromesse dalla alterazione della massa corporea indotta in misura variabile da quasi tutti i farmaci ‘atipici’. L’aumento della massa corporea non è tuttavia dose-dipendente e il trattamento efficace non può essere interrotto per evitare ricadute. Se il dato positivo in questa area relativo ad aripiprazolo verrà confermato, la molecola potrà essere oggetto di prima scelta terapeutica, a parità dei parametri di efficacia.

Come nel caso di altri farmaci antipsicotici entrati precedentemente in commercio, un giudizio definitivo in merito alla tollerabilità e alla sicurezza potrà essere dato sulla base degli studi a lungo e a molto lungo termine, degli studi in aperto post-marketing su ampie casistiche, degli studi di comorbilità con malattie somatiche e su popolazioni speciali di malati. Sulla base dei dati disponibili finora aripiprazolo si presenta per ora come un farmaco sicuro e con scarse incidenza degli effetti indesiderati che possono essere riscontrati, in varia misura, in corso di terapia con altre molecole antipsicotiche.

Conclusioni

Vi è una costante attesa, da parte dei clinici e dei loro pazienti di nuovi farmaci per la terapia della schizofrenia e delle altre psicosi maggiori. Gli agonisti parziali per i recettori della dopamina presentano caratteristiche innovative sul piano farmacodinamico e del meccanismo di azione. Aripiprazolo è il primo di questa classe di farmaci ad essere a disposizione del clinico.

Sul piano dell’efficacia aripiprazolo è equivalente ad aloperidolo sulla dimensione positiva (‘trasformazione della realtà’) ma superiore sulla dimensione negativa (apatia-abulia-impoverimento). Questo profilo di efficacia è analogo a quello rilevabile negli studi controllati degli antipsicotici ‘atipici’ e trial futuri a lungo termine con confronti “head-to-head” con altri antipsicotici atipici potranno chiarire definitivamente la posizione dell’aripiprazolo rispetto agli altri antipsicotici di nuova generazione. Le caratteristiche farmacodinamiche della molecola suggeriscono una sua specifica efficacia nel trattamento dei primi episodi, delle forme pre-sindromiche e dei casi a prevalente sintomatologia negativa.

Rispetto ad altri farmaci a disposizione del clinico aripiprazolo mostra un profilo di sicurezza e di tollerabilità altamente soddisfacente. Ciò è di notevole importanza in un’area di patologia dove l’aderenza al trattamento e la maneggevolezza del farmaco sono fattori determinanti per il buon esito di una terapia a lungo termine.

Fig. 1. Rappresentazione semplificata del meccanismo d’azione degli antagonisti e degli agonisti parziali della dopamina in condizioni di elevata e ridotta attività dopaminergica. Per la spiegazione vedi testo. = Recettori D2 e autorecettori; le frecce quantificano la sintesi e il rilascio di dopamina nella cellula pre-sinaptica, la trasmissione del segnale e le risposte biologiche nella cellula post-sinaptica. Simplified representation of the mechanism of action of dopamine antagonists and partial agonists in conditions of elevated and reduced dopaminergic activity. = Receptors and autoreceptors; arrows quantify dopamine synthesis in and release from presynaptic neuron, signal transmission and biological response in the postsynaptic neuron.

Tab. I. Studi controllati randomizzati, in doppio cieco, che hanno valutato l’efficacia dell’aripiprazolo nella schizofrenia, nel disturbo schizoaffettivo e nel disturbo bipolare. Double-blind, randomized controlled studies which assessed the efficacy of aripiprazole in schizophrenia, schizoaffective disorder, and bipolar disorder. See text for explanation.

Autore e anno

Diagnosi

N

Durata
(settimane)

Dosaggio
ARI (mg)

Comparatori

Misure
d’efficacia

Risultati
statisticamente
significativi

Petrie et al. 1997 (42)

Schizofrenia e disturbo schizoaffettivo

102

4

5-30

PLA; ALO 5-10 mg

CGI-S

ARI > PLA

BPRS

ALO > PLA

Daniel et al. 2000 (43)

Schizofrenia e disturbo schizoaffettivo

272

4

2, 10, 30

PLA; ALO 10 mg

CGI-I

ARI 30 mg > PLA

BPRS-core

ALO > PLA

Kane et al. 2002 (44)

Schizofrenia e disturbo schizoaffettivo

414

4

15-30

PLA; ALO 10 mg

PANSS totale e positiva

ARI = ALO > PLA

CGI-S

PANSS negativa

ARI 15mg = ALO > PLA

Potkin et al. 2003 (45)

Schizofrenia e disturbo schizoaffettivo

404

4

20-30

PLA; RIS 6 mg

PANSS totale, positiva e negativa

ARI = RIS > PLA

CGI-S

Studio 138001 (46)-(48)

Schizofrenia

420

6

10, 15, 20

PLA

PANSS totale e negativa

ARI > PLA

Kasper et al. 2003 (49)

Schizofrenia

1294

52

30

ALO 10 mg

Tempo prima della ricaduta

ARI > * ALO

PANSS totale, positiva, CGI

ARI = ALO

PANNS negativa, MADRS

ARI > ALO

Pigott et al. 2003 (50)

Schizofrenia

310

26

15

PLA

Tempo prima della ricaduta

ARI > PLA

Kane et al. 2003 51 (52)

Schizofrenia resistente

300

6

15-30

PER 8-64 mg

PANSS

ARI = PER

QLS

ARI > PER

Keck et al. 2003 (53)

Disturbo bipolare, maniacale o misto

262

3

30

PLA

Y-MRS; CGI; risposta

ARI > PLA

Bourin et al. 2003 (54)

Disturbo bipolare, maniacale o misto

347

12

15

ALO 10 mg

Risposta (Y-MRS > 50)

ARI > ALO

ARI = aripiprazolo; PLA = placebo; ALO = aloperidolo; RIS = risperidone; PER = perfenazina; CGI-S = Clinical Global Impressions – Severity of Illness; CGI-I = Clinical Global Impressions – Improvement; PANSS = Positive and Negative Syndrome Scale; MADRS = Montgomery-Åsberg Depression Rating Scale; QLS = Quality of Life Scale; Y-MRS = Young Mania Rating Scale; * Vedi testo

Fig. 2. Aripiprazolo (n = 898) verso placebo (n = 381). Meta-analisi di 4 studi a breve termine con pazienti ospedalizzati per una ricaduta di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo (modificata da Lieberman et al. (48)) PANSS = Positive and Negative Syndrome Scale LOCF = last observation carried forward.

Aripiprazole (n = 898) vs. placebo (n = 381). Meta-analysis of 4 short-term studies of hospitalized patients with relapsing schizophrenia or schizoaffective disorder (from Lieberman et al. (48)) PANSS = Positive and Negative Syndrome Scale LOCF = last observation carried forward.

Tab. II. Eventi avversi > 10% in ordine decrescente per l’aripiprazolo. Percentuali approssimate al numero intero più vicino. Dati tratti dalla scheda tecnica. Adverse events occurring with a frequency of >10% in decreasing order with aripiprazole. Percentages approximated to the nearest entire figure. Data from product prescribing information.

Evento avverso

Aripiprazolo

Placebo

%

%

(N = 1523)

(N = 849)

Cefalea

31

26

Agitazione

25

24

Ansia

20

17

Insonnia

20

15

Nausea

16

12

Dispepsia

15

13

Sonnolenza

12

8

Acatisia

12

5

Vomito

11

6

Costipazione

11

7

Sensazione di testa vuota

11

8

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