Sindrome del molestatore assillante (stalking): una rassegna

The tormenting harasser syndrome (stalking): a review

G.M. Galeazzi, P. Curci

Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale, Sezione di Psichiatria, Università di Modena e Reggio Emilia

Parole chiave: Molestie • Stalking • Disturbo Delirante, tipo erotomanico • Psichiatria forense • Vittimologia
Key words: Harassment • Stalking • Delusional Disorder, Erotomanic type • Forensic psychiatry • Victimology

Negli ultimi anni è comparsa nella letteratura psichiatrica e di medicina forense in lingua inglese una serie di studi (1-7), rassegne (8-14) e volumi (15-16) dedicati al fenomeno dello stalking.

Il termine, derivato dal linguaggio tecnico della caccia, si può rendere in italiano con fare la posta e, malgrado esistano divergenze circa la sua esatta definizione, un sostanziale consenso individua nello stalking un insieme di comportamenti ripetuti ed intrusivi di sorveglianza e controllo, di ricerca di contatto e comunicazione nei confronti di una “vittima” che risulta infastidita e/o preoccupata da tali attenzioni e comportamenti non graditi.

Sebbene l’interesse per questo fenomeno sia stato risvegliato da alcuni casi di stalking che hanno avuto come vittima personalità dello spettacolo (a) e da delitti in cui il colpevole prima dell’aggressione aveva adottato questa forma di persecuzione, gli studi epidemiologici disponibili hanno mostrato che episodi di stalking sono relativamente frequenti al di fuori del mondo ristretto delle celebrità e dei fatti di cronaca nera “maggiore” e che, anzi, i casi di stalking che si verificano nel contesto della violenza domestica sono di gran lunga prevalenti. La grande maggioranza di questi comportamenti, infatti, sono messi in atto da ex-partners di sesso maschile nei confronti di compagne che hanno interrotto o che vogliono interrompere la relazione, con intenti molteplici e spesso misti, come il tentativo di ristabilire il rapporto, gelosia, vendetta per torti subiti percepiti, dipendenza, il desiderio di continuare ad esercitare un controllo sulla vittima.

Le conoscenze emergenti su questo problema hanno portato, da una parte, all’emanazione di legislazioni specifiche anti-stalking in tutti gli stati della federazione americana, in Canada, Regno Unito e Australia e, dall’altra, ad un crescente interesse per la fenomenica, le motivazioni, le possibilità di intervento legale e terapeutico sugli aggressori, le conseguenze psicologiche e il trattamento delle vittime di questo complesso comportamento.

Anche le discipline psichiatriche sono state coinvolte in queste ricerche, individuando via via diversi filoni di studio. I primi contributi apparsi (1-3,18) si sono concentrati sulla relazione tra comportamenti di stalking e psicopatologia nell’aggressore, individuando inizialmente nell’erotomania un modello offerto dalla psicopatologia classica utile all’interpretazione di alcuni casi. Queste prime rassegne, retrospettive e condotte da psicopatologi forensi su piccole serie di soggetti (quindi atte, per setting, a selezionare per referral bias casi con esiti criminosi violenti e con psicopatologia associata più grave), hanno mostrato come l’erotomania classica interessi solo una minoranza dei casi (attorno al 10%) di stalking anche in questi campioni per così dire “arricchiti”, ma hanno avuto il merito di spostare l’attenzione su aspetti psicopatologici associati come l’abuso di sostanze o i tratti e i disturbi di personalità.

Un altro campo di indagine della ricerca psichiatrica sul fenomeno, ancora agli esordi, ha riguardato l’impatto psicologico dello stalking sulle vittime e le possibilità di sostenerle e trattarle (19-21).

Ancora, si è riconosciuto come gli operatori psichiatrici e, in genere, i professionisti sanitari, possono essere una categoria a rischio di molestie assillanti da parte di pazienti o ex-pazienti, un tema che merita certo ulteriori approfondimenti (22-24).

Avendo incontrato nella pratica clinica alcuni casi attinenti a quest’ultimo gruppo di stalkers (casistica che si intende presentare in altra sede), è stata svolta una ricerca bibliografica sul tema (interrogando le banche dati computerizzate MEDLINE, EMBASE, SOCIOFILE, CRIMINAL ABSTRACTS e associando una ricerca manuale) e non sono stati trovati contributi in lingua italiana, se si eccettua un capitolo all’interno di un libro tradotto dall’americano che raccoglie argomenti di psicopatologia forense per il pubblico generale (25). La revisione della letteratura viene condotta a partire da un modello sindromico più avanti formalizzato, che sembra a chi scrive quello che consente una lettura più articolata dei dati.

È possibile che fattori culturali e sociali possano far sì che il fenomeno sia meno prevalente in Italia, ma è probabile che, come spesso accade, una maggiore consapevolezza della problematica ne faciliterà non solo la comprensione ma anche l’individuazione. È con questo intento che si presenta questa rassegna.

Definizione

Definizioni legali

La giurisprudenza americana è stata la prima ad affrontare specificamente il problema della definizione del fenomeno dello stalking. Nel 1992 il Congresso degli Stati Uniti ha deliberato infatti che la massima autorità giudiziaria della Federazione, l’Attorney General, attraverso il National Institute of Justice, conducesse ricerche sul fenomeno e sviluppasse un modello legislativo anti-stalking costituzionale e applicabile nelle singole legislazioni degli Stati membri. Entro la fine del 1994 tutti i 50 stati e il Distretto di Colombia hanno approvato una specifica legislazione anti-stalking. La maggior parte di queste leggi definisce lo stalking come “l’intenzionale, malevolo e persistente comportamento di seguire o molestare un’altra persona”. Alcuni Stati richiedono che insieme alle molestie sia presente una “minaccia credibile” (definita come una minaccia verbale o scritta di violenza fatta dal persecutore alla vittima), e che sia verosimile che il persecutore intenda e abbia la possibilità di attuare tali minacce. Alcune leggi statali specificano come necessario un “tipo di condotta” in cui il persecutore (o stalker) “consapevolmente, intenzionalmente e ripetutamente” metta in atto una serie di azioni (come mantenersi in prossimità o esprimere minacce verbali o scritte) dirette ad una specifica persona, che non servono ad uno scopo legittimo e che “allarmano, molestano o suscitano in una persona ragionevole paura o disagio emotivo”. Alcuni Stati, se manca l’elemento di minaccia esplicita, prevedono pene e provvedimenti meno gravi per il crimine o lo trattano come semplici “molestie” (26).

Nel Criminal Code of Canada è considerato delitto di molestia criminale (criminal harassment) “molestare intenzionalmente o imprudentemente un’altra persona in ciascuno di questi modi: 1) seguendo o comunicando direttamente o indirettamente con quella persona o suoi conoscenti; 2) sorvegliando i luoghi dove quella persona o un suo conoscente risiede, lavora o si trova ad essere; 3) mettendo in atto condotte minacciose di qualsiasi tipo dirette a quella persona o a suoi familiari, tali da indurre la persona stessa a temere ragionevolmente per la sua sicurezza” (citato in Abrams & Taylor (10) ).

Nel Regno Unito nel 1997 è stato adottato il “Protection from Harassment Act” per affrontare in modo più mirato della legislazione precedente i comportamenti di stalking. L’Atto prevede che “una persona non deve attuare una condotta che sa o che dovrebbe sapere essere causa di molestia ad un’altra. Se una persona ragionevole in possesso delle medesime informazioni penserebbe che la condotta dell’imputato corrisponde a molestia, ciò significa che il crimine è stato commesso. Occorre peraltro dimostrare che l’imputato sapeva o avrebbe dovuto sapere che la sua condotta avrebbe causato timore di violenza nella vittima”. Per integrare la fattispecie punibile in presenza di semplice abuso verbale è necessario che gli atti di molestia siano ripetuti almeno due volte. Invece in presenza di altre condotte, come mandare doni o omaggi floreali, la soglia di punibilità è più alta (citato in Parrott (27) ). Tutti gli Stati della federazione Australiana sono forniti di legislazione simile contro le molestie ripetute. Tutte queste leggi prevedono la possibilità di emanare provvedimenti inibitori (intervention/protective or restraining orders) ingiungendo al molestatore, per esempio, di non entrare in un’area geografica definita attorno all’abitazione della vittima, pena l’aggravante del reato o l’esecuzione dell’arresto e/o la fine della sospensione condizionale di una pena detentiva per stalking già giudicata, anche se il reato è stato consumato senza minacce esplicite o atti violenti.

In Italia le condotte degli stalkers sono considerate penalmente rilevanti quando integrano la fattispecie prevista dall’art. 660 c.p. che si intitola molestia o disturbo alle persone (“Chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo reca a taluno molestia o disturbo è punito ecc. …“). In armonia con la cultura penalistica italiana il reato di molestie non è delitto ma semplice contravvenzione: la norma, attraverso la previsione di un fatto recante molestia alla quiete del privato, ha inteso tutelare la tranquillità pubblica per l’incidenza che il relativo turbamento può avere sull’ordine pubblico, stante l’astratta possibilità di reazione del molestato. Nella citata contravvenzione, l’interesse privato riceve una protezione solo riflessa. Il reato è perseguibile d’ufficio. L’ingiuria, la minaccia semplice o aggravata, la violenza privata, il danneggiamento sono puniti autonomamente a titolo di delitto e se il fatto di molestia costituisce contemporaneamente uno dei delitti sopra indicati, la molestia si intende di regola assorbita.

In Italia, dunque, non esiste una legislazione specifica per un pattern comportamentale ripetitivo e assillante di molestie.

Come si può notare prendendo in considerazione la brevissima rassegna riportata, non esiste accordo unanime circa la necessità della presenza di minacce esplicite da parte del molestatore per definire il reato. Prevale la tendenza ad assumere come decisivo il consenso su ciò che una persona ragionevole (“a reasonable person“) giudicherebbe minaccioso, con le ovvie difficoltà relative a discriminare i casi più lievi, quelli che possono sconfinare con tentativi di corteggiamento, magari goffi e da parte di persone con scarse abilità sociali.

Definizioni psichiatriche: “Sindrome del molestatore assillante”

Anche nella letteratura psichiatrica sullo stalking, come in quella giuridica, non esiste un completo accordo per quanto riguarda la necessità della presenza di minacce esplicite o solo implicite da parte dei molestatori. Inoltre, la letteratura sull’argomento è ricca di svariati tentativi di definizione del fenomeno.

Meloy e il suo gruppo, operativi in ambito psichiatrico forense a San Diego (California) e autori di numerosi contributi sul tema, hanno coniato due definizioni. La prima, quella di erotomania non delirante o borderline (“borderline or non delusional erotomania“), si riferisce a un gruppo di pazienti coinvolti in comportamenti di stalking che, pur non essendo convinti che l’oggetto delle molestie sia effettivamente innamorato di loro (come nell’erotomania classica), manifestano un intenso e tumultuoso attaccamento e infatuazione non ricambiati rivolti ad una persona, con cui di solito avevano intrattenuto nel passato un’effettiva relazione. Questo gruppo di molestatori mostrerebbe numerosi elementi di organizzazione di personalità borderline, quali problemi dell’identità, operazioni difensive tipiche e vacillante contatto con la realtà. Il loro comportamento sarebbe guidato da gravi disturbi dell’attaccamento con alternanti sentimenti di idealizzazione e rabbiosa svalutazione dell’oggetto, e le molestie persistenti rappresenterebbero un tentativo di difesa dalla ferita narcisistica suscitata dall’abbandono (28,29). Il costrutto, seppure interessante per l’ipotesi psicogenetica sul comportamento di molestie, è stato criticato per il dubbio utilizzo del termine erotomania e di personalità borderline (30), la cui diagnosi operazionalizzata secondo il DSM-III-R (31) o DSM-IV (32) è possibile solo nel 3-15% delle serie del gruppo (3,7). Il termine, inoltre, non descrive il comportamento di ripetuta ed intrusiva ricerca di comunicazione e/o di contatto, centrale nell’inquadramento del comportamento di stalking. Inoltre, come si vedrà, questa definizione mal si adatta agli episodi di stalking il cui movente appare prevalentemente rivendicativo e il rapporto con la vittima di tipo professionale.

Recentemente lo stesso gruppo di ricerca ha adottato nei suoi contributi (7-8,3) il termine di “inseguitori ossessivi” (obsessional followers) suggerendo che esso si presti meglio ad una descrizione scientifica del fenomeno, sia perché eviterebbe il sensazionalismo che per opera dei media aleggia attorno a quello di stalking, sia perché i comportamenti consistenti nel seguire, pedinare e aggirarsi attorno alla vittima, sarebbero i più comuni atti proibiti commessi dai molestatori, sia infine perché metterebbe in luce ciò che appare essere una “componente cognitiva e motivazionale dello stalking, cioè le ossessioni”. Secondo Meloy (8) un inseguitore ossessivo ” è una persona che mette in atto un tipo di comportamento anormale a lungo termine di minaccia o molestia diretta ad uno specifico individuo”. Di fatto nella grande maggioranza degli studi su serie di molestatori il contatto telefonico è stato il mezzo di molestia preferito, anche nell’ultima serie di Meloy et al. (7), e i comportamenti di sorveglianza e spionaggio sono solo un elemento dell’ampio repertorio comportamentale di questi soggetti.

Per quanto riguarda l’utilizzo dell’attributo “ossessivo” nella definizione dei comportamenti di stalking è stato fatto notare come esso risulti idiosincratico rispetto alla definizione psicopatologica di ossessione (33) che si riferisce a idee, pensieri, impulsi o immagini persistenti vissuti come intrusivi e inappropriati, egodistonici seppur non imposti dall’esterno. Sebbene il DSM-IV contempli la possibilità che fenomeni ossessivi siano accompagnati da scarso insight, l’aggettivo appare comunque inesatto a denotare il comportamento degli stalkers, i cui pensieri persistenti rispetto all’oggetto (quando non di origine delirante) sembrano nella maggior parte dei casi essere vissuti come piacevoli e soddisfacenti, assumendo in molti casi il carattere di idea prevalente. L’ipotesi che pensieri di tipo ossessivo rispetto la vittima provochino comportamenti di molestia persistente risulta non provata allo stato dell’arte. A chi scrive sembra tuttavia che effettivamente a taluni degli atti degli stalkers potrebbe adattarsi meglio l’attributo di compulsivi. Allo stesso tipo di critica può essere soggetto l’uso del termine di “molestie ossessive” (obsessional harassment (1,2) ).

Un altro problema nella definizione dello stalking riguarda il numero di volte e il lasso temporale in cui le molestie devono essere ripetute per essere definite come assillanti. Il problema è di difficile soluzione ed è stato affrontato in maniera convenzionale nella legislazione e nelle ricerche per arrivare ad una definizione operativa del fenomeno. Il gruppo di Melbourne di Mullen e Pathè, uno dei più attivi sull’argomento, ha offerto la seguente definizione operativa (4): “ripetuti (per almeno dieci volte) e perduranti (nello spazio di tempo di almeno quattro settimane) sgraditi tentativi di avvicinarsi o comunicare con una vittima”. Il comportamento è considerato sgradito sulla base della risposta emotiva della vittima e non rispetto a ciò che sostiene il molestatore (b).

In sintesi, la definizione dello stalking risulta difficile perché il fenomeno descrive una costellazione comportamentale complessa, che può avere diverse motivazioni anche, ma non solo, di pertinenza prettamente psicopatologica. È pertanto un gruppo di comportamenti trans-nosografici, una serie di attività che sfumano in comportamenti accettati socialmente e considerati normali, quali sono i tentativi di ristabilire una relazione interrotta, ma che possono assumere, per pervasività, coerenza e persistenza nel tempo, effetti psicologici sul destinatario e rischio di violenza associato, dignità di focus dell’attenzione clinica oltreché di quella legale.

Le definizioni del fenomeno che concentrano l’attenzione sulla gravità del disturbo del molestatore tendono a privilegiare situazioni limite come quelle rappresentate dall’erotomania, in cui il tipo di relazione con la vittima e la risposta emozionale e comportamentale elicitata vengono effettivamente messe in ombra dalla gravità della psicopatologia dell’aggressore. Pure, la semplice selezione di relazioni in cui si verificano ripetute e intrusive comunicazioni e ricerche di contatto viene ad includere la grande maggioranza di casi dove tali modalità si iscrivono in rapporti di coppia significativi in cui il comportamento di stalking rappresenta l’appendice violenta messa in atto da ex-partners rifiutati con conseguente terrore per la vittima.

Un’interpretazione dei casi dove la dinamica in gioco è di comprensione meno facile rispetto a quelli (rari) costituiti dagli stalkers erotomani e quelli (comuni) che si riscontrano nei casi di violenza domestica può utilmente avvalersi di una concezione sindromica dello stalking, interpretato come patologia della comunicazione e della relazione. Si propone di denominare questo quadro “sindrome del molestatore assillante”.

La sindrome è costituita dalle seguenti componenti necessarie:

a. un attore (molestatore) che individua una persona nei confronti della relazione con la quale sviluppa un’intensa polarizzazione ideo-affettiva e verso cui mette in atto;

b. una serie ripetuta di comportamenti aventi i caratteri della sorveglianza e/o comunicazione e/o ricerca di contatto. A questi comportamenti corrispondono diversi tipi di risposte da parte del bersaglio che vengono a costituire, insieme agli agiti del molestatore, la tipica dinamica relazionale e comunicativa della specifica coppia;

c. la persona individuata dall’attore (vittima) percepisce comunque soggettivamente come sgraditi e intrusivi tali comportamenti e, per definizione, li avverte con associato senso di paura e minaccia.

Componenti accessorie, ma non necessarie, della sindrome sono la presenza di minacce esplicite da parte dell’attore e di atti di violenza a cose e persone, in particolare violenza fisica sulla persona individuata (o su chi si frappone nella coppia) o di tipo sessuale sulla vittima. Conseguenze possibili per la vittima sono grave stress emotivo con ripercussioni anche sul funzionamento sociale e lavorativo.

Una simile definizione sindromica sembra giustificata per almeno due motivi. Da una parte permette, come si vedrà in seguito, di situare in maniera organica vari aspetti che la letteratura ha considerato come utili nello studio degli episodi di stalking, quali: il tipo di rapporto tra molestatore e vittima precedente le molestie, il tipo di movente psicologico principale e presenza e grado di psicopatologia presente nell’aggressore (relativi al punto a), il tipo di dinamica relazionale e comunicativa che si instaura tra molestatore e assediato, che comprende i diversi tipi di comportamenti molestanti e i meccanismi di risposta, interpretabili il più delle volte come meccanismi di coping da parte della vittima (relativi al punto b), gli effetti sulla vittima in termini di violenza e conseguenze psicologiche, con le relative indicazioni di supporto (punto c). Dall’altra, la delineazione sindromica offre al clinico e al terapeuta un punto di orientamento operativo più sicuro della vasta gamma di possibili diagnosi psicopatologico-psichiatriche ristrette al molestatore.

Epidemiologia

Esistono due studi americani sulla prevalenza delle molestie assillanti nella popolazione generale. Ambedue le ricerche sono state condotte tramite interviste telefoniche randomizzate ad un ampio campione di soggetti indagando la frequenza in cui gli intervistati erano state vittime di stalking.

Il primo e il più ampio di questi studi, condotto in una collaborazione tra il National Institute of Justice e il National Center for Injury Prevention and Control (34), ha rilevato la frequenza e le caratteristiche dello stalking su un campione di 8.000 donne e 8.000 uomini, il più possibile rappresentativo, considerata la metodologia usata, della popolazione americana adulta. Lo stalking veniva definito come un “tipo di condotta diretto ad una persona specifica che implica ripetuta prossimità fisica o visiva, comunicazione non consensuale o minacce verbali, scritte o implicite o una loro combinazione, che provocherebbe timore in una persona “ragionevole”, in cui per “ripetuto” si intende avvenuto in almeno due occasioni.

Così definite, la prevalenza di molestie assillanti lifetime ammontava all’8% della popolazione di sesso femminile e al 2% di quella maschile. Inoltre, l’1% delle donne e lo 0,4% degli uomini era stata molestata in modo assillante nell’anno precedente il sondaggio. Il 74% delle vittime era nel range di età 18-39. La maggioranza delle vittime conosceva il suo molestatore, in particolare il 59% delle vittime donne era stata molestata da un ex-partner intimo e solo il 23% da uno sconosciuto. Per gli uomini il quadro era differente, perché le vittime più frequentemente erano state molestate da conoscenti o sconosciuti, ma non partners e, in questo caso, il 90% dei molestatori era dello stesso sesso. La presenza di minacce esplicite aveva riguardato meno della metà delle vittime. Solo il 7% delle vittime riportava come possibile motivazione delle molestie un disturbo mentale nell’aggressore o l’uso di droghe o alcool. L’81% delle donne che aveva dichiarato di essere stata molestata in modo assillante da un partner intimo riportava anche episodi di violenza fisica e il 31% era stata abusata sessualmente.

Ancora maggiore la prevalenza di molestie assillanti riportate da un campione di 1.171 donne maggiori di diciotto anni dello stato della Louisiana intervistate telefonicamente. In questo campione (35) l’11,7% delle donne era stata vittima durante l’arco della vita, il 2% lo era al momento dell’inchiesta e il 32% aveva ricevuto lesioni fisiche (dai graffi ai colpi di arma da fuoco). Ancora, la maggioranza degli aggressori era identificata in partner intimi (51%) e solo il 13% era stato molestato da uno sconosciuto. Lo studio ha anche confermato uno dei pochi dati replicati in più ambiti circa il rischio di violenza nello stalking, che risulta associato a un precedente rapporto intimo con l’aggressore. Le donne che avevano avuto una relazione con il molestatore avevano un rischio relativo di essere aggredite fisicamente 4,5 volte maggiore rispetto a chi era stata molestata da conoscenti o estranei. Secondo l’Ufficio Australiano di Statistica il 15% delle donne adulte era stata molestata persistentemente da un uomo nell’arco della vita e l’1% nell’anno precedente il sondaggio (36).

Altri studi di prevalenza di episodi di stalking sono stati condotti su studenti di college. Dai 593 questionari somministrati, ben il 30% delle studentesse e il 17% degli studenti risultava aver subito molestie assillanti (37). Lo stesso gruppo ha ammesso in un più recente contributo (21) che la loro definizione di stalking si prestava a includere anche casi di semplici molestie, ma anche in base alla definizione più restrittiva utilizzata nel nuovo campione, il 15,5% delle studentesse riportava di essere stata vittima.

Un altro studio (22), che appare di interesse per gli operatori della salute mentale, riporta un sondaggio effettuato su 178 counsellors in centri di supporto psicologico universitari statunitensi: di questi 10 (5,6%) erano stati molestati in maniera assillante da pazienti o ex-pazienti.

Il molestatore e i suoi disturbi

In questa sezione si passeranno in rassegna le informazioni disponibili sul profilo personale e psicopatologico dei molestatori quale si ottiene dalle casistiche consultate, che hanno selezionato casi in base al comportamento di molestie assillanti. La maggioranza di questi studi è di tipo descrittivo e retrospettivo su soggetti aventi azioni legali in corso derivanti direttamente dalle molestie o da crimini ad esse connessi (violazione della proprietà privata, violenza associata fino all’omicidio), inviati per valutazione psichiatrico-forense. Come già detto, questo punto di osservazione seleziona presumibilmente i casi più gravi e con alto tasso di psicopatologia. La Tabella I riporta alcune informazioni riassuntive circa gli studi con campioni più numerosi.

Molestie assillanti, erotomania e altri disturbi deliranti

Nella letteratura meno recente (1,2,18,28), i comportamenti di molestia assillante sono stati studiati prevalentemente come correlato comportamentale del sottotipo erotomanico dei disturbi deliranti cronici. Sebbene descritta da Autori dell’antichità e della psichiatria classica (nei lavori di cui sopra vengono citati di frequente Esquirol e Kraepelin), è a Gaëtan Gatian de Clérambault (1872-1934) che si deve, non solo la descrizione magistrale di casi di erotomania, ma la loro lucida, efficace ed indimenticata formalizzazione all’interno di una precisa sindrome clinica (38). Come è noto, de Clérambault collocò l’erotomania tra i deliri cronici di tipo passionale, insieme a quelli di rivendicazione e gelosia. Distinse una sindrome pura da casi misti o di erotomania “secondaria”, “sintomatica” o “associata”, in cui “la sindrome erotomaniacale non è altro che parte integrante di una più vasta psicosi per lo più polimorfa” (leggi: Schizofrenia). La forma pura si caratterizza perché discende dal “Postulato fondamentale” delirante: il paziente è convinto di essere amato da un oggetto che “ha iniziato ad amare, ama di più, è lui solo ad amare”. Nella concezione classica l’oggetto gode di status elevato, superiore al soggetto. Dal Postulato discendono i temi derivati: l’oggetto non può essere felice senza il soggetto, lo protegge e vigila continuamente su di lui, la storia di amore gode di simpatia universale, se l’oggetto è sposato il suo matrimonio non è valido. Le condotte di rifiuto delle attenzioni dell’erotomane da parte dell’oggetto sono invariabilmente interpretate nella maniera “paradossale”: esse significano proprio il contrario di quello che sembrano: l’oggetto mette alla prova l’amore del paziente, oppure è costretto a dissimulare di fronte a parenti ed amici. L’attaccamento per l’oggetto, tipicamente persistente, tende ad insorgere in maniera fulminea, guidato dalla triade sentimentale orgoglio-desiderio-speranza; a volte, ma non necessariamente, è di tipo platonico, tipica è la “fedeltà” del delirio ad un solo oggetto unico e definitivo.

L’evoluzione più comune passa attraverso i noti stadi della speranza, dello sdegno e della rivendicazione. Assenti le allucinazioni, l’estensione globale del delirio e il deterioramento. I casi di erotomania secondaria o associata ammetterebbero allucinazioni, estensione dei temi deliranti al di fuori di quello della relazione amorosa, variazioni della scelta dell’oggetto o oggetti simultanei, può essere presente il deterioramento mentale.

Dei sei casi presentati da de Clérambault alla Società di Clinica delle Malattie Mentali di Parigi tra il 1920 e il 1923, pubblicati sul Bollettino della Società e poi postumamente ristampati nelle Opere (38), cinque pazienti erano di sesso femminile, quattro presentavano un quadro puro (anche se de Clérambault sottolineò gli aspetti atipici dell’unico erotomane maschio, in cui l’oggetto era l’ex moglie divorziata) e tutti, tranne uno, avevano messo in atto comportamenti di molestia e comunicazione indiretta che, se accompagnati da preoccupazione e timore nell’oggetto, sarebbero intesi oggi come molestie assillanti. Tra esse: invio di lettere, bigliettini, appostamenti, spiate, minacce e ingiurie e perfino telefonate (dalla domestica trentasettenne che si faceva assumere da famiglie altolocate in possesso dell’allora esclusivo apparecchio telefonico, in modo da poter raggiungere il prete di cui era invaghita). Una erotomane non pura, 53 enne ex-modista che credeva di essere amata dal Re di Inghilterra Giorgio V, si era recata più volte a Londra e si soffermava sotto Buckingam Palace, ma senza cercare contatti diretti o indiretti più ravvicinati.

L’erotomania è stata riconosciuta avere un posto a sé nel DSM-III-R (31) e rimane nel DSM-IV (32) tra i tipi del Disturbo Delirante, che viene caratterizzato dalla presenza di un sistema delirante non bizzarro, perdurante per almeno un mese, dove sono ammesse allucinazioni, soprattutto tattili e olfattive se connesse al tema delirante, senza che tuttavia il criterio A della Schizofrenia venga soddisfatto. Per porre la diagnosi del disturbo il funzionamento psicosociale ed il comportamento (a parte per quanto concerne direttamente il delirio) non devono essere compromessi in modo rilevante e devono essere esclusi i casi dove alterazioni dell’umore risultano preminenti, come pure quelli considerati secondari agli effetti di sostanze o condizioni mediche generali. Il tipo erotomanico prevede la convinzione delirante che “un’altra persona, generalmente di rango superiore, sia innamorata del soggetto”. Il Manuale annota che comportamenti di stalking (chiamate telefoniche, lettere, doni, visite, sorveglianza e pedinamento) sono comuni e sottolinea che, mentre i campioni clinici sono prevalentemente femminili, quelli forensi presentano una predominanza di maschi, che tendono ad entrare in conflitto con la legge nei loro sforzi di inseguire l’oggetto del loro delirio o in maldestri tentativi di “liberarlo” da qualche pericolo immaginario. Le principali controversie circa questo tipo del Disturbo Delirante hanno riguardato la sua reale indipendenza come entità nosologica distinta da altri disturbi psicotici (in particolare la Schizofrenia, ma anche i Disturbi dell’Umore). D’altra parte, anche il requisito della credenza da parte del paziente che l’oggetto sia innamorato come nel postulato de Clérambaultiano è stato contestato (18).

Se si osservano le frequenze riportate nella Tabella I appare evidente che, anche nei campioni forensi, l’erotomania diagnosticabile secondo i criteri de DSM-III-R o del DSM-IV costituisce solo dal 9 al 15% circa delle serie riportate avente come criterio di selezione lo stalking delle vittime. Per quanto riguarda il rapporto sessi, solo alcuni degli studi confermano l’assunto che nei campioni forensi prevalgano i maschi. Dei 74 casi descritti da Zona et al. (1) su 7 erotomani (14% del campione totale) 6 erano femmine, la durata media del delirio era di 125 mesi e quella delle molestie di 19. Nessuno di questi soggetti aveva commesso atti di violenza sulle vittime, sebbene 4 le avessero minacciate. In questo gruppo, in cui le vittime non avevano avuto alcuna conoscenza dell’aggressore prima delle molestie, risultava più frequente che negli altri due proposti (“amanti ossessivi” e “ossessivi semplici”, vedi oltre) l’uso di comunicazioni indirette attraverso telefono o lettera, mentre più raro era il confronto diretto con la vittima, sebbene la maggioranza dei molestatori, notano gli Autori, ne avesse la possibilità. È possibile, commentano, che tale contatto a livello personale fosse stato evitato perché avrebbe demistificato il loro ideale di unione perfetta.

Mullen e Pathè (18) hanno riferito di un gruppo di 16 pazienti sofferenti di “patologia dell’amore” (“pathology of love“) con comportamenti di molestie assillanti. Gli Autori hanno distinto la “convinzione morbosa di essere amati” dall'”infatuazione morbosa”. Nella convinzione morbosa di essere amati il paziente mantiene tale credenza benché l’oggetto individuato non faccia nulla per incoraggiarla o mantenerla, al contrario, se ne ha la possibilità, l’oggetto cerca di chiarire il malinteso senza successo, perché le sue parole e azioni sono reinterpretate dal molestatore come conferma della reciprocità dell’interesse (la condotta paradossale di de Clérambault); nelle infatuazioni morbose la convinzione che il sentimento sia ricambiato manca, ma, come quelli appartenenti al primo gruppo, questi soggetti mostrano intensa polarizzazione ideo-affettiva sulle vittime che occupa la maggior parte della loro esistenza, con ripetuti tentativi di approccio, diretti e indiretti. Gli Autori contestano il requisito della convinzione di essere amati per porre diagnosi di erotomania pura, e infatti la attribuiscono a ben 5 dei loro 16 casi (31%: due femmine e tre maschi), malgrado due dei molestatori di sesso maschile non credessero che il sentimento fosse ricambiato e che per l’altro, assassino della cantante che aveva ammirato ad uno spettacolo, ciò risulti dubbio (la diagnosi principale di uno di questi erotomani, inoltre, è quella di Depressione Maggiore). Atipico rispetto alle descrizioni classiche è anche l’alto tasso di violenza da parte di questi “erotomani puri” (tre su cinque avevano assalito l’oggetto). È confermata invece la lunga durata delle molestie (range 1-8 anni) rispetto ai più numerosi casi definiti “sintomatici” in cui la diagnosi primaria della “patologia dell’amore” era Schizofrenia (43%, n = 7), Disturbo Bipolare (25%, n = 3), allucinosi alcolica (6,2%, n = 1).

Nella loro serie più recente dedicata alla descrizione di 145 stalkers (4), il gruppo ha riportato una quota del 30% (43 su 145) di pazienti con Disturbo Delirante, tra cui il 14% (n = 20) del campione totale erotomano, 10,3% (n = 15) con “infatuazione morbosa”, il cui inquadramento tra i Disturbi Deliranti, come detto, appare discutibile; rappresentati anche il tipo geloso (n = 5) e quello di persecuzione (n = 3).

Tanto più i criteri dell’erotomania classica vengono conservati, almeno quello della convinzione di essere corrisposto e dell’esclusione di sintomi nucleari di tipo schizofrenico, tanto più la diagnosi di Disturbo Delirante, tipo erotomanico, rimane rara, le vittime non hanno avuto precedenti rapporti intimi con i pazienti e appaiono meno a rischio di violenza (ciò può non valere per chi si frappone tra oggetto e paziente). Così risulta dalla casistica riportata da Leong (39) in cui solo uno dei cinque casi si qualifica per tale categoria, venendo gli altri classificati come affetti da Schizofrenia Paranoide. Della serie di tredici erotomani maschi riportata da Menzies et al. (40), solo due potevano qualificarsi per la diagnosi di Disturbo Delirante secondo il DSM-III-R e non avevano commesso atti violenti; gli episodi di violenza riportati per questo gruppo di pazienti correlavano, invece, con precedenti comportamenti antisociali e con oggetti multipli contemporanei, atipici per gli erotomani puri, come si riscontra anche dalle casistiche di Harmon et al. (2) e Mullen & Pathè (18).

La letteratura ha rivolto finora meno attenzione ai comportamenti di molestie assillanti messi in atto nel contesto degli altri tipi di Disturbi Deliranti. Silva et al. (41) hanno sottolineato come la gelosia morbosa, di qualità delirante o meno, rappresenti un movente comune per i molestatori assillanti, ma al caso riportato assegnano la diagnosi di Schizofrenia Paranoide. Il tipo geloso del Disturbo Delirante è rappresentato invece dai 5 casi riportati da Mullen et al. (4), tutti appartenenti al loro gruppo di stalkers “rifiutati” in cui il comportamento di molestia esordirebbe o sarebbe esacerbato dalla fine (anche solo percepita come tale in maniera delirante) di una relazione intima significativa. Lo studio non riporta il tasso di violenza per questo gruppo, ma in un precedente lavoro (42) il ricercatore ha riportato un’alta incidenza di aggressioni gravi. Segnalati pure casi di stalkers con Disturbo Delirante di tipo persecutorio (2,4) in cui il tipo di relazione precedente con la vittima è occasionale o di prestazione professionale (avvocati, giudici, medici), e il molestatore è convinto di avere subito un torto per cui continua a chiedere ragione dell’accaduto o si vendica con questo tipo di persecuzione. Il tipo di sentimenti suscitati dalla vittima, di tipo “rabbioso/persecutorio” anziché “affezionato/amoroso” (2), distinguerebbe questo gruppo di deliranti dagli erotomani, mentre la natura del danno percepito dal molestatore, non bizzarro e legato a modalità di rapporto e fatti della vita reale, sarebbe utile per separare questi soggetti dai pazienti con altri disturbi psicotici.

Altri disturbi di Asse I

Altri disturbi di Asse I secondo il DSM-IV a cui è stato associato il comportamento delle molestie assillanti sono la Schizofrenia e i Disturbi dell’Umore (specie le fasi maniacali del Disturbo Bipolare con o senza aspetti psicotici). Anche per la prevalenza di questi gruppi, come già detto per i Disturbi Deliranti, i dati disponibili soffrono della natura archivistica e retrospettiva. Ciò ribadito, rivedendo le serie in cui le diagnosi erano dettagliate, una porzione dal 5 al 21% di soggetti risultava affetta da Schizofrenia o Disturbo Schizoaffettivo (Harmon et al. (2): 21%; Meloy & Gothard (3): 5%; Mullen et al. (4): 9,7%; Meloy et al. (7): 14%). Se, tuttavia, si prendono in considerazione gli studi che hanno selezionato i casi per la co-presenza di convinzioni di tipo erotomanico “non puro”, come sopra definite, e comportamenti di molestie, si vede come una maggior percentuale del campione ottenga la diagnosi di Schizofrenia (Mullen & Pathè (18): 44%; Leong (39): 80%). Questi pazienti, più frequentemente maschi, mostrano spesso oggetti multipli (confermando la tesi de Clérambaultiana), possono molestare sconosciuti o persone conosciute nella realtà, ma non in una relazione intima, presenterebbero un rischio di violenza per l’oggetto e per chi è percepito frapporsi nella relazione immaginaria superiore agli erotomani puri, ma inferiore rispetto a molestatori non psicotici (4,5,43). Questo gruppo diagnostico, insieme al Disturbo di Personalità borderline, fornirebbe, inoltre, una quota consistente di molestatori di personale medico e paramedico, come riportano Leong (39), Harmon et al. (2), Mullen & Pathé (18), Sandberg et al. (24).

Anche i Disturbi dell’Umore vengono costantemente rappresentati nelle serie citate, con una frequenza riportata di Disturbo Bipolare, maniacale, che va dall’1,4 al 6% (4,7). Secondo Mullen (18) questo gruppo di pazienti abbandonerebbe i comportamenti di stalking una volta risolto l’episodio.

Un alto tasso di abuso e dipendenza da sostanze, come diagnosi principale o di comorbidità, è stato riportato nelle serie finora pubblicate (con un range del 25-67% (1,4,6,7) ). Il dato sarebbe significativo in quanto l’abuso di sostanze correlerebbe al rischio di violenza (ma solo per danni alle cose nel più volte citato studio di Mullen et al. (4) ). Altre diagnosi riportate sporadicamente sono i Disturbi dell’Adattamento, Disturbi d’Ansia, Disturbi dovuti ad una condizione medica generale (44).

Disturbi di personalità

Alti tassi di prevalenza di disturbi di personalità sono stati riportati tra gli stalkers (range 19-85% (2-4,7) ). Sebbene diversi ricercatori abbiano teorizzato una maggior frequenza di disturbi di personalità del cluster B, la diagnosi più riportata è quella di Disturbo di personalità non altrimenti specificato (2-4,7). Secondo Rosenfeld (45), i Disturbi di Personalità borderline, narcisistico e paranoide sarebbero più frequenti tra i molestatori motivati da vendetta e, soprattutto nell’ultimo gruppo, più comuni in chi molesta colleghi o precedenti datori di lavoro, giudici, altre figure dell’ordine pubblico. Meloy (12) ha proposto una lettura psicodinamica dei comportamenti di stalking incentrata sulla patologia del narcisismo, con importanti prestiti dalla self-psychology kohutiana e dalla teoria dell’attaccamento. Secondo l’Autore l’evento iniziale nel ciclo delle molestie sarebbe una fantasia narcisistica di legame con l’oggetto, che può essere sia basata su elementi di realtà (per esempio nei riguardi di un ex-partner sessuale), o completamente delirante (per esempio una convinzione erotomanica nei confronti di una celebrità mai incontrata). La fantasia di un legame speciale con un oggetto idealizzato e/o superiore nutrirebbe le istanze narcisistiche del futuro molestatore finché, alla messa in atto di una ricerca di contatto o comunicazione reale, non incontra il rifiuto del destinatario, suscitando sentimenti di profonda vergogna ed umiliazione. Questi risulterebbero insostenibili e provocherebbero imponenti reazioni di difesa di tipo scissionale, aggressivo, rabbioso, invidioso, tipici della patologia del narcisismo e borderline.

Svalutare l’oggetto e soprattutto sottoporlo a controllo costante, attraverso comunicazioni e contatti imposti, ristabilirebbe, seppur in chiave persecutoria e agita, la fantasia di legame indissolubile con la vittima e di potere su di essa. Il supporto empirico di questa interessante lettura rimane ancora scarso (45). Dati preliminari suggeriscono in effetti un’alta frequenza di perdite della costanza di oggetti di attaccamento primari nell’infanzia dei molestatori (43), mentre è stato replicato il riscontro di una prevalenza di Disturbo Antisociale di Personalità minore (attorno al 10%) nei gruppi di molestatori assillanti rispetto a gruppi di controllo costituiti da altri criminali periziati, dove tale diagnosi raggiunge il 60% (8). Ciò confermerebbe le attese, secondo questo proponente dell’ipotesi della centralità della patologia del narcisismo, in quanto i molestatori agirebbero proprio un modello distorto di attaccamento preoccupato e intenso, sostanzialmente in contrasto con il tipico distacco e freddezza emotiva dell’antisociale.

Riassumendo i risultati finora disponibili sulla prevalenza dei disturbi psichiatrici nei molestatori assillanti, si può affermare che, malgrado l’interesse degli studi archivistici e retrospettivi riportati, mancano a tutt’oggi ricerche che utilizzino sistemi di valutazione standardizzati per la diagnosi, capaci di garantire un’accettabile attendibilità.

Risultati estremamente significativi delle ricerche svolte finora sui campioni psichiatrico-forensi appaiono: il riscontro che l’erotomania rappresenta solo una frazione marginale nei casi di molestie ossessive, che i soggetti affetti da disturbi psicotici si attestano sotto il 50% di questi campioni e che la diagnosi di disturbo psicotico non è un fattore di rischio per episodi di violenza, maggiore invece nei soggetti non psicotici (4,5,7). Sebbene nella maggioranza di questi campioni ai soggetti sia stata attribuita una diagnosi di disturbo mentale, di fatto non esiste un profilo psicopatologico tipico dello stalker, malgrado riscontri sociodemografici univoci nel riscontrare una predominanza di maschi molestatori, di età media intorno a 35-40 anni, singles e senza relazioni intime significative in corso, con un alto tasso di disoccupazione e con percentuali di violenza sulla vittima che vanno dal 6 al 45% (Tab. I) e che aumentano nei molestatori di ex-partners (6,46).

Relazione e comunicazione tra molestatore e molestato

Uno studio delle molestie assillanti che si limiti ad un’analisi delle caratteristiche (psicopatologiche e non) degli aggressori rischia in partenza di non cogliere la complessità insita nell’insieme di comportamenti e comunicazioni che definiscono lo stalking, fermandosi solo al primo punto del modello sindromico presentato in introduzione. Il rapporto che si viene a creare tra molestatore e la sua vittima è stato finora poco esplorato nelle sue dinamiche relazionali, anche perché le ricerche hanno focalizzato di solito l’attenzione o sugli aggressori, come visto finora o, meno di frequente, sulle vittime (20-22,37,47), ma solo eccezionalmente sulla coppia molestatore-molestato (33).

Tipologie di molestatori assillanti basate sulla relazione precedente

Ciò malgrado, non è sfuggito che uno degli elementi più utili a guidare la comprensione del fenomeno è proprio un dato relazionale, ovvero il tipo di rapporto tra il persecutore e la vittima precedente l’inizio delle molestie. Si è così osservata la già citata correlazione tra precedente relazione intima e rischio di violenza fisica per il molestato; la prevalenza di questo tipo di relazione precedente nella maggioranza dei casi di molestie nella popolazione generale, l’assenza di precedente relazione nei casi di molestie assillanti a celebrità; la predominanza di relazioni professionali, terapeutiche o di semplice conoscenza episodica antecedente le molestie nei casi in cui il molestatore soffre di un disturbo psicotico o di grave disturbo di personalità. In effetti il tipo di relazione precedente con la vittima trova posto come criterio ordinatore in diverse tipologie di stalkers finora proposte (1,2,9,48), di solito accoppiata al grado di psicopatologia del persecutore. Per esempio Zona et al. (1) hanno distinto il loro gruppo di 74 stalkers in erotomani, amanti ossessivi (love obsessional) e ossessivi semplici. Il primo gruppo è stato discusso precedentemente. Il gruppo degli amanti ossessivi è definito dall’assenza di una precedente relazione con la vittima, il più delle volte nota attraverso i media o attraverso conoscenze superficiali, l’alta prevalenza di Schizofrenia e Disturbo Bipolare, una passata storia relazionale dello stalker generalmente molto povera, l’infatuazione per la vittima non accompagnata dalla convinzione che tale sentimento sia (ancora) ricambiato. Gli ossessivi semplici comprendono la maggioranza di molestatori di ex-partners e colleghi di lavoro, molestati spesso in seguito al rifiuto di advances o per la convinzione di aver subito torti (49). I Disturbi di Personalità sarebbero prevalenti in questo gruppo.

Harmon et al. (2) hanno proposto una classificazione biassiale accoppiando invece la preesistente relazione (personale/intima, professionale come fruitore di servizi, lavorativa, indiretta attraverso i media, semplice conoscenza) al sentimento predominante nello stalker per la vittima (affezionato/amoroso o persecutorio/rabbioso). Davis & Chipman (9), elaborando la tipologia di Zona et al. (1), hanno pubblicato una classificazione comprendente sette gruppi di stalkers che presenterebbero un rischio crescente di violenza per la vittima. Nel loro schema, mano a mano che nelle varie classi aumenta il grado di precedente conoscenza con la vittima, aumenta consensualmente la probabilità di violenza e diminuisce la gravità del disturbo mentale del molestatore. La classificazione non è accompagnata da una casistica originale.

Il “malinteso” originario e la relazione imposta dal molestatore.

Un campo di riflessione e indagine, che non ha ancora ricevuto l’attenzione approfondita che sembra meritare, è l’analisi del tipo o dei tipi di relazione che il comportamento di molestie assillanti è in grado di creare. Non sembri pleonastico ricordare che lo stalking riguarda sempre almeno due persone e le reazioni comportamentali e psicologiche del molestato ne fanno parte integrante (c). La letteratura registra che la durata delle “campagne” di molestie si misura più nell’ordine dei mesi e degli anni piuttosto che delle settimane (Tab. I) e, dato il disegno degli studi da cui queste stime sono state tratte, molte di esse sono state interrotte per l’intervento esterno del sistema giudiziario, in seguito a violazioni della legge. La persistenza nel tempo delle molestie e la loro evolutività insita nel rapporto imposto dallo stalker alla vittima sembrano costitutive della sindrome. De Clérambault aveva colto in maniera molto efficace questo aspetto evolutivo, ancorandolo alle cognizioni e alle emozioni dell’erotomane, descrivendo gli stadi della speranza, dello sdegno e del rancore e associando alcuni tipi di comportamenti ad uno specifico stadio (per esempio, rivendicazioni simil-querulomaniche e approcci diretti con contenuto intimidatorio all’ultimo). Per comprendere meglio questo aspetto evolutivo è utile considerare che nei casi di molestie assillanti esiste un elemento permissivo, generatore e dinamico (che pure si evolve nello sviluppo dei casi): questo elemento è la disparità di percezioni che esiste tra molestatore e molestato nel corso della campagna di molestie circa il significato e l’intensità della relazione in atto, da cui discende il più delle volte anche la difficoltà del molestatore di riconoscere l’inappropriatezza e la non-liceità dei suoi comportamenti. Si potrebbe parlare di un “malinteso” originario che ricentra il problema sulla patologia della relazione e della comunicazione in atto nello stalking. Il malinteso può essere più o meno evidente. È evidente nella maggioranza dei casi di molestie assillanti in cui un ex-partner non accetta la decisione dell’altro elemento della coppia di terminare il rapporto. Pure ovvio è il malinteso nel caso dell’erotomane, dove esso scaturisce dalla potenza del delirio capace, per definizione, di far deragliare il paziente dal solco delle convenzioni sociali della realtà intersoggettiva e dalla corretta percezione delle regole del comportamento e dei significati di reciprocità. Diversi Autori (8,47,51), a proposito, hanno commentato molti casi di stalking non solo di erotomani, come patologia del sofisticato complesso di comportamenti comunicativi del corteggiamento, facilitato dalle scarse competenze sociali del corteggiatore-futuro stalker. Pertinenti appaiono al proposito le osservazioni di Davis & Chipman (9), che hanno fatto notare come molti casi di stalking “amoroso”, nati nel contesto lavorativo, trovino il loro humus ideale in condizioni ambigue in cui rapporti tra colleghi di lavoro spesso tendono a sconfinare – di qui la possibilità di malinteso – nella frequentazione sociale a volte incoraggiata dalle amministrazioni stesse attraverso pranzi di lavoro o vacanze comuni organizzate dalla ditta in località turistiche, con l’aspettativa, sebbene tacita, che i dipendenti interagiscano emotivamente. “Pranzi di lavoro e attività sociali relative sono diventate un sostituto per il corteggiamento” (9). Anche molti dei mezzi indiretti elettivamente utilizzati dagli stalkers (telefono, e-mail, chat-lines) sono spesso strumentali a creare un falso senso di intimità e a facilitare il malinteso. Altre situazioni di “malinteso” sono quelle che si possono riscontrare nei casi di molestie assillanti, che prendono origine da un torto percepito in ambito professionale e che vedono il molestatore impegnato in una campagna persecutoria “per farla pagare”. Questi casi non richiedono necessariamente una patologia psicotica nel molestatore che, se presente, sembra tuttavia concorrere a facilitare la confusione tra rapporto personale e ruolo professionale dell’interlocutore. Tipico è il caso di chi molesta l’avvocato patrocinatore che ha perso la causa o il giudice che lo ha condannato (2) oppure il chirurgo plastico che ha “sbagliato l’operazione” (23). Un tipo particolare di questi malintesi è facilitato da condizioni di dipendenza sancite come quelle di cura, in cui l’interesse e la dedizione professionale del terapeuta possono venire più facilmente fraintese come interesse affettivo personale e amoroso, specie se il paziente presenta altri fattori di rischio associati che rendono il malinteso più probabile quali: psicosi, isolamento sociale, povera o poverissima vita sentimentale, scarse competenze comunicative (39). Lo sviluppo processuale di questo tipo di stalking sembra essere per certi versi speculare agli episodi di coinvolgimento sessuale di terapeuti con i loro pazienti, in cui a male-intendere è, questa volta, il terapeuta.

Perché si verifichi stalking, poi, al malinteso sul significato della relazione si aggiunge necessariamente un malinteso sui “limiti” della relazione stessa. Infatti, non basta che un erotomane si convinca dell’amore di un oggetto prestigioso, o un corteggiatore venga rifiutato, o un ex-marito sia ancora innamorato della moglie divorziata e ritenga che esistano ancora le premesse per un rapporto di coppia, perché si configuri una relazione di molestie. L’aggressore deve infatti compiere attività che vengono percepite come intrusive, cioè che superano proprio un limite socialmente e personalmente individuabile, quello del “privato” o, se si vuole, della privacy. Il trasgredire questo limite è, si noti, una soglia cruciale nei rapporti di stalking e le prime comunicazioni e reazioni della vittima sembrano spesso importanti nel rinforzare i comportamenti di molestie. Come ha insegnato la scuola di Palo Alto nella “Pragmatica della Comunicazione Umana” (52), non ci si può sottrarre alla comunicazione, cosicché in molti casi di stalking si può notare come il comune comportamento iniziale di molte vittime, il tentativo di spiegare “civilmente” al molestatore perché il suo comportamento è improprio, per esempio in occasione di una telefonata anonima, rinforzi il comportamento di molestie, proprio perché, di fatto, riconosce e risponde alla comunicazione del molestatore. Oppure, in un caso celebre, è bastata una foto firmata spedita da un’attrice a quello che sembrava un semplice ammiratore a rappresentare la comunicazione “confermante” la relazione nella mente dello psicotico, stalker di celebrità (che in seguito l’ha assassinata (16) ). Notevoli sono le difficoltà che sperimentano le vittime ex-partners di molestatori, dove tutta la storia passata, l’affetto e il legame residuo, magari la presenza di figli, fanno sì che molte volte, almeno all’inizio di una campagna di stalking, si accetti di discutere con il molestatore, con il risultato che la modalità di interazione intrusiva e non voluta venga inconsapevolmente premiata. Una situazione molto delicata è ancora quella del terapeuta o dell’infermiere/a oggetto di molestie, i quali possono essere tentati di gestire con la negoziazione le molestie e le comunicazioni intrusive cercando di “salvare” il rapporto terapeutico, il più delle volte fallendo nel tentativo e anzi aggravando la situazione, per la catena di fraintendimenti che un atteggiamento inizialmente accogliente può suscitare. Sebbene disancorate dalla prospettiva processuale di cui si è tentato qui solo un abbozzo, esiste una discreta mole di informazioni circa il repertorio comportamentale degli stalkers e dei molestati.

Comunicazioni, molestie, minacce e coping

Le fonti disponibili circa gli specifici comportamenti messi in atto dai molestatori sono studi di tipo epidemiologico che hanno considerato questo aspetto interrogando le vittime individuate (34,47), sondaggi in specifiche popolazioni come quelle di college (37,21), analisi descrittive di gruppi vittime in ambito clinico (20), oppure i già citati studi retrospettivi di stalkers valutati in ambito forense (1,4,7).

I comportamenti dei molestatori si possono suddividere seguendo Mullen et al. (4) in:

a. comunicazioni intrusive, distinte secondo il mezzo usato (telefoniche, per posta, e-mail, facsimile o altro – per esempio messaggi lasciati sulla macchina o la porta di casa del molestato);

b. contatti, distinti in comportamento di controllo indiretto (seguire, spiare, mantenere sorveglianza attorno l’abitazione) oppure di approccio diretto al molestato, in pubblico, sul luogo di lavoro;

c. comportamenti associati, come ordinare beni per conto del molestato, inviare doni, far trovare oggetti (per esempio animali o parti di animali morti), vandalizzare la proprietà del molestato (per esempio tagliare le gomme dell’automobile), uccidere animali domestici della vittima.

La Tabella II riporta la frequenza di varie di queste modalità di comportamento molesto in diversi campioni e anche il dato sulla frequenza di minacce esplicite e di violenza, se disponibili.

Come si può notare il mezzo preferito di comunicazione e contatto (eccetto lo studio di Tjaden e Thoennes (34) )è quello telefonico, con cui inizierebbe la maggior parte delle campagne di stalking, ma anche il controllo a distanza, pedinare, seguire, farsi incontrare “casualmente” sul luogo di lavoro o in ambienti frequentati dalla vittima sono comportamenti comuni.

L’uso di mezzi indiretti di comunicazione sembrerebbe non solo tipico dello stalking e strumentalmente efficace e pratico per raggiungere intrusivamente l’oggetto, ma anche un meccanismo facilitatore della patologia della comunicazione costitutiva della sindrome, consentendo un controllo unilaterale del contatto e l’agevole aggiramento di varie difficoltà, tra cui elementi inibitori sociali, a cui una comunicazione vis a vis esporrebbe il molestatore. Così il telefono rende impossibile o difficile al destinatario sottrarsi all’inizio della comunicazione (per esempio allontanandosi a distanza non comunicativa dallo stalker), decurta sostanzialmente l’effetto scoraggiante di elementi non verbali nell’interlocutore (postura, mimica facciale), elimina il “pubblico attorno” che potrebbe non solo rendersi conto dell’intrusività della comunicazione, ma anche scoraggiarla attivamente, obbliga il molestato a “prestare attenzione”, almeno temporaneamente, per discriminare se la provenienza della chiamata sia gradita o meno. Il telefono diventa un vero e proprio mezzo di “proiezione” nel senso letterale del termine, permettendo di lanciare oggetti (in questo caso messaggi), superando limiti e barriere comunicative, geografiche, di convenzione sociale. Perfino uno dei mezzi di protezione a cui ricorrono più spesso i molestati per difendersi, l’uso di una segreteria telefonica per “filtrare” le telefonate, non impedisce allo stalker di incidere (l’accezione cruenta del termine sembra appropriata) i suoi depositi persecutori sul nastro dell’apparecchio, che simbolicamente diventa una vera e propria personale protesi sensoriale con memoria, un archivio comunicativo privato della vittima, ma, come si vede, agilmente violato. E se, come è facile immaginare, la vittima regolarmente dovrà controllare i messaggi ricevuti sull’apparecchio per controllare le comunicazioni, si capisce come il molestatore assillante avrà ottenuto comunque l’effetto di imporre la relazione e costringere la vittima a dedicare parte del suo tempo ai suoi messaggi (di qui la strategia delle vittime di acquisire un nuovo numero telefonico privato da comunicare solo a persone fidate e mantenere fino ad “esaurimento” quello vecchio esclusivamente come canale “non-comunicativo” per la vittima. Un discorso simile a quello dei messaggi su segreteria telefonica può essere fatto per le caselle di posta elettronica. Il cyberstalking è ancora poco studiato in modo formale, ma diversi Autori ne segnalano il crescente riscontro nei campioni clinici di stalking off-line (16,20,53). A differenza dell’oggetto “lettera”, tridimensionale e, anche simbolicamente, più facile da controllare ed espellere (per esempio possiamo immaginare la lettera fermarsi nella “cassetta” nell’atrio o fuori dal cancello dell’abitazione della vittima), l’e-mail è immateriale e capace, tramite la semplice pressione di un tasto, di penetrare lo spazio relativamente più privato, anche geograficamente più intimo, della casella personale di posta nel personal computer sul tavolo di casa. Non sfuggirà come la disponibilità e l’immediatezza di questi mezzi indiretti, il fatto che non necessitino della consensualità e della scelta dell’incontro reale, né di particolari investimenti di tempo ed energia (non solo quelli di recarsi ad un appuntamento, ma nemmeno quelli necessari per piegare un foglio, sigillare una busta, affrancarla, imbucarla) aiutino a mantenere il malinteso originario sulla relazione e sui limiti di cui si è accennato prima.

Nei comportamenti di contatto indiretto (seguire, spiare, aggirarsi attorno la vittima) lo strumento di persecuzione è quello classico della vista o, meglio, dello sguardo “paranoide”, a cui sono associate forti valenze di controllo; di fatto, attraverso questi comportamenti, i molestatori rendono realtà, per i molestati, alcuni dei frammenti deliranti paranoidi più comuni (in diversi casi i molestatori si spingono fino ad intercettare e sottoporre a controllo le comunicazioni telefoniche delle vittime).

I comportamenti di approccio e confronto diretto (a parte quelli che avvengono nella cornice offerta da un comune contesto di lavoro o all’interno di una relazione come quella terapeutica) rappresenterebbero un ulteriore segno di escalation delle molestie nella direzione della violazione del limite dello spazio relazionale pubblico, professionale, lavorativo. È questa la fase in cui l’assedio si trasforma in vero e proprio attacco con alto rischio di violenza, soprattutto quando all’approccio diretto consegue un netto rifiuto e protesta nella vittima. Meloy (54) ha chiamato “momenti drammatici” queste situazioni in cui l’accessibilità fisica della vittima unita alla rabbia procedente dallo scacco relazionale configurerebbero uno stato di alto rischio di aggressione.

Proprio il tentativo, a cui si è già accennato, di molte vittime di discutere con il molestatore l’inappropriatezza delle comunicazioni e comportamenti intrusivi, non solo sarebbe raramente efficace ad interrompere la campagna di stalking, anzi, di frequente, rappresenterebbe la molla che fa scattare, per via del rifiuto percepito, molestie più pesanti, per esempio accompagnate da minacce, violenza sulla proprietà, uccisione di animali domestici della vittima (12). In un’alta percentuale di casi (il 75% secondo Meloy (54) che ha recentemente rivisto il rapporto tra minacce e violenza nelle molestie assillanti), le minacce esplicite rappresentano “falsi positivi” rispetto alla predizione di effettivo rischio di atti violenti; data la quota consistente in cui invece la violenza avviene malgrado l’assenza di minacce premonitrici (15% nei casi di molestie assillanti di ex-partners, ma almeno il 90% nei casi in cui la vittima è una celebrità), esse sono solo relativamente utili a predire il rischio reale anche se, certo, rappresentano un campanello d’allarme importante, comunque da interpretare nel contesto particolare costituito dalla specifica coppia molestato-molestatore.

Comune è l’adozione da parte delle vittime di misure di difesa della privacy, come la richiesta di un nuovo numero telefonico non accessibile attraverso elenchi a stampa o informatici, l’uso del cognome da nubile al lavoro, il cambiamento degli usuali tragitti per recarvisi.

Molte sono le vittime che incrementano i sistemi di protezione della proprietà, per esempio installando nuovi e più sicuri serramenti o sistemi di allarme; parecchie imparano tecniche di difesa personale o acquistano e si esercitano nell’uso di un arma.

Nel contesto statunitense (34,35) solo circa la metà delle vittime riporta le molestie alla polizia e una quota ancora minore ottiene che per il molestatore venga emanato un provvedimento inibitorio come un restraining order (9,7% dei 175 maschi molestati vs il 28% delle vittime di sesso femminile nel più volte citato studio di Tjaden e Thoennes (34) ).

Non poche sono le persone che si sono sentite costrette a fuggire dal molestatore cambiando lavoro, abitazione, città, stato, come estremo tentativo per liberarsi del persecutore (20-47).

Motivazioni percepite: la classificazione di Mullen et al. (4,17)

Non sono disponibili ricerche su gruppi di stalkers che abbiano esplorato direttamente coi molestatori le motivazioni addotte per il loro comportamento. Esistono tuttavia studi che hanno indagato le motivazioni percepite dalle vittime circa il movente delle molestie nel loro persecutore.

Tjaden e Thoennes (34) riportano le motivazioni addotte da 624 vittime: desiderio di controllo da parte del molestatore (21%), desiderio dello stalker di riprendere una relazione interrotta (20%), desiderio di terrorizzare la vittima (16%), disturbo mentale o abuso di sostanze nel molestatore (7%), molestie come un mezzo dell’aggressore per ottenere attenzione (5%), desiderio di sorprendere la vittima in qualche attività (1%). Il 12% delle vittime era incerto riguardo alla motivazione del molestatore. Le 145 vittime dello studio di Hall (47) percepivano i seguenti moventi: incapacità di accettare la fine della relazione (58%), “ossessione” del molestatore (56%), vendetta per un torto che il molestatore credeva di aver subito dalla vittima (27%), gelosia (27%), infatuazione e desiderio di iniziare una nuova relazione con la vittima (33%).

Sulla base delle motivazioni e del contesto delle molestie inferite dai ricercatori su un campione di 145 stalkers, Mullen et al. (4) hanno formulato, e più volte riproposto (15,17), la classificazione dei molestatori assillanti in Rifiutati, In cerca di intimità, Corteggiatori inadeguati, Rancorosi e Predatori.

Il molestatore “rifiutato” si opporrebbe alla fine di una relazione intima con azioni intese a ristabilirla e/o ottenere una “rivincita”. Per il molestatore il repertorio comportamentale intrusivo consentirebbe di mantenere un simulacro di continuazione della relazione con la vittima. I disturbi di personalità abbonderebbero in questa classe e sarebbero passibili di rispondere a sanzioni giudiziarie capaci di interrompere o limitare la continuazione delle molestie. È la classe che più di frequente mette in atto attacchi violenti.

I molestatori “in cerca di intimità” aggrediscono vittime sconosciute o conoscenze superficiali di cui si sono infatuati, con o senza la convinzione che l’amore sia corrisposto, nel desiderio di formare una relazione. Il comportamento di stalking soddisferebbe bisogni e fantasie di contatto e intimità. Erotomani, molestatori di celebrità e una consistente porzione di stalkers psicotici apparterrebbero a questa categoria. Scrivono più lettere degli altri molestatori, inviano più doni, le loro campagne di molestie tendono a durare più a lungo. Sarebbero poco scoraggiati da azioni legali, che sono portati a considerare come il prezzo da pagare per ottenere il “vero amore”. La cura del disturbo psicotico, quando presente, potrebbe ottenere successo anche nell’inibire il comportamento di molestie.

Lo stalker “inadeguato” sarebbe un corteggiatore fallito in cerca di partner. Data l’ignoranza o il dispregio per le convenzioni sociali, i suoi sforzi sono nel migliore dei casi controproducenti, se non causa di grave preoccupazione nelle vittime. Spesso sono individui dalle scarse competenze sociali o intellettivamente limitati che, generalmente, possono essere distolti dal continuare le molestie, ma che di frequente riprendono il loro comportamento con un nuovo bersaglio.

Il molestatore “rancoroso” molesta per vendicarsi di un torto che percepisce avere subito dalla vittima. Può soffrire di un Disturbo di Personalità, in genere di tipo paranoide e, di solito, è impervio a sforzi terapeutici, tendendo ad abbandonare il comportamento solo se il costo in termini legali è troppo alto. Malgrado l’alta frequenza di minacce in questo gruppo, il rischio effettivo di violenza fisica sarebbe basso.

Lo stalker “predatore” segue e spia la vittima al fine di preparare un attacco, di solito una violenza sessuale, gratificando il desiderio di controllo e soddisfacimenti parziali di tipo sadico e/o voyeristico. In questo gruppo, come atteso, c’è un alto tasso di violenza perpetrata.

La classificazione proposta sembra avere una discreta validità discriminante, almeno per quanto riguarda occupazione dello stalker, durata delle molestie, numero di diversi metodi di molestia usati (maggiore nei rifiutati), frequenza di episodi di violenza e precedenti condanne. Mancano dati circa l’interrater reliability della suddivisione in gruppi.

Questo sforzo di classificazione è sicuramente il più sofisticato tra quelli finora proposti e ha il merito di cercare di correlare diversi aspetti dei fenomeni di molestie assillanti in un’unica tipizzazione. Essa fornisce una griglia di classificazione dello stalker secondo le motivazioni inferite nel molestatore, la presenza o l’assenza di disturbi psicotici, la precedente relazione con la vittima.

Secondo gli Autori di questa rassegna, tuttavia, per il riconoscimento, la comprensione e ancor più la gestione dei singoli casi di stalking è necessario non perdere di vista le diverse tre componenti della sindrome relazionale proposta.

L’impatto sulla vittima

Al momento, se sono scarse le informazione circa i fattori di rischio per diventare molestatore (sesso maschile, attorno ai 35 anni, disoccupato con scarse competenze sociali e povera o poverissima vita sentimentale precedente) quasi inesistenti sono quelle sui fattori di rischio di vittimizzazione, a parte il maggior rischio per il sesso femminile. La letteratura sulle vittime ha finora affrontato quasi esclusivamente il tema dell’impatto psicologico delle molestie che, in parte, è implicito nella definizione stessa della sindrome. Per definizione, infatti, nei casi di molestie assillanti le comunicazioni e la ricerca di contatto indiretto e/o diretto del molestatore risultano non solo sgradite e importune alla vittima, ma anche fonte di preoccupazione e paura per la propria sicurezza personale e/o di persone care, fino ad un vero senso di terrore.

È dunque il vissuto soggettivo della vittima (e non tanto caratteri formali e di contenuto delle comunicazioni e degli agiti) che concorre a definire la serie di comportamenti come molestie assillanti, dato sottolineato spesso dai ricercatori, spesso criticando i requisiti delle legislazioni che richiedono minacce verbali esplicite o scritte o un certo numero di ripetizione delle molestie (15,34). Anche riguardo l’intervento del clinico sulle vittime, la gestione della preoccupazione e della paura è molto rilevante, in quanto capace di alleviare una quota consistente del disagio (ovviamente se ciò è accompagnato da misure pratiche di appropriata salvaguardia e dall’opportuno coinvolgimento del sistema legale).

L’impatto pratico per le vittime di una campagna di stalking può essere assai gravoso in termini di giornate di lavoro perse e tempo impiegato per aumentare il grado di protezione personale, spese per la sicurezza, traslochi e perfino migrazioni. A tutto ciò si accompagna una variabile frequenza ed intensità di sintomi correlati. Nel più ampio studio epidemiologico disponibile sulle vittime (34) (n = 826), il 30% delle donne e il 20% degli uomini aveva dovuto richiedere counselling psicologico. Rispetto alla popolazione di controllo, inoltre, chi era stato vittima di stalking riportava un maggior senso di vulnerabilità e di insicurezza. Il 55% delle 132 donne molestate in Louisiana (35) soffriva di stress che aveva interferito con lo svolgimento delle usuali attività per più di un mese.

Nello studio di Pathè e Mullen (20) (n = 100), l’83% dei molestati accusava sintomi ansiosi, il 74% disturbi del sonno, il 55% ricordi intrusivi e flashbacks. Ben il 37% del campione soddisfaceva una diagnosi di Disturbo Post-traumatico da Stress. La particolare insistenza del molestatore e la sua capacità di intrudere nella vita privata del soggetto, insieme alla percezione che gli aiuti disponibili da parte delle agenzie legali fossero inefficaci, aveva provocato un senso di impotenza nel 75% dei soggetti e il 24% aveva contemplato o tentato il suicidio in seguito alla condizione di persecuzione.

Nel loro studio su 43 studentesse di college vittime di stalking, Westrup et al. (21) hanno riscontrato, rispetto ai controlli, un maggior numero di sintomi e una maggior punteggio globale alla Post-Traumatic Stress Disorder Scale (55) e nelle sottoscale depressione, sensibilità interpersonale e ossessività del SCL-90 (56).

L’83% delle 145 vittime intervistate da Hall (47) riportava un cambiamento nel carattere in seguito alle molestie e descriveva un aumento nella loro timorosità, sospettosità, introversione e stato di allarme. Nel campione di Nicastro et al. (6), costituito da 55 vittime di stalking nel contesto della violenza domestica, l’80% riportava timorosità, il 33% nervosismo, il 29% rabbia, il 9% depressione, il 7% aveva richiesto aiuto professionale e il 4% aveva iniziato ad assumere farmaci. Il recente studio di Kampuhis & Emmelkamp (57), riportante i dati di un questionario postale compilato da 201 donne olandesi aderenti ad un gruppo di supporto per vittime di stalking, conferma alti livelli di disagio psicologico, misurati attraverso il General Health Questionnaire (58) e le sottoscale “immagini e pensieri intrusivi” e “evitamento” dell’Impact of Event Scale (59). Non si dispone, al momento, di ricerche che abbiano esplorato l’impatto delle molestie assillanti per i familiari delle vittime. Misure adottate in alcuni casi, come quelle di cambiare casa e lavoro, hanno un impatto diretto sui conviventi dei molestati, ma è altamente probabile che il clima di paura e timore e le preoccupazioni per il congiunto abbiano un impatto notevole anche con chi vive con un molestato.

Non esistono, purtroppo, studi di outcome sul supporto e trattamento degli effetti psicologici dello stalking sulle vittime. Roberts & Dziegielewski (19), descrivendo il counselling offerto ad una vittima nella cornice di riferimento dell’intervento di crisi, sottolineano alcuni punti importanti. Avendo in mente la sicurezza come primo bene, gli Autori consigliano di affrontare questo tema precocemente, assicurandosi che la vittima abbia già preso le necessarie protezioni e cautele personali e allertato e coinvolto il sistema legale. Quasi sempre il ricorso all’aiuto professionale avviene quando la campagna di molestie è ad uno stadio avanzato, proprio quando la vittima avverte di “non riuscire a farcela da sola”. La capacità di fidarsi può essere compromessa e il terapeuta dovrà porre attenzione a questa possibile difficoltà per instaurare una salda alleanza terapeutica. Spesso il molestato ha attuato senza successo molti tentativi per porre fine alle molestie, tra cui alcuni che possono avere inconsapevolmente peggiorato la situazione, erodendo così il proprio senso di competenza (mastery), di autostima e, a volte, provocando intensi sensi di colpa specialmente, come avviene più di frequente nei casi di vittime ex-partners, per i spesso compresenti e comprensibili sentimenti di ambivalenza verso il molestatore.

Da qui deriva l’importanza di incoraggiare un atteggiamento attivo e un approccio centrato sul problema di normalizzare possibili “errori” della gestione passata delle molestie e collaborare nella ricostruzione di una sufficiente autostima e senso di competenza personale, evitando un’eccessiva dipendenza dal terapeuta che possa rinforzare l’idea che la vittima è effettivamente senza risorse e vulnerabile.

Abrahms e Robinson (11) hanno messo in luce alcuni aspetti controtransferali che la relazione con vittime di stalking può evocare, a partire dall’esitazione o dai timori che possono essere suscitati nel terapeuta dal rischio di diventare un bersaglio indiretto di violenza (ancora maggiori per chi si trova a tentare di trattare uno stalker!). Per i terapeuti di sesso femminile di vittime dello stesso sesso gli Autori segnalano, inoltre, un rischio di iperidentificazione con la vulnerabilità della paziente, la tentazione di far ricadere la colpa delle molestie su di lei come tentativo di distanziamento, la tendenza, per lo stesso motivo, a considerare “esagerazioni” venate di istrionismo le preoccupazioni della paziente.

Per i terapeuti maschi, invece, esisterebbe il rischio di sentirsi colpevoli per identificazione con l’aggressore e adirati per questo tipo di violenza in cui elementi di genere, come si è visto, hanno un forte peso. Questa inquietudine potrebbe essere proiettata sulle pazienti o il terapeuta potrebbe assumere ancora un atteggiamento distanziante. Anche l’assunzione di un ruolo troppo protettivo in chiave riparatoria della “cattiveria dei maschi” si presterebbe, come già detto, ad aumentare il senso di fragilità della vittima.

Conclusioni

Dalla rassegna presentata, le molestie assillanti emergono con piena evidenza, costituiscono un fenomeno complesso non soltanto perché rappresentano un pattern comportamentale che per definizione è costituito da molteplici attività intrusive articolate nel tempo, ma anche e soprattutto per la rilevanza che nella sua comprensione acquista l’attenzione agli aspetti relazionali, motivazionali e alla risposta e al vissuto soggettivo della vittima.

Questa complessità appare ben rappresentata attraverso l’impiego del modello sindromico proposto, che permette di articolare le informazioni forensi, psicopatologiche e cliniche disponibili sia dal punto di vista descrittivo sia da quello interpretativo, centrando il focus della riflessione sulla patologia della relazione e della comunicazione.

L’importanza e l’entità del fenomeno è supportata dalla rilevanza dei primi dati epidemiologici disponibili che hanno allargato il campo di indagine dai campioni psichiatrico forensi alla popolazione generale, dove le molestie assillanti costituiscono un frequente corollario della violenza domestica accompagnato da gravi effetti per la salute fisica e psicologica delle vittima, anche di pertinenza psichiatrica.

Sebbene manchino ancora dati circa la prevalenza del fenomeno in Italia, è verosimile che una maggiore divulgazione del costrutto delle molestie assillanti porti ad un suo più accurato riconoscimento e all’elaborazione di strategie di intervento, anche legali, più adeguate, come sta avvenendo per il mobbing.

Gli psichiatri sembrano essere coinvolti in molteplici aspetti di questo problema: il riconoscimento e il trattamento di un eventuale disturbo psichiatrico nel molestatore, il trattamento di gravi effetti psicologici nelle vittime, la collaborazione in équipe multidisciplinari per progetti di intervento generale e specifici in singoli casi e, in maniera ancora più personale, come bersaglio di tali comportamenti nell’ambito della relazione terapeutica.

Solo apparentemente, quindi, quello dello stalking è un tema eccentrico rispetto agli interessi della psichiatria moderna; esso al contrario, e in modo ancora più profondo nei casi che interessino operatori, attinge ai temi qualificanti del lavoro psichiatrico: quello nosografico, della relazione e della metodologia di lavoro nel setting terapeutico, la programmazione degli interventi individuali calata nelle dinamiche individuali e sistemiche in gioco, gli aspetti medico legali.

Note al testo

a Tra gli altri, ricordiamo il caso delle attrici Theresa Saldana, pugnalata dal suo stalker a Los Angeles nel 1982, Rebecca Schaeffer, assassinata nella stessa metropoli dal suo persecutore nel luglio 1989 – episodi che hanno ispirato la prima legge specifica anti-stalking nello stato della California in vigore dal 1991- Jodie Foster, Sharon Stone, Nicole Kidman, la cantante pop Madonna, l’anchor-man David Letterman, le tenniste Monica Seles e Martina Hingis, il regista Steven Spielberg, e si potrebbe continuare.

b Il tentativo di operazionalizzare su basi descrittive-quantitative questi comportamenti, seppure comprensibile in un contesto di ricerca, ci appare non rispecchiare appieno la complessità psicopatologica, relazionale e sociale del costrutto sindromico del molestatore assillante.

c Per questo motivo sembra assai discutibile l’utilizzo del termine di stalking in casi riportati in cui l’oggetto delle attenzioni (nello specifico: pedinamento) non solo non è intimorito o preoccupato, ma nemmeno consapevole del fatto 50.

 Ringraziamenti: si ringraziano il Prof. Salvatore Luberto e il Dott. Orio Simonazzi per la disponibilità accordata agli Autori di discutere proficuamente gli aspetti medico-legali di questa rassegna.

 Corrispondenza: dott. Gian Maria Galeazzi, Dipartimento di Patologia Neuropsicosensoriale, Sezione di Psichiatria, Università di Modena e Reggio Emilia, via del Pozzo 71, 41100 Modena – Tel. 340 2556312 – Fax 059 4224307 – E-mail: galeazzi@unimo.it


Tab. I. Rassegna di studi su molestatori assillanti apparsi negli ultimi dieci anni. Review of studies on stalkers published in the last ten years.

Zona et al., 1993 Harmon et al., 1995 Mullen et al., 1999 Farnahm et al., 2000 Nicastro et al., 2000 Meloy et al., 2000
Setting Psichiatrico forense, Los Angeles, USA Psichiatrico forense, NY, USA Psichiatrico forense, Melbourne, Australia Psichiatrico forense, North London, UK Psichiatrico forense, San Diego, USA Psichiatrico forense, San Diego, USA
Disegno Retrospettivo
Descrittivo
Retrospettivo
Caso-controllo (gruppo di altri periziati non stalkers)
Descrittivo in centro psichiatrico forense Retrospettivo
Descrittivo
Retrospettivo
Descrittivo in centro per violenza domestica
Retrospettivo
Caso-controllo (gruppo di altri periziati non stalkers)
Campione 74 casi 48 casi 145 casi 50 casi 55 casi 65 casi
Dati demografici dei molestatori 66% maschi
35 aa età media
72% single
14% sep o divorziato
67% maschi
40 aa età media
63% single
25% sep o divorziato
Istruzione piu�elevata negli stalkers rispetto ai controlli
79% maschi
38 aa età mediana
51% single, nessuna rel. precedente
30% sep o divorziato
39% disoccupato
non riportati 92,7% maschi
35,5 aa età media
83% maschi
34,9 aa età media
43% single
29% sep. o vedovo
62% disoccupato
Psicopatologia 9,5% Erotomania
Psicopatologia “maggiore” nel 40% dei soggetti non-erotomanici
60% “psicosi” di cui12,5% erotomania 18,8% “dist. di personalità” 41% psicosi (Schizofrenia, Bipolare, Dist. Delirante- 14% del campione tot è erotomanico)
51% Dist. di personalità non specificato
50% psicosi 4% “deliranti” 86% Dist. di Asse I sec. DSM IV
48% Abuso/dipendenza di sostanze
23% Dist. Umore
11% SCZ
9% Erotomania
9% Antisociali
22% Dist. di Personalità NOS
Sesso vittime 74% donne
(rapporto sessi invertito nei casi di erotomania)
75% donne (15% dei casi con più vittime di entrambi i sessi) 80% donne
15% di casi di stalking omosessuale
non riportato 93% donne età media 32,5 aa 53% donne età media 33 aa
Relazione con la vittima prima delle molestie Non riportata Intima 13%
Professionale 25%
Rapporto di lavoro 25%
Mediatico 13%
Conoscente 8%
Nessuno o non noto 16%
Ex partners 39%
Professionale 23%
Colleghi 11%
Conoscenti casuali 14%
No contatti 14%
Celebrità 2% (n = 3)
Precedente relazione intima 40%
Conoscenti 36%
Sconosciuti 24%
Precedente relazione intima 76% Precedente relazione intima 57%
Conoscenti 17%
No contatti 14%
Durata media delle molestie Media: 19 mesi per erotomanici Non riportata Mediana: 12 mesi
Range: 1 mese-20 anni
Non riportata Media: 6 mesi Media: 11,4 mesi
Range 1-120 mesi
Violenza fisica 6% (solo nei non erotomanici) 21% (2% violenza sessuale) 36% alla vittima (14 violenza sessuale)
6% a terzi interposti
Precedenti condanne per violenza (39% del campione) predicono violenza alla vittima
Gli stalkers non psicotici commettono più atti di violenza
44%
Rischio di violenza associata a precedenti relazioni intime (5 omicidi)
Maggior rischio di violenza per stalkers non psicotici
45% 40%
2% omicidi
Violenza associata a precedente relazione intima con la vittima
Abuso di alcool/droghe 43% 1 soggetto ha diagnosi primaria di Disturbo da Abuso di Sostanze Psicoattive 25% non riportato 67% 48%
Classificazione proposta Tre tipi: Erotomani, Amanti Ossessivi, Ossessivi Semplici In due assi:
1. Natura dell�attaccamento(Asse Affezionato/amoroso Persecutorio/rabbioso)
2. Tipo di relazione preesistente: (Personale, Professionale, Lavorativa, Media, Conoscenza, Nessuno)
Cinque tipi:
Rifiutato
In cerca di intimità
Corteggiatore Inadeguato
Rancoroso
Predatore
Psicotici e non psicotici
Precedente relazione con la vittima (intima, conoscenza, sconosciuto, ignoto)
Nessuna, inquadramento del fenomeno all�interno della violenza domestica Ripropone il termine di “obsessional follower” (inseguitore ossessivo)

 

Tab. II. Frequenza di vari comportamenti messi in atto dagli stalkers. Prevalence of various behaviours enacted by stalkers.

(a) Tjaden e Thoennes, 1998 (b) Hall, 1998 (c) Westrup et al., 1999 (d) Pathè & Mullen, 1997 (e) Zona et al., 1993 (f) Mullen et al., 1999 (g) Meloy et al., 2000
Telefonare 61% 87% 86% 78% 57% 78% 71%
Mandare 33% 50% 50% 62% 61% 65% 14%
Lettere
Seguire/Pedinare 82% 80% 81% 71% 28% 73% 48%
Danno alla proprietà 29% 43% 31% 36% 8.1% 40% 29%
Sorveglianza attorno la casa n.d. 84% 25% n.d. 32% n.d. 66%
Violazione di domicilio n.d. 39% 14% n.d. n.d. n.d. n.d.
Visita sul luogo di lavoro n.d. 54% 39% n.d. n.d. n.d. 23%
Confronto diretto n.d. n.d 17% 79% 18% 86% n.d.
Minaccia di violenza 45% 41% 76% 58% 45% 58% 75%
Violenza fisica n.d. 38% 36% 34% 6% 36% vittima
6% terzi
40%
n.d.= non disponibile.
(a) Studio epidemiologico, 625 vittime donne.
(b) Sondaggio su 125 donne e 25 uomini vittime presentatisi in seguito ad annunci sui media.
(c) Questionario a 36 vittime studentesse di college.
(d) Studio su 83 vittime donne e 17 maschi, centro psichiatrico forense.
(e) Studio retrospettivo psichiatrico forense su 74 molestatori.
(f) Studio descrittivo psichiatrico-forense di 145 stalkers.
(g) Studio descrittivo di 65 stalkers in ambito psichiatrico forense.

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