Un caso di sindrome cerebellare cognitivo-affettiva

A case of cerebellar cognitive affective syndrome

A. Parmegiani, G. Bersani

III Clinica Psichiatrica, Università di Roma "La Sapienza"

Parole chiave: Cervelletto • Talamo • Attività cognitive • Affettività • Disturbi comportamentali
Key words: Cerebellum • Thalamus • Cognition • Affect • Behavioural disorder

Introduzione

È noto che il cervelletto è l’organo regolatore delle attività motrici: coordina infatti l’azione dei muscoli nel corso dei movimenti volontari, regola il tono muscolare e la postura e partecipa al mantenimento dell’equilibrio (1,2). Negli ultimi anni tuttavia diversi studi hanno suggerito il suo coinvolgimento anche in comportamenti non motori e in funzioni cognitive (3). Numerose anomalie anatomiche e metaboliche sono state infatti evidenziate a livello cerebellare in diverse patologie psichiatriche come la schizofrenia (4), il DOC e i disturbi affettivi (5).

Riguardo specificatamente alla schizofrenia, le alterazioni descritte vengono collegate da molti Autori (6-8) quasi esclusivamente alla sintomatologia positiva. Considerando i disturbi dello spettro ossessivo, già da tempo Sweedo et al. hanno evidenziato la correlazione fra alterazioni della perfusione cerebellare e sintomi grooming-like (crf. tricotillomania) e più recentemente Castrogiovanni et al. (9) hanno riscontrato attraverso tecniche di brain imaging (SPECT) alterazioni del flusso ematico a livello cerebellare in soggetti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo di severità clinica rilevante (con punteggio alla Yale Brown Obsessive-Compulsive Rating Scale superiore a 16).

Il caso clinico descritto riguarda invece un paziente con una chiara sintomatologia negativa, un abbassamento delle performances cognitive e comportamenti anancastici, con un reperto neuromorfologico di una importante atrofia cerebellare e uno neurofunzionale di evidente ipoperfusione a carico del cervelletto e di diverse strutture sia corticali che sottocorticali.

I concetti molto recenti di “dismetria cognitiva” e di “sindrome cerebellare cognitivo affettiva”, sviluppati più ampiamente nel corso della trattazione, sembrano pertanto descrivere in modo più diretto la sintomatologia del paziente, anche alla luce dell’insufficiente risposta alla terapia con neurolettici atipici e con farmaci antiossessivi.

Caso clinico: anamnesi, esami strumentali e terapie farmacologiche

Il paziente di anni 31 è il primogenito di tre germani, l’ultimo dei quali affetto da Schizofrenia di tipo Paranoidea. Nega altra familiarità per malattie psichiatriche tra gli ascendenti e consanguinei. La madre riferisce difficoltà non meglio specificate durante la gravidanza ed il parto. Il paziente fa risalire l’esordio della sintomatologia all’età di circa 18 anni, quando, poco prima di effettuare gli esami di licenza liceale, presentava cefalea, difficoltà di concentrazione, insonnia e progressivo ritiro sociale.

Superò comunque con buon rendimento gli esami di maturità e si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza; in seguito al mancato superamento di un esame, avrebbe presentato un notevole peggioramento del quadro clinico, con progressivi isolamento sociale, rallentamento psicomotorio, apatia, tendenza al mutacismo e appiattimento affettivo. Cominciò infatti a non voler più uscire di casa per nessun motivo, rimanendo seduto a lungo sul letto con le mani giunte in mezzo alle ginocchia. Non avendo sostenuto alcun esame, gli venne consigliato dai genitori di partecipare al concorso per l’ammissione alla Scuola di Ufficiali di Complemento dell’Esercito e fu quindi ammesso alla scuola Allievi Ufficiali. Dopo circa cinquanta giorni fu scartato dal corso ed arruolato come soldato semplice, iniziando quindi a chiedere con insistenza ai familiari di procurargli un congedo anticipato. Dopo un periodo di convalescenza fu riformato per strabismo con diplopia.

Rientrato in famiglia fu invitato a riprendere gli studi interrotti, ma senza alcun risultato, manifestando un progressivo disinteresse nei confronti della propria persona, delle proprie cose e dei propri familiari. A seguito di numerose insistenze da parte della madre, partecipò poi ad un concorso per Istitutore nei Convitti Nazionali, che vinse pur rimanendo inizialmente disoccupato a causa di una carenza di posti a disposizione del Ministero della Pubblica Istruzione.

All’età di 24 anni consultò per la prima volta uno psichiatra, al quale riferì di soffrire di insonnia e di “non provare alcun desiderio nell’avere amicizie e relazioni sociali”. In tale occasione gli fu prescritta una terapia a base di ipnoinducenti, con l’impegno di ripresentarsi ad una visita di controllo a distanza di tre mesi. Nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni, con la comparsa di comportamenti anancastici (girare intorno ai fossi stradali, evitare le connessioni del selciato, effettuare scatti motori ripetitivi di ginnastica militare, muoversi di scatto, mangiare in fretta con la bocca quasi nel piatto, versarsi l’acqua di scatto, aprire e chiudere le ante degli armadi per sentirne il rumore, girare a lungo all’interno del condominio per cercare parcheggio per poi alla fine parcheggiare all’esterno pur essendovi posto all’interno, ecc.), rifiutò di tornare al controllo.

Lo psichiatra consigliò i familiari di convincerlo ad un ricovero ospedaliero effettuato successivamente con trattamento sanitario obbligatorio in seguito ad un violento litigio con il fratello (affetto da Schizofrenia di tipo Paranoide); venne dimesso con diagnosi di Schizofrenia Simplex e terapia a base di Clozapina 150 mg/die, Fluoxetina 20 mg/die e Diazepam 5 mg/die.

Dopo il ricovero venne seguito farmacologicamente dall’ambulatorio della III Clinica Psichiatrica del Policlinico “Umberto I” di Roma.

In seguito al manifestarsi di agitazione e aumento dell’irritabilità, venne presto sospesa la Fluoxetina. Il paziente continuò l’assunzione di Clozapina 150 mg/die, riportando un moderato miglioramento della tendenza a condotte aggressive ed iperreattive. Persistevano gli anancasmi con ingravescente appiattimento affettivo, ritiro, difficoltà della concentrazione e dell’apprendimento (“non capisco quello che leggo”).

Fu quindi associata Clomipramina 150 mg/die e successivamente Acido Valproico 1200 mg/die, con miglioramento della disforia e dell’aggressività senza alcuna variazione degli altri sintomi. Dopo cinque mesi fu interrotta la precedente terapia e sostituita con Fluvoxamina 300 mg/die, Gabapentin 600 mg/die, Olanzapina 10 mg/die. Peggiorarono la sintomatologia negativa e le compulsioni; si prescrisse un nuovo trattamento con Fluvoxamina 300 mg/die, Clomipramina 50 mg/die, 300 mg/die, Acido Valproico 600 mg/die e Carbamazepina 400 mg/die, che avrebbe determinato un lieve miglioramento della sfera affettiva e mantenuto il controllo sulla componente di tensione-irritabilità. Con la sospensione della terapia neurolettica si determinò inoltre un miglioramento delle condotte anancastiche: l’ideazione ossessiva permase pressoché invariata, ma il paziente risultò in grado di trattenersi dall’agire i pensieri intrusivi.

In seguito ad un episodio caratterizzato da una sindrome vertiginosa con vomito ripetuto, atassia, vertigini e tensione nucale avvenuto dopo quasi un anno, il paziente interruppe la terapia farmacologica. Su consiglio del medico di famiglia, al fine di eseguire accertamenti del caso, il paziente venne ricoverato presso il reparto di Neurologia della struttura del precedente ricovero, dove la sintomatologia venne attribuita a una labirintite.

Successivamente, al ripetersi di episodi caratterizzati da sudorazione algida, vertigini, transitori disturbi dell’equilibrio, alterazioni del visus con oscillazioni delle immagini in verticale, il paziente subì un nuovo ricovero. Durante la degenza eseguì un esame RMN Encefalo che evidenziò segni di atrofia corticale di grado medio in regione parietale e in misura minore frontale ed un quadro atrofico di grado elevato ben apprezzabile a carico del verme cerebellare (con netta dilatazione della cisterna vermiana superiore e cisterna magna) e in misura moderata del tronco encefalico. Il paziente eseguì inoltre un esame EEG che confermò la presenza di anomalie aspecifiche diffuse e un esame SPET Cerebrale che evidenziò severe alterazioni della perfusione sottocorticale in sede frontale e parietale profonda (prevalentemente nell’emisfero di destra) e cerebellare, con più modesta compromissione di aree corticali di entrambi i lati (riduzione di attività a destra in sede frontale precentrale e frontoparietale e a sinistra in sede temporale anteriore).

L’atrofia cerebellare in sede vermiana può essere valutata in modo affidabile calcolando il numero di solchi visibili nella zona mediana del verme: più solchi visualizzabili esprimono un maggior grado di atrofia. La diminuzione dell’area del verme cerebellare corrisponde microscopicamente alla perdita di cellule di Purkinje con assottigliamento degli strati granulare e molecolare.

Negli ultimi 8 mesi il paziente ha seguito la terapia con Fluvoxamina 300 mg/die, Clomipramina 75 mg/die, Acido Valproico 600 mg/die e Temazepam 20 mg/die.

Allo stato attuale il paziente presenta rallentamento psicomotorio, povertà di pensiero, disturbi della concentrazione e della memorizzazione, ruminazioni, grave riduzione delle reazioni emotive, rigidità affettiva e ridotta socievolezza. L’atteggiamento e la postura denotano tensione ed ipercontrollo. Si evidenzia una diminuzione dei movimenti spontanei, povertà della gestualità espressiva, scarso contatto visivo.

L’espressione del volto è improntata a perplessità e la mimica scarsamente rappresentata. L’eloquio spontaneo appare scarso ma il paziente risponde alle domande dell’interlocutore in modo adeguato dopo una breve latenza con espressione del volto congrua a quanto espresso verbalmente. L’eloquio è reso difficoltoso da disartria e spasmi nucali. Il paziente non presenta allucinazioni, dispercezioni o alterazioni del contenuto del pensiero di tipo psicotico mentre sono presenti idee ossessive. Riferisce inoltre diminuzione dell’iniziativa, apatia, mancanza di progettualità che non attribuisce però a un abbassamento del tono dell’umore ma ad una incapacità di organizzare il proprio futuro.

Il paziente presenta consapevolezza di malattia ed è perfettamente cosciente del declino cognitivo (“vorrei studiare ma non riesco a concentrarmi e faccio fatica a strutturare in un discorso ciò che leggo”), della scarsa capacità, prima presente, di esprimere le proprie emozioni e della tendenza marcata al ritiro autistico.

Riesce tuttavia a svolgere il suo lavoro di istruttore affrontando le normali difficoltà di gestione dei ragazzi e le comuni frustrazioni nelle relazioni lavorative.

L’esame neurologico ha evidenziato:

– disassiamento in posizione primaria di sguardo dei globi oculari per deficit di convergenza in OD e diplopia nello sguardo di lateralità per sn > dx (da ricollegare presumibilmente ad uno strabismo accorso all’età di tre anni e parzialmente corretto chirurgicamente);

– ipostenia della muscolatura facciale inferiore destra per deficit di tipo centrale del VII nervo cranico;

– assenza di deficit di forza focali e a carico della sensibilità;

– presenza di un tremore telecinetico bilaterale alla prova indice-naso;

– riflessi ROT nella norma;

– riflesso plantare in estensione bilateralmente;

– andatura lievemente atassica con aumento della base di appoggio;

– parola lievemente scandita di tipo cerebellare;

– disturbi transitori dell’espressione verbale di tipo disartrico.

Alla scala di valutazione PANSS ha ottenuto il punteggio totale di 89, con un punteggio alle diverse sottoscale rispettivamente di 8 alla scala positiva, di 34 alla scala negativa e di 47 alla scala di psicopatologia generale. Alle scale 3TRE e BPRS ha invece ottenuto i punteggi di 26 e 41 rispettivamente.

Il caso risulta di difficile inquadramento diagnostico. Il paziente presenta infatti una chiara sintomatologia negativa ed un abbassamento delle performances cognitive, ma non ha mai riferito dispercezioni né sono evidenziabili alterazioni del contenuto del pensiero di tipo psicotico. Vengono inoltre riportati degli anancasmi che sembrano non rappresentare rituali di neutralizzazione, ma vengono descritti come modalità di scaricare la tensione e l’angoscia. Potrebbero quindi essere classificate come stereotipie, tuttavia il paziente le descrive come risultato di impulsi intrusivi ed egodistonici. Anche il criterio ex adiuvantibus di testare l’efficacia di vari protocolli terapeutici non ha chiarito il quadro clinico, in quanto né la terapia antiossessiva né i neurolettici atipici hanno prodotto effetti, se si esclude un aspecifico miglioramento dell’aggressività e dell’irritabilità, peraltro almeno in parte indotto anche dagli stabilizzatori dell’umore.

Il ruolo del cervelletto nelle funzioni cognitive ed affettive

Due dati riguardo all’anatomia del cervelletto potrebbero rendere conto del probabile coinvolgimento cerebellare in funzioni cognitive ed affettive. Innanzitutto, il quest’organo possiede più di metà dell’intero numero dei neuroni cerebrali (10). Inoltre, dato più significativo, è stata dimostrata l’esistenza di afferenze provenienti da diverse aree del Sistema Nervoso Centrale. Tra queste, quelle meglio caratterizzate, sono rappresentate da una via vestibolo-cerebellare (che governa l’equilibrio e i movimenti oculari), una via spino-cerebellare (che controlla la postura e i movimenti degli arti) ed una via cortico-ponto-cerebellare (legata al controllo della coordinazione e dell’esecuzione dei diversi movimenti volontari) (1). Quest’ultima, insieme al circuito efferente cerebello-talamo-corticale, rappresenta senza dubbio il migliore candidato a dimostrazione dell’esistenza di un substrato anatomico per il coinvolgimento del cervelletto in funzioni cognitive (11).

Nel corso degli ultimi trenta anni sono stati compiuti diversi studi anatomici volti ad individuare possibili connessioni tra cervelletto e altre aree del SNC.

Dapprima sono state dimostrate proiezioni al ponte da diverse regioni della corteccia sensori-motoria (12,13), che studi più recenti hanno individuato specificatamente in aree associative della corteccia prefrontale dorsolaterale e dorsomediale (14,15), nella regione parietale posteriore (12,13,16,17), nella regione temporale superiore (18), nelle regioni paraippocampali posteriori (19) e dorsali prestriate (20,19), così come dal giro cingolato (21). Questi studi anatomici sono in linea con precedenti osservazioni fisiologiche, come quelle di Allen e Tsukuhara (22) e Sasaki et al. (23), che indicano la presenza di connessioni tra i lobi parietali e frontali con la corteccia cerebellare. Inoltre, i corpi mammillari mediali (implicati nella memoria) e gli strati profondi del collicolo superiore (importanti nell’attenzione) sembrano avere proiezioni verso il ponte (24) e connessioni reciproche con il cervelletto (25). Studi anatomici hanno anche dimostrato l’esistenza di connessioni dirette reciproche tra ipotalamo e cervelletto (25) e precedenti studi neurofisiologici hanno portato alla conclusione che il cervelletto è implicato nel circuito limbico, in particolare con il nucleo del setto e con l’ippocampo (26-29). Le proiezioni ponto-cerebellari non sono state ancora completamente chiarite altrettanto dettagliatamente, ma le ben note conoscenze anatomiche di questo sistema (30) sarebbero in accordo con il concetto che le diverse aree corticali associative sono collegate ai filogeneticamente più recenti emisferi cerebellari laterali (31-33). La componente cerebellare efferente che, attraverso il talamo, giunge alla corteccia cerebrale sembra essere diretta non solo alle aree corticali sensitive, ma anche alle stesse aree associative dalle quali origina la componente afferente (34,15,35,36).

La dimostrazione di questo circuito associativo cerebro-cerebellare ha portato a formulare l’ipotesi che il cervelletto faccia parte integrante di quei circuiti neuronali che presiedono a funzioni comportamentali superiori come quelli implicati nella working memory, nella memoria, nell’attenzione e nell’affettività (18,37). Disturbi neuropsicologici o della sfera affettiva in pazienti con lesioni cerebellari sarebbero pertanto da interpretare come la conseguenza della compromissione di queste connessioni anatomiche.

Il concetto di “dismetria cognitiva”

Sulla base di queste osservazioni e grazie anche allo sviluppo e all’utilizzo di diverse tecniche di brain imaging (TC, RMN, PET, SPECT) e di raffinati test neuropsicologici, si è tentato di trovare una correlazione tra le alterazioni a carico del cervelletto e diversi disturbi comportamentali. Negli ultimi anni infatti l’interesse degli studiosi, impegnati in tale ambito di ricerca, si è esteso ad un ampio e complesso sistema di aree e circuiti nervosi, tra i quali in particolare il circuito fronto-talamo-cerebellare: una sorta di unità anatomo-funzionale indispensabile all’espletamento di funzioni superiori (38).

Particolarmente interessante sembra essere a tale riguardo il concetto di “dismetria cognitiva” degli schizofrenici introdotto da Andreasen et al. (39,40), che si riferisce alla particolare incapacità da parte di questi pazienti di coordinazione e di integrazione delle diverse funzioni superiori, riconducibile proprio ad una disfunzione del “circuito fronto-talamo-cerebellare”, attribuibile ad una o più anomalie strutturali del circuito o di aree ad esso connesse. Tutto ciò potrebbe dunque spiegare il manifestarsi di sintomi apparentemente molto diversi presenti nella patologia schizofrenica. Un individuo che presenti infatti un’alterazione nei processi di integrazione di diversi flussi informativi potrebbe male interpretare processi interni ed esterni giungendo alla manifestazione di “sintomi positivi”, come i deliri e le allucinazioni. L’interruzione del flusso informativo attraverso tale circuito neuronale potrebbe giustificare invece la comparsa di “sintomi negativi”, come l’alogia e l’appiattimento affettivo.

T.H. Wassink e N. Andreasen (41) hanno osservato, per un periodo di sette anni ogni sei mesi, le immagini RMN del cervelletto, dei lobi temporali e dei ventricoli di 63 soggetti affetti da schizofrenia, valutando contemporaneamente la sintomatologia negativa e di disorganizzazione dei soggetti ed il grado di invalidazione psicosociale. Le dimensioni del cervelletto risultano correlate negativamente con la persistenza dei sintomi psicotici e negativi e con l’incapacità di relazioni interpersonali.

Lo stesso gruppo di ricerca sottoponendo soggetti schizofrenici alla PET, durante l’esecuzione di tasks per la memoria a breve e lungo termine, ha riscontrato un diminuito flusso sanguigno a livello cerebellare rispetto ai soggetti sani, nonché nelle aree prefrontale e talamica (40,42).

Come ricordato, Andreasen (39) ha proposto un modello psicopatogenetico della schizofrenia come conseguenza di alterazioni di una rete di circuiti neurali che sottenderebbero alla multiforme sintomatologia che la contraddistingue: il circuito cortico-cerebello-talamo-corticale è una entità anatomica ben definita in cui il cervelletto, il talamo e le regioni corticali interagiscono in un feedback che permette la coordinazione delle attività sia motorie che cognitive. Il cervelletto avrebbe il ruolo di metron (misuratore) cognitivo, in quanto monitorerebbe la sintonia fine delle attività mentali ancora più di quelle fisiche; il cervelletto riceverebbe informazioni dalle aree corticali, provvederebbe alla formazione di connessioni fra associazioni mentali in modo accurato e secondo criteri di comparazione in un corretto contesto spazio temporale e le rinvierebbe alla corteccia attraverso centri sottocorticali e troncoencefalici. Una disfunzione del circuito fornirebbe una spiegazione anatomica del concetto bleuleriano di perdita dei nessi associativi, o “dismetria cognitiva”, cioè perdita di coordinazione delle attività mentali.

Nello studio di Wassink e Andreasen (41) la dismorfologia cerebellare si accompagna a diverse dimensioni psicopatologiche: la visione della funzione cerebellare coinvolta in un circuito deputato al processo cognitivo primario avallerebbe l’ipotesi che l’alterazione di una tappa di tale circuito porti ad un’ampia espressione di sintomi, in accordo con quanto è possibile riscontrare nel caso del nostro paziente.

Deve essere comunque sottolineato che il reperto di un’alterazione a livello cerebellare non può essere considerato un marker di schizofrenia. Infatti anomalie del cervelletto non sono evidenziabili in tutti i pazienti schizofrenici e non sono comunque caratteristiche delle sindromi psicotiche, tanto da essere presenti anche in altre patologie, fra le quali le psicosi funzionali, l’autismo, il disturbo bipolare, la degenerazione cerebellare primaria, l’alcolismo cronico, il disturbo ossessivo-compulsivo.

Da notare però che le varie patologie si associano a differenti sedi di alterazione cerebellare. In particolare le alterazioni comportamentali e cognitive tipiche della schizofrenia e dell’autismo sarebbero correlate ad atrofia del verme cerebellare, accompagnata in alcuni casi da atrofia del tronco encefalico. Joseph et al. hanno riscontrato atrofia sia del verme cerebellare che del tronco encefalico in 3 su 5 pazienti affetti da schizofrenia catatonica, ipotizzando che la catatonia possa essere associata a lesioni di queste aree.

Il cervelletto dunque è un modulatore di altre aree encefaliche e forse il venire meno delle sue funzioni (per atrofia o ipoplasia) potrebbe conseguire in un discontrollo delle funzioni cognitive ed emotive. Secondo Taddei et al. (43), tuttavia, se la funzione cerebellare si altera in una fase precoce del neurosviluppo essa viene compensata da quella di altre strutture cerebrali; dunque essa deve associarsi ad altre alterazioni per provocare una sintomatologia manifesta e in effetti essa si accompagna spesso ad altre anomalie cerebrali, tanto da poter essere considerata un indice di un più diffuso danno cerebrale conseguente ad alterazioni durante il neurosviluppo (durante la gravidanza o in fase perinatale a causa di ipossia, emorragie, malattie infettive, abitudini nocive per il feto ecc.). Anche nel caso del paziente descritto, l’alterazione cerebellare potrebbe essere considerata la spia di un danno cerebrale più diffuso, visto il concomitante interessamento di altre strutture anatomiche come il talamo, il tronco encefalico e alcune aree corticali. Inoltre, il dato anamnestico di difficoltà non meglio specificate durante la gravidanza e il parto, riferito dai familiari, potrebbe contribuire ulteriormente a confermare le ipotesi discusse precedentemente.

La “sindrome cerebellare cognitivo-affettiva”

Schmahmann e Shelmann in un articolo del 1998 (44) riportano i risultati ottenuti da uno studio effettuato su 19 pazienti di età dai 23 ai 74 anni affetti da diverse patologie cerebellari. Ogni paziente è stato sottoposto ad esame obiettivo e neurologico, EEG, RMN e ad una serie di circa 32 differenti test neuropsicologici. In base ai risultati gli autori di questo studio hanno individuato una “sindrome cerebellare cognitivo-affettiva”, diagnosticabile clinicamente e quantificabile con appositi test neuropsicologici. Tale sindrome comprende deficit delle funzioni esecutive (pianificazione, fluidità verbale, working memory, ecc.) spesso con perseverazione, distraibilità e disattenzione; disorganizzazione visuo-spaziale e memoria visuo-spaziale deficitaria, modificazione della personalità con comportamento inappropriato e disinibito, difficoltà nella produzione del linguaggio. Tali alterazioni producono un generale impoverimento delle funzioni intellettive. Atrofia o lesioni del verme cerebellare correlano in maniera importante con sintomi affettivo-comportamentali, mentre lesioni del lobo posteriore sembrano implicate nei deficit cognitivi; il lobo anteriore sembra coinvolto nelle alterazioni sia affettive che comportamentali in modo lieve, mentre il lobo mediale posteriore con il nucleo fastigiale determinerebbe una sindrome autonomica.

I sintomi descritti sono in genere conseguenti a lesioni corticali: le difficoltà nelle funzioni esecutive sono in genere dipendenti da lesioni della corteccia frontale, i deficits visuospaziali sono in genere addebitati al lobo parietale, diminuita fluidità dell’eloquio e difficoltà di linguaggio si ritrovano nelle patologie del lobo frontale e del lobo temporale, deficits della memoria visuospaziale sono attribuibili a patologie del lobo temporale sinistro, infine cambiamenti nell’emotività e nelle motivazioni comunemente riflettono anomalie delle regioni limbico-correlate del giro paraippocampale e del giro cingolato. La presenza di questi sintomi in soggetti affetti da alterazioni a livello cerebellare in assenza di alterazioni corticali può spiegarsi alla luce delle connessioni anatomiche fra le regioni corticali associative e le aree paralimbiche con il cervelletto.

Gli Autori sottolineano che le alterazioni a livello esecutivo, linguistico e comportamentale contraddistinguono un disturbo specifico da non confondere con la nozione corrente di demenza. L’attenzione e l’arousal non sono diminuiti, la memoria episodica e semantica remota è conservata, mentre l’apprendimento è moderatamente inficiato; altri fenomeni corticali come aprassia, afasia, agnosia sono assenti. La sindrome si distingue anche da altre sindromi sottocorticali proprio perché è caratterizzata da sintomi complessi, consistenti in disturbi delle funzioni esecutive, spaziali, linguistiche e affettive. Nello studio effettuato i deficit osservati non potevano essere giustificati da disturbi della motricità che spesso erano pressoché assenti. Inoltre i soggetti con moderata o grave dismetria venivano esclusi dai test che richiedevano il funzionamento motorio. L’inabilità per esempio nel copiare le figure complesse al test di Rey non era imputabile a difficoltà motorie ma alla incapacità di capire l’organizzazione strutturale delle figure e di pianificare la copiatura, a testimoniare la difficoltà di planning e di integrazione delle risposte cognitive.

Il ruolo del talamo

Anche il talamo è oggetto di indagini con tecniche anatomiche di brain imaging sempre più accurate, come struttura coinvolta nella integrazione e nella processazione di informazioni sensoriali e cognitive (39,45). La PET mostra un decremento del flusso sanguigno nella corteccia prefrontale (46) confortando le ipotesi di ipofrontalità nella schizofrenia come causa dei deficit nelle funzioni cognitive ed esecutive, anche se attualmente questo modello sembrerebbe una ipersemplificazione. Infatti alla PET si rilevano anche aree frontali con una consistente irrorazione sanguigna, mentre altre regioni come il cervelletto ed il talamo condividono una scarsa irrorazione con le aree prefrontali.

Andreasen ha sottoposto dei soggetti schizofrenici e dei controlli sani a vari tasks come il riconoscimento dei volti, la rievocazione di storie complesse, il ricordo di emozioni spiacevoli e prove di attenzione su vari fronti. Sono state riscontrate anomalie di flusso nel lobo frontale durante le prove mnemoniche o decremento del flusso nell’amigdala durante il ricordo di emozioni spiacevoli. Il decremento di flusso sanguigno nel cervelletto e nel talamo era costante durante tutti i test. I neurolettici atipici correggevano alcune delle anomalie del flusso sanguigno sia nel cervelletto che nel talamo.

Le immagini RMN e PET evidenziano alterazioni del nucleo mediodorsale e del nucleo pulvinar del talamo negli schizofrenici; in particolare il nucleo mediodorsale proietta alle aree prefrontali e limbiche il che suggerisce una funzione di integrazione di questa struttura. Nei soggetti schizofrenici si osservano livelli metabolici più bassi rispetto ai controlli in tali nuclei e tali livelli metabolici si correlano negativamente alla severità della sintomatologia. Si sono rilevati anche volumi più piccoli in rapporto all’intero volume cerebrale dei due nuclei nei soggetti schizofrenici, soprattutto nell’emisfero sinistro.

Byne et al. (47) definiscono il talamo il punto centrale della rete comunicativa, in cui tutti i circuiti convergono. Anomalie talamiche inoltre possono ripercuotersi anche nelle aree raggiunte dalle sue proiezioni ed esprimersi in connessioni distali.

Anche Jones e Ojemann (48) definiscono il talamo come il centro di filtrazione, ritrasmissione di informazioni sensitive dal cervelletto alle altre aree cerebrali, modulazione della coordinazione di attività cognitive e motorie, tutte funzioni alterate in diversa misura nella schizofrenia. Alterazioni del volume o del metabolismo talamico potrebbero concorrere a determinare i sintomi deficitari della schizofrenia e quindi anche contribuire alla manifestazione clinica della complessa sintomatologia negativa presentata anche dal paziente descritto.

La diaschisi

Il fenomeno della diaschisi si evidenzia nel corso di lesioni ischemiche durante cui si determina una riduzione del metabolismo e della funzionalità di aree cerebrali lontane rispetto alla sezione lesa.

In soggetti affetti da atrofia cerebellare si osserva il fenomeno della diaschisi crociata (reversed), cioè presenza di aree ipoperfuse a livello delle regioni associative. Schmahmann ha rilevato alla PET di soggetti con atrofia cerebellare una ridotta perfusione della corteccia temporale, frontale e parietale, nonché del talamo e dei gangli basali. Anche Botez (49) riporta ipoperfusione cerebrale in pazienti con lesioni cerebellari. È impossibile stabilire quanto della sindrome cerebellare cognitivo affettiva sia quindi attribuibile al cervelletto e quanto alle altre aree interessate. Queste osservazioni comunque non inficiano l’idea di un ruolo centrale del cervelletto nella sfera cognitivo-affettiva.

Schmahmann e Sherman (44) ipotizzano che il circuito cerebrocerebellare sia costituito da diversi sottosistemi funzionali che permetterebbero l’elaborazione cerebellare in differenti aree funzionali. Il cervelletto integrerebbe le diverse rappresentazioni interne con stimoli esterni e risposte autogenerate: la modulazione cerebellare dei differenti sottosistemi permetterebbe la produzione armonica di comportamenti a livello motorio cognitivo autonomico ed affettivo. La perdita della funzione cerebellare nel circuito determinerebbe quella dismetria del pensiero che è alla base della sindrome cerebellare cognitivo-affettiva.

Considerazioni cliniche e patogenetiche sul caso

Il paziente descritto incontra vari dei criteri che definiscono la “sindrome cerebellare cognitivo affettiva”. Dal punto di vista anatomico e funzionale, sono presenti atrofia cerebellare, ipotrofia frontale e diminuita perfusione a livello talamico; dal punto di vista psicopatologico, appannamento affettivo, afinalismo, impoverimento ideativo, ridotta capacità di organizzare il contenuto del pensiero e la produzione verbale, ritiro sociale, e dal punto di vista neuropsicologico difficoltà di concentrazione e nell’apprendimento, ridotta capacità di prestare attenzione a due tasks contemporaneamente o di spostarla velocemente da uno all’altro, alterazioni dell’eloquio.

Questa vasta gamma di sintomi, apparentemente così diversificati tra di loro, come è già stato precedentemente ricordato, non può essere ricondotta tout-court ad alterazioni di specifiche aree cerebrali. Un modello fondato sui circuiti neurali piuttosto che su una rigida correlazione fra alterazione di una struttura e alterazione della funzione da essa svolta può giustificare tale varietà di manifestazioni conseguenti ad una sua disfunzionalità. Le disfunzioni evidenziate in questo paziente a carico del circuito fronto-talamo-cerebellare potrebbero infatti giustificare sia i sintomi negativi, sia i deficit cognitivi, sia la sintomatologia neurologica, costituendo un complesso sindromico sostanzialmente sovrapponibile a quello descritto per la “sindrome cerebellare cognitivo-affettiva”.

I pensieri stereotipi e gli episodi di discontrollo degli impulsi sono stati i sintomi di più difficile interpretazione sia sul piano psicopatologico che patogenetico. Tale sintomatologia si associa più frequentemente a disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo, che notoriamente è legato ad alterazioni a carico di strutture quali i nuclei della base, il sistema limbico e la corteccia prefrontale. La dimostrazione anatomica dell’esistenza di connessioni indirette tra cervelletto e aree cerebrali, come la corteccia prefrontale da una parte, e l’ippocampo e il giro cingolato, appartenenti al sistema limbico, dall’altra, così come il reperto di una ipotrofia frontale, potrebbero pertanto fornire una almeno parziale spiegazione riguardo all’origine di tale sintomatologia riscontrata in questo paziente.

La totale assenza di sintomi positivi (deliri e allucinazioni) caratteristici della schizofrenia, rappresenta un ulteriore dato a favore di tale ipotesi.

Il caso descritto sottolinea la necessità di un approfondimento diagnostico fondato su criteri anatomo-funzionali, oltre che classicamente clinici, particolarmente in soggetti in cui emerge l’utilità di indagini più approfondite nell’ottica della multidisciplinarietà della diagnosi e della terapia.

Bibliografia

Corrispondenza: dott. Giuseppe Bersani, IIIClinica Psichiatrica, Università di Roma “La Sapienza”, viale dell’Università 30, 00185 Roma – Tel. 06 49914591 – Fax 06 4454765 – E- mail: bersani@uniroma1.it.

Figg. 1, 2, 3. Immagini RMN encefalo del paziente in cui si evidenzia chiaramente l�atrofia cerebellare nella sezione trasversale. Brain MRI of the patient showing clearly cerebellar atrophy in the transverse section.

Tab. I. Caratteristiche cliniche della sindrome cerebellare cognitivo-affettiva. Clinical characteristics of the cognitive-affective cerebellar syndrome.

Disturbi delle funzioni esecutive comprendenti deficit della pianificazione, del pensiero astratto, working memory e diminuita fluidità dell�eloquio.

Disorganizzazione visuo-spaziale con deficit della memoria visuospaziale.

Alterazioni della personalità comprendenti appiattimento o appannamento affettivo e comportamento inappropriato e disinibito.

Difficoltà nella produzione del linguaggio con disprosodia, agrammatismo e lieve anomia.

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