Aripiprazolo: problemi nella gestione del paziente e della famiglia

Aripiprazole: easy management of patient, hard management of family

A. Lenzi, P. Iazzetta

Clinica Psichiatrica, Università di Pisa

L’aripiprazolo, un farmaco agonista parziale dei recettori dopaminergici D2, già largamente impiegato negli USA per il trattamento della fase acuta e nella profilassi della schizofrenia e del disturbo bipolare (1), sta per essere commercializzato anche in Europa. Il farmaco sembra possedere caratteristiche diverse, sia rispetto ai neurolettici tradizionali, sia rispetto agli antipsicotici atipici. Presenta una marcata azione sui sintomi psicotici positivi e negativi, azione che si instaura pochi giorni dopo l’inizio del trattamento. Riportiamo una esperienza con una paziente che ha assunto aripiprazolo in un trial farmacologico randomizzato.

Casalinga di 59 anni, coniugata, due figli, bassa estrazione socioeconomica, in accordo ai criteri DSM-IV affetta da Disturbo Schizoaffettivo. All’età di 38 anni la paziente presentò allucinazioni uditive (voci dialoganti denigratorie) e deliri persecutori in un contesto timico caratterizzato da umore prevalentemente depresso ed irritabile. Trattata con antidepressivi triciclici e neurolettici l’episodio si risolse parzialmente: scomparve la componente psicotica, ma residuò sintomatologia negativa con riduzione delle capacità pragmatiche, ritiro sociale e coartazione degli interessi e dell’iniziativa. Con cadenza annuale, prevalentemente primaverile, si verificava riesacerbazione della fenomenica affettiva, talora con manifestazioni sovrapponibili all’esordio, talora con elevazione dell’umore, logorrea, irritabilità, labilità emotiva. Questi sintomi si accompagnano a riaccensione della produttività psicotica. Dall’età di 45 anni la paziente non ha avuto periodi di benessere di durata superiore ai 6 mesi. Ha assunto timoregolatori (sali di litio e carbamazepina) e neurolettici (aloperidolo, clorpromazina) a dosaggi adeguati senza ottenere una valida e duratura remissione né sul piano psicopatologico, né su quello comportamentale e dell’adattamento. La presenza di deliri persecutori, interpretatività e allucinazioni uditive rimaneva presente anche in assenza di sintomi affettivi, associata ad un progressivo deterioramento delle capacità pragmatiche e relazionali. Circa 3 anni prima della cura con aripiprazolo furono tentate associazioni con diversi antipsicotici atipici (risperidone, clozapina, olanzapina) efficaci nel controllo della produttività psicotica, ma scarsamente attivi sugli aspetti dell’adattamento sociale e del recupero funzionale.

Praticamente negli ultimi 10 anni la paziente ha vissuto isolata dai precedenti amici e conoscenti, trascurando la propria igiene personale. Il suo impegno domestico era ridotto al minimo: continuava a cucinare, ma tralasciava la pulizia dei locali e degli abiti dei familiari, con i quali peraltro era cessata ogni relazione empatica, sostituita da patologiche ed immotivate preoccupazioni per la loro salute. Anche i rapporti sessuali si erano interrotti con l’inizio della cronicità. Dopo oltre 10 anni di continua malattia sia il marito che i figli si erano rassegnati all’idea che la paziente non potesse ottenere risultati concreti e adattati a questo obbligato stile di vita.

Al momento dell’inizio della terapia con aripiprazolo la paziente stava attraversando una fase acuta di malattia: non si coricava da giorni, non si alimentava spontaneamente, non curava la propria persona. Trascorreva la giornata, pregando accovacciata su un tappeto, preoccupata per la salute del figlio, che temeva essere morto o gravemente ammalato, come suggerito dalle continue allucinazioni uditive. Non era autosufficiente e veniva costantemente accudita dai figli.

Già dopo la prima settimana di trattamento si riscontrò miglioramento dei sintomi negativi, cognitivi e della sfera volitiva indagati dagli item della PANSS.

Dopo la seconda settimana vi fu anche miglioramento dei sintomi positivi con riduzione di intensità delle dispercezioni uditive e progressiva attenuazione della pervasività dei contenuti deliranti. La paziente si presentò sorridente, con una buona capacità comunicativa nei confronti del medico e dei familiari.

Dopo tre settimane continuava a mantenere un buon equilibrio, riuscendo ad attendere alle normali attività quotidiane ed alla gestione domestica. Dal figlio, ventenne, che l’accompagnava, apprendemmo che la paziente andava regolarmente a fare la spesa e, per la prima volta, aveva visto la madre stirare una sua camicia.

Alla quarta settimana non vennero riferiti evidenti segni o sintomi di interesse psicopatologico, ma discussioni con il coniuge legate a richieste sessuali insistenti da parte della paziente, dopo oltre sette anni di disinteresse. Inoltre la paziente, per la prima volta dopo molti anni, aveva manifestato attenzione della casa, avanzando ai familiari richieste di denaro per migliorare l’arredamento. Tali proposte riguardanti l’abitazione sembravano ragionevoli e le spese consone al tenore di vita della famiglia, tuttavia venivano rifiutate sistematicamente ed acriticamente dal coniuge e dai figli. In altre parole fu rigettata la richiesta della paziente di riprendere il proprio ruolo di casalinga e di moglie, in cui era compresa la gestione del denaro e la vita sessuale. Il perdurare delle discussioni in ambito domestico divenne il principale problema nei mesi successivi fino a spingere i familiari e richiedere di interrompere l’aripiprazolo per intraprendere un’altra terapia; la paziente appoggiò la proposta ed il farmaco venne sospeso e sostituito con un altro antipsicotico atipico. La paziente con il nuovo trattamento dopo una settimana tornò al precedente livello di funzionamento, che tuttavia risultò ben accetto a lei oltre che ai familiari.

Il caso, se da un lato conferma le possibilità terapeutiche dell’aripiprazolo, dall’altro sottolinea come lo stigma impedisca la piena reintegrazione del soggetto non solo nel tessuto sociale, ma perfino nel contesto familiare. Gli autori sono unanimi nell’attribuire la riuscita o meno di un intervento riabilitativo, iniziato dopo la risoluzione della sintomatologia acuta, non tanto alle caratteristiche del paziente, ma di più al grado di accettazione delle persone che vivono nel suo ambiente (2). In questa famiglia si è preferito mantenere un equilibrio stabile vissuto ad un livello di qualità della vita minimo, invece di cercare nuovi equilibri, sicuramente più soddisfacenti, ma che avrebbero messo in crisi modalità di comportamento collaudate. Sembra indispensabile, nel curare persone affette da disturbi psicotici cronici, specie con questa nuova classe di antipsicotici, affiancare al trattamento farmacologico un intervento di tipo psicoeducazionale, che prepari i familiari a vivere di nuovo con il paziente “risvegliato”.

Bibliografia

1 Naber D, Lambert M. Aripiprazole: a new atypical antipsychotic with a different pharmacological mechanism. Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry 2004;28:1213-9.

2 Saraceno B. Mental health: scarce resources need new paradigms. World Psychiatry 2004;3:1, 3-5.