Aspetti transnosografici delle dimensioni psicopatologiche della mania. 1 – L’impulsività

Transnosography of impulsiveness, one of the psychopathological dimensions of mania

A. Goracci, M. Martinucci, A. Mazza, G. Filippone, P. Castrogiovanni

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Siena

Key words: Impulsiveness • Transnosography • Mania • Psychiatric disorders
Corrispondenza: Dr. Mirko Martinucci, Policlinico “S. Maria alle Scotte”, Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, viale Bracci 1, 53100 Siena, Italy – Tel. +39 0577 586274-5/329 0644195, E-mail: mirkomartinucci@hotmail.com.

Introduzione

“Niente è durevole nella mania se non la perpetua trasformazione” (1). Tale affermazione, se pur non recente, coglie brillantemente la natura del comportamento maniacale, sfaccettato nell’alternanza delle varie espressioni fenomeniche, variabile nella spumeggiante successione di diversi aspetti sintomatologici; nonostante il mostrarsi caotico ed apparentemente incomprensibile di sintomi e comportamenti, non è difficile cogliere il riferimento psicopatologico unitario che caratterizza, uniformandolo, il quadro clinico della mania, in un nucleo primario dal quale prendono forma e si delineano i multiformi aspetti psicopatologici, individuabile essenzialmente nell’aumento dell’energia vitale; da questo magma nucleare, contropolare a quello depressivo, che trascina con sé tutte le funzioni psichiche, deriva ed esplode tutta la vasta gamma degli aspetti sintomatologici caratteristici della fenomenica maniacale.

Nella molteplicità di sottodimensioni in cui si articola la dimensione della “maniacalità” sono facilmente evidenziabili l’umore, con le varianti dell’euforia, della disforia e dell’irritabilità, fino alla rabbia (mania nell’etimo greco significa rabbia e furia), l’accelerazione ideativa e del linguaggio, nella loro sovrabbondanza ed inesauribilità, l’eccitamento motorio, espressione più diretta dell’aumento dell’energia vitale, il vissuto temporale, caratterizzato dalla momentaneizzazione, e quello spaziale della estrema prossimità delle istanze oggettuali, la progettazione, svincolata dalle leggi della misura, della ponderazione, della prudenza e dell’attesa differita, la disinibizione, che si estrinseca a livello dei rapporti sociali, di una sessualità fuori di misura, dell’orgiasticità, del comportamento alimentare e della teatralità pomposa dell’aspetto esteriore, gli aspetti cognitivi con le manifestazioni a carico dell’attenzione, della concentrazione e della memoria, il ridotto bisogno di sonno, la ludicità, tratto dominante dell’attività sterile, dissipata e lumeggiante del maniacale (2), il contenuto del pensiero che, a partire da un aumento dell’autostima, può giungere alla grandiosità intesa come totipossibilità, all’ideazione di riferimento e al delirio, l’insight, variabile anch’esso in una dimensione quantitativa, ma spesso assente.

In questa caleidoscopica e spumeggiante espressività fenomenica, uno spazio particolare se lo ritagliano due dimensioni, simili ma sostanzialmente diverse, rappresentate dalla impulsività, articolata negli aspetti dell’esplosività, del discontrollo oltre che della superficialità, e dalla aggressività.

Tra impulsività e aggressività esiste una zona di sovrapposizione, sia per quanto riguarda alcune manifestazioni cliniche, sia per gli aspetti biologici ad esse correlati; talvolta si ritrova anche un certo grado di confusione terminologica, tanto che in letteratura troviamo l’aggressività descritta in termini di “violenza, agitazione, impulsività” (3); inoltre, tra i diversi Autori, si rileva una certa disomogeneità nel definire alcuni tipi di comportamento, come ad esempio i gesti autolesivi o il suicidio, che sono considerati alternativamente o simultaneamente come atti impulsivi o aggressivi. Molti studi, anche recenti, propongono, quindi, la descrizione di queste due dimensioni in maniera unitaria, pur considerandole due entità distinte, o addirittura le condensano nell’ambito di denominazioni quali “comportamenti impulsivo-aggressivi”, “aggressività impulsiva”, “impulsi aggressivi”.

Che impulsività ed aggressività facciano parte del comportamento maniacale nella maggior parte delle sue espressioni cliniche non vi è dubbio. Che esse esprimano la “maniacalità” è altrettanto vero se si considera quanto tali “sottodimensioni” sono correlate alla perdita di controllo, determinata dalla disinibizione del paziente maniacale, sulla quale verrebbero a concorrere, rendendola più marcata, l’ipervalutazione di sé e la riduzione o la scomparsa della coscienza di malattia, appannaggio altrettanto tipico del quadro maniacale.

Tuttavia, in un’ottica dimensionale, o meglio sottodimensionale, e perseguendo l’ipotesi dell’esistenza di uno “spettro” dell’umore, tali espressioni fenomeniche, come del resto tutte le altre precedentemente accennate, oltre a caratterizzare, nella loro variabile associazione, l’Episodio Maniacale, possono essere ritrovate da sole o in varie combinazioni – quasi una “pennellata” di maniacalità – in altri disturbi psichiatrici.

Ciò appare particolarmente vero per le due dimensioni impulsività ed aggressività che ritroviamo in molteplici quadri psicopatologici, modulate peraltro dal disturbo in questione o dalle sue fondamenta biologiche, tanto da dare a comportamenti terminologicamente unificati sotto la stessa etichetta di impulsività-aggressività, connotati profondamente diversi: come non considerare diversi la rabbia come affetto principale del borderline, il risentimento-sospettosità coartato ed inibito del depresso, la violenza pantoclastica dello schizofrenico, l’irritabilità apparentemente acontestuale del Disturbo Post-traumatico da Stress, l’aggressività, subdolamente impositiva, del Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità, il negativismo del catatonico, l’aggressività “afinalistica” dell’alcolista o dell’epilettico, quella “predatoria” del Disturbo di Personalità Antisociale, l’esplosività coattiva del Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Asse I?

Ne risulta un’immagine sfuocata e confusiva in cui fenomeni diversi vengono unificati in base all’epifenomeno comportamentale, quando una valutazione che ne valorizzasse la diversa matrice psicopatologica e verosimilmente il diverso substrato biologico, o quantomeno un chiarimento su quali di essi conservino un genuino marchio di maniacalità, potrebbe comportare notevoli implicazioni sul piano clinico-diagnostico, prognostico e terapeutico. A titolo di esempio si consideri quanto questa problematica sia evidente nella diagnosi di stato misto, per la quale è necessario che, insieme a componenti di chiara natura depressiva, coesistano aspetti di altrettanto chiara marca maniacale (4). Soltanto se impulsività e aggressività conservano le caratteristiche di derivazione maniacale, la loro copresenza in un contesto di depressione legittimerà la diagnosi di stato misto e la relativa terapia.

Anche dal punto di vista neurochimico altrettanto variegati, spesso disomogenei e non univoci, qualora si confrontino i molteplici lavori presenti in letteratura, sono i correlati della mania, così come i substrati dell’impulsività e dell’aggressività, individuati in alterazioni talora sovrapponibili, altre volte differenziate, da quelle reperite in pazienti maniacali.

Nella mania si riscontra, generalmente, un aumento della trasmissione noradrenergica: in fase maniacale sono state rilevate concentrazioni liquorali più elevate di noradrenalina (NA) e di 3-metossi-4-idrossifeniletilenglicole (MHPG) rispetto ai depressi e ai controlli, oltre che concentrazioni plasmatiche di MHPG superiori e aumento nell’escrezione urinaria di MHPG in pazienti maniacali rispetto a quelle di depressi e controlli (5).

Anche la trasmissione serotoninergica, oltre quella noradrenergica, sarebbe disregolata. Infatti, due sono le ipotesi formulate per tentare di comprendere l’eziopatogenesi dei Disturbi dell’Umore: la prima sostiene che nella mania si verificherebbe un incremento della NA parallelamente ad una riduzione della serotonina (5-HT), viceversa nella depressione; l’altra afferma che una bassa concentrazione di 5-HT determinerebbe una suscettibilità generale al Disturbo Bipolare con la polarità dei singoli episodi correlata ai livelli di NA (alti in mania, bassi in depressione) (6). È stato riscontrato, inoltre, che il reuptake piastrinico della 5-HT è aumentato in pazienti maniacali o ipomaniacali (5).

Altri studi hanno cercato di comprendere anche la funzione del sistema dopaminergico nella patogenesi della mania. Ratti a cui si somministrava Amfetamina, Metilfenidato o Cocaina, ad esempio, mostravano comportamenti iperattivi, che venivano bloccati dalla distruzione del nucleo accumbens; inoltre, l’attivazione dei recettori dopaminergici supersensibili da parte di altri dopamino-agonisti provoca nel ratto attivazione motoria e stereotipie. Nell’uomo, significative sono le osservazioni cliniche degli effetti euforizzanti dell’Amfetamina e degli stimolanti la psicomotricità, i quali sono, per altro, ridotti o annullati dagli antagonisti dopaminergici; la somministrazione di L-dopa, Amfetamina, Biperidil o Bromocriptina può altresì indurre ipomania o mania franca, soprattutto in pazienti affetti da Disturbo Bipolare; infine alcuni studi hanno evidenziato elevati livelli liquorali di acido omovanillico (HVA) in pazienti in fase maniacale (5). I dati della letteratura sembrerebbero, quindi, andare nella direzione di una iperfunzionalità del sistema dopaminergico: ciò è suffragato anche dalla osservazione dell’efficacia dei neurolettici antagonisti della trasmissione dopaminergica nella risoluzione di alcune manifestazioni dell’Episodio Maniacale.

Diversi studi si sono occupati del coinvolgimento dell’acetilcolina (Ach) nella patogenesi della mania: accanto a studi che hanno evidenziato le proprietà euforizzanti degli anticolinergici è stata riscontrata una predominanza adrenergica rispetto a quella colinergica durante le fasi maniacali e il contrario in corso di depressione; in effetti, la Fisostigmina, un anticolinesterasico che potenzia la trasmissione colinergica, determina una riduzione drastica, seppur breve, della sintomatologia maniacale; anche la somministrazione di Diisofluoropropile, un altro inibitore delle colinesterasi, causa irritabilità, apatia, depressione del tono dell’umore e rallentamento psicomotorio in pazienti bipolari; inoltre, la lecitina, un precursore della colina, avrebbe un’efficacia antimaniacale (5).

La trasmissione gabaergica sembra essere aumentata nella mania: basse concentrazioni liquorali e plasmatiche di acido gamma-aminobutirrico (GABA) sono state riscontrate nei depressi unipolari ed elevate nei pazienti bipolari in fase maniacale o eutimica con conseguente normalizzazione dei livelli di tale neurotrasmettitore in seguito a terapia con Litio (5).

Alterazioni sono state riscontrate nella mania anche a carico dei neuropeptidi con il rilievo di anomalie a carico della Ossitocina e della Calcitonina, nel senso di una loro riduzione, e della Vasopressina che, al contrario, sembra essere aumentata (5).

Questi cenni, necessariamente sommari, di ordine clinico e biologico relativi all’episodio maniacale, sono utile premessa ad una revisione dei dati della letteratura relativa agli aspetti clinici, a quelli biologici e a quelli terapeutici che permetta di approfondire la problematica relativa alla transnosografia di impulsività e aggressività, estrapolate dal complesso quadro maniacale.

L’impulsività

Il termine “impulso” (dal latino “inpellere” con il significato di spingere in avanti) viene definito dal vocabolario come spinta istintiva ed irriflessiva, spesso violenta, ad agire (7); in psicologia si riferisce, generalmente, ad un atto che sorge, senza motivazione razionale, da una carica affettiva molto intensa e che si compie rapidamente, talvolta violentemente, presupponendo un offuscamento della coscienza o un disturbo della volontà. Con Freud (8) si comincia a parlare di impulso in termini di pulsione, definita dall’Autore come “un processo dinamico consistente in una spinta che fa tendere l’organismo verso una meta”. In un’ottica storica, nonostante che l’osservazione di disturbi legati ad impulsi patologici risalga addirittura ad Ippocrate, questi sono rimasti a lungo scarsamente approfonditi ed oggetto di uno studio poco sistematico; Esquirol, nella prima metà dell’Ottocento (9), aveva descritto l’impulsività come tratto costitutivo delle cosiddette “monomanie”, sindromi caratterizzate da compromissione delle facoltà mentali relativamente ad una tematica specifica e da eccitazione motoria con umore esaltato a tradire la parentela con la struttura bipolare: monomania “intellectuelle” (paranoia con deliri di grandezza), “affective” (melanconia), “istinctive” (senza delirio); quest’ultima comprendeva la dipsomania, la piromania e la dromomania. All’inizio del secolo scorso Tanzi (10) aveva inquadrato queste forme diverse di impulsi patologici, come la dipsomania, la ninfomania, la cleptomania, la querulomania, all’interno della mania periodica, mentre in un passato più recente si è ipotizzato che l’impulso derivi da un bisogno, originato dalla perdita dell’equilibrio omeostatico e, secondo Muller (11), “riceve dall’intenzione una spinta all’adempimento”.

Necessariamente collegata all’impulso, quand’anche sostanzialmente diversa, è l’impulsività, definita come la tendenza a comportarsi in modo precipitoso e violento (7); Murray (12) la descrive come una tendenza a rispondere velocemente e senza adeguata riflessione, come una reazione immediata ad uno stimolo; in questa definizione è implicito il concetto del rischiare, pur di ottenere il più velocemente possibile certe cose; nel costruttivismo, l’impulsività si caratterizza come un’abbreviazione della fase di circospezione del ciclo C-P-C (Circospezione-Prelazione-Controllo) (13); nella psichiatria descrittiva l’impulsività viene considerata in modo più ampio rispetto alle definizioni degli psicologi, e ciò comporta l’inclusione, tra i disturbi dell’impulso, del suicidio e dell’automutilazione, e tra i comportamenti impulsivi del correre rischi e della mancanza di controllo sugli affetti. In questo più ampio alone l’impulsività diventa sempre più espressione di fenomeni eterogenei, tanto che Barratt (14) propone una sottotipizzazione del comportamento impulsivo, presupponendo l’esistenza di una impulsività motoria, definita come la tendenza ad agire senza pensare, di una impulsività cognitiva, intesa come la tendenza a prendere rapide decisioni e di una impulsività non pianificata, che si delineerebbe come una modalità di comportamento caratterizzata da una scarsa valutazione delle conseguenze.

Aspetti clinici

L’impulsività nel DSM

Nel DSM-IV-TR il termine “impulsività” è poco rappresentato, come se tale dimensione avesse scarso rilievo per una identificazione nosologica dei singoli disturbi, come se questo “tratto” non si caratterizzasse per una specificità diagnostica tale da permettere, per lo meno unitamente ad altri criteri, un potere discriminante nei confronti dei diversi disturbi psichiatrici. Nel DSM, neppure tra i criteri, i sintomi o le varie espressioni fenomeniche dell’Episodio Maniacale c’è alcun cenno alla presenza di impulsività, come se questa dimensione non fosse caratterizzante la mania, ma rappresentasse, piuttosto, una sua manifestazione accessoria e non specifica.

Prendendo in considerazione i Disturbi del Controllo degli Impulsi, che dovrebbero rappresentare la categoria diagnostica più strettamente correlata all’impulsività, non tutti i disturbi che ne fanno parte presentano, tra i criteri diagnostici, riferimenti a questa dimensione fenomenica; il criterio A del Disturbo Esplosivo Intermittente, recita “impulsi aggressivi”; nella Cleptomania è ricorrente l’incapacità di resistere agli “impulsi” di rubare oggetti (criterio A).

“Impulsivo” è il soggetto intossicato da Fenilciclidina, mentre il soggetto affetto da Disturbo Ossessivo-Compulsivo esperisce (criterio A) pensieri, “impulsi” o immagini ricorrenti e persistenti; nelle Parafilie tutti gli “impulsi” sono di natura sessuale (criterio A).

La dimensione dell’impulsività appare, invece, essere una componente più rappresentata nei Disturbi di Personalità che, già nei criteri diagnostici generali, vengono definiti come una “deviazione” marcata rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo nel controllo degli impulsi (criterio A); nello specifico, ritroviamo l’impulsività nell’antisociale (impulsività o incapacità di pianificare) e nel borderline (modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore e marcata impulsività; impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate).

Transnosografia dell’impulsività

In un’ottica transnosografica, da una revisione dei lavori presenti nella letteratura degli ultimi dieci anni, l’impulsività si ritrova nei Disturbi dell’Umore, descritta soprattutto all’interno di un’entità clinica specifica, con una sintomatologia che sfuma tra quella dell’Episodio Depressivo e quella dello Stato Misto, nella quale uno dei sintomi principali è proprio l’impulsività con ideazione autolesiva o tentativi di suicidio (15); inoltre, coloro che tentano il suicidio e sono affetti da Dipendenza da Alcool senza comorbidità con la Depressione Maggiore presenterebbero un grado maggiore di impulsività rispetto ai depressi non affetti da Dipendenza da Alcool; la dimensione dell’impulsività, insieme all’intenzionalità suicidiaria, permetterebbe poi di differenziare tra loro i soggetti con Depressione Maggiore, Dipendenza da Alcool o entrambi (16). È il modello maschile della depressione che sarebbe caratterizzato, tra l’altro, dalla presenza di atti impulsivi (17); inoltre l’impulsività, valutata con la “Barratt Impulsiveness Scale”, sembra anche essere un elemento stabile e costante del Disturbo Bipolare, quasi un “tratto”, ritrovandosi anche nei periodi di remissione del quadro clinico (18).

L’impulsività, valutata con la “Behavioral Discontrol Scale” e il “Behaviors Spectrum di Hollander”, in soggetti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo, è maggiore nelle donne, in pazienti con storia personale di ansia o depressione e in pazienti con una storia familiare di Disturbo Ossessivo-Compulsivo; la presenza di una sindrome ossessivo-compulsiva correlata, come il Disturbo Esplosivo Intermittente, l’Acquisto Compulsivo, la Dismorfofobia e la Depersonalizzazione sono associati ad alti punteggi di impulsività, così come la Lentezza Ossessiva Primaria (19); è presente una correlazione inversa tra la “Obsessive-Compulsive Scale” e la “Barratt Impulsiveness Scale”, con l’aumentare dei punteggi dell’una al decrescere di quelli dell’altra, anche se i punteggi di entrambe le scale tendono a ridursi con l’aumentare dell’età (20); sintomi ossessivo-compulsivi e impulsività si riscontrano anche nella psicopatologia delle sindromi frontali, insieme ad altri elementi come l’aumento o la riduzione del tono dell’umore, l’apatia, la grandiosità, l’incremento della sessualità, la catatonia, i disturbi della volontà, la disinibizione ed alcuni sintomi psicotici (21).

Pazienti con drop-out precoce all’interno di trial clinici nei Disturbi d’Ansia presentano maggiori livelli di impulsività valutata mediante il “Tridimensional Personality Questionnaire” (TPQ) (22).

La frequente presenza di comportamenti impulsivi è descritta anche nella Schizofrenia (23). Gli atti violenti compiuti dai pazienti schizofrenici non paranoidei hanno caratteristiche impulsive e non sono diretti verso qualcuno in particolare; in effetti, molti comportamenti aggressivi della Schizofrenia possono essere inquadrati come comportamenti “impulsivi” e sarebbero da porsi in rapporto ad un aumento dell’ansia e ad una riduzione del livello di tolleranza alla frustrazione (24).

Pazienti affetti da Bulimia Nervosa (BN) presentano, all’”Impulsiveness Questionnaire”, punteggi superiori di impulsività, rispetto a donne con Anoressia Nervosa (AN) (25); solamente nelle bulimiche, e non nelle anoressiche, si ottengono punteggi significativamente più alti nella sottoscala dell’impulsività del “TPQ” (26); in soggetti affetti da BN che hanno compiuto atti autolesivi, la gravità del disturbo alimentare è correlata alle misure relative all’impulsività (27); inoltre le pazienti bulimiche con più frequenti abbuffate sembrano essere quelle più impulsive (28); infine, elementi di impulsività sono presenti sia nel caso dei Disturbi Alimentari diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV, sia nel caso di disturbi alimentari non nosograficamente inquadrabili ma riferiti dal paziente stesso (29).

La misura dell’impulsività negli adolescenti è uno degli indici correlati all’assunzione di tabacco, alcool e cannabinoidi; l’impulsività e la propensione per il rischio sono significativamente correlate con la quantità e la frequenza dell’uso di alcool, ma non con l’insorgenza di problemi alcool-correlati (30), mentre l’impulsività valutata con il “TPQ” è particolarmente elevata in soggetti maschi con Dipendenza da Alcool che interrompono il trattamento per la dipendenza (31). Alcuni Autori (32) hanno riscontrato che i punteggi di impulsività, comunque elevati, nei pazienti alcolisti sono correlati in maniera negativa con l’età; inoltre, pazienti con Dipendenza da Alcool, ottengono punteggi elevati a molti test che misurano l’impulsività, come la “Barratt Impulsiveness Scale”, l’”Eysenck Impulsiveness Questionnaire”, lo “Youth Self Report” e i “Multidimensional Personality Questionnaires” (33); anche quando venga valutata come intolleranza alla ricompensa differita nel tempo, l’impulsività è una dimensione implicata nella Dipendenza da Alcool (34). Infine, l’alcolismo di tipo II negli adulti è frequentemente associato con comportamenti impulsivi ed in comorbidità con tratti di personalità antisociale. Anche i soggetti che assumono oppiacei presentano tratti temperamentali di impulsività alla valutazione con il “TPQ” (35) e la presenza di impulsività in abusatori di tali sostanze è confermata dalla presenza di una scarsa tollerabilità nei confronti di forme di ricompensa differita nel tempo (36). I soggetti che abusano di metilendiossi-metamfetamina (MDMA) mostrano elevati livelli di impulsività, sia autoriferita che valutata tramite misurazioni comportamentali con il “Matching Familiar Figures Test” o tramite test specifici come il “Impulsiveness, Venturesomeness and Empathy Questionnaire” (37). Infine, anche l’astinenza da Nicotina è associata ad elevati livelli di impulsività (38).

Mediante il “TPQ” è stato altresì osservato che il Disturbo da Somatizzazione è correlato alle dimensioni del pessimismo e dell’impulsività, con una maggiore rappresentazione di tali dimensioni all’aumentare del numero di sintomi somatici riferiti (39).

Anche molti pazienti, addirittura più della metà, affetti da Disturbo di Tourette hanno problemi di impulsività (40); in effetti, spesso questo disturbo può essere associato a sintomi ossessivo-compulsivi, problemi di disattenzione, iperattività ed impulsività (41) (42). L’impulsività nel Disturbo di Tourette sembra far parte integrante della disfunzione neurologica e solo raramente essere invece attribuibile a fattori di natura psicologica o correlati ad eventi di vita (40).

L’impulsività è, inoltre, una dimensione nucleare, anche se non patognomonica, del Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività (ADHD) (43) (44): tramite l’utilizzo del “Matching Familiar Figures Test”, si è osservato che bambini affetti da ADHD tendono a comportarsi “in maniera impulsiva” (45); è significativo che il ADHD e la mania presentino alcuni elementi sintomatologici sovrapponibili, e ciò anche per quanto riguarda la dimensione dell’impulsività (46); disattenzione eccessiva, iperattività ed impulsività in ambiente scolastico, anche quando non hanno le caratteristiche tali da far porre diagnosi di ADHD, sono associati ad un rischio significativo di esiti simili a quelli di tale disturbo (47).

Per quanto riguarda entità cliniche raggruppate nell’ambito dei Disturbi del Controllo degli Impulsi, viene descritto un caso di parafilia a contenuto di stupro associato a sintomi di impulsività, piuttosto che a sfondo sessuale (48). I livelli di impulsività, valutati mediante la “Barratt Impulsiveness Scale”, sono stati riscontrati più elevati in pazienti con Dipendenza da Alcool, qualora sia presente un Disturbo del Controllo degli Impulsi in comorbidità, rispetto alla condizione di assenza di comorbidità (49). L’impulsività negli adolescenti di basso livello socio-culturale è un importante fattore predittivo per il successivo sviluppo di Gioco d’Azzardo Patologico; questa caratteristica “temperamentale” sembra incidere sull’incapacità di prevedere le conseguenze negative e di modulare le proprie risposte nei confronti di situazioni sfavorevoli (50); i pazienti con Gioco d’Azzardo Patologico mostrano un grado maggiore di impulsività, ricerca delle novità ed eccentricità rispetto a pazienti ossessivi e a soggetti sani di controllo (51); sembra, inoltre, esistere una stretta associazione tra abuso di sostanze, Gioco d’Azzardo Patologico e impulsività (35). Nella Tricotillomania si sono riscontrati sintomi relativi a ossessioni e compulsioni in maniera significativamente minore ed invece un grado di impulsività significativamente più alto rispetto ai pazienti ossessivi (52).

Tra i Disturbi di Personalità, elevati livelli di impulsività rappresentano l’elemento nucleare del Disturbo Antisociale (53); l’impulsività è altresì una caratteristica costante del borderline: sembra che la compromissione della rete sociale possa ridurre la soglia per i comportamenti impulsivi, facilitando la loro insorgenza (54); tali tratti, oltre ad essere l’elemento nucleare di questo disturbo (55), sono un fattore predittivo per la persistenza di esso nel follow-up (56); tramite l’utilizzo del “Five-Factor-Model of Personality” (57) sono state avvalorate queste ipotesi. Secondo Machizawa (55) il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) sembra essere una sindrome disomogenea, comprendente un sottotipo depressivo, un sottotipo con alterazioni dell’identità ed un sottotipo impulsivo; anche i bambini borderline possono essere caratterizzati dall’impulsività (58); inoltre, in pazienti con Bulimia Nervosa, la comorbidità con un DBP appare associata alla presenza di dimensioni sintomatologiche quali la rabbia e l’impulsività (59). Il Disturbo Istrionico di Personalità nei maschi è associato ad elevati livelli della dimensione in questione valutata con il “Impulsiveness, Venturesomeness and Empathy Questionnaire” (60). Nelle personalità patologiche di tipo narcisistico sembrano frequenti i comportamenti impulsivi in seguito a particolari eventi scatenanti (61).

Correlati biologici

È difficile stabilire esattamente i correlati neurochimici dell’impulsività ma, in letteratura, si ritrovano numerose evidenze di un coinvolgimento del sistema serotoninergico, in particolare nel senso di una riduzione di funzione. Già Milner (62), nel 1964, aveva riscontrato un’alterazione del metabolismo della 5-HT in soggetti impulsivi, associata ad una prevalenza emisferica destra ed una minore quota di acido 5-idrossiindolacetico (5-HIAA) è stata ritrovata nel liquor di soggetti con manifestazioni di violenza, impulsività, ostilità, così come un ridotto uptake piastrinico in pazienti con pregressi episodi di violenza (63). Nei soggetti con comportamento impulsivo-aggressivo è stata riscontrata la riduzione dei siti del trasportatore piastrinico della 5-HT, suggerendo una riduzione dell’increzione di 5-HT: una maggiore concentrazione sinaptica di 5-HT comporterebbe una riduzione della sensibilità degli autorecettori terminali serotoninergici con il risultato di una netta riduzione dell’attività serotoninergica centrale e dei recettori postsinaptici (64)-(66). Soubrie e Bizot (67) hanno misurato l’impulsività negli animali inferiori nei termini di incapacità di attesa e tolleranza a rimandare la ricompensa; basandosi su questi presupposti hanno dimostrato che sia gli inibitori del reuptake della 5-HT che gli inibitori del reuptake della NA, oltre ai beta-stimolanti, diminuiscono l’impulsività, così come tutti gli antidepressivi “intensificano” l’attesa. I due Autori hanno conseguentemente ipotizzato che “i neuroni serotoninergici non governano direttamente un singolo comportamento e nemmeno un insieme di comportamenti ma, al contrario, governano ogni tipo di comportamento (aggressività, esplorazione, approccio o fuga) quando quel comportamento entra nella dimensione dell’attesa”.

Sembra esistere, inoltre, una trasmissione familiare di tipo genetico dei tratti impulsivo-aggressivi; alcuni Autori (66) hanno, infatti, riscontrato nei parenti di primo grado di pazienti con alterazione della risposta della prolattina al test di stimolo con Fenfluramina, indicatore di una ridotta funzionalità del sistema serotoninergico, tratti di personalità o disturbi psichiatrici caratterizzati da spiccati comportamenti impulsivo-aggressivi, con la conclusione che nell’uomo la compromissione della funzionalità serotoninergica sembra accompagnarsi ad una diminuita capacità di controllo sugli impulsi aggressivi, più che ad un aumento dell’aggressività non impulsiva, come dimostra anche il riscontro di normali concentrazioni di 5-HIAA nel fluido cerebrospinale di soggetti autori di omicidio premeditato (64) (68).

Anche il sistema dopaminergico potrebbe essere implicato nella patogenesi dell’impulsività: alcuni Autori (69) hanno ipotizzato due sistemi generali di comportamento, quello di facilitazione e quello di inibizione, che interagiscono e che, neurobiologicamente, sarebbero integrati nelle vie limbiche dopaminergiche. A livello mesolimbico, infatti, la dopamina (DA) avrebbe la funzione di abbassare la soglia di risposta a certi stimoli riducendo, conseguentemente, l’attesa per “l’azione per iniziare qualcosa”; la variazione nella quantità di DA liberata nello striato limbico sembrerebbe, inoltre, determinante sui tratti di impulsività della personalità contro i tratti di inibizione (70).

Una normale funzione noradrenergica sembrerebbe necessaria perché il deficit serotoninergico sia associato ad un aumentato rischio di comportamento impulsivo/aggressivo (64).

Dal punto di vista neuroanatomico sono state riscontrate difficoltà nel controllo degli impulsi in soggetti con lesioni frontali (61).

In un’ottica transnosografica negli ultimi 10 anni numerosi lavori hanno valutato la presenza di impulsività nell’ambito dei diversi disturbi psichiatrici evidenziando, tra l’altro, la presenza di alterazioni biologiche diverse a seconda del disturbo nel quale sono stati riscontrati tratti impulsivi.

Nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo l’impulsività è associata ad una riduzione dell’attività del lobo frontale e ad una riduzione dell’attività serotoninergica, a differenza della dimensione psicopatologica della compulsività che si presenta sottesa da alterazioni speculari (71); ma sintomi ossessivo-compulsivi e impulsività sono stati ritrovati associati nella psicopatologia delle sindromi frontali, a testimonianza di un substrato biologico in parte sovrapponibile, per le dimensioni dell’impulsività e della compulsività, ascrivibile ad una generica disfunzione del lobo frontale (21).

Nella depressione di tipo agitato-impulsivo è stata documentata la presenza di un’attività corticale anomala con alterazioni dell’attivazione premotoria specifica (72), ed un basso turnover della 5-HT cerebrale correlato ad un basso livello di colesterolo totale come indicatore periferico (73); nel “modello” maschile della depressione, associato ad elevati livelli di impulsività, si riscontra una deficienza centrale del tono serotoninergico (17).

Disfunzioni centrali del tono serotoninergico sono state riscontrate anche nell’impulsività che caratterizza la Schizofrenia (23).

Anche nei Disturbi dell’Alimentazione è stata riscontrata una compromissione della trasmissione serotoninergica e, nello specifico, ciò era particolarmente evidente nelle pazienti che presentavano frequenti abbuffate, che sono risultate essere le più impulsive (28).

Nei pazienti con Disturbi da Uso di Alcool con manifestazioni di impulsività è ampiamente documentata la riduzione della funzione del sistema serotoninergico: basse concentrazioni di 5-HIAA liquorale sono associate alla tendenza ad esibire comportamenti impulsivi sotto l’influenza dell’alcool (74), così come una ridotta risposta della 5-HT centrale agli agonisti serotoninergici e una ridotta risposta della Prolattina o del Cortisolo alla Fenfluramina è descritta in pazienti alcolisti con elevati livelli di impulsività (33). Basse concentrazioni di 5-HIAA sono state riscontrate nel fluido cerebrospinale di alcolisti con Piromania (75).

Nel Disturbo Antisociale di Personalità, l’impulsività è correlata in modo inverso alla capacità di verbalizzazione, all’ampiezza dell’onda P300, oltre che ad altri parametri relativi alla processazione delle informazioni (14). Anche per l’impulsività nel borderline è stato chiamato in causa il sistema serotoninergico: i correlati sono negativi con l’attività delle MAO piastriniche (76) (77). Invece nei soggetti di sesso maschile con Disturbo Istrionico di Personalità, bassi valori di glicemia a digiuno sono correlati ai comportamenti impulsivi e alla tendenza al “passaggio all’atto” (60).

Trattamento farmacologico

La terapia farmacologica dell’impulsività è stata, fino ad oggi, poco indagata sia se si considera tale dimensione in modo transnosografico, quindi nelle sue varie espressioni all’interno dei diversi disturbi psichiatrici, ma soprattutto nei confronti di tale entità fenomenica presa come elemento a sé stante: nessuno tra i numerosi studi e pubblicazioni presenti in letteratura riporta linee guida o, più semplicemente, indicazioni per l’utilizzo dei trattamenti psicofarmacologici per il controllo dell’impulsività.

Riferendoci ad una dissezione transnosografica in base alla dimensione impulsiva ritroviamo, innanzitutto che, all’interno dei Disturbi dell’Umore, nell’Episodio Depressivo Maggiore caratterizzato da elevati livelli di impulsività e ideazione autolesiva, sembrano particolarmente indicati i neurolettici a basse dosi, il Carbonato di Litio e gli antiepilettici (15) (78).

L’impulsività del Disturbo Ossessivo-Compulsivo sembra invece rispondere positivamente alla Fluoxetina (79), mentre altri Autori (80) suggeriscono una certa cautela nell’utilizzo di agenti serotoninergici come la Clomipramina per il possibile sviluppo di condotte aggressive.

Molti studi (23) (81)-(83) dimostrano una notevole efficacia dell’Aloperidolo, della Clozapina e di altri antipsicotici atipici, oltre che del Citalopram, nel controllare le condotte impulsive in pazienti Schizofrenici o affetti da altri Disturbi Psicotici.

L’impulsività delle Parafilie, invece, sembrerebbe meglio rispondere alla terapia ormonale con un agonista del fattore rilasciante l’ormone luteinizzante (LHRH), la Leuprolide (84).

Nei Disturbi della Condotta i comportamenti impulsivi sembrerebbero essere sensibili alla Clonidina, al Litio e anche agli psicostimolanti (82).

Nel Disturbo Autistico e nel Ritardo Mentale sembrerebbero efficaci nel controllo dei comportamenti impulsivo-distruttivi gli antagonisti dei narcotici, quali il Naltrexone e il Naloxone, soprattutto se il trattamento è protratto per più di 4 settimane (85).

Gli psicostimolanti e il nadololo hanno mostrato efficacia riducendo i livelli di impulsività nel ADHD (86).

Questa dimensione presente nei Disturbi di Personalità risponderebbe al litio, alla carbamazepina e al valproato secondo alcuni Autori (87)-(89); all’olanzapina (90), ma anche alla fluoxetina, sertralina, paroxetina, venlafaxina e fenelzina secondo altri (91)-(93); una buona risposta sarebbe evidente soprattutto in pazienti con DBP: l’effetto comportamentale positivo degli anticonvulsivanti sul discontrollo degli impulsi, sui tentativi di suicidio e sulle automutilazioni dei soggetti borderline è stato attribuito ad un’azione sulle strutture limbiche, che in questi soggetti sarebbero caratterizzate da una soglia di eccitabilità abnormemente bassa (94). Comunque tutti gli agenti farmacologici inibitori selettivi del reuptake della serotonina hanno mostrato essere efficaci nel diminuire l’impulsività presente nei Disturbi di Personalità considerati nel loro complesso (95).

Commento

L’impulsività informa di sé molti disturbi psichiatrici.

Come l’ansia e la depressione anche l’impulsività può essere considerata sia come sintomo che come disturbo a sé stante: trascendendo l’ottica categoriale in cui l’impulsività è l’organizzatore dei disturbi del controllo degli impulsi e perseguendo il punto di vista dimensionale, l’impulsività si ritrova a colorare di sé entità nosografiche diverse.

Come abbiamo precedentemente accennato l’impulsività è un concetto complesso che non ha ricevuto fino ad ora una definizione univoca, anche se molti Autori attualmente concordano nel considerare l’impulsività come una predisposizione, ovvero un modello di comportamento biologicamente determinato che è caratterizzato dalla tendenza ad agire rapidamente senza pianificare le proprie azioni e senza concedersi il tempo di procedere ad una valutazione razionale e consapevole delle sue conseguenze. Ed è forse proprio nella dimensione temporale che si ritrova e si scorge il nesso che intercorre tra impulsività e maniacalità.

“L’emozione (e le turbe affettive in genere) rappresenta … il primo livello di dissoluzione, il livello tempo-etico, in quanto altera profondamente l’attualità del vissuto. Il presente viene a perdere la qualità di durata vissuta che media ciò che è stato da ciò che è da venire … la coscienza maniaca appare come un salto, un turbine, uno slancio che trascina il vissuto al di là di un impossibile presente verso un avvenire che nasce e rinasce indefinitamente” (2). L’euforia maniacale precipita il soggetto in avanti, sotto la spinta di un irresistibile desiderio e di una fame insaziabile. È questa la “grande gola” che fa divorare al maniaco il tempo e lo spazio, senza possibilità di arrestarsi, senza tener conto degli ostacoli.

“L’avvenire è là, a portata di mano, come se tutte le possibilità fossero realizzabili o nel punto di essere già realizzate … il maniaco … non sa attendere, sostare e trattenersi, non riesce cioè a fare del presente una durata vissuta; egli è proteso in avanti, anzi, precipita verso l’avvenire e, consumando e volatizzando il presente, vive in un futuro mitico e senza consistenza” (2).

Ed è proprio in questi termini che l’impulsivo, come il maniacale, esperisce il tempo come “più corto” ed il suo comportamento, come appunto quello del soggetto in fase maniacale, è improntato sempre al “subito”, “all’immediatamente” e al “su due piedi”; i soggetti impulsivi, così come gli individui in fase espansiva, hanno fretta, non possono indugiare … “è come se l’accadere del mondo degli altri fosse in ritardo rispetto al loro …” (2).

Questa “speculazione” psicopatologica potrebbe fornirci una luce su questo complesso fenomeno clinico che è l’impulsività e illuminarci nei percorsi terapeutici da intraprendere nel momento in cui soggetti affetti da patologie psichiche, che all’apparenza non presentano alcun che di maniacale, si mostrano invece impulsivi all’osservazione clinica.

Quello che abbiamo trattato a proposito del ruolo dell’impulsività nelle varie entità nosografiche e le sue sovrapposizioni con il comportamento maniacale possono essere considerate un esempio della opportunità che ci offre un approccio dimensionale rispetto ad un’ottica categoriale al fine di arricchire un modello esclusivamente descrittivo che risulta scarno per indicazioni prognostiche e terapeutiche.

Comprendere i correlati biologici dell’impulsività, i suoi significati psicopatologici, i suoi meccanismi fisiopatologici, le sue espressioni cliniche appare quindi indispensabile per fornire un razionale all’adozione di strategie terapeutiche più mirate.

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