Cognitività e Dopamina: aspetti clinici nella schizofrenia

Cognition and dopamine: clinical aspects in schizophrenia

A. Rossi, A. Tomassini, P. Stratta

Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università de L’Aquila, L’Aquila

Key words: Dopamine • Dopamine receptors • Cognition • Working memory • Aripiprazole • Atypical antipsychotics
Correspondence: Prof. Alessandro Rossi, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Località Coppito II, 67100 L’Aquila, Italy – E-mail: alessandro.rossi@cc.univaq.it

Introduzione

Numerosi dati pre-clinici e clinici sottolineano che la modulazione del tono dopaminergico è in grado di influenzare la sintomatologia e le funzioni cognitive in soggetti affetti da Disturbo Schizofrenico. Alla luce delle più recenti ricerche scientifiche e dell’introduzione di nuovi farmaci antipsicotici vi sono questioni fondamentali che ripropongono il tema del rapporto tra dopamina e disfunzioni cognitive nella schizofrenia.

La schizofrenia viene definita come un disturbo che dura da almeno sei mesi, comprendendo almeno un mese di deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico o sintomi negativi (1). Numerosi studi psicometrici distinguono cinque “cluster” sintomatologici: sintomi positivi, sintomi negativi, sintomi cognitivi, sintomi di aggressività-ostilità e sintomi ansioso-depressivi.

I sintomi positivi sembrano riflettere un ‘eccesso’ di funzioni e comprendono: deliri, allucinazioni, distorsioni o esagerazioni linguistiche e comunicative, eloquio disorganizzato, catatonia e agitazione.

I sintomi negativi comprendono almeno cinque tipi di sintomi: appiattimento affettivo, alogia, apatia, anedonia, deficit dell’attenzione.

I sintomi cognitivi possono sovrapporsi a quelli negativi ed includono compromissione della fluidità verbale, problemi nell’apprendimento seriale e difficoltà nella vigilanza per il funzionamento esecutivo.

I sintomi di aggressività-ostilità possono sovrapporsi ai sintomi positivi ed evidenziano problemi nel controllo degli impulsi. Essi comprendono un’ostilità manifesta che si traduce in violenza verbale o fisica, comportamenti autolesionistici, tra cui il suicidio, ed altri tipi di impulsività (come il comportamento dimostrativo di tipo sessuale).

I sintomi ansioso-depressivi possono anche essere dovuti ad un disturbo d’ansia e affettivo sottostante e comprendono: umore depresso, umore ansioso, senso di colpa, tensione, irritabilità e preoccupazione.

Ad oltre 100 anni dalla sua prima descrizione clinica, la patofisiologia della schizofrenia non è affatto chiarita. Si suppone che tale disturbo possa essere il risultato di un processo degenerativo superimposto ad una anomalia dello sviluppo del sistema nervoso centrale che avrebbe luogo nel feto, durante le fasi precoci della selezione e della migrazione dei neuroni. Vari studi familiari su gemelli e studi di linkage hanno identificato diversi loci cromosomici consistentemente associati con il disturbo (2). Tuttavia, la presenza di anomalie sia funzionali sia strutturali, dimostrate negli studi radiologici del cervello di schizofrenici (3), suggerisce che durante il decorso della malattia possa determinarsi un processo neurodegenerativo con perdita progressiva della funzione neuronale. Una condizione neurodegenerativa viene anche suggerita dalla natura progressiva del decorso della schizofrenia. Tale decorso può essere così schematizzato (Fig. 1) (4):

 

– Stadio I: il paziente ha un buon funzionamento psicosociale ed è praticamente asintomatico;

– Stadio II: vi possono essere comportamenti bizzarri e lievi sintomi negativi. Questa fase “prodromica” va dalla tarda adolescenza all’inizio dell’età adulta;

– Stadio III: fase acuta della malattia che si annuncia in modo piuttosto drammatico con sintomi positivi, remissioni e ricadute, senza mai tornare ai livelli precedenti di funzionamento. Questo è uno stadio caotico della malattia con un decorso di peggioramento progressivo;

– Stadio IV: i sintomi negativi e cognitivi sono preminenti con una marcata disabilità.

 

La responsività di un paziente al trattamento antipsicotico può cambiare lungo il decorso della malattia. Ad esempio, un paziente può essere più o meno responsivo al trattamento durante episodi o esacerbazioni successivi, cosicché rimangono sintomi residui, con riduzione della capacità funzionale. Pertanto, sembra possibile che i pazienti che ricevono un trattamento continuativo, efficace e precoce, possano evitare la progressione della malattia o almeno lo sviluppo della resistenza al trattamento. Alcuni autori sono arrivati ad estendere l’idea di un intervento anche nei confronti di pazienti nella fase prodromica. Tale argomento è attualmente al centro del dibattito scientifico.

Patofisiologia della schizofrenia

Il neurotrasmettitore monoaminergico dopamina (DA) ha avuto un ruolo chiave nelle ipotesi riguardanti alcuni aspetti dei cinque ‘cluster’ sintomatologici della schizofrenia prima discussi. Inoltre, sono stati chiamati in causa nella patofisiologia di tale disturbo anche la Serotonina e l’Acido Glutammico o Glutammato, anche se le evidenze sul loro ruolo sono contrastanti e limitate.

Ruolo della dopamina

L’ipotesi dopaminergica della schizofrenia è stata formulata negli anni ’60 e rimane ancora centrale per la comprensione della patofisiologia del disturbo. Essa propone che i sintomi siano il risultato di una disfunzione della normale trasmissione dopaminergica a livello cerebrale (5). Sono state caratterizzate quattro vie dopaminergiche cerebrali: via mesolimbica, via mesocorticale, via nigrostriatale e via tubero infundibolare (Fig. 2).

La via dopaminergica mesolimbica proietta i terminali assonici dai corpi cellulari dei neuroni dopaminergici dell’area tegmentale ventrale del tronco cerebrale nelle aree limbiche dell’encefalo, come il nucleo accumbens. Si ritiene che tale via abbia un ruolo importante nei comportamenti emotivi, in particolare nelle allucinazioni uditive, ma anche nei deliri e nei disturbi del pensiero.

La via dopaminergica mesocorticale è correlata alla via mesolimbica. I suoi corpi cellulari si trovano nell’area tegmentale ventrale del tronco cerebrale, vicino ai corpi cellulari dei neuroni dopaminergici della via mesolimbica. Tuttavia, la via dopaminergica mesocorticale si proietta verso aree della corteccia cerebrale.

La via dopaminergica nigrostriatale proietta dai corpi cellulari dopaminergici della substantia nigra del tronco cerebrale assoni che terminano nei gangli della base e nello striato. Questa via fa parte del sistema extrapiramidale e controlla l’attività motoria. Disturbi del movimento possono essere prodotti dai farmaci che bloccano i recettori D2 della DA di questa via ed un blocco cronico può portare alla discinesia tardiva.

La via dopaminergica tuberoinfundibolare comprende neuroni che dall’ipotalamo proiettano verso l’ipofisi anteriore. Normalmente questi neuroni sono attivi ed inibiscono il rilascio di prolattina, ma nel post-partum la loro attività è ridotta e i livelli di prolattina aumentano in modo da permettere la lattazione. Il trattamento con diversi farmaci antipsicotici che bloccano i recettori D2 della DA può determinare iperprolattinemia e di conseguenza galattorrea, amenorrea e disfunzioni sessuali.

L’ipotesi dell’iperattività dopaminergica nei disturbi schizofrenici riteneva tale condizione causa dei sintomi ed il blocco dopaminergico prodotto dagli antipsicotici tradizionali o neurolettici la terapia. Verso la fine degli anni ’70, con la riformulazione della dicotomia sintomi positivi vs. sintomi negativi, l’ipotesi è stata rivista, con i sintomi positivi che riflettevano una condizione di iperattività dopaminergica a livello delle strutture sottocorticali e i sintomi negativi e cognitivi una condizione di stato ipodopaminergico in regioni corticali associative come la corteccia prefrontale (CPF) ed entorinale (6) (7). Studi farmacologici hanno in buona parte confermato questa ipotesi: sostanze in grado di incrementare i livelli cerebrali di dopamina determinano l’insorgenza di sintomi positivi (allucinazioni e deliri) (8), gli antipsicotici tradizionali antagonizzano la trasmissione dopaminergica ed esiste una stretta correlazione tra affinità per il recettore dopaminergico D2 e potenza antipsicotica (9).

Al momento non esiste una chiara evidenza diretta di livelli anormali di dopamina nei pazienti schizofrenici. Studi post-mortem su cervelli di pazienti schizofrenici, pur non concordemente, hanno dimostrato un aumento della dopamina e dei suoi metaboliti (10). Una recente ricerca, effettuata con tecniche di visualizzazione cerebrale funzionale, ha dimostrato un maggior rilascio sinaptico di DA nei neuroni stimolati di pazienti schizofrenici, rispetto ai controlli sani. Questo sembra essere un effetto stato-dipendente, nel quale la condizione iperdopaminergica si presenta nei periodi di psicosi acuta e non nei periodi di remissione sintomatologica (11).

Di più difficile spiegazione è l’osservazione clinica che sintomi positivi, negativi e cognitivi spesso coesistono, non essendo costrutti psicopatologici indipendenti.

Cambiamenti del numero o della distribuzione di sottotipi specifici di recettori dopaminergici potrebbero essere un importante fattore nella patofisiologia della schizofrenia. Studi effettuati utilizzando la tomografia ad emissione di positroni (PET) hanno riportato una correlazione tra riduzione dei recettori D1 nella corteccia prefrontale e gravità dei sintomi negativi (12). In un altro studio, Seeman et al. hanno riportato un incremento del numero dei recettori D4 nel cervello di soggetti schizofrenici (13).

Verso la fine degli anni ’80 si è cercato di ridefinire ulteriormente l’ipotesi dopaminergica, proponendo la contemporanea condizione di incremento e diminuzione dei livelli di dopamina nei soggetti affetti. Questa rivisitazione dell’ipotesi propone la coesistenza di uno stato iperdopaminergico a livello sottocorticale (via dopaminergica mesolimbica) e di una ipodopaminergia a livello corticale (tratto mesocorticale) (Fig. 3). Ciò è supportato da vari studi che indicano la possibilità di tale coesistenza in differenti regioni cerebrali con una relazione di causalità (14) (15): alcuni modelli sperimentali, infatti, suggeriscono che una ipoattività neuronale nella CPF possa contribuire ad una iperattività dopaminergica nelle aree sottocorticali. È stata inoltre osservata una differente risposta dei sistemi dopaminergici mesolimbici e mesocorticali alla somministrazione dei neurolettici, con uno scarso effetto di questi farmaci sul tono dopaminergico della CPF rispetto a quello delle strutture limbiche e striatali (16). Questo dato potrebbe spiegare lo scarso effetto degli antipsicotici tradizionali sul miglioramento dei sintomi negativi e delle funzioni cognitive, in quanto l’attività dopaminergica prefrontale non migliora rispetto ad altre aree cerebrali. Al contrario la clozapina, antipsicotico “atipico”, dimostrerebbe una notevole efficacia sui sintomi positivi e negativi inducendo un significativo aumento nel rilascio di dopamina nella CPF (17) (18).

Questo dato ha trovato conferma indiretta in studi sul rapporto tra memoria di lavoro e recettori D1 (19) (20), su funzioni corticali prefrontali nel Parkinson (21), corea di Huntington, nella malattia di Alzheimer e nel normale processo di invecchiamento.

La trasmissione dopaminergica a livello della CPF, particolarmente sensibile agli stress ambientali, dovrebbe quindi essere mantenuta in un preciso ambito di funzionamento, perché funzioni cognitive superiori come la pianificazione e la previsione, in parte basate sulla memoria semantica e di lavoro, vengano conservate.

Ruolo della Serotonina

L’evidenza che anormali livelli di serotonina (5-idrossitriptamina o 5-HT) giocano un ruolo chiave nella della schizofrenia è limitata (22). La gran parte degli studi è basata sugli effetti farmacologici degli antipsicotici atipici. L’azione degli allucinogeni, i quali agiscono come agonisti sui recettori serotoninergici, suggerisce che un aumento dei livelli di 5-HT può essere associato con i sintomi positivi osservati nei pazienti schizofrenici (23). Inoltre, è stato dimostrato che l’agonista serotoninergico m-clorofenilpiperazina (m-CPP) può aumentare la psicosi nei pazienti con schizofrenia non trattati (24). Tuttavia, altri studi effettuati con lo stesso agente non sono riusciti a replicare questi risultati (25)-(27).

Si pensa che la 5-HT agisca primariamente come un modulatore di altri sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti nella patofisiologia della schizofrenia (come la DA e, probabilmente, il glutammato) piuttosto che come sistema disfunzionale primario (21). Le interazioni funzionali tra i sistemi dopaminergico e serotoninergico sono state ben definite. Ad esempio, i neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe mediano e dorsale innervano i neuroni dopaminergici della substantia nigra e dell’area tegmentale ventrale ed interagiscono con i terminali sinaptici di neuroni dopaminergici dello striato e del nucleo accumbens (regione limbica) e della corteccia prefrontale mediale. L’attività serotoninergica di questi neuroni agisce diminuendo la trasmissione dopaminergica e quindi, modulando l’attività in queste vie.

Si ritiene che l’attività antagonista sui recettori serotoninergici giustifichi la bassa incidenza dei sintomi extrapiramidali (SEP) e l’aumentato controllo dei sintomi negativi da parte degli antipsicotici atipici. La risultante diminuita attività nelle vie serotoninergiche nigrostriatale e mesolimbica aumenta la trasmissione dopaminergica, opponendosi all’attività antagonista D2 di questi agenti.

I recettori 5-HT1A e 5-HT2A sono stati trovati sulle afferenze e sui corpi cellulari delle cellule piramidali corticali e sono in grado di produrre effetti modulatori sul rilascio del glutammato (28).

Concludendo, il ruolo della 5-HT nello sviluppo cerebrale e nella plasticità neurale fornisce un interessante razionale per il suo coinvolgimento nella patofisiologia della schizofrenia. I modelli di neurosviluppo implicano la stabilizzazione ed il rimodellamento di regioni cerebrali nell’adolescenza e nella vita adulta, suggerendo un potenziale coinvolgimento serotoninergico, ma sono necessari ulteriori studi.

Il ruolo di altri neurotrasmettitori

Altri sistemi neurotrasmettitoriali possono essere coinvolti nella patofisiologia della schizofrenia e potrebbero fornire futuri target per interventi terapeutici. Sia i neuroni glutamatergici che GABAergici sono molto diffusi nell’encefalo e svolgono un’attività regolatoria sulle proiezioni corticali serotoninergiche e dopaminergiche.

Varie ricerche riportano l’evidenza che il sistema trasmettitoriale del glutammato gioca un ruolo nella schizofrenia (29). Gli antagonisti del recettore glutamatergico NMDA, es. ketamina, producono nei soggetti sani modificazioni comportamentali e cognitive che sono simili a quelle osservate nella schizofrenia, mentre nei pazienti con schizofrenia cronica producono un peggioramento dei sintomi. Inoltre, gli agenti che aumentano la funzione dei recettori NMDA, es. glicina e D-serina, comportano un miglioramento dei sintomi negativi e, in alcuni casi, della funzione cognitiva. Gli studi post-mortem hanno evidenziato alterazioni dei livelli del recettore glutammato in diverse regioni cerebrali, inclusa la corteccia prefrontale, nei pazienti con schizofrenia. Gli agenti antipsicotici possono anche avere effetti sui livelli di glutammato, sia attraverso interazioni indirette tra i neuroni dopaminergici e/o serotoninergici e i neuroni glutamatergici, sia alterando allostericamente l’attività dei recettori NMDA.

Sono stati osservati una riduzione del numero dei neuroni GABAergici nella regione limbica e nella corteccia prefrontale di soggetti schizofrenici e un aumento della densità dei recettori, suggerendo il possibile coinvolgimento di questo sistema trasmettitoriale nella schizofrenia.

Rilevanza delle disfunzioni cognitive nei disturbi schizofrenici

La funzione cognitiva, cioè l’abilità di percepire, acquisire ed elaborare le informazioni dell’ambiente coinvolge l’attenzione, la memoria e le funzioni esecutive. Dal momento che il principale ruolo della neocorteccia, in particolare quella frontale, è fondamentalmente cognitivo, anomalie a tale livello sono in grado di rendere ipoattivo il tratto dopaminergico mesocorticale con alterazioni del funzionamento cognitivo (6) (30).

Le evidenze fornite da studi sulle funzioni cognitive, da studi di visualizzazione cerebrale e di elettrofisiologia, hanno dimostrato un prevalente ruolo della corteccia prefrontale dorsolaterale (CPFDL) nell’alterato funzionamento cerebrale nella schizofrenia (31). Le anomalie in questa regione sono associate a ridotta performance in compiti neuropsicologici che valutano la memoria di lavoro, un costrutto neuropsicologico che descrive un insieme di processi cognitivi coinvolti nel mantenimento e nella manipolazione di un’informazione utile all’esecuzione di un compito specifico (32) (33).

I deficit cognitivi, soprattutto della memoria di lavoro, sono stati correlati con i sintomi negativi (34) e si ritiene siano parzialmente associati con la compromissione delle funzioni prefrontali (35). Infatti, Callicott et al. (36) hanno riscontrato che la concentrazione di N-acetil-aspartato (NAA, un marker di integrità neuronale) nella CPFDL correla inversamente con i sintomi negativi, cioè minori concentrazioni di NAA sono associate a più marcati sintomi negativi.

Per lungo tempo, l’importanza dei deficit cognitivi nella schizofrenia è stata poco compresa o sottovalutata: tali deficit infatti sono stati considerati in passato come un epifenomeno di alcuni sintomi e non correlati con l’esito della patologia. Grazie all’attuale migliore conoscenza dei meccanismi di funzionamento cerebrale e della patofisiologia della schizofrenia, la visione del significato e dell’importanza del deficit cognitivo è mutata.

Le anomalie delle funzioni cognitive sono ora riconosciute quale elemento nucleare della patologia, significativamente associate alla disabilità, validi predittori sia del funzionamento sociale e lavorativo che dell’esito a lungo termine (37)-(42).

È innegabile che molti pazienti dimostrano rilevanti deficit anche dopo un adeguato controllo della sintomatologia più florida ed eclatante. Questi deficit sono correlati in maniera importante alla persistenza della sintomatologia negativa e riducono la possibilità di pianificare ed eseguire efficacemente finanche le più semplici attività quotidiane. È quindi sempre maggiore l’attenzione nei confronti dei deficit cognitivi, dal momento che è verosimile che l’esercizio di tutte quelle attività di livello superiore, per esempio cura della persona, della casa, utilizzazione del tempo libero e tutto ciò che permette un adeguamento alle necessità della vita sociale, possano essere limitate dalle anomalie cognitive di base.

È sempre maggiore, dunque, l’interesse circa la possibilità di includere specifiche modalità di intervento allo scopo di migliorare le problematiche cognitive di base nei programmi di trattamento farmacologico e riabilitativo della schizofrenia (43)-(45).

I farmaci antipsicotici con caratteristiche atipiche possono ridurre e/o arrestare la disfunzione cognitiva?

Il miglioramento delle abilità cognitive e della sintomatologia negativa rappresentano un fondamentale bersaglio della terapia, costituendo un vero successo terapeutico la restituzione al soggetto del miglior funzionamento possibile, non soltanto il controllo o la riduzione dei sintomi più eclatanti.

Un trattamento farmacologico efficace consiste quindi nella somministrazione di farmaci che presentino una serie di proprietà essenziali come la riduzione della sintomatologia, in particolare quella negativa che, insieme alla funzionalità cognitiva è uno dei maggiori ostacoli alla compliance, il miglioramento o almeno la non compromissione delle capacità cognitive, l’assenza di sedazione significativa e scarsi o nulli effetti collaterali di tipo motorio.

Lo sviluppo della terapia antipsicotica, dalla scoperta della clorpromazina nel 1952 ad oggi, ha influenzato ed è stata influenzata dall’ipotesi dopaminergica della schizofrenia. Tutti gli agenti antipsicotici, sia tipici che atipici, sono antagonisti dei recettori D2 e ciò spiega la loro efficacia sui sintomi positivi della schizofrenia. Più recentemente, l’interesse si è rivolto ad altri sistemi neurotrasmettitoriali che hanno rivelato altri potenziali targets terapeutici per l’azione antipsicotica, come il sistema serotoninergico.

L’efficacia degli antipsicotici tradizionali per quel che riguarda la capacità di alleviare gli episodi psicotici acuti e ritardare il manifestarsi di un successivo episodio psicotico è stata ampiamente dimostrata. Il loro vasto uso negli ultimi decenni ne ha però evidenziato anche i limiti, che consistono nell’incompleta risposta clinica in una rilevante percentuale di casi, scarsa efficacia sul miglioramento delle funzioni sociali ed interpersonali, verosimilmente mediate dal funzionamento cognitivo, e dei comportamenti associati ai sintomi negativi. L’uso degli antipsicotici tradizionali è inoltre associato frequentemente alla comparsa di effetti indesiderati quali quelli che coinvolgono i sistemi extrapiramidale ed endocrino. Tali osservazioni hanno certamente contribuito allo sviluppo di nuove molecole antipsicotiche, definite “atipiche”, che hanno dimostrato una ridotta incidenza di effetti collaterali di tipo extrapiramidale ed ormonale: clozapina, olanzapina, quetiapina, risperidone, amisulpride, ziprasidone e aripiprazolo. La maggiore tollerabilità è associata ad una migliore risposta in pazienti refrattari alla terapia con antipsicotici tradizionali, ad una migliore attività sui sintomi negativi ed alla possibilità di migliorare la funzionalità cognitiva. Nell’ultimo decennio numerosi studi hanno mostrato che il trattamento con antipsicotici tradizionali può indurre un modesto incremento delle funzioni cognitive, mentre i nuovi farmaci antipsicotici sembrano poter maggiormente migliorare la capacità cognitiva (46). Il meccanismo di tale azione è ancora speculativo. Potrebbe essere dovuto all’azione diretta dei farmaci su un’ampia gamma di recettori, sia attraverso il blocco dei recettori 5-HT2 o attraverso l’aumentata disponibilità di DA a livello mesocorticale. Alternativamente, potrebbe essere ‘secondario’ al miglioramento di sintomi ‘positivi’ o ‘negativi’. È verosimile che la ridotta incidenza di effetti collaterali extrapiramidali favorisca l’azione pro-cognitiva (42) (47).

Da un punto di vista farmacodinamico è stato ipotizzato che gli antipsicotici atipici siano accomunati da una ridotta affinità nei confronti del recettore D2 e dalla maggior potenza come antagonisti del recettore serotoninergico 5HT2A. L’attività nei confronti del sistema serotoninergico contribuirebbe a limitare gli effetti sul sistema extrapiramidale ed a migliorare la sintomatologia negativa. In base a queste considerazioni è stato quindi proposto che il rapporto tra affinità per il recettore 5HT2A ed il recettore D2 rappresenti un indice di “atipicità”.

Alla serotonina è stato quindi attribuito un ruolo sempre più importante nella patogenesi della schizofrenia, non solo per quanto riguarda la sintomatologia negativa e la sfera cognitiva, ma anche la sintomatologia positiva (48). Il blocco dei recettori serotoninergici determinerebbe una riduzione dell’attività inibitoria della serotonina incrementando il rilascio di aminoacidi eccitatori (glutammato), che induce un aumento di dopamina a livello della CPF ed il conseguente miglioramento dell’ipofunzione frontale, quindi dei sintomi negativi e cognitivi. Ciò produrrebbe una diminuzione del rilascio di dopamina a livello del sistema limbico ed il miglioramento della sintomatologia positiva (29) (49).

Questa teoria non è però confermata da recenti studi (50) (51). Mentre infatti i recettori 5HT2A vengono facilmente bloccati con bassi dosaggi della maggior parte degli antipsicotici atipici (tranne remoxipride ed amisulpiride), i dosaggi sufficienti per tale blocco sono ben al di sotto di quelli necessari per un miglioramento clinico. La soglia di occupazione dei recettori D2 necessaria per un’attività antipsicotica è del 65% sia per gli antipsicotici tradizionali che per gli atipici, indipendentemente dal fatto che vi sia un blocco dei recettori 5HT2A, così come la soglia di occupazione dei recettori D2 per determinare effetti extrapiramidali è dell’80%, qualunque sia la percentuale di occupazione dei recettori serotoninergici.

La differenza tra AP tradizionali ed antipsicotici “atipici” sembra risiedere nel tipo di legame con il recettore D2: mentre infatti gli AP tradizionali hanno un legame con il recettore più forte di quello della dopamina, gli antipsicotici “atipici” mostrano un legame più debole, con una costante di dissociazione maggiore della dopamina stessa. Recentemente è stato suggerito che l’azione 5HT2 bloccante non sarebbe l’azione necessaria per caratterizzare l’atipicità del farmaco antipsicotico, mentre lo sarebbe la maggiore rapidità della dissociazione del legame con il recettore D2 (50) (52). Gli antipsicotici atipici occupano i recettori D2 in maniera transitoria dissociandosene rapidamente in quanto il loro legame è facilmente spostato dalla dopamina, permettendone la fisiologica attività di neurotrasmissione. Questa condizione permette normali livelli di prolattina, migliore funzionalità cognitiva ed evita sintomi extrapiramidali. Tale teoria permette di individuare quali composti antipsicotici possano determinare effetti extrapiramidali ed iperprolattinemia e quali presentino scarso rischio di discinesia tardiva. Permette inoltre di comprendere come una condizione, quale la sintomatologia indotta da L-dopa, risponda a bassi dosaggi di antipsicotici atipici e può suggerire strategie di trattamento individualizzate (53).

Lidow et al. (54) ipotizzano che la memoria di lavoro, funzione cognitiva che si ritiene principalmente danneggiata nella schizofrenia, sarebbe favorevolmente mantenuta da una stimolazione ottimale dei recettori dopaminergici D1. L’osservazione nasce da modelli sperimentali animali dove la clozapina è in grado di sensibilizzare i recettori D2 della corteccia cerebrale – come altri antipsicotici – ma non dello striato. Tale evidenza si accompagna ad una desensibilizzazione dei recettori D1 dei quali la corteccia cerebrale è ricca. Poiché in modelli animali l’antagonismo dei recettori D1 danneggia la memoria di lavoro e gli agonisti D1 la riportano ad un funzionamento fisiologico, gli autori suggeriscono che la relativamente scarsa efficacia degli antipsicotici sui sintomi negativi e cognitivi potrebbe essere collegata all’effetto congiunto sui recettori D1 e D2 (53). L’attivazione dei siti D1 della corteccia prefrontale in un intervallo molto ristretto ottimizza l’attività neuronale necessaria al controllo della memoria di lavoro nell’animale. Una stimolazione D1 insufficiente – dovuta per esempio all’attività di blocco recettoriale – può diminuire questa funzione. In relazione, quindi, al modo in cui gli AP regolano i siti corticali D1 in relazione al range ottimale si possono avere effetti cognitivi positivi, negativi o neutri (Fig. 4). Recenti studi SPECT suggeriscono che soggetti con disturbo schizofrenico ‘drug-naive’ hanno ridotta attività recettoriale D1. La regolazione dell’attività di stimolazione D1 sembra pertanto necessaria al miglioramento delle funzioni cognitive e potrà costituire un utile elemento nella sintesi di nuove molecole AP.

Farmaci antipsicotici atipici e funzioni cognitive: gli studi clinici

Quando i farmaci atipici sono stati messi a confronto tra di loro non è stata osservata la superiorità di una molecola sulle altre per tutte le variabili neurocognitive esaminate, anche se generalmente questi farmaci mostravano una superiorità rispetto agli antipsicotici classici di confronto (55). I dati relativi ad un miglioramento delle funzioni cognitive con i nuovi farmaci antipsicotici sono interessanti (45) (56). I farmaci antipsicotici atipici sembrano poter migliorare le funzioni neurocognitive e quindi il funzionamento psicosociale della persona affetta dal disturbo. Un altro interessante filone di ricerca sta valutando la possibilità di migliorare le funzioni cognitive anche con farmaci non-antipsicotici, considerando la dimensione cognitiva come un disturbo in parte autonomo (46).

Gli antagonisti parziali: un nuovo approccio terapeutico

Sia gli antipsicotici tipici che quelli atipici agiscono come antagonisti completi dei recettori D2 (anche se con differente affinità), tuttavia lo spettro sintomatologico osservato nella schizofrenia sembra dovuto alla combinazione di iperattività e ipoattività delle vie dopaminergiche. Inoltre, l’attività antagonistica coinvolge le vie dopaminergiche che determinano effetti avversi, come i sintomi extrapiramidali (EPS), l’iperprolattinemia ed il peggioramento dei sintomi negativi e cognitivi. Vista questa situazione, un agente con la capacità di modificare la neurotrasmissione dopaminergica in maniera diversa in base a differenti condizioni fisiologiche può determinare vantaggi terapeutici.

Gli agonisti parziali si pongono tra gli agonisti e gli antagonisti nello spettro di attività che una molecola può produrre su un recettore (3).

Gli agonisti puri (dotati di elevata attività intrinseca) si legano al recettore determinando la piena attivazione del recettore ed inducendo una risposta biologica massima.

Un antagonista si lega al recettore ma, poiché totalmente privi di attività intrinseca, determinano il completo blocco dell’attività del recettore.

Gli agonisti parziali, rispetto agli agonisti completi, hanno una bassa attività intrinseca e, legandosi al recettore, produrranno una risposta biologica compresa tra il massimo (agonista puro) e il nulla (antagonista puro).

Di conseguenza, essi possono agire sia come agonisti funzionali che come antagonisti funzionali in dipendenza dei livelli circostanti del ligando endogeno (il naturale neurotrasmettitore presente, che è un agonista completo). In assenza di un agonista completo, un agonista parziale può mostrare un’attività agonistica funzionale, legandosi al recettore per produrre una risposta.

Questa risposta, tuttavia, sarà meno intensa rispetto alla risposta dell’agonista totale in quanto l’agonista parziale ha una bassa attività intrinseca. In presenza di un agonista totale, un agonista parziale avrà un’attività funzionale antagonistica, in quanto esso si lega al recettore riducendo la risposta provocata dall’agonista totale. Gli agonisti parziali, quindi, offrono l’opportunità di trattare stati patologici che mostrano deficit nei livelli dei neurotrasmettitori o presentano livelli eccessivi di neurostasmettitori; si comprende dunque la loro attrattiva come opzione terapeutica per la schizofrenia.

Le differenti attività funzionali prodotte da un agonista parziale sono influenzate dalla sua attività intrinseca e dalla sua affinità di legame al recettore, come anche dai livelli del neurotrasmettitore endogeno. Un’alta attività intrinseca risulterà in un’azione simile ad un agonista totale, mentre una bassa attività intrinseca produrrà effetti simili ad un antagonista. Una bassa affinità recettoriale può determinare un legame insufficiente a produrre un effetto significativo, sia come agonista funzionale sia come antagonista funzionale, suggerendo che l’agonista parziale ‘ideale’ dovrebbe avere un’alta affinità di legame con il recettore.

Aripiprazolo: stabilizzatore del sistema dopaminergico per la terapia del disturbo schizofrenico

Aripiprazolo è attualmente l’unico agonista parziale della dopamina efficace nel trattamento della schizofrenia ed è il capostipite di questa nuova classe di farmaci modulatori del sistema dopaminergico.

Pur non essendo ancora nota, come per gli altri antipsicotici, la correlazione tra struttura molecolare ed effetto antipsicotico, aripiprazolo ha dimostrato attività di agonista parziale dei recettori D2 e 5-HT1A e di antagonista dei recettori 5-HT2A (57).

Aripiprazolo, ad un dosaggio di 20-30 mg in monosomministrazione quotidiana, si è dimostrato efficace e ben tollerato in soggetti affetti da disturbo schizofrenico e schizoaffettivo (58). La maggior parte dei pazienti schizofrenici trattati nei trial clinici ha risposto ad un dosaggio di 15 mg/die. Dagli studi finora disponibili, il farmaco è efficace già dalla prima settimana senza necessità di titolazione. I dati depongono per una scarsa induzione di incremento di peso ed effetti indesiderati di tipo metabolico ed endocrino (59). In base a meta-analisi di studi a breve termine, il profilo di tollerabilità del farmaco risulta simile al placebo per SEP (60). Gli studi a lungo termine, fino a 52 settimane, hanno confermato l’efficacia clinica di aripiprazolo e il mantenimento della risposta nel tempo (61).

Aripiprazolo ha dimostrato inoltre capacità di migliorare le funzioni cognitive: in uno studio, randomizzato in aperto, soggetti affetti da schizofrenia cronica dopo una assunzione di 26 settimane di terapia (30 mg/die) hanno riportato un miglioramento della capacità cognitiva generale e dell’apprendimento verbale rispetto a soggetti in trattamento con olanzapina (10-15 mg/die) (61).

Un farmaco con questo meccanismo può agire come un antagonista funzionale sulla via dopaminergica mesolimbica, dove l’attività dopaminergica eccessiva si ritiene sia responsabile dei sintomi positivi, ma mostrare un’attività agonistica funzionale nella via mesocorticale, dove una riduzione dell’attività dopaminergica si ritiene sia associata ai sintomi negativi ed al deficit cognitivo. Inoltre, un agonista dopaminergico parziale non produrrà il blocco dell’attività dopaminergica nelle vie nigrostriatale e tuberoinfundibolare, il quale è associato, rispettivamente, con i SEP e con gli elevati livelli di prolattina.

Gli agonisti dopaminergici parziali possono anche ridurre l’attività dopaminergica attraverso la loro azione sugli autorecettori dopaminergici. L’agonista legandosi a questi recettori (localizzati sul terminale neuronale [recettori presinaptici] e sul soma neuronale [recettori somatodendritici]) riduce la sintesi ed il rilascio di DA ed inibisce la scarica neuronale. L’alta riserva recettoriale (recettori pre-sinaptici) ed i bassi livelli di DA endogena (recettori somatodendritici) suggeriscono che un’attività DAergica agonistica parziale potrebbe determinare un’attività agonistica su questi recettori, riducendo la neurotrasmissione DAergica. Dal momento però che gli autorecettori DAergici sono rapidamente sotto-regolati con il ripetersi della somministrazione degli agonisti DAergici, è verosimile che il contributo di tale meccanismo sul controllo dei sintomi sia a lungo termine scarso.

Un’attività agonista parziale sui 5-HT1A di aripiprazolo può far prevedere un miglioramento dei sintomi negativi, dell’umore e della funzione cognitiva nei pazienti con schizofrenia, sebbene non ci siano ancora dati clinici che confermino tali effetti. Gli studi che hanno esaminato l’azione agonista e antagonista sui recettori 5-HT1A suggeriscono che gli agonisti parziali offrano l’ottima combinazione di attivazione dei recettori presinaptici ed il blocco dei recettori post-sinaptici (62) (63). L’attivazione dei recettori post-sinaptici potrebbe determinare problemi mnesici e d’ansia e disturbi del sonno. Al contrario, l’attività antagonistica completa su questi recettori potrebbe ridurre i benefici cognitivi e sull’umore addizionali (ansiolitico, antiaggressivo e, possibilmente, antidepressivo) conferiti dall’attivazione del recettore presinaptico.

L’attività di agonismo parziale 5-HT1A di aripiprazolo, associata all’antagonismo 5-HT2A, sembra poter contribuire alla stabilizzazione del rilascio di dopamina a livello corticale con miglioramento dei sintomi negativi e delle funzioni cognitive.

Quindi, gli effetti agonisti parziali sui recettori DAergici e serotoninergici potrebbero produrre effetti benefici nel trattamento dei sintomi positivi, negativi e cognitivi nei pazienti con schizofrenia, senza i problemi associati al blocco completo del recettore, come SEP ed elevati livelli di prolattina (Tab. I).

Conclusioni

La ricerca si sta muovendo verso la sintesi di nuovi farmaci in grado di modulare il sistema dopaminergico senza produrre ipoattività dopaminergica (46). Gli agonisti parziali dei recettori D2 sembrano avere queste caratteristiche. Il significato clinico della modulazione, piuttosto che della semplice riduzione o aumento dell’attività DAergica, viene confermato dall’osservazione che l’attività DAergica della corteccia prefrontale dovrebbe essere mantenuta in un ‘range’ al disopra e al di sotto del quale vi sarebbe un deficit del funzionamento cognitivo.

L’attento studio del ruolo della dopamina nelle psicosi maggiori e nelle disfunzioni cognitive delle malattie del Sistema Nervoso Centrale potrà costituire un ulteriore approfondimento della patologia del sistema dopaminergico e del suo trattamento. La maggiore conoscenza del modo in cui i farmaci utilizzati nella terapia dei soggetti affetti da disturbo schizofrenico influenzano il sistema dopaminergico permetterà di identificare nuovi fattori in grado di spiegare l’eterogeneità delle dimensioni cliniche di cui la dopamina sembra essere la principale responsabile (64).

Fig. 1. Stadi della schizofrenia. Stages of schizophrenia.

Fig. 2. Le quattro vie dopaminergiche cerebrali. The four brain dopaminergic pathways.

Fig. 3. Teoria dopaminergica della schizofrenia. The dopamine hypothesis of schizophrenia.

Fig. 4. Ruolo dei recettori dopaminergici D1 nella memoria di lavoro (fonte: Lidow MS, et al. TIPS 1998;19:136-40). Role of D1 dopamine receptors in working memory (source: M.S. Lidow et al., Trends Pharmacol Sci 1998; 19: 136-140).

Tab. I. Razionale per l�utilizzo dell�Aripiprazolo nel trattamento di disturbi psicotici. Rationale for the use of aripiprazole in the treatment of psychotic disorders.

Profilo farmacologico

Effetto clinico atteso

� Agonismo parziale dei recettori D2 della dopamina

� Modulazione della disregolazione dopaminergica: miglioramento dei sintomi positivi e negativi

� Attività agonista parziale sui recettori 5-HT1A

� Miglioramento dei sintomi negativi, dell�umore e della funzione cognitiva

� Attività antagonista 5-HT2A associata ad antagonismo parziale 5-HT1A

� Stabilizzazione del rilascio di dopamina a livello corticale: miglioramento dei sintomi negativi e delle funzioni cognitive

� Assenza di effetto sulle vie nigrostriatali o tubero-infundibolari

� Non SEP ed effetti metabolici ed endocrini

1 Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder, 4th Ed. Washington, DC: American Psychiatric Association 2000.

2 Lewis CM, Levinson DF, Wise LH, DeLisi LE, Straub RE, Hovatta I, et al. Genome scan metanalysis of schizophrenia and bipolar disorder, part II: schizophrenia. Am J Hum Genet 2003;73:34-48.

3 Harrison PJ. The neuropathology of schizophrenia: a critical review of data and their interpretation. Brain 1999;122:593-624.

4 Stahl SM. Psicofarmacologia essenziale (II Ed.). Centro Scientifico Editore 2002.

5 Davis KL, Kahn RS, Ko G, Davidson M. Dopamine in schizophrenia: a critical review and reconceptualization. Am J Psychiatry 1991;148:1476-86.

6 Weinberger DR, Berman KF, Illowsky BP. Physiological dysfunction of dorsolateral prefrontal cortex in schizophrenia. III. A new cohort and evidence for a monoaminergic mechanism. Arch Gen Psychiatry 1988;45:609-15.

7 Andreasen NC, Rezai K, Alliger R, Swayze VW 2nd, Flaum M, Kirchner P, et al. Hypofrontality in neuroleptic-naive patients and in patients with chronic schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 1992;49:943-58.

8 Lieberman JA, Kane JM, Alvir j. Provocative tests with psychostimulant drugs in schizophrenia. Psychopharmacology 1987;91:415-33.

9 Seeman P, Lee T, Chau-Wong M, Wong K. Antipsychotic drug doses and neuroleptic/dopamine receptors. Nature 1976;261:717-9.

10 Duncan GE, Sheitman BB, Lieberman JA. An integrated view of pathophysiological model of schizophrenia. Brain Res Brain Res Rev 1999;29:250-64.

11 Laruelle M, Abi-Dargham A. Dopamine as the wind of the psychotic fire: new evidence from brain imaging studies. J Psychopharmacol 1999;13:358-71.

12 Okubo Y, Suhara T, Suzuki K, Kobayashi K, Inoue O, Terasaki O, et al. Decreased prefrontal dopamine D1 receptors in schizophrenia relevated by PET. Nature 1997;385:634-6.

13 Seeman P, Guan HC, Van Tol HHM. Dopamine D4 receptors elevated in schizophrenia. Nature 1993;365:441-5.

14 Deutch AY, Clark WA, Roth RH. Prefrontal cortical dopamine depletion enhances the responsiveness of mesolimbic dopamine neurons to stress. Brain Res 1990;521:311-5.

15 Grace T. Phasic versus tonic dopamine release and the modulation of dopamine system responsivity: a hypothesis for the etiology of schizophrenia. Neurosci 1991;41:1-24.

16 Cohen JD, Servan-Schreiber D. A theory of dopamine function and its role in cognitive deficits in schizophrenia. Schizophr Bull 1993;19:85-103.

17 Moghaddam B, Bunney BS. Acute effects of typical and atypical antipsychotics drugs on the release of dopamine from prefrontal cortex, nucleus accumbens and striatum of the rat: an in vivo microdialysis study. J Neurochem 1990;54:1755-60.

18 Goldman-Rakic PS, Muly EC III, Williams GV. D1 receptors in prefrontal cells and circuits. Brain Res Brain Res Rev 2000;31:295-301.

19 Williams GV, Goldman-Rakic PS. Modulation of memory fields by dopamine D1 receptors in prefrontal cortex. Nature 1995;376:572-5.

20 Castner SA, Williams GV, Goldman-Rakic PS. Reversal of antipsychotic induced working memory deficits by short-term dopamine D1 receptor stimulation. Science 2000;287:2020-2.

21 Mattay VS, Tessitore A, Callicott JH, Bertolino A, Goldberg TE, Chase TN, et al. Dopaminergic modulation of cortical function in patients with Parkinson�s disease. Ann Neurol 2002;51:156-64.

22 Lieberman JA, Mailman RB, Duncan G, Sikich L, Chakos M, Nichols DE, et al. Serotoninergic basis of antipsychotic drug effects in schizophrenia. Biol Psychiatry 1998;44:1099-117.

23 Glennon RA. Do classical hallucinogenes act as 5-HT2 agonists or antagonists? Neuropsychopharmachology 1990;3:509-17.

24 Krystal JH, Seibyl JP, Price LH, Woods SW, Heninger GR, Aghajanian GK, et al. m-Chlorophenylpiperazine effects in neuroleptic-free schizophrenic patients. Arch Gen Psychiatry 1993;50:624-35.

25 Kahn RS, Siever LJ, Gabriel S, Amin F, Stern RG, DuMont K, et al. Serotonin function in schizophrenia: effects of meta-Chlorophenylpiperazine in schizophrenic patients and healthy subjects. Psychiatry Res 1992;43:1-12.

26 Breier A, Kirkpatrick B, Buchanan RW. Clozapine attenuates metachlorophenylpiperazine (mCPP)-induced plasma cortisol increases in schizophrenia. Biol Psychiatry 1993;34:492-4.

27 Koreen A, Lieberman JA, Alvir J. The behavioral effect of m-chlorophenylpiperazine (mCPP) and methylphenidate in first episode schizophrenia and normal controls. Neuropsychopharmachology 1997;16:61-8.

28 Nocjar C, Roth BL, Pehek EA. Localization of 5-HT2A receptors on dopamine cells in subnuclei of the midbrain A10 cell group. Neuroscience 2002;111:163-76.

29 Goff DC, Coyle JT. The emerging role of glutammate in the pathophysiology and treatment of schizophrenia. Am J Psychiatry 2001;158:1367-77.

30 Weinberger DR. Schizophrenia and the frontal lobe. Trends Neurosci 1988;11:367-70.

31 Weinberger DR, Egan MF, Bertolino A, Callicott JH, Mattay VS, Lipska BK, et al. Prefrontal neurons and the genetics schizophrenia. Biol Psychiatry 2001;50:825-44.

32 Baddeley A. Human memory. Theory practice. Massachussets 1990.

33 Goldman-Rakic PS. The physiological approach: Functional architecture of working memory and disordered cognition in schizophrenia. Biol Psychiatry 1999;46:650-61.

34 Berman I,Viegner B, Merson A, Pappas D, Green AI. Differential relationship between positive and negative symptoms and neuropsychological deficits in schizophrenia. Schizophr Res 1997;25:1-10.

35 Weinberger DR. Implications of normal brain development for the pathogenesis of schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 1987;44:660-9.

36 Callicott JH, Bertolino A, Egan MF, Mattay VS, Langheim FJ, Weinberger DR. Selective relationship between prefrontal N-acetylaspartate measures and negative symptoms in schizophrenia. Am J Psychiatry 2000;157:1646-51.

37 Goldberg TE, Seidman LJ. Higher cortical functions in normals and in schizophrenia: a selective review. In: Steinhauer SR, Gruzelier JH, Zubin J, eds. Handbook of schizophrenia, vol. 5: Neuropsychology, Psychophysiology and Information Processing. New York: Elsevier 1991.

38 Goldberg TE, Weinberger DR. Schizophrenia, training paradigms, and Wisconsin Card Sorting Test Redux. Schizophr Res 1994;11:291-6.

39 Jaeger J, Douglas E. Neuropsychiatric rehabilitation for persistent mental illness. Psychiatr Quart 1992;63:71-93.

40 Jaeger J, Berns BA, Tigner A, Douglas E. Remediation of neuropsychological deficits in psychiatric populations: rationale and methodological considerations. Psychopharmacol Bull 1992;28:367-90.

41 Lysaker P, Bell M, Beam-Goulet J. Wisconsin Card Sorting Test and work performance in schizophrenia. Psychiatr Res 1995;56:45-51.

42 Stratta P, Daneluzzo E, Prosperini PL, Bustini M, Rossi A. Different influence of age and educational level on spatial working memory and WCST in schizophrenia: a controlled study. Psychiatry Res 2001;102:39-48.

43 Green MF, Marder SR, Glynn SM , McGurk SR, Wirshing WC, Wirshing DA, et al. The neurocognitive effects of low-dose haloperidol: a two-year comparison with risperidone. Biol Psychiatry 2002;51:972-8.

44 Green MF. Cognitive remediation in schizophrenia: is it time yet? Am J Psychiatry 1993;150:178-87.

45 Keefe RSE. The contribution of neuropsychology to psychiatry. Am J Psychiatry 1995;152:6-15.

46 Harvey PD, Keefe RS. Studies of cognitive changes in patients with schizophrenia following novel antipsychotic treatment. Am J Psychiatry 2001;158:176-84.

47 Friedman JI, Temporini H, Davis K. Pharmacologic strategies for augmenting cognitive performance in schizophrenia. Biol Psychiatry 1999;45:1-16.

48 Meltzer HY. Clinical studies on the mechanism of action of clozapine: the dopamine-serotonin hypothesis of schizophrenia. Psychopharmacology 1989;99:18-27.

49 Svensson TH, Mathe JM, Andersson JL, Nomikos GG, Hildebrand BRE, Marcus M, et al. Mode of action of atypical neuroleptics in relation to the phencyclidine model of schizophrenia: role of the 5-HT2 receptor and a1-adrenoreceptor antagonism. J Clin Psychopharmacol 1995;15:11-8.

50 Kapur S, Seeman P. Does fast dissociation from the dopamine D2 receptor explain the action of atypical antipsychotics? A new hypothesis. Am J Psychiatry 2001;158:360-9.

51 Seeman P. Atypical antipsychotics: mechanisms of action. Can J Psychiatry 2002;47:27-38.

52 Kapur S, Remington G. Dopamine D2 receptors and their role in atypical antipsychotic action: still necessary and may even be sufficient. Biol Psychiatry 2001;50:873-83.

53 Friedman JH, Factor S. Atypical antipsychotics in the treatment of drug-induced psychosis in Parkinson�s disease. Mov Disord 2000;15:201-11.

54 Lidow MS, Williams GV, Goldman-Rakic PS. The cerebral cortex: a case for a common site of action of antipsychotics. TIPS 1998;19:136-40.

55 Bilder RM, Goldman RS, Volavka J, Czobor P, Hoptman M, Sheitman B, et al. Neurocognitive effects of clozapine, olanzapine, risperidone and haloperidol in patients with chronic schizophrenia or schizoaffective disorder. Am J Psychiatry 2002;159:1018-28.

56 Sharma T. Cognitive effects of conventional and atypical antipsychotics in schizophrenia. Br J Psychiatry 1999;174(Suppl 38):44-51.

57 Hirose T, Uwahodo Y, Yamada S, Miwa T, Kikuchi T, Kitagawa H, et al. Mechanism of action of aripiprazole predicts clinical efficacy and favourable side effects. J Psychopharmacol 2004;18:375-83.

58 Potkin SG, Saha AR, Kujawa MJ, Carson WH, Ali M, Stock E, et al. Aripiprazole, an antipsychotic with a novel mechanism of action, and risperidone vs. placebo in patients with schizophrenia and schizoaffective disorder. Arch Gen Psychiatry 2003;60:681-90.

59 Swainston Harrison T, Perry CM. Aripiprazole: a review of its use in schizophrenia and schizoaffective disorder. Drugs 2004;64:1715-36.

60 Marder SR, McQuade RD, Stock E, Kaplita S, Marcus R, Safferman AZ, et al. Aripiprazole in the treatment of schizophrenia: safety and tolerability in short-term, placebo-controlled trials. Schizophr Res 2003;61:123-36.

61 Kasper S, Lerman MN, McQuade RD, Saha A, Carson WH, Ali M, et al. Efficacy and safety of aripiprazole vs haloperidol for long-term maintenance treatment following acute relapse of schizophrenia. Int J Neuropsychopharmacol 2003;6:325-37.

62 Cornblatt B, Kern RS, Carson WA, Ali MW, et al. Neurocognitive effects of aripiprazole versus olanzapine in patients with stable psychosis. Int J Neuropharmacol 2002:185-186.

63 Millian MJ. Improving the treatment of schizophrenia: focus on serotonin (5-HT)1A receptors. J Pharmachol Exp Ther 2000;259:853-61.

64 Jordan S, Koprivica V, Chen R, Tottori K, Kikuchi T, Altar CA. The antipsychotic aripiprazole is a potent, partial agonist at the human 5-HT1A receptor. Eur J Pharmacol 2002;441:137-40.

65 Sawa A, Snyder SH. Schizophrenia: diverse approaches to a complex disease. Science 2002;296:692-5.