Curare per guarire in Psichiatria

Treatment and illness remission in Psychiatry

P. PANCHERI

III Clinica Psichiatrica, Università di Roma "La Sapienza"

Gli psichiatri tendono ad utilizzare con molta parsimonia il termine “guarigione” e preferiscono in genere limitarsi a prendere atto della “remissione” sintomatologica del disturbo che hanno curato. Nelle malattie che interessano la medicina generale o la chirurgia la “guarigione” è un esito che viene apparentemente constatato con maggiore frequenza. È opportuno quindi analizzare il significato dei termini “cura” e “guarigione” che sono alla base di ogni operare medico.

La cura è un’azione medica sempre finalizzata ad uno scopo: la “guarigione” del malato. In senso stretto questo termine andrebbe usato quando si verificano quattro condizioni:

1) il ripristino dell’integrità strutturale (“anatomo-patologica”);

2) il ripristino dell’integrità funzionale (“fisiologica”);

3) il ripristino del benessere soggettivo;

4) l’assenza di terapie per mantenere nel tempo le tre condizioni precedenti.

Nella prassi, queste condizioni di “guarigione” si ottengono solo in un limitato numero di casi. Più frequente è la situazione di un incompleto ripristino dell’integrità strutturale ma con ripresa completa funzionale e del benessere soggettivo, senza necessità di ulteriori terapie. Vi sono molte condizioni mediche dove vi è una completa ripresa funzionale e del benessere soggettivo, condizionate tuttavia dalla persistenza di una terapia. Il termine “guarigione” viene a volte usato, anche se in modo improprio, anche in questi casi.

Un ulteriore problema è dato dalle recidive. Una malattia può presentare un solo episodio che in seguito alla terapia esita in guarigione o un primo episodio, guarito, che a distanza di tempo si ripresenta con le medesime caratteristiche. Tutti gli interventi medici etiologici, patogenetici o compensativi e quelli chirurgici ablativi, ricostruttivi o sostitutivi possono essere visti secondo questi criteri di esiti in “guarigione”.

Gli stessi criteri possono essere applicati anche alla psichiatria dove tuttavia gli strumenti di valutazione della guarigione sono più problematici data la difficoltà di obiettivare il ripristino completo delle alterazioni strutturali e funzionali del cervello. Di conseguenza, data la necessità di utilizzare quasi sempre dei criteri clinici viene coerentemente utilizzato il termine di “remissione” lasciando impregiudicata la possibilità di una effettiva “guarigione”.

Ad esempio la schizofrenia è stata tradizionalmente considerata una malattia “inguaribile” nonostante le sue frequenti remissioni sintomatologiche. In era pre-terapeutica si era rilevata una “remissione sintomatologica” stabile e completa con ripresa del funzionamento lavorativo, sociale e familiare nel 20-30% dei casi. Queste percentuali sono aumentate sensibilmente in età post-terapeutica. Meta-analisi della letteratura riportano una frequenza di remissioni stabili con ripresa della normalità comportamentale e del benessere soggettivo in percentuali varianti tra il 30 e il 40% dei casi di DOC e DAP trattati farmacologicamente o con terapie di associazione. Anche nel caso del disturbo bipolare vi è una frequente remissione completa della sintomatologia episodica in un arco di tempo variabile in funzione delle terapie o anche in assenza di terapia. Il problema aperto è se queste remissioni sintomatologiche complete e stabili in assenza di terapia possano soddisfare i criteri di “guarigione” come avviene per analoghe situazioni di remissione sintomatologica in medicina.

Varie linee di evidenza che vengano sia dalla ricerca sperimentale che clinica indicano la possibilità che la “guarigione” in psichiatria si verifichi con almeno la stessa frequenza di quanto si osserva in altre discipline mediche utilizzando i criteri generali validi per tutta la medicina.

Per quanto riguarda il ripristino dell’integrità strutturale, vi è motivo di ritenere che esso si possa verificare in molte condizioni psichiatriche dove la psicopatologia è correlata e sostenuta da alterazioni anatomo-strutturali a vari livelli. Per chiarire questo punto va rilevato che i dati della ricerca sperimentale hanno dimostrato come il cervello sia una struttura plastica che modifica la sua configurazione sulla base di vari determinanti.

La neurogenesi nel cervello adulto, ritenuta per molto tempo impossibile, è stata dimostrata in almeno due aree: il giro dentato e il lobo olfattorio. I mediatori biochimici sono i corticosteroidi, il glutammato, la serotonina e la dopamina. La neurogenesi è influenzata negativamente dallo stress, positivamente dagli stimoli ambientali e dalla stimolazione diretta di alcune aree cerebrali.

A livello clinico può essere ipotizzato che alcune condizioni psicopatologiche siano correlate ad una variazione del ritmo della neurogenesi. Una possibile speculazione è che un potenziamento degli stimoli esterni o un cambiamento indotto terapeuticamente nel livello di “stress intrapsichico” possano ripristinare il ritmo della neurogenesi.

La plasticità cerebrale è soprattutto evidente a livello della complessità delle connessioni interneuronali rappresentate dall’arborizzazione dendritica dei singoli neuroni e dall’organizzazione delle aree funzionali del cervello. Il numero totale delle sinapsi varia in funzione dei periodi critici dello sviluppo ma, anche nell’adulto, può modificarsi in funzione delle modalità di stimolazione intra ed extrapsichica. La deafferentazione sensoriale comporta un aumento dell’arborizzazione dendritica e una riorganizzazione delle aree cerebrali specifiche. La carenza di stimoli ambientali riduce il numero dei dendriti mentre il potenziamento degli stimoli lo aumenta. La morte neuronale comporta una proliferazione dendritica compensatoria dei neuroni della rete focale o generale. Più in generale un cambiamento nella configurazione degli stimoli comporta modificazioni strutturali a livello delle connessioni neuronali.

Ciò può avere riflessi sul piano clinico. Molte condizioni di “cronicizzazione” o di “stabilizzazione” di stati psicopatologici possono avere una base “strutturale” in una riorganizzazione compensativa delle connessioni neuronali in particolari aree o circuiti. Inoltre, molte alterazioni “strutturali” osservate in vivo con la RM in alcuni disturbi psichiatrici (riduzione di volume di alcune aree o centri, riduzioni volumetriche globali) possono avere una loro base in variazioni dell’arborizzazione dendritica. Le terapie possono indurre una regressione delle alterazioni di connessione. L’inerzia terapeutica della farmacoterapia (che ha dimostrato di influenzare la complessità delle connessioni) o i tempi lunghi della psicoterapia possono trovare una spiegazione in queste espressioni della plasticità cerebrale. Il ripristino della struttura connettiva neuronale può così essere un fattore di “guarigione”.

È tuttavia a livello sinaptico che la plasticità cerebrale assume una maggiore importanza per la spiegazione sia della patologia che della sua possibile “guarigione”. È noto da molto tempo che sia il numero che la sensibilità dei recettori sia pre che post-sinaptici può ampiamente variare sia in condizioni normali che, soprattutto, patologiche. La modificazione dell’ambiente neuronale indotta da stimoli esterni, da sollecitazioni intrapsichiche e dalla manipolazione farmacologica modificano l’assetto recettoriale del neurone. Queste modificazioni sono in genere reversibili, a meno che non siano correlate ad alterazioni stabili della trascrizione genica.

Un’ampia serie di dati sperimentali ha inoltre dimostrato che la “forza” o la “stabilità” (strenght) di ogni connessione sinaptica può essere potenziata in modo più o meno persistente a seguito di una stimolazione ripetuta. Ciò significa che l’esperienza crea circuiti cerebrali facilitati nella rete neurale basati sul numero e sulla intensità delle connessioni sinaptiche. Questo potenziamento a lungo termine (LTP: Long Term Potentiation) è prevalentemente mediato dai recettori NMDA e si ritiene sia alla base dei processi di apprendimento e di memoria. Il fenomeno di “Kind-ling” ha probabilmente la sua base nella LTP.

Quadri clinici come il PTSD, il DAP o il DOC possono trovare una chiave interpretativa a livello del potenziamento della LTP sinaptica in specifici circuiti cerebrali. Ma anche tutte le altre condizioni cliniche possono, in qualche misura, interessare la LTP sinaptica. Il “kind-ling” nella ricorrenza degli episodi bipolari, la cronicizzazione di molti casi psichiatrici, il decorso della schizofrenia dopo il primo episodio possono avere una base patofisiologica nella LTP. La reversibilità terapeutica, anche in questo caso subordinata ai meccanismi di trasduzione genica, delle eventuali alterazioni del LTP potrebbe essere associata, in alcuni casi, al criterio di guarigione del ripristino dell’integrità strutturale.

È infine a livello molecolare che la plasticità cerebrale trova la sua ultima e più fondamentale espressione. L’attivazione recettoriale innesca una serie di eventi biochimici all’interno del neurone che influenzano i meccanismi di trascrizione del DNA nucleare. Proteina G, secondi messaggeri (fosfochinasi, proteinchinasi) e terzi messaggeri (IEG: Immediate Early Genes) modificano la loro attività funzionale in conseguenza del complesso di stimoli esterni che impattano sulla struttura recettoriale. A loro volta gli IEG (cFos, CREB) attivano a breve termine la sintesi proteica, l’inserimento di recettori nella membrana, la proliferazione dendritica ed altre caratteristiche funzionali strutturali del neurone. Si tratta di processi che si verificano in modo continuo e controllati con costanti meccanismi di feedback. Differenti tipi di stimolazione portano a diverse combinazioni di attivazione IEG.

I cambiamenti al livello degli IEG sono tuttavia solo il primo passo nella catena degli eventi che portano alle modificazioni croniche dell’attività neuronale. Vi è infatti evidenza sperimentale che molti geni siano l’obiettivo di particolari combinazioni di attivazione degli IEG. Ciò significa che l’espressione del DNA nucleare può essere stabilmente e forse permanentemente modificata a seguito di stimoli di particolare intensità e durata che derivano, in ultima analisi, dall’ambiente intrapsichico ed extrapsichico.

Sul piano clinico vi sono importanti conseguenze di questa plasticità molecolare.

Anzitutto l’assetto del funzionamento cognitivo o emozionale può comportare modificazioni stabili della trascrizione del DNA. Ciò può essere alla base di alterazioni altrettanto stabili della neurogenesi, dell’arborizzazione dendritica e dell’assetto recettoriale. Queste alterazioni possono sostenere il persistere nel tempo di vissuti o di comportamenti inquadrabili come patologia psichiatrica.

In secondo luogo va rilevato che le modificazioni stabili della trascrizione del DNA hanno una notevole inerzia temporale al cambiamento. In questi casi una “guarigione” clinica è condizionata dalla normalizzazione di queste alterazioni strutturali a livello molecolare. Ciò richiede tempi lunghi di modificazione dell’ambiente neuronale.

Ne consegue che anche nei disturbi psichiatrici il criterio del ripristino dell’integrità strutturale può essere almeno teoricamente applicato per stabilire una condizione di guarigione. Rispetto alle altre discipline mediche, tuttavia, l’obiettivazione “in vivo” di questo ripristino è più complessa data la struttura dell’organo interessato.

Il ripristino dell’attività funzionale è il secondo importante criterio per valutare la “guarigione”. Come in medicina, anche in psichiatria vi può essere una completa ripresa funzionale anche quando l’integrità anatomica non è stata totalmente recuperata. Il recupero dell’attività funzionale del cervello nei disturbi psichiatrici va tuttavia visto a due livelli.

Il primo livello è quello dei correlati cognitivi, emozionali e comportamentali. Il suo analogo in medicina è quello della ripresa funzionale a livello di atti della vita quotidiana compromessi dalla malattia. Funzioni alimentari, evacuative, motorie, sessuali e sensoriali ne sono alcuni esempi.

La ripresa e il recupero funzionale vanno tuttavia visti, sia in medicina che in psichiatria, a livello di organi e sistemi. La “guarigione”, infatti, richiede che vi sia un recupero anche a questo livello, che è ovviamente correlato a livello clinico.

Il recupero funzionale nei disturbi psichiatrici va analizzato da un punto di vista differente da quello di altri organi e sistemi. Il cervello infatti è una struttura informatica costituita da una serie di reti neurali tra loro integrate e collegate. Reti locali (ad es. la corteccia visiva), reti regionali collegate (ad es. corteccia motoria e corteccia sensoriale) e reti globali (ad es. corteccia e centri sottocorticali) sono il supporto biologico per la gestione dell’informazione. Ogni neurone è un nodo della rete che può essere interessato dalla gestione di più flussi di informazione.

Su questa base neurale di rete (“hardware cerebrale) “girano” i programmi di gestione dell’informazione che rappresentano l’essenza della dinamica funzionale del cervello. Alcuni programmi di gestione sono già predisposti geneticamente e scarsamente modificabili, (ad es. i programmi di gestione dell’attività motoria) altri programmi sono appresi in fasi precoci dello sviluppo e poi fissati in modo relativamente stabile (ad es. quelli di gestione dell’attività interemisferica), altri ancora sono variabili e plastici in funzione degli eventi e del contesto (ad es. attività finalizzata). Una alterazione nei programmi di gestione può essere origine di disturbi psicopatologici anche in assenza di alterazioni strutturali in senso stretto. Un esempio clinico di alterazione del “software” cerebrale in assenza di modificazioni strutturali può essere dato da un disturbo di conversione o da un qualsiasi disturbo dissociativo. Le reti neuronali sono la sede “fisica” dei processi di memorizzazione e di apprendimento ma la gestione di questi processi è effettuata da sequenze di istruzioni (“programmi”) in parte geneticamente condizionate e in parte apprese.

Le tecniche di “brain imaging” funzionale (SPECT, PET, fRMN) permettono già oggi di visualizzare la dinamica funzionale del cervello sia in condizioni normali che patologiche. Un numero crescente di studi ha messo in evidenza l’attivazione specifica in vari stati “cognitivi” (attenzione, memoria, immaginazione selettiva etc.), sensoriali (percezione visiva, tattile e acustica) ed emotivi (gioia, piacere, disgusto, ansia, etc.). In molte condizioni psicopatologiche sono state obiettivate le variazioni qualitative, quantitative e temporali di queste funzioni.

Il dato comune che emerge da questi studi è quella dell’attivazione contemporanea e sequenziale di un insieme di aree corticali e di centri sottocorticali che è l’espressione a livello sia visivo che informatico dei programmi di gestione dell’attività cerebrale. L’analogia più immediata è quella dei calcolatori digitali dove può essere “visualizzata” e “decodificata” l’attività di software in funzione dell’esecuzione di un determinato programma. Oggi le tecniche di obiettivazione dell’attività cerebrale come macchina informatica sono solo agli inizi ma è pensabile che entro breve tempo sarà possibile ottenere registrazioni dei processi di software del cervello per periodi di tempo prolungati sia in condizioni normali che patologiche. La descrizione e la decodificazione dei programmi di gestione dell’informazione cerebrale sono la base per stabilire il ripristino delle condizioni di normalità funzionale e quindi la possibile condizione di “guarigione”.

La prospettiva informatica del funzionamento cerebrale richiede una spiegazione della “codifica” dei programmi di gestione. Anche il più semplice calcolatore digitale richiede infatti la “scrittura” di un programma sotto forma di una sequenza logica di istruzioni che utilizza la struttura fisica dei microelementi della struttura.

Il cervello, in questa prospettiva, ha una caratteristica del tutto particolare: la modificabilità dell’hardware (rete neuronale) in funzione del “software” (dinamica della gestione dell’informazione). I programmi sequenziali e coordinati di gestione del cervello sono infatti codificati a livello di “forza” o di “stabilità” delle connessioni sinaptiche. Ciò ha avuto oggi un’ampia dimostrazione sperimentale ed ha una base essenzialmente molecolare a livello dei processi sia rapidi che a lungo termine di trascrizione del DNA neuronale. Stimolazioni ripetute o continue a livello di schemi specifici della rete neuronale tendono a modificare più o meno stabilmente la struttura a livello molecolare. Il programma di gestione, di conseguenza, viene ad essere “scritto” in modo più o meno stabile nella rete. Alcuni programmi sono più “rigidi”, altri più flessibili, altri ancora utilizzati in modo transitorio. Di conseguenza, il cervello modifica la sua struttura a livello della trascrizione del DNA in rapporto allo stato funzionale della gestione delle informazioni e viceversa. A sua volta, la trascrizione del DNA del neurone o di ampie popolazioni di neuroni può modificare la struttura a livello di neurogenesi selettiva, di proliferazione sinaptica, di densità recettoriale e di forza di legame delle sinapsi.

Queste considerazioni permettono di interpretare sia la psicopatologia sia il ritorno alla normalità. Esiste infatti un’ampia gamma di disturbi, clinicamente definiti come “funzionali”, dove non sono rilevabili alterazioni strutturali in senso stretto ma dove il quadro clinico ha la sua base in una più o meno persistente modificazione della gestione delle informazioni. Un correlato di questo assunto è che tanto più durevole e continua nel tempo è l’alterazione nel “programma” tanto più strutturali e difficilmente reversibili sono le alterazioni cerebrali. Ciò è da ritenersi correlato a modificazioni più stabili e a lungo termine della trascrizione del DNA. Molte condizioni psichiatriche possono così trovare una spiegazione. Ad esempio, disturbi “persistenti” possono avere alla loro base alterazioni strutturali relativamente stabili (ma non necessariamente irreversibili) indotte dal persistere nel tempo di un deviante programma di gestione delle informazioni attivato in modo continuo o subcontinuo su di una base strutturale già parzialmente compromessa. Molte condizioni di “cronicità” possono essere interpretate con questo modello. In altri casi l’alterazione è temporanea e legata a semplici alterazioni dei programmi di gestione. Ciò può avvenire in talune condizioni acute a rapida reversibilità (disturbi di coscienza, disturbi deliranti acuti, etc.) dove si è verificata una transitoria modificazione di software, senza modificazioni a livello molecolare stabile.

Nella prospettiva funzionale così formulata, una condizione di “guarigione” è associata ad un ripristino dei normali programmi di gestione che si accompagnano ad una loro ricodificazione. A sua volta, questa ricodifica può essere più o meno completamente condizionata da una normalizzazione “strutturale” a livello molecolare. Resta aperta naturalmente la possibilità che, anche in una condizione di normalizzazione sia di hardware che di software, la preesistente condizione psicopatologica abbia lasciato una “traccia” nel sistema. Ciò significa che, in particolari condizioni di stimolo sia intra che extrapsichico, un programma adattativo “latente” può essere riattivato con la ricomparsa dello stesso quadro psicopatologico anche se fino a quel momento “guarito”. Molte “ricadute” e molte patologie “episodiche” possono essere così interpretate.

Gli interventi terapeutici assumono un particolare significato alla luce dell’interazione cerebrale di hardware-software. Il fine ultimo delle cure psichiatriche è, come in medicina, quello della “guarigione” ma in psichiatria si perdono i confini tradizionali tra terapie “biologiche” e terapie “non biologiche”, in particolare quelli tra psicoterapia e farmacoterapia.

Una psicoterapia è un intervento primario sul software cerebrale in quanto finalizzata a modificare i programmi di gestione dell’informazione alterati in modo patologico. Tecniche di riprogrammazione cognitiva, di attivazione emozionale programmata, di addestramento al controllo dello stress, di elicitazione di tracce mnemoniche non coscienti agiscono riattivando programmi “normali” non più utilizzati e cancellando programmi “patologici” anche se adattativi. Ma la modifica persistente di programmi alterati si riflette sulla struttura, a livello neuronale, sinaptica e molecolare favorendone la ristrutturazione e la riorganizzazione. La manipolazione del software può così correggere teoricamente anche i difetti di hardware e essere alla base di una condizione di guarigione. I tempi relativamente lunghi e il numero di contatti terapeutici relativamente elevati che sono tipici di ogni psicoterapia trovano una loro spiegazione sia nell’inerzia “molecolare” del sistema che, forse, nella ancora incompleta messa a punto di tecniche di intervento sul software cerebrale che siano altamente specifiche e selettive per ogni disturbo.

La farmacoterapia è un intervento primario sull’hardware cerebrale. Agisce direttamente sulla struttura sinaptica, recettoriale e molecolare correggendo o compensando alterazioni stabili su base genetica o conseguenza di adattamenti compensativi. La sua efficacia è proporzionale alla gravità e alla persistenza di queste alterazioni. Ad esempio essa è maggiore nella schizofrenia dove vi è una base dimostrata di alterazioni strutturali mentre è minima nelle fobie e nei disturbi dissociativi dove l’alterazione è prevalentemente nei programmi di gestione dell’informazione. L’inerzia o la latenza terapeutica dei farmaci e delle sostanze psicoattive trova una spiegazione nell’impatto a livello molecolare. Essa infatti è più rapida sui trasmettitori, più lenta sui recettori, ancora più lenta a livello trascrizionale.

D’altra parte, date le reciproche e continue interazioni tra hardware e software cerebrale, è ovvio che ogni intervento terapeutico sul primo ha conseguenze sul secondo. Ad esempio, nel caso di una depressione bipolare con sintomi psicotici dove vi è una alterazione molecolare e forse sinaptica, l’intervento farmacologico sulla struttura comporta un riassestamento anche nei programmi di gestione.

Se esaminiamo a questo punto l’ampia gamma dei disturbi psichiatrici, vediamo come ci si trovi di fronte a un continuum che ha ai suoi estremi rispettivamente le alterazioni primarie strutturali e le alterazioni primarie della programmazione. Ma la gran parte dei disturbi e la varietà infinita dei casi clinici ricadono nel raggio del continuo e mutante gioco tra i due tipi di alterazioni. E ciò riflette quanto avviene nella clinica dove quasi sempre un intervento di due livelli mostra una ottimizzazione dei risultati. Ogni intervento “biologico” ha una componente “psicoterapeutica” così come ogni intervento “non biologico” può potenziare la sua efficacia con una farmacoterapia mirata e selettiva.

Le due culture, quella farmacoterapeutica e quella psicoterapeutica dopo un lungo periodo di dicotomia e di spesso decisa contrapposizione trovano oggi a livello di biologia molecolare e delle scienze dell’informazione la loro fusione e integrazione finale.

La “guarigione” in psichiatria trova così gli strumenti teorici e operativi per essere, come in tutta la medicina, una realtà concreta e non un sogno impossibile.