Depressione Subsindromica e il Problema dell’Inquadramento Diagnostico. Una fase di decorso della depressione, una dimensione patologica autonoma, o un disturbo associato ad altre patologie primarie sia psichiche che somatiche?

Sub-syndromal depression and the issue of diagnostic framing. A phase in the course of depression, a separate pathological dimension, or a disorder associated with other primary psychological or somatic disorders?

A. Palma, P. Pancheri

Fondazione Italiana per lo Studio della Schizofrenia (FIS) III Clinica Psichiatrica dell'Università di Roma "La Sapienza"

Parole chiave: Depressione • Psicopatologia • Sindromi sottosoglia • Decorso e prognosi • Depressione minore • Disturbi dell’umore • Gravità
Key words: Depression • Psychopathology • Sub-threshold syndromes • Minor depression • Clinical course and outcome • Mood disorders • Disease severity

All’interno dei disturbi affettivi, la Depressione presenta una molteplicità di manifestazioni cliniche che, come noto, variano in funzione del criterio di fase-polarità, unicamente depressiva oppure bipolare maniaco-depressiva, dell’eventuale ipotesi eziopatogenetica definita per semplicità didattica in “primaria”, “secondaria”, “nevrotica”, “psicotica”, “reattiva”, “endogena”, inoltre in base alla gravità, modalità d’esordio, durata, tipo di decorso ed infine rispetto al differente corollario sintomatologico psichico e somatico.

Nonostante l’interesse medico internazionale ad elaborare manuali per un inquadramento nosografico quanto mai esaustivo, alcuni ricercatori sottolineano come l’estrema varietà della fenomenica psicopatologica, talvolta, difficilmente risponda e si adatti ai criteri tassonomici previsti per la riduzione dei quadri clinici in rigide categorie diagnostiche.

Come risposta a ciò, le recenti versioni dei manuali di classificazione per le malattie mentali hanno presentato un ulteriore riadattamento di alcuni criteri tassonomici e un ampliamento delle possibilità diagnostico-categoriali. Oltre alla ben nota collocazione dell’Episodio Depressivo nella categoria dei Disturbi Affettivi, sono state previste delle specifiche sezioni, aggiuntive, nelle quali includere quei disturbi che, come descritto nel DSM-IV, presentano “un quadro misto” di Ansia e Depressione oppure associano ad un Disturbo dell’Adattamento aspetti depressivi o, come sottolineato anche nell’ICD-10, quelle sindromi in cui le manifestazioni cliniche della flessione dell’umore restano “Non Specificate” rispetto ai criteri di riferimento considerati dal manuale.

Tra i problemi più comuni della pratica psichiatrica c’è infatti quello di riconoscere e differenziare rapidamente quand’è che una flessione dell’umore di grado lieve, mantiene i caratteri di risposta adattativa fisiologica o, al contrario, assume una connotazione esclusivamente patologica. Nel caso di disturbi depressivi minori, infatti, si propone costantemente la valutazione del concetto di “soglia” nella diagnosi differenziale tra Demoralizzazione e Depressione Lieve, soprattutto per decidere l’opportunità e il tipo di intervento terapeutico da adeguare alle necessità del singolo caso.

Questo lavoro oltre a fornire una connotazione epidemiologica del problema “Depressione Sottosoglia”, affronta, secondo un profilo clinico qualitativo, alcuni dei problemi d’inquadramento diagnostico che emergono nella valutazione dei quadri Depressivi Minori.

A riguardo viene presentata una sintesi delle recenti innovazioni nella nosografia dei moderni manuali ed un’analisi critica dei dati della letteratura sulle proposte diagnostiche elaborate rispetto alla Depressione Sottosoglia. Nella speranza di fornire ulteriori informazioni, per l’inquadramento delle condizioni cliniche minori con tonalità affettiva negativa, sono descritti alcuni lavori scientifici che hanno considerato il problema diagnostico della Depressione Sottosoglia rispetto al contesto di medicina generale di prima assistenza e specialistico di psichiatria. Da ultimo è considerato il ruolo dei tratti di personalità, del temperamento premorboso e del concetto di “spettro” sempre in relazione alla condizione depressiva sottosoglia.

La ricerca sperimentale degli ultimi decenni si è interessata soprattutto allo studio delle somiglianze e al confronto dell’efficacia-tollerabilità dei nuovi antidepressivi nella Depressione Maggiore, resta ancora aperta tuttavia la discussione sulle differenze biologiche, su eventuali fattori di suscettibilità, anche genetici, che potrebbero essere alla base dell’eterogeneità clinica per gravità, durata e decorso dei quadri depressivi.

Riguardo la Depressione Sottosoglia sono ancora poco chiari i processi psicologici e i fattori biologici che ad esempio regolano le differenze tra una depressione di tratto, temperamentale, “di personalità”, rispetto ad una di stato, “di malattia episodica”. Non è ancora noto se esistono alcune variabili in grado di regolare il passaggio di una condizione nell’altra, di facilitare la coesistenza di entrambe con diversa intensità, come nelle “Depressioni Doppie” e, ancora, cos’è che, in alcuni casi, favorisce la risoluzione dello “stato” rispetto al “tratto” o talvolta facilita il viraggio in altre forme depressive.

Senza entrare in merito alla trattazione delle numerose teorie psicodinamiche con le quali si è tentato di dare una spiegazione eziopatogenetica alle diverse forme di “nevrosi depressiva”, questo studio tenta di valutare i limiti del significato adattativo della depressione, riconfermando i criteri fondamentali dell’abilità terapeutica. Viene dato particolare rilievo alla necessità di riconoscere la natura e l’entità del disturbo per una scelta terapeutica, che non comprometta il delicato equilibrio tra l’arricchimento evolutivo che può seguire una condizione frustrante e un disturbo affettivo lieve che, se non riconosciuto, pregiudica, talvolta radicalmente, la vita di un individuo e della sua famiglia (1).

Da un lato, infatti, come già ampiamente sottolineato da Freud l’acquisizione della capacita di tollerare la frustrazione, l’elaborazione dei sentimenti di disperazione, di vuoto, la ricerca di un temporaneo isolamento sociale e l’incapacità di provare piacere, spesso associati ai vari vissuti di perdita, sono delle esperienze importanti per lo sviluppo affettivo dell’individuo e talvolta può risultare “inopportuna e persino dannosa qualsiasi interferenza”. Secondo un altro punto di vista il disconoscimento di una reale “condizione reattiva-depressiva” o semplicemente “minore”, la mancata valutazione di una suscettibilità biologica verso i disturbi affettivi possono assumere una connotazione prognostica negativa per l’individuo e la comunità. Talvolta, infatti, tali condizioni possono esitare in forme cliniche più gravi o assumere un decorso cronico dove i tempi di risoluzione e di recupero sono più lunghi e sono raggiunti con maggiore difficoltà (2).

Il Disturbo Depressivo nel DSM-IV, ICD-10:
il problema del sottotipo Non Altrimenti Specificato (NAS) e le Depressioni Minori

È a tutti noto come nei manuali nosografici e statistici sia riconfermato e sostenuto soprattutto un metodo diagnostico basato sull’evidenza empirica e come la standardizzazione dei criteri clinici favorisca e sottolinei la priorità del piano pratico e funzionale su quello teorico. Si tratta di sistemi operativi che escludono l’analisi psicopatologica del disturbo e considerano come obiettivo principale la riduzione delle eventuali distorsioni diagnostiche causate dalla soggettività del giudizio del clinico.

I manuali diagnostici presentano infatti un ruolo esclusivamente classificatorio e la loro utilizzazione si mantiene indipendente e, inequivocabilmente, resta subordinata al giudizio del clinico.

Per una breve panoramica dell’attuale stato dell’arte sulla classificazione dei disturbi affettivi con connotazione depressiva viene fatto riferimento soprattutto ai due sistemi diagnostici maggiormente utilizzati e condivisi dalla psichiatria internazionale e, pertanto, alla quarta revisione del manuale Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) dell’American Psychiatric Association DSM-IV e alla decima versione della Classificazione Internazionale della Sindromi e dei Disturbi Psichici e Comportamentali (ICD10) a cura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (3,4).

Come è noto, nel DSM-IV l’inquadramento nosografico è di tipo multiassiale (Tab. I) e i disturbi psichici, compresi quelli dell’umore, vengono classificati sostanzialmente sulla base di quattro criteri che sono rispettivamente quello sintomatologico, cronologico, funzionale e di esclusione. Nel DSM IV la diagnosi di Depressione Maggiore viene stabilita, infatti, sulla positività di almeno cinque sintomi su nove e tra questi devono risultare inclusi obbligatoriamente “l’umore depresso” o la “perdita di interesse o del piacere in quasi tutte le attività”. La scelta diagnostica si basa inoltre sull’osservazione di una sintomatologia che abbia dimostrato una frequenza quasi giornaliera ed una durata di almeno due settimane, durante le quali il disagio psicofisico abbia condizionato in modo evidente il funzionamento lavorativo, familiare e sociale del soggetto. Altro criterio di estrema importanza è quello che stabilisce l’esclusione di qualsiasi relazione tra depressione maggiore e gli effetti psicotropi di una droga, di un farmaco o di una malattia fisica coesistente con la flessione dell’umore. Alla semplice condizione di Episodio Depressivo Maggiore il DSM-IV unisce inoltre una serie di codifiche per differenziare le molteplici caratteristiche dell’espressione clinica rispetto alla gravità e al tipo di decorso. Per evitare una noiosa trattazione sulle differenze nosografiche dell’evoluzione diagnostica della depressione unipolare e per evidenziare rapidamente le innovazioni nella classificazione della depressione bipolare, ricordiamo brevemente con una tabella sinottica i cambiamenti più significativi che la quarta revisione del DSM ha apportato nell’inquadramento dei disturbi dell’umore (Tab. II) (5).

La classificazione delle sindromi affettive secondo ICD10 non presenta differenze sostanziali con i criteri organizzativi e classificatori generali del DSM-IV (Tab. III) (4,5). Nonostante le diverse esigenze culturali che hanno modulato l’elaborazione dei due manuali e, che evidenziano nell’ICD-10 la preferenza di criteri nosografici basati sui principi della psicopatologia classica e la tendenza a fornire al clinico delle linee guida, piuttosto che proporre delle precise regole come accade invece nel DSM-IV, è possibile osservare molti punti di confluenza che, probabilmente, derivano dalla necessità di rendere compatibili i due sistemi di classificazione. Quest’ultimo aspetto è confermato, in parte, anche dall’inserimento nella nuova edizione del DSM di apposite sezioni in cui sono ricordate le “relazioni con i criteri diagnostici dell’ICD-10”. Anche nel sistema con tradizione psichiatrica europea, la diagnosi di Disturbo Depressivo è elaborata rispetto ad una durata minima di due settimane, all’esclusione nell’arco della vita di sintomi maniacali e all’assenza di relazioni con assunzione di sostanze psicostimolanti o con qualsiasi malattia mentale organica.

Nell’ICD-10 la gravità viene stabilita sulla presenza di almeno due su tre sintomi definiti “essenziali” (umore depresso, perdita di piacere per le comuni attività, riduzione dell’energia fisica) e sulla quantità delle associazioni con alcuni sintomi “addizionali” predefiniti (perdita di sicurezza, autocolpevolizzazione, indecisione, disturbi psicomotori, modificazioni del sonno, variazioni dell’appetito e del peso), fino a raggiungere un totale di almeno quattro, sei, otto segni clinici per definire, a secondo dei casi, uno stato depressivo rispettivamente lieve, moderato o grave.

C’è da sottolineare, tuttavia, che l’ICD-10 rispetto al DSM-IV presenta alcune diversità nella classificazione dei disturbi affettivi, come ad esempio la maggiore attenzione che il manuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) attribuisce alla componente somatica, ai cosiddetti sintomi biologici che possono essere inclusi o esclusi nel quadro clinico.

Per quanto riguarda l’eterogeneità fenomenica della depressione e soprattutto le forme lievi, c’è da evidenziare come l’ICD-10 fornisca un più ampio margine diagnostico poiché considera come categoria separata la Sindrome Mista Ansioso-Depressiva (F41.2), ma soprattutto perché riconosce alla “Neuroastenia” una dimensione autonoma all’interno della sindromi nevrotiche. Al contrario del DSM-IV, la “Neuroastenia o Nevrastenia” dell’ICD-10 mantiene infatti una connotazione distinta sia da categorie esclusivamente affettivo-depressive che prevalentemente reattivo-ansiose. In assenza di altre malattie organiche o psichiche, “le penose e persistenti sensazioni di esaurimento e di affaticamento dopo ogni minimo sforzo psichico o fisico”, associate, da almeno tre mesi, ad uno dei sintomi descritti nella Tabella IV vengono considerate con un significato diverso rispetto alla Distimia. Sulla base di criteri di classificazione più ampi, la “Nevrastenia” presenta un significato clinico che probabilmente è più prossimo al significato “Sindrome da Affaticamento”, una dimensione psicopatologica che non incontra completamente i criteri per una sottotipizzazione diagnostica nei disturbi affettivi né per una connotazione all’interno delle più comuni sindromi ansiose, fobiche, da somatizzazione o legate a stress.

La grande differenza tra ICD-10 e DSM-IV è rappresentata pertanto dall’eliminazione della “nevrosi depressiva” che, già nel DSM-III-R, era posta in secondo piano e compariva tra parentesi. L’elemento di diversità tra i due sistemi ancor più interessante è rappresentato, probabilmente, dall’esclusione della tipizzazione della Distimia in Primaria e Secondaria e, quindi, del concetto di causalità ovvero di una probabile relazione tra un’alterazione dell’umore ed un preesistente disturbo cronico di Asse I o III.

Nonostante l’evoluzione e l’ampliamento dei moderni sistemi tassonomici, finora considerati, persiste ancora una certa difficoltà ad inquadrare alcuni “stati depressivi” che per frequenza, gravità e caratteristiche del fenotipo clinico non rispondono ai modelli classici dell’episodio depressivo.

In uno studio su 666 pazienti provenienti da cinque diversi centri di prima assistenza sanitaria e da due strutture ambulatoriali psichiatriche, Zinberg ha sottolineato l’importanza di definire la soglia di quei sintomi che partecipano a determinare un peggioramento nel funzionamento generale e che, sebbene non incontrino i criteri per una diagnosi di Ansia o di Disturbo Affettivo in Asse I, costituiscono un’ampia realtà clinica. La classificazione di questi quadri clinici spesso è relegata all’interno di gruppi diagnostici residui, “non altrimenti specificati” come accade ad esempio per i quadri misti ansiosi-depressivi (6).

Sempre nella ricerca di Zimberg, il gruppo di pazienti con disturbi NAS ha presentato punteggi significativamente più bassi alla Scala per la Valutazione Globale del Funzionamento (VGF) rispetto al gruppo con assenza di malattia psichiatrica, ma non differenti da quelli rilevati in soggetti con Fobia Sociale, Fobia Semplice o con Distimia.

Nei pazienti reclutati presso i centri di assistenza medica primaria, l’analisi dei punteggi della scala VGF ha dimostrato inoltre come l’esperienza soggettiva di un importante peggioramento funzionale non può essere completamente spiegata sulla base della gravità della malattia somatica. Tra i soggetti ricorsi ad assistenza medica e i pazienti psichiatrici ambulatoriali lo studio ha valutato il peso relativo degli items della scala Hamilton rispettivamente per l’Ansia e per la Depressione distinguendo tre fattori. Il primo definito “affettività negativa”, comune ai disturbi d’ansia e depressivi, comprendeva sintomi come: bassa autostima, demoralizzazione, irritabilità, lievi alterazioni del sonno, distraibilità. Il secondo, “specifico per l’ansia”, riguardava sentimenti di tensione, nervosismo, incertezza, e panico. Il terzo infine, della “depressione”, includeva l’anedonia, sentimenti di disperazione, ideazioni suicidarie, umore depresso. I risultati hanno descritto che il punto di cut-off tra assenza di disturbi mentali e disturbo misto ansioso-depressivo è rappresentato dalla presenza di 3-4 sintomi su 10 del fattore “affettività negativa”. Più esattamente è stato calcolato che il 54% dei pazienti NAS riceve una diagnosi di Disturbo Misto Ansioso Depressivo quando sono presenti 4 o più sintomi del fattore “affettività negativa” ed è esclusa la presenza di una diagnosi attuale o pregressa di Episodio Depressivo, di Distimia, o di Ansia Generalizzata (Fig. 1).

L’analisi statistica ha dimostrato pertanto che un campione “aspecifico” di sintomi depressivi e d’ansia costituisce la rappresentazione modale in pazienti che lamentano dei “sintomi soglia”, generalmente sottodiagnosticati. Gli autori sottolineano come l’alternativa di inserire una categoria per i disturbi misti ansioso-depressivi ha come vantaggio il riconoscimento clinico, esplicito di sintomi “non specifici” che sembrano caratterizzare la condizione psichica di molti di questi pazienti. Secondo gli autori abbassando la soglia dei sintomi per l’episodio depressivo maggiore potrebbe aumentare, inoltre, il rischio di errore diagnostico quando non sono presenti anedonia ed ideazione suicidaria che, come stabilito dalla nosografia internazionale, contraddistinguono la depressione maggiore.

Zimbarg ha osservato che se, ad esempio, viene modifica la richiesta diagnostica da cinque a tre sintomi del criterio A per l’Episodio Depressivo maggiore e si riduce la frequenza del disturbo da “per gran parte del giorno” in “quasi ogni giorno”, circa il 68% dei soggetti NAS potrebbe essere inserito all’interno della categoria dell’Episodio Depressivo. La ricerca sottolinea quindi l’opportunità di stabilire quale sia l’inter-rater reability nelle diagnosi miste di tipo NAS e come sia importante lo studio della specificità e sensibilità dei cosiddetti “sintomi marcatori” rispetto al concetto di soglia. Alla luce di quanto descritto in questo studio risulta suggestivo valutare, su una casistica più ampia, se nei disturbi NAS la gravità di ciascun “sintomo peculiare” di un’entità categoriale acquista un maggior peso sul giudizio clinico e soggettivo della compromissione del funzionamento generale rispetto, ad esempio, alla numerosità dei sintomi lamentati.

La difficile adattabilità dell’eterogeneità clinica della depressione ai modelli classificatori standardizzati trova un’ulteriore conferma oltre che nell’estensione di contenitori diagnostici residui, nei quali poter includere un “disturbo depressivo non altrimenti specificato” (DSM-IV) ed alcune “sindromi affettive specificate e non specificate” (ICD-10) anche nell’elaborazione di appendici aggiuntive come la B del DSM-IV, nella quale sono proposti dei criteri di ricerca alternativi per i Disturbi Distimici, Depressivi Minori, Depressione Breve Ricorrente e Disturbo Misto Ansioso-Depressivo.

Allo stato attuale restano da risolvere i problemi che emergono ogni volta che il clinico si trova a valutare persone che lamentano, come disagio principale, dei segni clinici depressivi che non rispondono completamente ai criteri stabiliti per definire una qualsiasi alterazione dell’umore o altro disturbo mentale.

Il problema delle “depressioni non altrimenti specificate” evidenzia, inoltre la realtà clinica dell’impossibilità di uno studio sistematico delle cosiddette Depressioni Minori, poiché permettendo l’inclusione arbitraria in una stessa categoria di tipologie cliniche spesso considerate genericamente “subsindromiche”, con aspetti psicopatologici definiti arbitrariamente e che talvolta rischiano di essere sostanzialmente diversi, viene amplificata ulteriormente la varietà di significati diagnostici attribuiti alle forme minori.

Alla luce di quanto considerato finora risulta evidente l’importanza di un’analisi clinica del concetto di “Depressione Sottosoglia”. Sulla base dei dati sperimentali disponibili, è importante chiarire quanto sia corretto attribuire alle forme Depressive Minori il significato di fase, di decorso della depressione o di dimensione patologica episodica con un peso relativo indipendente anche rispetto ad una condizione basale di tratto o riguardo ad altre dimensioni psicopatologiche.

Il concetto di Disturbo Sottosoglia applicato alla Depressione

Volendo tentare un approfondimento della Depressione Sottosoglia è opportuno circoscrivere innanzitutto l’area dei significati a cui viene fatto riferimento in questa trattazione e che di frequente vengono attribuiti al concetto di patologia subsindromica.

Generalmente viene definito subsindromico o sottosoglia ogni disturbo che non abbia i requisiti minimi richiesti per essere inquadrato in una delle categorie diagnostiche dei moderni manuali tassonomici di frequente uso nella pratica clinica.

Si tratta di condizioni che, se valutate secondo un approccio diagnostico tradizionale, standardizzato su criteri tassonomici categoriali, vengono definite “al limite”, sotto la “soglia” patologica, senza cioè “evidenti”, “gravi” manifestazioni psicopatologiche e che dimostrano una realtà clinica apparentemente trascurabile sul funzionamento generale dell’individuo. Tuttavia nei casi in cui la sofferenza soggettiva, non si associ ad alterazioni biologiche o organiche conclamate, può essere elaborata comunque una diagnosi psichiatrica e la scelta è costruita sulla base dei comuni criteri operativi, definiti clinicamente come ad esempio: la presenza/assenza di sintomi caratteristici, la durata della sintomatologia, il rapporto tra disagio psichico e compromissione di una o più aree di funzionamento lavorativo, scolastico, familiare o sociale. Esistono infatti delle condizioni di sofferenza soggettiva che, per varie ragioni, non giungono a configurarsi né come malattia somatica, né come disturbi psichiatrici con significatività clinica. Una condizione di “malessere” non sostenuta da alcuna causa organica può non avere significato psichiatrico, poiché non sono soddisfatti i criteri diagnostici di nessun disturbo in assenza di criteri minimi necessari (tipo di sintomi, numero di sintomi, loro intensità e durata). Si parla in questi casi di alterazioni “subsindromiche” o “sottosoglia”. Queste alterazioni del vissuto soggettivo non sono di entità tale da alterare in modo evidente le capacità di funzionamento generale, ma possono in varia misura interferire col rendimento sociale e lavorativo impedendo di raggiungere il livello ottimale. Sono in ogni caso fonte di disagio e di malessere per l’individuo. Gli esempi di queste alterazioni “subsindromiche” del vissuto soggettivo sono molte. Essi vanno dalle moderate variazioni circadiane del tono dell’umore (“male al mattino”, “bene alla sera”), del vissuto soggettivo della stanchezza e della fatica, dalle alterazioni globali della cenestesi (“non sentirsi fisicamente in forma”) a vissuti sfumati di tipo depressivo (tristezza, inadeguatezza, esagerata autocritica) e, inoltre, dalla comparsa di piccoli fastidi o dolori transitori ad un aumento del grado di irritabilità (ridotta soglia di tolleranza alla frustrazione). Questi vissuti soggettivi spesso non presentano i caratteri di immutabilità e stabilità, al contrario variano nel tempo, risultano influenzati da eventi quotidiani anche di entità non rilevante, sono condizionati da fattori fisici e biologici di varia natura come l’alimentazione, il livello di attività, l’assunzione di sostanze psicoattive non farmacologiche, come ad esempio alcolici, composti fitoterapici ed inoltre risentono in vario modo dei mutamenti metereologici e così via.

Ogni individuo, tuttavia, per periodi di tempo sufficientemente lunghi può dare una valutazione “globale” delle sua condizione di “benessere/malessere” che rappresenta la sommatoria e l’interazione di diverse variabili soggettivamente valutate in un definito intervallo di tempo. Sulla base di queste considerazioni può essere identificata una dimensione del vissuto soggettivo definita come “benessere/malessere” e che presenta le seguenti caratteristiche:

a) assenza di correlati di interesse clinico (malattie o disturbi);

b) carattere globale e non settoriale del vissuto soggettivo (insieme di vissuti cognitivi, emozionali, somatici);

c) connotazione emozionale nell’ambito del bipolarismo “vissuto piacevole/spiacevole”;

d) relativa stabilità temporale, pur nell’ambito di una reattività agli stimoli endogeni ed esogeni;

e) presenza di sintomi fisici ad intensità lieve moderata.

Questa dimensione è stata da taluni identificata con il costrutto “qualità della vita”. In realtà la dimensione “benessere/malessere” rappresenta una delle componenti soggettive di tale costrutto che viene determinato anche da componenti di tipo obiettivo. Altri hanno dato a questa condizione il significato di “presenza/assenza” di stress. Va tuttavia rilevato come il concetto di stress si riferisca ad una condizione di “risposta aspecifica dell’organismo a qualunque richiesta fatta su di esso” (Selye) e che quindi non sia applicabile correttamente alla condizione in oggetto.

La definizione “benessere/malessere” appare dunque preferibile per identificare questa particolare dimensione del vissuto soggettivo subsindromico.

La valutazione viene, pertanto, riferita ad un vissuto di sofferenza soggettiva a tonalità depressiva o ansiosa più che a situazioni chiaramente strutturate e con gravità psicopatologica tale da esprimersi attraverso un’evidente inibizione della funzionalità del soggetto. Analoghe considerazioni possono essere fatte per altri tratti come la scarsa “lucidità” o la ridotta “vitalità” che possono essere sintomi di un cluster depressivo, ma che in questo caso esprimono varianti di una “normale” condizione di “malessere/benessere”.

Una concreta proposta tassonomica della condizione Depressiva “Sottosoglia” è stata suggerita da Judd ed Angst quando, nei primi anni del 1990, inserirono il concetto di Depressione Subclinica Sintomatica (SSD) (7-10). Questa definizione clinica si riferisce ad una sindrome che, secondo gli autori, risulta caratterizzata da due o più sintomi tipici della Depressione Maggiore ma che, a differenza della Depressione Minore, non comprende umore depresso o anedonia, ha durata minima di due settimane e si manifesta in soggetti che non hanno un quadro clinico generale assimilabile con qualsiasi altra categoria dei Disturbi dell’Umore (Tab. V) (11).

Pincus ha svolto un’interessante revisione sulla frequenza dei criteri diagnostici e delle espressioni utilizzate in letteratura per “stigmatizzare” la condizione depressiva minore” e “sottosoglia” (12). Lo studio era rivolto al chiarimento di futuri argomenti di ricerca finalizzati ad una maggiore specificità descrittiva per i disturbi sottosoglia in contesti psichiatrici e soprattutto nella medicina di primo intervento.

Dall’analisi di 36 lavori pubblicati tra il gennaio 1991 ed il dicembre 1995 è risultato che la Depressione Minore è stata descritta utilizzando nove definizioni tra loro diverse come ad esempio “Disturbo Depressivo Minore”, “Depressione Minore con, senza disturbo dell’umore”, e come riportato nella Tabella VI, ben cinque di queste erano riferite alla sola “Depressione Sottosoglia”. Inoltre in 8 studi sperimentali i sintomi depressivi sono stati descritti secondo i criteri proposti da Angst, al contrario quelli dell’ICD10-DCR sono stati osservati da un unico lavoro.

Per la diagnosi di “Depressione Sottosoglia” erano richiesti più frequentemente da 2 a 5-6 sintomi e, spesso, 5 erano limitati alla Depressione Breve Ricorrente, tuttavia in più della metà degli studi veniva considerata imprescindibile la presenza di anedonia ed umore depresso. Oltre alla lista dei sintomi del criterio A del DSM la diagnosi veniva elaborata anche sulla significatività dei punteggi di strumenti psicometrici come ad esempio la Beck Depression Inventory, la Hamilton per Ansia e Depressione, la Inventory to Diagnose Depression. Nella casistica generale veniva richiesta infine una durata media di 2 settimane.

La ricerca di Pincus presenta una grande utilità clinica e sperimentale poiché fornisce una chiara descrizione di come sia difficile inquadrare la natura e l’estensione di un disturbo che sebbene sia genericamente riconosciuto e largamente diffuso nella popolazione generale, presenta ancora un’eterogeneità descrittiva così ampia che pregiudica qualsiasi studio sistematizzato e finalizzato a definire l’efficacia dei diversi interventi terapeutici.

Un ulteriore interessante argomento di discussione sono le proposte di alcuni autori riguardo futuri cambiamenti dei sistemi nosografici. Tra queste c’è da segnalare quella che suggerisce l’eliminazione di alcune categorie diagnostiche come il Disturbo dell’Adattamento a favore di altre sottotipizzazioni del disturbo depressivo, nelle quali sia considerata anche la relazione con fattori stressanti. Si tratta di ipotesi interessanti, ma indubbiamente molto complesse che esulano da questa trattazione e che, per un’adeguata discussione, meriterebbero una verifica sui dati di decorso del disturbo depressivo e su valutazioni longitudinali di ampie casistiche di quadri affettivi “minori” rispetto agli eventi di vita. C’è comunque da tenere presente il limite diagnostico di un sistema di classificazione standardizzato rispetto alla realtà clinica di ciascun soggetto e soprattutto è opportuna una stima del rischio di medicalizzare anche situazioni fisiologicamente reattive, compromettendo anche in questo caso la “qualità della vita”. Negli ultimi dieci anni, molti studi hanno sottolineato, quindi, l’esigenza di elaborare criteri diagnostici più specifici e sensibili per la diagnosi dei disturbi depressivi minori. Come, infatti, anticipato da Wells (13), Ormell (14) e ribadito anche da Angst e Merikangas (15) esiste un’importante percentuale di soggetti che lamentano “sindromi depressive” che non superano la soglia diagnostica dei sistemi nosografici, ma che si presentano come veri e propri disturbi quando sono valutati in base alla gravità della sofferenza psichica e della stima soggettiva del peggioramento funzionale. Le modalità d’insorgenza e le espressioni cliniche delle Depressioni Minori sono varie, possono infatti manifestarsi isolatamente, talvolta in comorbidità con problemi somatici di varia gravità o, ancora insorgere in soggetti con disturbi d’ansia o con familiarità per disturbi affettivi. Per una migliore chiarezza espositiva nei paragrafi che seguono sono considerati separatamente le ricerche che hanno valutato la rilevanza epidemiologica della Depressione Sottosoglia nei diversi contesti clinicici e gli studi che hanno considerato i problemi di diagnosi differenziale dei Disturbi Depressivi Minori rispetto all’Asse III (DSM-IV) e in relazione al concetto di “spettro”, di decorso della malattia maniaco-depressiva.

La rilevanza epidemiologica della Depressione Subsindromica nei diversi contesti clinici

L’importanza delle condizioni depressive di lieve gravità rischia di essere in molti casi sottostimata, al contrario, la comune esperienza clinica dimostra come la considerazione diagnostico-terapeutica della patologia psichica sottosoglia in comorbidità risulta un importante fattore risolutivo o comunque migliorativo della prognosi sia di disturbi fisici e mentali o più in generale del funzionamento socio-familiare, soprattutto quando si fa riferimento a stati di apparente generale salute psicofisica.

Le stime di un lavoro di Judd, descrivono che la Depressione Subsindromica presenta nella popolazione generale una prevalenza compresa tra 8-9%, con una maggiore espressione nel sesso femminile (65% dei casi valutati) e nei soggetti d’età superiore ai 60 anni. Nello studio il 60% del campione lamentava solo due sintomi depressivi, mentre una casistica più esigua riferiva l’esperienza di 4 sintomi senza tuttavia raggiungere mai la “soglia” stabilita per una diagnosi di Depressione Maggiore, Minore, Breve Ricorrente o di Disturbo Distimico. In questo caso i sintomi con maggiore espressione clinica riguardavano soprattutto i disturbi del sonno (45% insonnia), senso di affaticamento (37%), rallentamento ideico e problemi di concentrazione (21%), pensieri di morte (37%), modificazioni ponderali (aumento del peso).

Tra i soggetti che ricercano un’assistenza in medicina generale è stata calcolata una prevalenza complessiva dei sintomi depressivi pari al 24%. Recenti dati epidemiologici evidenziano, inoltre, che i soggetti con depressione attenuata o subclinica, nel 33-41% dei casi, presentano una familiarità per i disturbi dell’umore e, nell’intervallo di due anni, una morbilità per la depressione del 25%.

Secondo i dati di alcuni studi controllati di Gershon (16), Weissman (17) e Maier (18) la prevalenza della Depressione Minore Unipolare o Ricorrente in famiglie senza positività per disturbi psichiatrici, di controllo, è risultata compresa, nei prime due lavori, tra il 2,5% e il 5,3%, mentre nell’ultimo tra il 3,4% e il 6%, in quest’ultimo caso il rapporto maschi femmine è risultato di circa 2:1. Il rischio per Depressione Minore o Ricorrente, al contrario, risulta aumentato tra i discendenti di soggetti con Disturbo Depressivo Maggiore e le percentuali di incidenza sono risultate comprese tra il 3,8% e il 9% (18).

Nonostante il limite di specificità e di sensibilità della Short Depression Screening per la Depressione Subsindromica e per la Depressione Maggiore, Williams ha descritto che lo stato depressivo sottosoglia presenta, nell’assistenza medica primaria, una prevalenza quattro volte superiore alla Depressione Maggiore con valori rispettivamente del 16% e del 4% (19).

I pazienti che richiedono un’assistenza medica e presentano una sintomatologia depressiva sottosoglia rappresentano inoltre un gruppo molto eterogeneo. Come descritto da Olfson, nell’età adulta (45  15 anni) la flessione dell’umore può essere secondaria o parallela ad esempio a malattia somatica, può rappresentare i segni prodromici di un Disturbo Depressivo Maggiore, in alcuni casi può far parte di un disturbo dell’umore breve ricorrente o, ancora, può essere la conseguenza di una risposta adattativa del soggetto ad un evento stressante (20). Si tratta tuttavia di condizioni che in linea generale sfuggono ad un’analisi psicometrica dettagliata e che, se analizzate secondo un profilo longitudinale, potrebbero fornire interessanti informazioni per una dettagliata tipizzazione dei disturbi depressivi rispetto ai parametri temperamentali, strutturali biologici, dell’individuo e alle variabili psicosociali. C’è da aggiungere che in gran parte degli studi il genere sessuale femminile e l’età avanzata hanno mostrato correlazioni positive con un aumento della prevalenza della sintomatologia depressiva di tipo minore. In una popolazione di soggetti anziani, valutati in un contesto di prima assistenza medica, Oxman ha osservato infatti che circa il 52% dei casi riferisce una sintomatologia depressiva minore. Rispetto alla condizione di medicina generale, nelle comunità non psichiatriche i tassi di prevalenza delle Depressioni Minori sono stati calcolati lievemente più alti e come osservato in una ricerca di Angst con follow up di 15 anni, i valori sono stati del 32%.

Come condiviso infine dall’opinione clinica comune ed accertato in alcune ricerche epidemiologiche, i soggetti con flessione dell’umore, in assenza di disturbi depressivi conclamati e che, ad esempio lamentano una “depressione sottosoglia”, presentano un’effettiva morbilità somatica ed evidenti disturbi psicofisici (21-24).

Le Depressioni Minori in comorbidità con malattie somatiche: il problema dell’Asse III

Un aspetto che spesso inquina e complica il processo diagnostico nelle forme depressive minori è rappresentato dalla coesistenza temporale di disturbi psichici con malattie somatiche che secondo l’organizzazione multiassiale del DSM sono descritte in asse III. Esiste a riguardo un’ampia letteratura dedicata allo studio dei setting clinici della “psichiatria di consulenza” e di “collegamento”. Già vent’anni fa Koranyi osservava che il 46% della popolazione con disturbi psichiatrici presenta problemi somatici sottodiagnosticati, gran parte dei quali spesso partecipano nel determinare anche una sintomatologia psichiatrica (25). Non è questo il contesto per un approccio olistico alla malattia somatica, questa trattazione si limita infatti a considerare il ruolo ed il peso clinico del disturbo depressivo rispetto alla malattia fisica, sottolineando la difficoltà di differenziare una diagnosi psichiatrica soprattutto quando si tratta di forme depressive minori. La valutazione della frequenza con cui la flessione dell’umore si associa ai disturbi somatici è stata oggetto di molte ricerche epidemiologiche (Tab. VII) ed è abbastanza noto come nel cancro, nei disturbi cardiovascolari, in alcune endocrinopatie e malattie neurologiche venga preferito un trattamento combinato che, talvolta, consente di sfruttare il sinergismo di sistemi neurotrasmettitoriali ed apparati biologici tra loro strettamente connessi (26).

Come semplice chiarimento a quanto brevemente ricordato basti pensare al ruolo della dimensione affettiva nella modulazione dell’attività del sistema immunitario, dell’apparato cardiovascolare, gastrointestinale. In soggetti con problemi medico-chirurgici la discriminazione di un Disturbo Distimico e di forme Depressive Minori risulta piuttosto complessa poiché, come noto, i comuni sistemi nosografici escludono la diagnosi psichiatrica quando i sintomi psichici possono presentare eventuali connessioni con gli effetti secondari della malattia o di terapie sintomatiche. La diffusione del Disturbo Distimico nella popolazione che richiede un intervento medico ha presentato ampie conferme sperimentali.

In una ricerca di Browne su 4327 pazienti di un servizio di prima assistenza dell’Ontario, valutati con la versione breve della University of Michigan Composite International Diagnostic Interview (UM-CIDI), dopo uno studio di un anno, è stata confermata una prevalenza del disturbo distimico nel 5,1% dei casi (27). Secondo i dati della ricerca circa il 90% dei soggetti distimici ha presentato positività per altri disturbi di Asse I tra cui la Depressione Maggiore, il Disturbo di Panico, la Fobia Semplice e il Disturbo d’Ansia Generalizzata. Secondo le stime del US National Comorbidity Study la prevalenza annuale del Disturbo Distimico nella popolazione generale è descritta intorno al 2,5% (28). Altri studi, che hanno considerato la prevalenza della Distimia rispetto all’arco della vita, riportano stime che variano dal 3,1% al 6,4% (29). L’aspetto interessante che emerge da gran parte di queste analisi epidemiologiche è rappresentato dal frequente riscontro, nei servizi medici di assistenza primaria, di disturbi minori dello spettro affettivo associati a disturbi fisici, e soprattutto come spesso il peggioramento del funzionamento generale sia valutato secondo un’auto-osservazione piuttosto che con strumenti psicometrici.

Hochstrasser ed Angst hanno svolto un’interessante indagine prospettica su un’ampia popolazione di giovani svizzeri per osservare la prevalenza e il decorso nel tempo di “sintomi funzionali” di tipo gastrointestinale rispetto alla prevalenza di problemi psichiatrici di diverso tipo, gravità ed appartenenti alla categoria dei disturbi depressivi e d’ansia (30). La ricerca mirava a chiarire l’opportunità di considerare i disturbi funzionali gastrointestinali come dei potenziali fattori di rischio per l’insorgenza secondaria di disturbi d’ansia e, o depressivi e la possibilità di considerare le sindromi gastrointestinali come dei “tratti stabili”, piuttosto che “una condizione fluttuante” nelle diverse fasi della vita.

La valutazione psicometria, ripetuta quattro volte nell’arco di 10 anni, svolta su 4567 giovani nel periodo di crescita dai 20 ai 30 anni, ha evidenziato che i sintomi senza base organica come ad esempio gastralgia, dispepsia, nausea, vomito, colon irritabile coesistono parallelamente con alcune categorie di disturbi psichiatrici e soprattutto con condizioni subsindromiche depressive o ansiose. L’autore conclude osservando che i disagi psichici, nelle varie forme di gravità, potrebbero rappresentare l’espressione clinica di un comune “disturbo psicovegetativo”. Tuttavia come emerso in diverse ricerche la presenza di una sintomatologia fisica comporta, soprattutto in contesti di medicina generale il disconoscimento di una comorbidità psichiatrica (31,32). Alcuni autori hanno sottolineato inoltre che la frequenza e la concordanza della diagnosi psichiatrica con quella esclusivamente medica varia rispetto al primo contesto di intervento clinico. È stato infatti descritto che nella medicina generale alcuni disturbi depressivi rimangono, purtroppo, sottodiagnosticati o non riconosciuti in comorbidità con problemi somatici (Fig. 2) (12). A riguardo, resta ancora da chiarire se questo fenomeno sia da spiegare dando maggiore rilievo alla scarsa compliance del paziente verso problemi psichiatrici o facendo riferimento esclusivamente ad una ridotta sensibilità diagnostica del clinico. Dalla letteratura degli ultimi anni emerge, tuttavia, che esiste un’interessante prevalenza dei Disturbi Depressivi Minori nella medicina generale con tassi che variano dal 4,5%, come descritto in una ricerca di Weiller, al 17% come riportato da Hance in uno studio limitato a pazienti con malattia coronarica (33,34) (Tab. VIII).

Sherbourne ha valutato l’incidenza della Depressione Sottosoglia in 775 pazienti con un disturbo depressivo in atto, in 1420 soggetti con depressione sottosoglia e in 1767 ipertesi una parte dei quali con depressione, i restanti altri senza disturbi affettivi (35).

Secondo le ipotesi di Sherbourne, qualora la “Depressione Sottosoglia” fosse ritenuta un’espressione del Disturbo Depressivo, si dovrebbe attendere un’evidente positività anamnestica, personale e familiare per i Disturbi Affettivi. Al contrario, se la “Depressione sottosoglia” descrivesse soprattutto una comorbidità tra disturbi fisici e psichici, sarebbe lecito attendersi relazioni più significative con i disturbi somatici. Secondo l’autore, nella pratica clinica non dovrebbero emergere, inoltre, disturbi affettivi isolati. Infine se la Depressione Sottosoglia rappresentasse una scarsa auto-percezione di benessere in soggetti affetti da malattie fisiche croniche, allora sarebbe lecito attendersi somiglianze demografiche e cliniche tra pazienti affetti da una certa patologia fisica con e senza Depressione.

I risultati dello studio hanno rilevato che la percentuale di soggetti con Depressione Sottosoglia e con familiarità per Depressione era simile a quella dei soggetti con un disturbo depressivo, con una frequenza stimata rispettivamente del 41% e del 59%. Nel contesto di valutazione psichiatrico la familiarità per disturbi affettivi dei pazienti con Depressione Sottosoglia e con disturbo depressivo era rispettivamente del 52% e del 55%, al contrario negli ambulatori di medicina generale erano descritti rispettivamente nel 58% e nel 39% dei casi. Le percentuali di comorbidità erano simili in entrambe le sottopopolazioni sia per i disturbi somatici (diabete, infarto del miocardio, insufficienza cardiaca congestizia) che psichiatrici, valutati secondo i criteri del DSMIII, (ansia generalizzata, attacchi di panico, fobia, schizofrenia, disturbi da abuso di sostanze ecc.), ad eccezione dei Disturbi d’Ansia più frequenti nei pazienti depressi.

Tra i soggetti ipertesi, esaminati in medicina generale quelli con depressione sottosoglia presentavano aspetti clinici e demografici più simili alla categoria dei depressi, rispetto agli ipertesi non depressi.

Secondo la ricerca, quindi, la Depressione Sottosoglia ha confermato le caratteristiche di un disturbo affettivo. È stato inoltre osservato che la richiesta di aiuto terapeutico era favorita nel 69% dei soggetti seguiti in medicina generale e nel 94% dei pazienti psichiatrici.

Nonostante i limiti di una ricerca che non considera il confronto con soggetti sani, è interessante la proposta di Sherbourne di valutare con un disegno prospettico se il riconoscimento e la terapia di una Depressione Sottoglia sia in grado di modulare nel tempo anche l’andamento dei disturbi cronici somatici e psichici presenti in comorbidità. Resta da chiarire, infatti, se e come trattare i pazienti con Depressione Sottosoglia, nel caso di comorbidità con altri disturbi psichici o fisici. A tale riguardo non è stata raggiunta sufficiente chiarezza sul piano sperimentale per considerare le Depressioni Sottosoglia come degli stati clinici secondari ad altri disturbi psichiatrici, somatici o per stabilire se si tratta di un insieme di sintomi connessi direttamente con la malattia fisica. In alcuni casi la terapia di condizioni affettive sottosoglia potrebbe partecipare ad una riduzione della gravità della malattia in comorbidità, in altri casi i soggetti con sintomi depressivi sottosoglia potrebbero essere affetti in realtà da un disturbo depressivo primario con sintomi che soddisfano il sottocriterio del DSM per una espressione clinica di grado lieve.

Manca ancora una sufficiente definizione di linee guida che consentano di scegliere modalità diagnostiche più dirette e specifiche per distinguere precocemente una sintomatologia sottosoglia rispetto ad una depressione “mascherata” con una presentazione clinica somatica oppure rispetto ad una parziale remissione di un precedente episodio affettivo o, ancora, rispetto ai segni prodromici di un episodio successivo.

Come confermato da una ricerca su 5438 soggetti, coordinata dal gruppo di Sartorius in collaborazione con la World Health Organization, i cosiddetti “disagi”, “problemi psicocologici” nel contesto di medicina generale emergono con una frequenza media del 24% (36). Lo studio descrive inoltre che tra i disturbi psichiatrici con più frequente riscontro clinico ci sono le “Depressioni Ansiose”, l'”Abuso di alcol”, i “Disturbi Somatoformi”, e la “Neurastenia”. Circa il 9% di questi soggetti lamenta un “Disturbo Sottosoglia”, che, sebbene non risponda ai criteri diagnostici tradizionali, descrive una condizione di sofferenza psicofisica clinicamente significativa associata ad un evidente modificazione del funzionamento generale.

Nella medicina generale il riconoscimento di una comorbidità somatica aumenterebbe quindi la possibilità di diagnosi per disturbi psichiatrici e l’opportunità, per i pazienti, di ricevere interventi terapeutici più specifici e talvolta più efficaci.

Spitzer studiando la “qualità della vita” in un contesto psichiatrico di primo intervento ha sottolineato l’importanza di valutare gli effetti di una sintomatologia psichiatrica “minore” sul funzionamento generale dell’individuo. La ricerca ha rilevato che il peggioramento clinico misurato con la Health Related Quality of Life (HRQL) presenta una correlazione positiva anche nei soggetti con disturbi psichiatrici “sottosoglia” e soprattutto in coloro che presentano Depressioni Minori e Disturbi d’Ansia Non Altrimenti Specificati (37). L’aspetto più interessante della ricerca riguarda la differenziazione di diversi “modelli di peggioramento funzionale” tra le varie categorie di disturbi psichiatrici proprio come altri autori hanno rilevato che è possibile distinguere singoli “modelli di peggioramento funzionale” associati alle numerose patologie mediche. Sulla base dei dati ottenuti gli autori sollecitano gli esperti ad applicare costantemente un’indagine più approfondita della “qualità della vita”, utilizzando strumenti psicometrici adeguati che facilitino la messa a fuoco dei disturbi psichiatrici minori con caratteristiche ansiose-depressive. Come ampiamente descritto, si tratta infatti di disturbi che costituiscono la categoria clinica con più frequente riscontro nei contesti di prima assistenza medica e specialistica.

Nel contesto di prima assistenza, una ricerca di Berardi ha riportato inoltre una frequenza del 18% per le condizioni sottosoglia e del 12,4% per disturbi psichiatrici classificati nell’ICD come disturbo d’Ansia Generalizzata, Depressione Maggiore, Neurastenia (38). L’analisi della relazione tra disturbi psichiatrici, comorbidità medica e peggioramento del funzionamento psichico e fisico ha confermato che i disturbi psichiatrici sono frequenti nella medicina generale e si associano ad un significativo peggioramento delle condizioni mentali e fisiche. Il peggioramento funzionale inoltre è risultato più grave nelle patologie mentali rispetto a quelle fisiche. Inoltre anche in questo caso la morbidità per patologie psichiatriche non ha presentato alcuna relazione significativa con la gravità della malattia fisica come risulta dalle valutazioni dei medici generici. Un’attenta osservazione di Olfson ha sottolineato inoltre che nei contesti di prima assistenza medica, i sintomi psichiatrici sottosoglia presentano una frequenza maggiore dei rispettivi disturbi in Asse I (25). Il Ddisturbo di Panico ha presentato, ad esempio, una frequenza del 4,8% rispetto al 10,5% dei sintomi sottosoglia, l’Ansia del 3,7% rispetto al 6,6% delle forme minori e il Disturbo Depressivo del 7,3% rispetto al 9,1% della Depressione Subsindromica. La conclusione degli autori è che le espressioni cliniche con sintomatologia “al limite della significatività” per un inquadramento nosografico tradizionale devono costituire lo stimolo per una valutazione psichiatrica più approfondita che consideri importanti variabili epidemiologiche come ad esempio il ruolo sociale, gli eventi di vita, la familiarità, il genere sessuale, l’età. La letteratura internazionale concorda infatti nel ritenere che i sintomi sottosoglia depressivi sono un interessante fattore di previsione per morbilità psichiatrica tra i soggetti che richiedono assistenza medica e lamentano disturbi somatici e/o sintomi sottosoglia spesso di tipo ansioso-depressivo non meglio specificati. In una considerevole percentuale di soggetti l’autosservazione di un disagio aspecifico e la lamentazione dell’alterazione della dimensione “malessere/benessere” che determina la richiesta di un’assistenza medica, rappresenta un’interessante canale di prevenzione per disturbi più gravi.

Il problema delle personalità e del temperamento depressivo: il concetto di spettro

Un campo di indagine in crescente sviluppo negli ultimi anni è rappresentato dallo studio dei disturbi psichiatrici secondo il concetto di spettro. Tra gli aspetti più interessanti c’è da considerare soprattutto il rilievo dato allo studio dei vari tipi di personalità e soprattutto alle caratteristiche del temperamento premorboso come fattori di previsione per lo sviluppo di eventuali disturbi affettivi e psicotici (39,40).

L’approfondimento degli stili di personalità rispetto ad una valutazione psicopatologica inoltre, ha ulteriormente stimolato la discussione su come stabilire il limite tra aspetti depressivi temperamentali e quadri clinici sottosoglia. Le più note controversie osservate in letteratura riguardano la posizione dei diversi autori nel definire la “Personalità Depressiva” e soprattutto la possibilità di considerare eventuali relazioni tra essa e le molteplici espressioni cliniche dei Disturbi Affettivi.

Nel corso degli anni è stato possibile distinguere fondamentalmente due scuole di pensiero. La prima segue quanto sostenuto da Schneider e considera “la Personalità Depressiva” come un estremo di un “continuum” di variabili di personalità “normali” non patologiche, quindi distinte dai disturbi dell’umore. La seconda, al contrario, sostenuta da Kraepelin (1921), Kretschmer (1925) e recentemente dai gruppi di ricerca coordinati da Akiskal, Placidi, Cassano configura la “Personalità Depressiva” nello spettro dei disturbi affettivi classificati dal DSM-IV in Asse I. In diverse ricerche Akiskal ha descritto, inoltre, una stretta relazione tra Disturbo Distimico e personalità depressiva, rinforzando la teoria che le due condizioni affettive rappresenterebbero l’espressione clinica alternativa di una comune diatesi costituzionale. Secondo quest’ultima ipotesi, la Personalità Depressiva ed i disturbi dell’umore avrebbero un’unica matrice strutturale e funzionale con caratteristiche fenotipiche che variano in base ai diversi aspetti patologici con i quali può manifestarsi la malattia depressiva.

A tale proposito li gruppo di Maier ha tentato di chiarire se le varie espressioni cliniche della Depressione Minore mostrano le caratteristiche di un “disturbo cronico” oppure rappresentano una condizione “episodica autolimitata” (41). Attraverso una valutazione longitudinale di soggetti afferenti a servizi di prima assistenza clinica, la ricerca ha cercato di definire se solo una percentuale minore di soggetti con sintomatologia depressiva minore sviluppa una Depressione Maggiore o se, al contrario, le forme lievi rappresentano delle condizioni psicologiche residue della stessa Depressione Maggiore. I dati riguardano uno studio di follow-up, di un anno, svolto su 400 soggetti valutati con la Social Disability Schedule (SDS), una scala per la stima del funzionamento rispetto al ruolo sociale e con la Composite International Diagnostic Interview (CIDI), un’intervista che indaga la presenza nell’arco di due settimane di disturbi dell’umore, del sonno, dell’appetito, la perdita di interesse ed energia, la velocità psicomotoria, l’autostima, la concentrazione e le ideazioni suicidarie.

Le conclusioni della ricerca possono essere riassunte nei seguenti punti: le Depressioni Minori, quelle che non rispondono ai criteri nosografici internazionali per la soglia di Episodio o Disturbo Depressivo, presenterebbero delle importanti stime di prevalenza nei servizi medici non psichiatrici. Ad un anno di distanza i pazienti con più alta morbilità per Episodio Depressivo Maggiore sono risultati coloro che avevano presentato quadri Depressivi Brevi Ricorrenti e Subsindromici con delle percentuali rispettivamente del 11,7% e del 15,8% (Fig. 3) (41). Secondo le loro stime la ricorrenza di episodi con durata inferiore a due settimane sembrano essere degli indicatori prognostici con rilevanza clinica più sfavorevole rispetto alla durata di un singolo episodio superiore a due settimane. Le Depressioni Brevi Ricorrenti (RBD) comprese quelle di tipo subsindromico, presenterebbero un importante rilievo clinico e prognostico quando viene analizzata la frequenza dei tentativi di suicidio rispetto al tipo di diagnosi. La ricerca descrive una frequenza di tentativi di suicidio nel 16% dei soggetti con RBD rispetto, ad esempio, ai soggetti con episodio singolo di Depressione Maggiore per il quale sono riportati valori del 12%. Le percentuali più alte (23,9%) sono comparse tuttavia nei casi in cui la Depressione Maggiore si associava con quadri di Depressione Breve Ricorrente. Tra le conclusioni finali degli autori c’è da considerare l’osservazione che sottolinea come gli attuali criteri diagnostici per la Depressione Maggiore e di Distimia presenterebbero aspetti troppo rigidi, soprattutto nella prospettiva di un miglioramento della salute pubblica.

Nell’analisi dei criteri più funzionali da utilizzare per la diagnosi dei disturbi depressivi sottosoglia, un grande rilievo scientifico e clinico è stato assunto, inoltre, dagli studi di familiarità e dall’analisi delle eventuali componenti biologiche alla base del temperamento premorboso dei soggetti con le diverse espressioni fenotipiche della malattia maniaco-depressiva.

Attualmente la diffusione dell’interesse per la ricerca del ruolo dei fattori genetici nell’eziopatogenesi dei disturbi dell’umore sta evidenziando dati interessanti che spesso confermano la prevalenza di alcune correlazioni tra specifici “loci” di alcuni cromosomi (Cromosoma X, 18, 21) e i disturbi dell’umore (42). Sebbene non esistano ancora conclusioni definitive rispetto ad alcuna modalità univoca di trasmissione dei Disturbi Affettivi, è opportuno sottolineare la ricorrenza con cui il Disturbo Bipolare si associa ad una trasmissione legata al cromosoma X, come è emerso infatti dall’osservazione di alcuni alberi genealogici di famiglie con malattia maniaco-depressiva.

L’evidenza sperimentale continua a rafforzare l’ipotesi di una trasmissione diadica, correlata al cromosoma X, confermando quanto suggerito circa venti anni fa da Rish e Baron.

Nell’uomo gli studi sulla familiarità dei disturbi affettivi, rispetto a quelli di genetica, mantengono tuttavia ancora un ruolo principale nell’elaborazione di modelli eziopatogenetici e nella discussione per le scelte diagnostiche, considerata l’obiettiva difficoltà a condurre studi di linkage per via dei numerosi problemi etici.

Numerose ricerche epidemiologiche, retrospettive, descrivono infatti che gli adolescenti e i giovani adulti, figli di pazienti con Disturbo Depressivo Maggiore, hanno una prevalenza per le “personalità di tipo depressivo” maggiore rispetto alla prole di soggetti normali o con disturbi somatici (43,44).

Un lavoro di Klein ha confrontato i tratti di personalità dei familiari di pazienti ambulatoriali con Disturbo Distimico, rispetto a quelli con Disturbo Depressivo Maggiore non cronico, e ad alcuni soggetti di controllo (45).

I dati emersi sembrano supportare le osservazioni di Akiskal sulla familiarità dei Disturbi Affettivi (46,47). La “personalità depressiva” ha dimostrato infatti la sua più alta espressione tra i parenti di primo grado di pazienti con Disturbi Affettivi ad andamento cronico come il Disturbo Distimico o la Depressione Doppia.

I figli di pazienti distimici sia con, sia senza “Personalità Depressiva” hanno presentato tra i loro parenti gli stessi tassi di prevalenza per i “tratti” e per la “Personalità Depressiva”.In ogni caso i valori sono stati sempre superiori rispetto alle percentuali riportate per i familiari di pazienti con Depressione Maggiore e rispetto alle famiglie di controllo.

La prole di soggetti con Disturbo Distimico ha presentato infatti nel 14% dei casi una “Personalità Depressiva” e nel 2,5% “tratti di personalità depressiva”, al contrario dei figli di pazienti con Depressione Maggiore Episodica nei quali sono stati descritti rispettivamente valori del 8% e del 1,87%. Nella popolazione generale la “Personalità Depressiva” presenta percentuali di prevalenza compresi tra il 3,6% (46) e il 4% (48), la maggior parte di questi soggetti non riceve prescrizione terapeutica, finché non sviluppano un disturbo affettivo di Asse I.

Come rilevato anche da altri autori esiste un’importante sovrapposizione tra Disturbo Distimico e Personalità Depressiva con un range che varia tra 20%-81%, tuttavia il 58% di coloro che hanno una “Personalità Depressiva”, non raggiunge i criteri di gravità per una sofferenza psichica tale da permettere una diagnosi psichiatrica categoriale (49,50). Secondo alcuni ricercatori il fattore che abbassa la soglia ed impedisce la diagnosi categoriale è il criterio sintomatologico che stabilisce la presenza di un “costante” umore depresso. Se infatti questo venisse sostituito da “perdita di piacere” e “d’interesse per le comuni attività”, gran parte dei “disturbi di personalità” diverrebbero con molta probabilità dei disturbi di Asse I, questo confermerebbe l’ipotesi che considera la Personalità Depressiva come una condizione attenuata “sottosoglia” del disturbo depressivo.

Secondo le osservazioni di Maier e come rilevato da diversi studi longitudinali sul decorso del Disturbo Depressivo, il rischio di sviluppare un Disturbo Depressivo Maggiore da una Depressione Sottosoglia ha le stesse percentuali di probabilità di quando viene considerata un’evoluzione del Disturbo Depressivo in senso inverso (15).

Alcuni studi di valutazione sui diversi sul temperamento suggeriscono inoltre che i tratti depressivi, ciclotimici e irritabili rappresentano la manifestazione subclinica dei Disturbi Affettivi (51).

I dati di uno studio longitudinale di Carta hanno evidenziato, inoltre, che il 33% dei pazienti con Depressione Maggiore sviluppa un andamento ricorrente della depressione (52). Per alcuni tale processo risulterebbe facilitato dal persistere di una condizione depressiva sottosoglia. La mancanza di una classificazione oggettiva delle condizioni affettive minori e, quindi, l’assenza di una decisione terapeutica che generalmente segue la diagnosi categoriale, sarebbe pertanto un fattore di alto rischio per la cronicizzazione del disturbo affettivo unipolare e per tutte le gravi conseguenze, talvolta fatali, che ne derivano.

Secondo la corrente scientifica che considera i disturbi affettivi come una fase episodica di malattia nella vita dell’individuo, prevalentemente svincolata da fattori congeniti, i tempi di remissione ed il rischio di un andamento ricorrente del Disturbo Depressivo aumenterebbero, soprattutto, a causa di un mancato riconoscimento e di un adeguato trattamento dei sintomi “nevrotici” nella fase iniziale della malattia (53,54).

Gormley osserva che i soggetti con più alti punteggi alla Maudsley Personality Inventory (MPI), la scala che misura il grado di nevrosi, sono coloro che non hanno avuto una remissione dell’Episodio Depressivo nei tempi previsti dalla ricerca e che presentano una maggiore incidenza per episodi ricorrenti.

Nella ricerca l’alta componente “nevrotica premorbosa” viene considerata infatti un effetto piuttosto che una causa del persistere del disturbo affettivo. L’aumento dei tempi di remissione e la maggiore suscettibilità alla ricorrenza depressiva è spiegata con la mancanza di una rapida risoluzione dello stato di “nevrosi depressiva”. Secondo alcuni ricercatori il soggetto che convive per più tempo con pensieri, fantasie pessimistiche, ricordi personali negativi e che quindi presenta una minore capacità di percepire supporto sociale presenta un maggior rischio di cronicizzare il disturbo affettivo (55,56). Sempre secondo questo punto di osservazione, la riduzione dell’intervallo di tempo tra osservazione clinica e intervento terapeutico o ancor più esattamente tra valutazione dello stato “nevrotico premorboso”, “sottosoglia” e la scelta di una adeguata terapia antidepressiva rappresenta un fattore molto importante per limitare la prognosi negativa dell’episodio depressivo nelle sue diverse espressioni di gravità da lieve a grave.

In conclusione è possibile osservare che nonostante alcune scuole di pensiero sostengano le caratteristiche congenite del Disturbo Depressivo ed altre sottolineino la natura reattiva e l’autopotenziamento delle condizioni affettive che non trovano un rapido intervento terapeutico, in entrambi i casi viene sostenuto un importante significato clinico delle condizioni depressive subsindromiche.

Indipendentemente dall’eziologia e dalla fasicità del disturbo affettivo, la sintomatologia depressiva sottosoglia ha dimostrato in gran parte dei lavori un’evenienza quasi costante nel decorso dei disturbi affettivi. Nel caso in cui le Depressioni Minori non vengono riconosciute come entità cliniche nosografiche, aumenta il rischio di sottostimare l’opportunità di un intervento terapeutico, sia psicologico che farmacologico. La sintomatologia sottosoglia in questi casi diviene, in termini prognostici, un importante deterrente per la risoluzione di qualsiasi forma di disturbo affettivo. La mancata considerazione di una scelta terapeutica adeguata sia nel caso di depressione bipolare che monopolare ha mostrato infatti in gran parte degli studi longitudinali un aumento della tendenza alla cronicità.

Conclusioni

Contrariamente alla limitata considerazione dei manuali nosografici, la Depressione Sottosoglia ha dimostrato in diverse ricerche un interessante ruolo clinico nel decorso e nella prognosi dei disturbi affettivi inoltre ha presentato un’importante distribuzione nei contesti non specialistici, soprattutto nei servizi di prima assistenza medica.

La discussione sul tipo di connotazione psicopatologica prima che nosografia delle Depressioni Sottosoglia resta ancora argomento di discussione tra i clinici.

I dati sulla valutazione dei vissuti depressivi soggettivi rispetto ai comportamenti osservati dal personale specializzato ed impegnato nella ricerca della depressione sono, inoltre, ancora piuttosto limitati per svolgere un’analisi sistematica sul ruolo psicopatologico che la dimensione “malessere” agisce sul funzionamento generale. È infatti ancora ridotta la disponibilità di strumenti psicometrici specifici e sensibili per valutare sistematicamente le componenti psicopatologiche che caratterizzano la sintomatologia depressiva sottosoglia. Inoltre sono scarsi gli studi che hanno scelto di utilizzare dei sistemi di screening su ampia scala per la diagnosi del disturbo in contesti non psichiatrici. C’è da considerare inoltre che nelle forme depressive minori acquista un ruolo importante la valutazione della “compliance” del clinico riguardo il riconoscimento dei “disturbi sottosoglia” che in alcuni casi possono presentarsi in comorbidità con quadri morbosi psichiatrici e somatici. Gran parte dei lavori della letteratura osservano che la sintomatologia depressiva sottosoglia ha comunque un importante significato clinico e la sua sottostima comporta un’evoluzione prognostica negativa dei disturbi affettivi. Negli studi longitudinali i disturbi depressivi minori hanno dimostrato di essere dei fattori prodromici per l’insorgenza di episodi più gravi e spesso il protrarsi nel tempo di una generale condizione di malessere soggettivo ha favorito lo sviluppo di un andamento ricorrente del disturbo. In ogni caso, la Depressione Sottosoglia sia che si manifesti isolatamente, in comorbidità con problemi fisici o sia considerato un aspetto del temperamento è ritenuta dalla maggior parte degli autori come una condizione patologica.

Da ciò ne deriva che il clinico deve risolvere il problema della decisione e della scelta terapeutica più opportuna al singolo caso. In alcuni soggetti infatti le Depressioni Minori sono risultate associate ad un funzionamento sociale generale premorboso appena sufficiente, in altri casi, al contrario, sono emerse associazioni significative con periodi di assenza dal lavoro, separazione o divorzio, peggioramento del funzionamento generale e richiesta di assistenza medica. Questi risultati supportano pertanto la necessità di un ampliamento dello studio della soglia e del range di gravità del disturbo depressivo soprattutto in funzione della scelta dell’intervento terapeutico più adeguato. Sono importanti quindi ulteriori studi per comprendere pienamente il fenomeno della condizione depressiva sottosoglia e per definire nei prossimi aggiornamenti dei manuali nosografici internazionali la collocazione più adatta per la valutazione diagnostica di questo disturbo (57,58).

La maggiore attenzione a questa entità clinica potrà favorire, infine, l’elaborazione di linee guida e di alberi decisionali che faciliteranno la diagnosi differenziale rispetto ad altre patologie, ma soprattutto ridurranno i dubbi su eventuali ipotesi di “doppia diagnosi”, “causalità”, comorbidità. Sulla base di quanto discusso è probabile, quindi, che il Disturbo Depressivo Non Altrimenti Specificato (NAS) presente come scelta finale di alcune flow chart attualmente disponibili venga sostituito da diagnosi più definite e su cui elaborare programmi terapeutici efficaci e risolutivi (Fig. 4).

Tab. I. Gli assi e i criteri classificatori del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders DSM-IV 3.
Axes and diagnostic criteria of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV) 3.

Criteri di classificazione (DSMIV)

� Sintomatologico

� Cronologico

� Funzionale

� Di esclusione

Assi (DSMIV)

Asse I Disturbi clinici
Altre condizioni
Asse II Disturbi di personalità
Ritardo mentale
Asse III Condizioni mediche generali
Asse IV Problemi psicosociali e ambientali
Asse V Scala di valutazione globale del funzionamento

Tab. II. Inquadramento nosografico dei disturbi dell�umore. Tabella di confronto delle diagnosi, complete di relativi codici secondo le versioni del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder III-R e IV. Modificata da Biondi M., Di Fabio F. In: Pancheri P, Biondi M. L�Apatia, Il Pensiero Scientifico Editore 1995 5.
Nosological framing of mood disorders. Comparison of diagnoses with their relative codes according to the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3rd edition-Revised (DSM-III-R) and 4th edition (DSM-IV) [modified from Biondi M, Di Fabio F. In: Pancheri P, Biondi M. L�Apatia. Rome: Il Pensiero Scientifico Editore 1995 5.

DSM-III-R DSM-IV
Disturbi depressivi
296.2x Depressione maggiore, episodio singolo 296.2x Disturbo Depressivo maggiore, episodio singolo
296.3x Depressione maggiore, ricorrente 296.3x Disturbo Depressivo maggiore, ricorrente
300.40 Distimia (o Nevrosi depressiva) 300.40 Disturbo distimico (Appendice B: criteri alternativi per il Disturbo Distimico)
311.00 Disturbo depressivo NAS (categorie proposte:Appendice A: 311.00 Disturbo depressivo NA
(esempi clinici: Appendice B: Depressione minore, Depressione ricorrente breve, Disturbo Misto Ansioso-Depressivo Disturbo disforico premestruale, ecc.)
300.90 Disturbo disforico della tarda fase luteinica (categoria proposta)
Disturbo Bipolare
296.4x Disturbo bipolare, maniacale 296.0x Disturbo bipolare I, episodio singolo maniacale
296.4x Disturbo bipolare I, episodio più recente ipomaniacale
296.4x Disturbo bipolare I, episodio più recente maniacale
296.6x Disturbo bipolare, misto 296.6x Disturbo bipolare I, episodio più recente misto
296.5x Disturbo bipolare, depressivo 296.5x Disturbo bipolare I, episodio più recente depressivo
296.7 Disturbo bipolare I, episodio più recente non specificato
296.89 Disturbo bipolare II
296.70 Disturbo bipolare NAS 296.80 Disturbo bipolare NAS
Altri disturbi
301.13 Ciclotimia 301.13 Ciclotimia
296.90 Disturbo dell�umore NAS
295.70 Disturbo schizoaffettivo 295.70 Disturbo schizoaffettivo
309.83 Disturbo organico dell�umore 309.83 Disturbo dell�umore dovuto a condizione medica generale
Disturbo dell�umore indotto da sostanze: specificare la sostanza (vecchi codici)
309.00 Disturbo dell�adattamento, con umore depresso 309.00 Disturbo dell�adattamento, con umore depresso
309.28 Disturbo dell�adattamento, con aspetti emotivi misti 309.28 Disturbo dell�adattamento, con umore misto ansioso e depressivo
V62.82 Lutto non complicato V62.82 Lutto non complicato

Tab. III. Organizzazione della sezione dedicata alla classificazione delle Sindromi Affettive (F30-F39) secondo la Classificazione Internazionale (ICD10) dell�Organizzazione Mondiale della Sanità 4.
Organisation of the section dedicated to the classification of Affective Syndromes (F30-F39) according to the International Classification of Diseases, 10th edition (ICD-10) of the World Health Organisation 4 5.

F 30. Episodio maniacale

Ipomania
Mania*
Episodi maniacali di altro tipo
Episodio maniacale non specificato

F 31. Sindrome affettiva bipolare

Attuale episodio ipomaniacale
Attuale episodio maniacale *
Attuale episodio depressivo di grado lieve o medio **
Attuale episodio depressivo grave*
Attuale episodio misto
Attuale episodio in remissione
Altre sindromi affettive bipolari
Sindrome affettiva bipolare non specificata

F 32. Episodio depressivo

Lieve **
Di grado medio **
Grave*
Altri episodi depressivi
Episodio depressivo non specificato

F 33. Sindrome depressiva ricorrente

Episodio attuale lieve **
Episodio attuale di gravità media **
Episodio attuale grave *
Attualmente in remissione
Altre sindromi depressive ricorrenti
Sindrome depressiva ricorrente non specificata

F 34. Sindrome affettive persistenti

Ciclotimia
Distimia
Altre sindromi affettive persistenti
Sindrome depressiva persistente non specificata

F 38. Altre sindromi affettive

Episodi affettivi singoli di altro tipo
Altre sindromi affettive ricorrenti
Altre sindromi affettive specificate

F39. Sindrome affettiva non specificata


* Codici diversi per: 1. con manifestazioni psicotiche, 2. Senza manifestazioni psicotiche.
** Codici diversi per: 1. con sintomi somatici (“sindrome biologica”), 2. Senza sintomi somatici (“sindrome biologica”)

 

 

Tab. IV. Criteri diagnostici della Nevrastenia secondo ICD-10 4.
Diagnostic criteria of neurasthenia according to ICD-10 4.

F48.0 Nevrastenia
A. Deve essere presente uno dei seguenti aspetti:
1)Persistenti o penose sensazioni di esaurimento dopo ogni minimo sforzo psichico (come l�esecuzione o il tentativo di eseguire compiti della vita di tutti i giorni che non richiedono uno sforzo psichico inusuale);

2)Persistenti o penose sensazioni di affaticamento o debolezza corporea dopo uno sforzo fisico minimo.

B. Deve essere presente almeno uno dei seguenti sintomi:
1)Dolori muscolari;
2)Vertigini;
3)Cefalea muscolo-tensiva;
4)Disturbi del sonno;
5)Incapacità di rilassarsi;
6)Irritabilità.
C. Il paziente è incapace di liberarsi dei sintomi descritti nel criterio A (1) o (2) per mezzo di normali periodi di riposo, rilassamento o distrazione.
D. La durata delle sindrome è di almeno 3 mesi.
E. Criteri di esclusione più comunemente usati. La condizione non insorge in presenza di una sindrome organica di labilità emozionale (F06.6), di una sindrome post-encefalitica (F07.1), di una sindrome post-commotiva (F07.2), di una sindrome affettiva (F30-F39), di una sindrome da attacchi di panico (F41.0) o di una sindrome ansiosa generalizzata (F41.1).

 

Fig. 1. Numero dei sintomi valutati rispetto ad un insieme di 10 item appartenenti al fattore “affettività negativa” in soggetti con assenza di disturbi psichiatrici e in pazienti con disturbi d�Ansia o Depressivi Non Altrimenti Specificati (NAS) (Modificato e Tradotto da Zimberg, 1994) 6.
(Number of assessed symptoms relative to 10 items belonging to the “negative affect” factor in subjects with no current psychiatric diagnosis and patients with Depressive or Anxiety disorders Not Otherwise Specified [NOS]; modified and translated from Zimberg, 1994 6).

Tab. V. Classificazione del Disturbo Depressivo secondo Angst et al 1997 11.
Classification of Depressive Disorder according to Angst et al., 1997 11.

Sottotipi Diagnostici

Sottosoglia

Diagnosi

Sintomi

DM

DBR

MDD

Distimia

Umore depresso

SI

SI

SI

SI

SI

Numero di sintomi

≥ 1 di 9

1-4 di 9

≥ 5 di 9

≥ 5 di 9

≥ 3 di 13

Durata

NO

≥ 2 settimane

NO

≥ 2 settimane

≥ 2 anni

Frequenza

NO

NO

 1/mo

NO

NO

Peggioramento

NO

NO

SI

NO

NO

Legenda DM: Depressione Minore; DBR: Depressione Breve Ricorrente; MDD: Disturbo Depressivo Maggiore

Tab. VI. Criteri diagnostici e definizioni cliniche utilizzate negli ultimi cinque anni per la diagnosi di depressione sottosoglia. Tradotta e modificata da Pincus HA et al 1999 12.
Diagnostic criteria and clinical definitions used in the last five years to diagnose sub-threshold depression. Translated and modified from Harold A. Pincus et al., 1999 12.

Definizione Sottosoglia-Subsindromica Serie di sintomi Durata
Depressione Minore
(Katon et al. 1994); (Hance et al. 1996)
≤ 2 sintomi, esclusi umore depresso o anedonia Episodio depressivo maggiore secondo DSM 2 settimane
Depressione Minore
(Keller et al 1995)
Umore depresso più altri due sintomi Episodio depressivo maggiore o Distimia secondo DSM 1 mese
Depressione Minore
(Maier et al 1992)
Umore depresso con almeno 2, ma meno di 4 altri sintomi Disturbo Depressivo Minore RDC 2 settimane
Depressione Minore
(Oxman et al 1990); (Skodol et al 1994)
≤ 2 sintomi che non incontrano i criteri di Depressione Maggiore Depressione Minore RDC Nessuna (Oxman et al)
2 settimane (Skodol et al)
Depressione Minore
(Chochinov et al 1994)
≤ 2 sintomi e punteggi SADS > 3, ma < 5 Depressione Minore con 4 sintomi somatici che possono essere determinati dalla malattia del soggetto sostituiti con
a) Status depresso
b) Ritiro sociale
c) Pensieroso, Autocommiserazione/Pessimismo
d) Perdita della capacità a reagire a situazioni piacevoli
Nessuna
Depressione Minore
(Jaffe et al 1994)
Un punteggio di almeno 1 o 2 agli item relativi all�umore depresso o almeno 2 agli items relativi all�anedonia + un punteggio di almeno 2 in una categoria dei sintomi addizionali, senza incontrare i sintomi per la depressione maggiore.
Inventory Diagnosis for Depression
Inventory Diagnosis for Depression (Scala per la Diagnosi della Depressione) 2 settimane
Depressione Minore
(Froom et al 1995)
Un punteggio di almeno 2 per l�umore depresso o almeno 3 in perdita di interessi o di piacere, associato ad un punteggio di almeno 2 in un gruppo addizionale. Non deve incontrare i criteri di depressione maggiore Inventory Diagnosis for Depression (Scala per la Diagnosi della Depressione) 2 settimane
Depressione Minore
(Mino et al 1994)
Un punteggio ≤ 1 per l�umore depresso o ≤ 2 per almeno un sintomo addizionale Inventory Diagnosis for Depression (Scala per la Diagnosi della Depressione) > 2 settimane
Depressione Minore
(Miranda & Munoz, 1994)
Sintomi depressivi e assenza di depressione maggiore/distimia punteggi alla scala di Beck compresi tra 16 e 23 Beck Depression Inventory (Scala per la depressione di Beck) Nessuna
Depressione Minore con disturbo dell�umore
(Broadhead et al 1990)
Umore depresso o anedonia e nessun altro sintomo Episodio depressivo maggiore secondo DSM Nessuna
Depressione Minore senza disturbo dell�umore
(Broadhead et al 1990)
Uno o più sintomi di depressione, escludendo umore depresso o anedonia e che non incontrano i criteri di depressione maggiore o distimia Episodio depressivo maggiore secondo DSM Nessuna
Depressione subsindromica
(Williams et al 1995)
Umore depresso o anedonia e da 1 a 3 altri sintomi Episodio depressivo maggiore secondo DSM Nessuna
Depressione subsindromica sintomatica
(Judd et al 1994)
Due o più sintomi di depressione senza incontrare i criteri di depressione maggiore/distimia Episodio depressivo maggiore secondo DSM Soprattutto oltre le 2 settimane
Depressione Sottosoglia
(Simon & Von Korff 1995)
Umore depresso o distimia e 2 o 3 altri sintomi Episodio depressivo maggiore secondo DSM Nessuna
Depressione Sottosoglia
(Sherbourne et al 1994)
Umore depresso con punteggi che superano il cut-off delle scale di valutazione, ma non nelle diagnosi lifetime di depressione maggiore o di distimia secondo DSM; nessun episodio di depressione maggiore o di distimia nell�ultimo anno; nessuna remissione in corso (8 o più settimane con due o meno sintomi) Depressione breve la scala dei sintomi cresce come parte dello studio medico conseguente 2 settimane
Disturbo depressivo subsindromico
(Wittchen & Essau, 1993)
Umore depresso o anedonia e tre altri sintomi, senza incontrare i criteri di depressione maggiore /distimia Episodio depressivo maggiore secondo DSM 2 settimane
Depressione breve sottosoglia
(Maier et al 1994 a, b)
Umore depresso o riduzione dell�interesse o del piacere e almeno 4 altri sintomi Episodio depressivo maggiore secondo DSM < 2 settimane (1994 a)
≤ settimane al mese per più di 6 mesi (1994 b)
Depressione breve
(Montgomery et al 1990)
Umore depresso o riduzione dell�interesse o del piacere e almeno 4 altri sintomi con durata dei sintomi sottosoglia Episodio depressivo maggiore secondo DSM < 2 settimane
Depressione breve ricorrente
(Angst 1990); (Angst et al 1990)
(Staner et al 1992); (Weiller et al 1994 a)
Umore depresso o riduzione dell�interesse o del piacere e almeno 4 di 8 altri sintomi Episodio depressivo maggiore secondo DSM < 2 settimane per episodio e 1-2 episodi per mese per un anno (Angst);
<1 settimana per mese per anno (Weiller)
< 2 settimane (Staner)
Depressione breve ricorrente stagionale
(Kasper et al 1992, 1994)
Umore depresso o riduzione dell�interesse o del piacere e almeno 4 altri sintomi con durata dei sintomi sottosoglia Episodio depressivo maggiore secondo DSM < 2 settimane per mese in autunno ed inverno
Depressione breve ricorrente
(Weiller et al 1994 b)
Episodio depressivo Depressione breve ricorrente secondo ICD-10 < 2 settimane
Ansia mista a depressione
(Roy-Byrne et al 1994); (Zinbarg et al 1994)
Nessuna nota Depressione NAS secondo DSM Nessuna
Sottosoglia mista a disturbi d�ansia
(Wittchen & Essau, 1993)
Umore depresso o riduzione dell�interesse o del piacere e 3 altri sintomi e: senza gravi attacchi di panico; meno di 3 attacchi di panico; 1-3 sintomi dell�attacco; senza fobia grave Episodio depressivo maggiore secondo DSM Nessuna
Depressione maggiore con sintomi d�ansia
(Tollefson et al 1993)
Umore depresso o riduzione dell�interesse o del piacere e almeno 4 altri sintomi e un punteggio di 12 o più alla scala Hamilton per l�ansia Episodio depressivo maggiore secondo DSM 2 settimane
Depressione NAS secondo DSM-III-R
(Tudor & Zaharia 1994)
Nessuna nota Depressione NAS secondo DSM Nessuna
Depressione NAS secondo DSM-III-R
(Winter et al 1991)
Entrambi umore depresso o anedonia senza incontrare i criteri per i disturbi dell�umore Depressione NAS secondo DSM Nessuna
Solo sintomi depressivi
(Coulehan et al 1990)
Un punteggio di 27 o più alto al CES-D, ma senza diagnosi di depressione maggiore Valutazione del Centro di Studi Epidemiologici per la Depressione (CES-D) Nessuna
Sintomi Depressivi
(Horwarth et al 1992)
Due sintomi depressivi, ma che non incontrano i criteri per la depressione maggiore Episodio depressivo maggiore secondo DSM Nessuna
Sintomi Depressivi
(Johnson et al 1992)
Due sintomi o più sintomi senza incontrare i criteri per la depressione maggiore o distimia Episodio depressivo maggiore secondo DSM 2 settimane
Sintomi depressivi sottosoglia
(Olfson et al 1996)
Non incontra i criteri per la depressione maggiore Umore depresso o anedonia ≥ 2 settimane

Tab. VII. Depressione successiva a diagnosi di malattie somatiche. Stime di prevalenza. Modificata da Rouchell AM, Pounds R, Tierney JG 1996 26. Prevalence estimation of depression after being diagnosed with a somatic disorder; modified from Rouchell AM, Pounds R, Tierney JG 1996 26.

Patologia medica Prevalenza % Studi
Emodialisi 6,5 Hinrichsen et al. 1989
Coronaropatia 16-19 Forrester et al. 1992
Frasure-Smith et al. 1993
Cancro 20-38 Kathol et al. 1990
Massie e Holland 1990
Dolore cronico 21-31 Sullivan et al. 1992
Katon et al. 1985
Malattie neurologiche:
Ictus 27 Robinson et al. 1990
Morbo di Parkinson 29-51 Mayex et al 1986; Sano et al. 1989
Sclerosi multipla 6-57 Minden e Schiffer 1990
Epilessia 55 Mendez et al. 1986
Malattia di Huntington 41 Folstein SE et al. 1983
Demenza 11 Greenwald et al. 1989
Malattie endocrine:
Ipertiroidismo 31 Kathol et al. 1986
Diabete mellito 24 Popkin et al. 1988
Morbo di Cushing 67 Haskett 1985
Malattia da HIV 30,3 Atkinson et al. 1988
Sindrome da fatica cronica 17-46

Fig. 2. Corrispondenza della diagnosi di disturbo mentale tra la prima osservazione medica e l�osservazione specialistica psichiatrica secondo i criteri diagnostici del DSM, ICD e DCR (tradotta e modificata da Pincus et al., 1999) 12.
Correspondence between diagnoses of mental disorder at first medical observation and at psychiatric observation according to DSM, ICD and Research Diagnostic Criteria (from Pincus et al., 1999 12).

Prima assistenza medica e riconoscimento del disturbo mentale
Diagnosi
Psichiatrica
secondo
DSM; ICD;
DCR
+
+
1a possibilità
++
Presenza di disturbi mentali
2a possibilità
+-
Errore nella diagnosi di disturbo mentale
3a possibilità
+-
Condizioni “importanti” per la primaassistenza medica ma che non rientrano nei criteri tassonomici per un disturbo mentale
4a possibilità

Assenza di disturbi mentali
Legenda + +: presenza di disturbo mentale; + -: probabile presenza di disturbo mentale; – -: assenza di disturbi mentali

Tab. VIII. Prevalenza dei disturbi depressivi minori in contesti di Prima Assistenza Medica nella popolazione generale. Prevalence of minor depressive disorders in the general population in a primary care context.

Ricerca Prevalenza % Tipo di Disturbo
Browne et al. 1999 5,1% Disturbo Distimico
Kessler et al. 1994 2,5% Disturbo Distimico
Weissman MM et al. 1988 3,1-6,4% Disturbo Distimico
Williams JW et al. 1995 16% Depressione Sottosoglia
4% Depressione Maggiore
Weiller E et al. 1994 4,5% Depressione Breve Ricorrente
Hance E et al. 1996 17% Depressione Lieve
Oxman et al. 52% negli anziani Sintomi Depressivi Lievi
Sartorius N et al. 1996 9% Depressione Sottosoglia
Berardi D et al. 1999 18% Depressione Sottosoglia
Olfson M et al. 1996 9,1% Depressione Sottosoglia

Fig. 3. La valutazione psicometria di 400 pazienti di medicina generale ha mostrato un�interessante evoluzione con una diversificazione dell�orientamento diagnostico basale rispetto sottotipizzazione diagnostica dopo un follow-up di un anno (dati tratti da Maier W, 1997) 41.
After an one-year follow-up, the psychometric assessment of 400 medical patients showed an interesting evolution towards diversification of baseline diagnostic orientation (data drawn from W. Maier, 1997 41).

Legenda: MDE = Episodio Depressivo Maggiore; RDB = Depressione Breve Ricorrente

Fig. 4. Albero decisionale per l�umore depresso secondo DSM-IV (tratto e ridisegnato da First MB et al. 1995) (59)
Flow-chart for depressive mood as proposed by DSM-IV modified from First MB et al. 1995).

Umore depresso

Dovuto agli effetti fisiologici direttidi una condizione medica generale

N
S
Associato a compromissione della memoria e ad altri deficit cognitivi
S
Demenza Dovuta ad Una Condizione Medica Generale (es. Malattia di Alzheimer)
N
Disturbo dell�Umore Dovuto Ad Una Condizione Medica Generale
Dovuto agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (cioè, una sostanza di abuso, un farmaco, o una sostanza tossica)

N

S
Va al di là di quanto si osserva di solito con l�intossicazione o l�astinenza
S
Disturbo dell�Umore Indotto da Sostanze
N
Intossicazione da Sostanze, Astinenza da Sostanze
Almeno 2 settimane di umore depresso o perdita di interesse più sintomi associati e, non risulta meglio spiegato da un lutto

N
S
Risultano soddisfatti anche i criteri per un Episodio Maniacale quasi ogni giorno per almeno 1 settimana
N
Episodio Depressivo Maggiore
S
Episodio Misto
Sintomi maniacali/ipomaniacali
clinicamente significativi


N

S
In passato ha avuto un Episodio Maniacaleo Misto
S
Sintomi psicoticisono presenti in momenti diversi rispetto agli Episodi Maniacali o Misti
N
Disturbo Bipolare I
S
Disturbo Schizoaffettivo,Tipo Bipolare o Disturbo Bipolare NAS (se sovrapposto ad un Disturbo Psicotico Cronico)
N
In passato ha avuto un Episodio Ipomaniacale ed almeno un Episodio Depressivo Maggiore
S
Disturbi Bipolare II
N
Almeno 2 anni di sintomi Ipomaniacali e periodi di umore depresso
S
Disturbo Ciclotimico
Disturbo Bipolare NAS
Uno o più Episodi Depressivi Maggiori senza alcun Episodio Maniacale, Misto o Ipomaniacale

N
S
Sintomi psicotici sono presenti in periodi diversi rispetto agli Episodi Depressivi Maggiori
N
Disturbo DepressivoMaggiore
S
Disturbo Schizoaffettivo Tipo Depressivo o Disturbo Depressivo NAS (se sovraesposto ad un Disturbo psicotico cronico)
Umore depresso per la maggior parte dei giorni per almeno 2 anni con sintomi associati

N
S
Disturbo Distimico
Umore depresso o disforico come manifestazione associata di un altro disturbo mentale (per es., “demoralizzazione” per il fatto di essere affetti da disturbo ossessivo-compulsivo)

N
S
Alterazione dell�umore clinicamente significativa
S
Disturbo Depressivo NAS
N
Non è necessaria una diagnosi di disturbo dell�umore
Umore depresso clinicamente significativo non compreso negli esempi precedenti

 

S
Si manifesta dopo la morte di una persona cara

N
S
Lutto
Si manifesta in risposta ad un altrofattore psicosociale di stress S
Disturbo dell�Adattamentocon Umore Depresso
“Normale” tristezza quotidiana
N
Disturbo Depressivo NAS

1 Pancheri P.
Stress e depressione: dalla reazione adattativa normale allo scompenso patologico.
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