Editoriale

P. Pancheri

III Clinica Psichiatrica, Università di Roma "La Sapienza"

Si aggira, ormai da molti anni, un fantasma in psichiatria. Quando fa le sue apparizioni risveglia un antico desiderio e riaccende una nuova speranza negli psichiatri. Il desiderio di mettere ordine nel caos della nosografia e la speranza di trasformare i “disturbi” in “malattie”. Quando il fantasma si manifesta assume le sembianze di un disturbo polimorfo e complesso considerato nel lontano passato come una entità clinica sindromica fino a quando non fu visto che dipendeva da una infezione luetica cerebrale. Il caso, ormai antico, della paralisi progressiva ha mantenuto vivo in molti psichiatri il desiderio e la speranza che, un giorno, si potessero scoprire alterazioni encefaliche specifiche correlate in modo biunivoco con quadri sindromici. Quel giorno, finalmente, tutti i disturbi psichiatrici sarebbero divenuti malattie e la psichiatria sarebbe entrata con pari diritti nel grande “club” della medicina somatica.

Molta acqua è, da allora, passata sotto i ponti.

Anzitutto i limiti dell�organicità sono profondamente cambiati, in funzione degli strumenti di osservazione delle strutture encefaliche. Si è passati dall�osservazione istopatologica alla valutazione della migrazione neuronale in fase di sviluppo fino alla misura della densità recettoriale zonale. Il limite dell�organicità è ora spostato sempre di più a livello molecolare, sulle modificazioni della trascrizione genica del DNA.

Non solo, ma lo studio della morfologia cerebrale in vivo ha permesso di obiettivare alterazioni sempre più sottili delle strutture encefaliche mentre le tecniche spettroscopiche in vivo hanno aperto la possibilità di obiettivare alterazioni della biochimica strutturale regionale in modo impensabile solo fino a pochi anni fa.

In secondo luogo l�analisi del cervello nella prospettiva di un complesso di reti neuronali variamente gerarchizzate e integrate tra di loro ha spostato l�interesse sempre più verso lo studio dei programmi di gestione dell�informazione come necessaria condizione per il suo funzionamento normale e patologico. La necessità di considerare il “software” cerebrale come una realtà obiettiva biologicamente condizionata ha profondamente cambiato il concetto tradizionale di organicità. Gli studi di brain imaging funzionale hanno confermato l�attivazione multipla e integrata di programmi di gestione dell�informazione cerebrale in condizioni normali e patologiche.

Infine, sempre di più è emersa l�evidenza che il cervello è una struttura plastica dove i programmi di gestione dell�informazione possono modificare la struttura a tutti i livelli ed in particolare al livello della trascrizione del codice genetico neuronale. Eventi e vissuti modificano i programmi gestionali e questi ultimi si riflettono a livello della struttura, modificandola e condizionandone a sua volta l�azione sui programmi di gestione.

I confini tra organico e funzionale, tra biologico e psicologico, tra strutturale e gestionale sono così divenuti sempre più indistinti fino a rendere sempre più problematica una dicotomia classica ma ormai priva di significato scientifico.

È in questo contesto che si colloca oggi il problema della classificazione dei disturbi psichiatrici come “disturbi” o come “malattie”.

Inquadrare i fenomeni per classi è una esigenza obbligata del funzionamento del cervello umano ed è alla base dell�apprendimento, della gestione delle informazioni e della comunicazione. Le modalità di classificazione del medesimo fenomeno possono essere variabili in funzione del “principio organizzatore” che sovrintende al tipo di classificazione. A sua volta, il principio organizzatore è scelto in funzione della finalità della suddivisione in classi. In medicina i fenomeni osservati sono i segni e i sintomi mentre la finalità è quella della cura del malato. Il sistema classificatorio è denominato nosografia e la diagnosi è l�atto medico che permette di collocare i singoli casi clinici in una delle classi che vengono definite come “malattie”. Le malattie sono identificate, e quindi classificate sulla base delle cause, dell�organo colpito e delle alterazioni organiche che le caratterizzano.

La psichiatria ha creato, fin dai suoi inizi, sistemi classificatori per i fenomeni psicopatologici ma, in assenza di cause precise, di alterazioni organiche specifiche e data l�unicità del sistema colpito (SNC) ha dovuto procedere con criteri sindromici di stato e di decorso.

Le classificazioni categoriali della psichiatria sono quindi analoghe ma non uguali a quelle della medicina, e le alterazioni vengono definite in modo generico come disturbi e non in modo specifico come malattie. I sistemi nosografici attuali (DSM-IV, ICD-10) riflettono questa situazione.

Ci si può tuttavia chiedere se una classificazione categoriale di questo tipo ha ragionevoli prospettive per dare le basi per un ordinamento non più basato sui disturbi ma sulle malattie.

In realtà le categorie diagnostiche dei sistemi attuali sono andate moltiplicandosi sulla base di criteri definiti come “operativi”. Ciò ha favorito la comunicazione tra gli psichiatri, ma ha reso sempre più difficile fino a renderlo improbabile il riscontro di corrispondenza biunivoca tra quadro sindromico e alterazione cerebrale (funzionale o strutturale) potenzialmente corrispondente. Paradossalmente, il miglioramento delle possibilità di indagine biologica sia post mortem che in vivo ha reso più incerti i confini tra disturbi che già venivano considerati come possibili malattie come la schizofrenia o la psicosi maniaco depressiva.

La classificazione per spettri identifica aree di disturbi psichiatrici che comprendono un continuum di disturbi categoriali che hanno caratteristiche cliniche di stato e di decorso comuni. Questo continuum è definito “spettro” e fa riferimento ad un disturbo indice di cui gli altri disturbi rappresentano varianti più quantitative che qualitative. Implicita in questa classificazione è l�indipendenza tra spettri e la possibile comune matrice patofisiologica cerebrale per tutti i disturbi del medesimo spettro.

La classificazione per spettri sembra infatti avvicinare la possibilità di un passaggio dai disturbi alle malattie. Numerose linee di evidenza indicano possibile la definizione di un “substrato biologico” specifico per ogni spettro e quindi, una possibile specificità terapeutica.

In realtà anche nella classificazione per spettri vi è una parziale sovrapposizione dei dati biologici, anche se minore rispetto alla classificazione categoriale. Il problema principale rispetto ad una logica classificatoria di tipo medico è tuttavia la rinuncia implicita a stabilire una relazione biunivoca tra specifici quadri clinici e specifiche alterazioni. Con la classificazione per spettri, la “malattia”psichiatrica assume infatti l�aspetto di un miraggio che appare vicino e reale ma che non può essere mai toccato.

La classificazione per dimensioni è più vicina alla clinica, rende più possibile una correlazione tra sintomi e patofisiologia cerebrale ma perde i caratteri di una classificazione “per malattie” di tipo medico.

Le dimensioni psicopatologiche sono identificate sia con metodi di tipo statistico che con l�analisi psicopatologica. Il principio organizzatore è rappresentato dalla definizione di matrici psicopatologiche comuni a gruppi di sintomi, a prescindere dalla loro appartenenza a categorie e a spettri. Ciò significa che in ogni caso clinico coesistono più dimensioni psicopatologiche con un peso variabile in funzione delle condizioni di stato e di decorso.

L�approccio per dimensioni rende molto più probabile la correlazione tra costrutto sintomatologico dimensionale e patofisiologia cerebrale e certamente permette una terapia più specifica, almeno a livello farmacologico. Numerosi dati confermano questa ipotesi.

Tuttavia ancora una volta l�ordinamento della psicopatologia “per dimensioni” allontana la prospettiva di una classificazione di tipo “medico” e il passaggio dal “disturbo” alla “malattia”. Paradossalmente, anche se avvicina la fenomenologia alla biologia, toglie il significato al concetto di disturbo psichiatrico come oggi è inteso ai fini classificatori.

La descrizione sistematica con creazione di categorie distinte di disturbi sembra dover seguire, in psichiatria una procedura diversa da quella della medicina tradizionale e articolarsi su tre livelli. Livello categoriale, livello degli spettri e livello delle dimensioni convivono parallelamente con finalità diverse in funzione delle finalità operative. E non sembra che l�indagine biologica cerebrale, anche se approfondita e perfezionata, potrà cambiare questo aspetto “multidimensionale” della diagnosi psichiatrica.

Può porsi il problema dei rapporti e delle analogie della psichiatria con la medicina somatica dove invece apparentemente esistono “malattie” ben identificate ed indipendenti.

La psichiatria è, per tradizioni, storia e comune consenso una disciplina medica. Opera con gli strumenti delle discipline mediche attraverso la sequenza metodologica dell�osservazione, della diagnosi, della prognosi e della terapia. Si basa, come tutte le discipline mediche, su modelli interpretativi costruiti da dati obiettivi e corregge i suoi modelli sulla base dei risultati terapeutici. Non solo, ma sempre più vi è evidenza empirica dei correlati di hardware e di software cerebrale dei segni e sintomi oggetto della sua osservazione.

La psichiatria sembra tuttavia essere una disciplina medica senza “malattie” e dove, probabilmente, non esisteranno mai malattie dal punto di vista medico tradizionale. In realtà, la “classificazione” dei segni e sintomi di interesse psichiatrico segue una logica diversa in funzione di diversi principi organizzatori che rispondono a differenti finalità operative.

L�organizzazione classificatoria per “piani funzionali” che caratterizza la psichiatria è destinata ad influenzare probabilmente tutta la medicina. Sempre più la medicina somatica è orientata anch�essa a descrivere i quadri clinici al di la del tradizionale approccio per categorie in una prospettiva di interazioni reciproche di sistemi biologici dove l�unità funzionale del corpo può essere vista in modo analogo all�unità funzionale del cervello.

Fino a tempi recenti, la psichiatria nelle sue esigenze classificatorie e diagnostiche ha tentato di seguire il modello della medicina somatica.

Sembra giunto il momento di una inversione di tendenza, dove le discipline psichiatriche possono fornire alla medicina somatica un diverso modello di approccio classificatorio e diagnostico più utile ai fini terapeutici.