Gli antipsicotici atipici nelle sindromi psico-comportamentali secondarie a disturbi neurologici

Atypical antipsychotics in psychobehavioural syndromes due to neurological disorders

L. Moretti *, G. Perugi * **

* Istituto di Scienze del Comportamento "Gianfranco De Lisio", Carrara-Pisa; ** Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Sezione di Psichiatria, Università di Pisa

Parole chiave: Demenza • Morbo di Parkinson • Sindromi neuropsichiatriche • Antipsicotici atipici
Key words: Dementia • Parkinson’s disease • Neuro-psychiatric syndromes • Atypical antipsychotics

Introduzione

Il continuo aumento della popolazione anziana ed il conseguente incremento esponenziale delle patologie cerebrali correlate alla senilità spiegano il notevole interesse che viene posto oggi nello studio di trattamenti sicuri ed efficaci delle alterazioni comportamentali e della sintomatologia neuropsichiatrica presenti in patologie quali morbo di Alzheimer, demenza su base vascolare e morbo di Parkinson.

Storicamente i farmaci più utilizzati in queste situazioni sono stati gli antipsicotici tipici, ma l’impatto che essi determinano in termini di sicurezza e tollerabilità è spesso negativo. Con l’avvento degli antipsicotici atipici esiste la speranza fondata che questi farmaci possano essere utilizzati senza comparsa di effetti collaterali a livello motorio, senza comparsa di fenomeni discinetici e con un minor impatto sul funzionamento dell’individuo a livello cognitivo.

Demenza

La demenza è relativamente comune nella popolazione anziana. La causa di gran lunga più comune di demenza è il Morbo di Alzheimer (MA), che rappresenta il 70% circa dei casi; la seconda causa più comune è la demenza vascolare (DV). Altre cause comprendono la demenza frontotemporale (DFT), la demenza con corpi di Lewy (DLB) e la malattia di Parkinson idiopatica (MPI).

In generale la compromissione cognitiva predispone i pazienti alla comparsa di una sintomatologia psichiatrica ed in particolare le manifestazioni psicotiche possono rappresentare l’esordio di un’ampia gamma di forme demenziali. L’agitazione psicomotoria e gli stati confusionali sono più comuni con il progredire della malattia.

Malattia di Alzheimer (MA)

Una recente revisione della letteratura ha trovato che i tassi di prevalenza di deliri nella MA sono molto variabili, dal 40 al 73% (1). Le allucinazioni si osservano meno comunemente, con una prevalenza del 21-49% (2). L’88% dei pazienti con MA manifesta disturbi comportamentali nel primo mese dalla diagnosi; nello stesso periodo di tempo, i deliri sono riportati nel 22% dei casi e le allucinazioni nel 10% (3). Gli studi prospettici hanno dimostrato che circa il 70% dei pazienti con MA presenta una psicosi entro il settimo anno di malattia (4).

Al pari di altri disturbi non cognitivi, come l’agitazione psicomotoria, anche i sintomi psicotici nel corso di MA non sono persistenti nel tempo. In uno studio di follow-up prospettico su 235 pazienti con MA iniziale, seguiti in modo naturalistico ogni sei mesi per un periodo che arrivava a cinque anni, i deliri paranoidei e le allucinazioni raramente sono risultati presenti per quattro visite consecutive (5). Ciò ha ovvie implicazioni per la durata del trattamento; non tutti i pazienti trattati per psicosi necessitano di un trattamento a lungo termine. Tuttavia, l’impiego dei neurolettici nei pazienti studiati tendeva ad aumentare, col passare del tempo, dallo 0,4% della visita iniziale al 6,3% dopo un anno, al 16,6% dopo due anni ed al 18,5% dopo tre anni (5).

Demenza vascolare (DV)

I pazienti con diagnosi di DV sono un gruppo eterogeneo; la sintomatologia può essere determinata da numerose lesioni sottostanti, come infarti corticali multipli, emorragie, malattia di Binswanger, infarti in sedi strategiche e stati di ipotensione/ipoperfusione.

Deliri ed allucinazioni si associano spesso a lesioni cerebrovascolari bilaterali, risultano piuttosto rari negli infarti singoli. I pazienti con afasia di Wernicke spesso sviluppano temi paranoidei. Lesioni pontine e del lobo temporale possono causare allucinazioni uditive. Le allucinazioni visive possono insorgere dopo un danno in aree come il mesencefalo, le radiazioni genicolocalcarine, i lobi occipitale, parietale e temporale.

Demenza a corpi di Lewy (DLB)

La DLB è un disturbo neurodegenerativo che si manifesta comunemente con una compromissione cognitiva fluttuante (periodi di confusione intervallati a momenti di lucidità), segni extrapiramidali, deliri ed allucinazioni. Nelle casistiche autoptiche costituisce il 20% dei casi di demenza senile (6). I soggetti affetti da DLB sono molto sensibili agli effetti collaterali extrapiramidali dei neurolettici.

Demenza frontotemporale (DFT)

Questa sindrome è determinata da alcuni disturbi, inclusa la malattia di Pick caratterizzata da atrofia selettiva e disfunzione nelle aree frontotemporali. Uno studio su pazienti con FTD ha trovato che i deliri erano presenti nel 23% dei casi (7).

Malattia di Parkinson

I pazienti affetti da Malattia di Parkinson (MP) presentano spesso sintomi neuropsichiatrici, come allucinazioni e deliri. È difficile trattare in modo efficace questi pazienti, perché gli agenti dopaminergici usati (L-Dopa, Dopamino-Agonisti) per trattare il disturbo del movimento spesso causano o esacerbano le manifestazioni psicotiche e confusionali. Tuttavia, la riduzione o la sospensione della terapia dopaminergica e l’uso di neurolettici peggiorano marcatamente i sintomi motori.

Il 30% circa dei pazienti trattati con agenti dopaminergici sviluppa allucinazioni visive (range 6-38%) e il 10% circa sviluppa deliri (range 3-17%) (8). Rispetto ai pazienti che non presentano una sintomatologia psichiatrica, quelli affetti da psicosi hanno più confusione, agitazione, insonnia, modificazioni della personalità e disturbi nella cura di se stessi (9).

Trattamento con antipsicotici

Farmacocinetica e farmacodinamica nell’anziano

I cambiamenti fisiologici legati al processo di invecchiamento determinano modificazioni importanti della cinetica e della dinamica dei vari farmaci, spesso utilizzati in politerapia. Tali variazioni sono di regola individuali e rendono particolarmente difficile identificare un dosaggio ottimale.

La progressiva diminuzione dell’acidità gastrica, della motilità intestinale e, più in generale, delle capacità di assorbimento determinano importanti variazioni dei livelli plasmatici, ma non bisogna dimenticare le modificazioni di circolo, di volume di distribuzione corporeo, etc. Il metabolismo e la clearance possono essere influenzati da modificazioni della funzionalità epatica e renale; spesso è necessario ridurre drasticamente i dosaggi prescritti al fine di mantenere costanti i livelli plasmatici. In generale l’esperienza clinica suggerisce che la dose iniziale debba essere ridotta al 25-50% di quella utilizzata comunemente nell’adulto giovane e gli incrementi di dosaggio debbano essere condotti gradualmente con estrema cautela.

Effetti collaterali nell’anziano

I farmaci antipsicotici sono associati a tossicità ed effetti collaterali problematici in tutti i pazienti, ed alcuni di questi sono particolarmente importanti negli anziani. Sia la valutazione di questi ultimi che la condotta terapeutica richiedono dunque nell’anziano un’attenzione particolare; la finestra terapeutica è spesso estremamente ridotta, l’efficacia è scarsa e la comparsa di effetti non desiderati o di eventi avversi è relativamente frequente. La sonnolenza e l’impairment cognitivo si manifestano frequentemente, con conseguenti compromissioni motorie e superiori.

Le cadute a terra e le fratture che derivano dall’ipotensione ortostatica sono comuni; frequenti sono, inoltre, gli episodi improvvisi di ritenzione urinaria, blocco intestinale e glaucoma. L’aumento di peso può essere rilevante, sebbene ciò possa essere in realtà desiderabile in alcuni pazienti sottopeso. Inoltre gli antipsicotici sono associati ad alterazioni della regolazione della temperatura corporea e ad alterazioni della motilità esofagea; queste ultime possono causare polmoniti ab ingestis.

Altri eventi indesiderati che si manifestano con l’uso di agenti antipsicotici comprendono il parkinsonismo, la discinesia tardiva (DT) e la sindrome maligna da neurolettici. Le reazioni distoniche sono meno frequenti nei pazienti anziani rispetto ai giovani, ma possono essere estremamente disturbanti. L’acatisia può causare irrequietezza ed aumento dell’attività motoria, incapacità di rilassarsi, ansia, depressione e difficoltà di concentrazione. Le discinesie orali possono portare a problemi dei denti o della protesi. Le discinesie degli arti inferiori possono causare disturbi dell’andatura e cadute.

L’uso di agenti anticolinergici per il trattamento dei sintomi extrapiramidali può aggravare i disturbi cognitivi e favorire la comparsa di quadri confusionali. Sweet et al. (10), in un gruppo di pazienti psicogeriatrici ricoverati, hanno riportato una prevalenza di tali effetti nel 16% nei soggetti che avevano meno di tre mesi di esposizione a neurolettici nel corso della vita, del 29% in quelli con 3-12 mesi, del 30% in quelli con 1-10 anni e del 41% in quelli con oltre dieci anni di trattamento.

I neurolettici, sia tipici che atipici, abbassano la soglia convulsivante e pertanto dovrebbero essere impiegati con cautela nei pazienti con storia di convulsioni e nei pazienti con MA, visto che la malattia di per se sembra abbassare la soglia convulsivante, e talora si associa a manifestazioni convulsive. La clozapina in special modo è associata ad un aumento, dose-dipendente, del rischio di crisi epilettiche: l’1% dei soggetti trattati con dosi di 300 mg/die va incontro a convulsioni, tale percentuale sale al 2,7% per dosaggi compresi tra i 300 e i 600 mg/die. Per dosaggi superiori ai 600 mg/die la percentuale risulta del 4,4% (11).

Anche gli altri neurolettici atipici sembrano essere legati ad un aumento del rischio di comparsa di crisi epilettiche, anche se in misura minore rispetto alla clozapina. Nei test di premarketing 9 (0,3%) soggetti trattati con risperidone su 2607, 22 (0,9%) trattati con olanzapina su 2500 e 18 (0,8%) trattati con quetiapina su 2387 hanno sviluppato convulsioni (12).

Farmacologia speciale

Clozapina

La clozapina è un forte antagonista dei recettori serotoninergici 5-HT; un buon antagonista dei recettori istaminergici, noradrenergici alfa-2 e colinergici muscarinici; un moderato antagonista dei recettori D4 e un antagonista minore dei recettori D2 e D1. I suoi livelli ematici possono essere aumentati dagli inibitori dei citocromo P450 (CYP) 1A2 (come la fluvoxamina) e ridotti dagli induttori dei 1A2 o dei 3A4.

La clozapina dà diversi effetti collaterali che ne limitano l’uso negli anziani. Il rischio più grave è l’agranulocitosi – conta dei granulociti inferiore a 500 mm3 – per la quale tutti i pazienti devono essere sottoposti a monitoraggio ematico settimanale nei primi sei mesi di trattamento; successivamente i pazienti possono ridurre la frequenza dei controlli. Le donne anziane potrebbero avere un rischio maggiore (13). Si dovrebbe evitare la co-somministrazione di altri farmaci, come la carbamazepina, che aumentano il rischio di agranulocitosi.

L’esecuzione di esami ematici obbligatori può essere più problematica nella popolazione anziana, che ha un maggior rischio di ecchimosi e una ridotta mobilità. Si dovrebbero avvertire i pazienti di controllare l’eventuale comparsa di letargia, febbre, debolezza e mal di gola.

La sedazione è l’effetto collaterale più comune ed è di solito lieve e transitoria; l’uso di dosi minime di farmaco e la somministrazione al momento di andare a letto minimizzano l’effetto. La scialorrea è il secondo effetto collaterale più comune.

Fra gli agenti atipici, la clozapina è quella con la maggiore probabilità di causare ipotensione ortostatica, che tuttavia tende ad autolimitarsi ed è più frequente all’inizio della terapia; tuttavia si possono manifestare sincopi e cadute a terra. La tachicardia, in genere, è transitoria e risponde ai beta-bloccanti periferici nei pazienti che riescono a tollerarli. La clozapina può anche causare un significativo aumento di peso, che può determinare problemi di salute o ridurre la compliance. La stipsi può essere controllata con l’assunzione di liquidi, una dieta ricca di fibre e l’uso di lassativi. Si ritiene che l’incontinenza urinaria sia secondaria a un blocco adrenergico; la sua incidenza è dell’1% circa.

Le caratteristiche favorevoli della clozapina comprendono la quasi completa assenza di reazioni distoniche acute, discinesie tardive e parkinsonismo, e l’incidenza molto ridotta di acatisia.

Olanzapina

L’olanzapina è un derivato tiobenzodiazepinico con azione a livello di vari recettori analogamente alla clozapina. Ha effetti antagonisti a livello di recettori serotoninergici 5-HT2, colinergici muscarinici, istaminergici, alfa-adrenergici e dopaminergici D1 e D2.

Il metabolismo avviene attraverso il CYP 1A2 e forse il 3A4. A parità di efficacia terapeutica, l’olanzapina produce parkinsonismo in misura significativamente inferiore rispetto all’aloperidolo, con una incidenza di effetti extrapiramidali simile a quella dei placebo (14,15). Gli effetti indesiderati dell’olanzapina comprendono aumento di peso (uno studio ha rilevato che i pazienti erano aumentati in media di 10 kg dopo sette mesi di trattamento (16) ), ipotensione ortostatica, tachicardia, stipsi, vertigini e sincope.

Risperidone

Il risperidone è un derivato benzisossazolico con potente azione di blocco dei recettori serotoninergici 5-HT2 e dopaminergici D2. Ha meno effetti muscarinici della clozapina e dell’olanzapina. È metabolizzato dall’isoenzima CYP 2D6. A dosi basse (> 6 mg/die nell’adulto giovane) causa significativamente meno parkinsonismo e discinesie tardive dell’aloperidolo (17). Tuttavia, negli anziani, per le ragioni esposte sopra, il parkinsonismo è molto comune anche a dosi nettamente inferiori.

Gli effetti indesiderati comprendono ipotensione ortostatica (causata da un blocco alfa-adrenergico), sonnolenza, aumento di peso e prolungamento dell’intervallo QT nell’ECG (18). A causa di questi effetti, il risperidone dovrebbe essere usato con cautela nei pazienti con storia di malattie cardiache. Altri effetti collaterali comprendono vertigini, agitazione, insonnia, ansia, stipsi, nausea, dispepsia, rinite e tachicardia. L’aumento della prolattina è almeno uguale (se non maggiore) a quello causato dagli antipsicotici tipici.

Le dosi iniziali negli anziani dovrebbero essere di 0,25-0,50 mg/die (19). La risposta clinica dovrebbe guidare la lenta titolazione con incrementi di non più di 0,25-0,50 mg/settimana. Nei pazienti anziani con demenza, la massima dose raccomandata è pari a circa 1 mg/die; negli anziani non dementi, sono generalmente tollerate dosi maggiori, fino a 2,5 mg/die. I pazienti con grave compromissione renale o epatica dovrebbero iniziare con dosi inferiori. Il risperidone è disponibile in formulazione liquida, la quale può essere particolarmente utile negli anziani.

Quetiapina

La quetiapina ha un’affinità relativamente bassa per il recettore D2 e ha proprietà anticolinergiche e antistaminiche, con effetti anche a livello dei recettori alfa-1 e alfa-2 adrenergici. Il metabolismo avviene attraverso l’isoenzima CYP 3A4.

Al pari dell’olanzapina si associa a un’incidenza di parkinsonismo significativamente inferiore rispetto all’aloperidolo (20). Altri effetti indesiderati comprendono ipotensione ortostatica, sonnolenza, vertigini, secchezza delle fauci, dispepsia, aumento di peso e dolore addominale. La quetiapina è, dopo la clozapina, l’antipsicotico atipico che causa maggiormente ipotensione ortostatica. In studi effettuati sui cani è risultata associata a cataratta; pertanto si raccomanda di controllare l’eventuale presenza di cataratta prima dell’inizio della somministrazione e ad intervalli regolari durante il trattamento.

Impiego clinico degli antipsicotici atipici

Il trattamento dei disturbi psicotici negli anziani deve tener conto delle particolari necessità e sensibilità di questa popolazione. Ogni qualvolta sia possibile si dovrebbero massimizzare gli interventi non farmacologici. Si dovrebbe, inoltre, eseguire una valutazione medica approfondita, che includa l’anamnesi completa, l’esame obiettivo ed i controlli di laboratorio; è necessario escludere la presenza di condizioni quali l’ipertrofia prostatica, il glaucoma ad angolo chiuso ed una storia di ileo paralitico.

Solamente le manifestazioni psicopatologiche che causano grave disagio, determinano comportamenti pericolosi o alterano il funzionamento dei paziente in misura rilevante sono il bersaglio appropriato per la terapia farmacologica. Altri sintomi psicotici più lievi (come allucinazioni visive che non spaventano il paziente) possono non richiedere interventi farmacologici.

Quando l’impiego di farmaci psicotropi è indicato si applicano alcune regole generali:

– Le dosi iniziali e quelle terapeutiche devono essere ridotte significativamente rispetto a quelle utilizzate nell’adulto giovane.

– La tossicità e gli effetti indesiderati devono essere attentamente monitorati.

– Dato che i pazienti anziani assumono numerosi farmaci, il rischio di interazioni farmacologiche deve sempre essere considerato.

– Si dovrebbe valutare la risposta al trattamento e periodicamente si dovrebbe tentare di ridurre o sospendere i farmaci antipsicotici.

– Ogni qualvolta sia possibile si dovrebbe evitare la somministrazione di farmaci al bisogno.

Farmacoterapia della demenza

Nessun farmaco ha l’indicazione per le manifestazioni psicotiche o gli stati di agitazione nella demenza. I neurolettici tipici sono stati studiati, ma i risultati riportati sono contrastanti (21-23). Più recentemente è stata ipotizzata una maggiore efficacia ed una migliore tollerabilità degli antipsicotici atipici. Questi ultimi, pur avendo evidenti vantaggi rispetto agli antipsicotici tipici come minori sintomi extrapiramidali e discinesie tardive, non sono ancora stati studiati a sufficienza nella popolazione anziana.

Olanzapina

I dati relativi all’impiego dell’olanzapina nelle manifestazioni psicotiche associate alla demenza sono in continuo aumento. Satterlee et al. (24) (dati non pubblicati) hanno valutato l’efficacia e la tollerabilità dell’olanzapina a dosaggi compresi tra 1 e 8 mg/die in uno studio in doppio cieco versus placebo in 238 pazienti con MA. Solo 69 pazienti assumevano dosaggi superiori ai 5 mg/die. L’olanzapina non risultava superiore al placebo ed i miglioramenti ottenuti non erano statisticamente significativi.

Successivamente, Street et al. (25) (dati non pubblicati) hanno riportato i dati ottenuti confrontando olanzapina e placebo in 206 pazienti (età > 60 anni) affetti da MA con sintomi psicotici o alterazioni del comportamento, trattati per 6 settimane a dosaggio di 5 mg/die (N = 56), 10 mg/die (N = 50), o 15 mg/die (N = 53). La dose di 5 mg/die era efficace sui deliri e sulle allucinazioni, ma 10 mg/die erano maggiormente efficaci sull’agitazione e sull’aggressività. Non esistevano, invece, differenze con il gruppo che aveva ricevuto i 15 mg/die. Gli effetti collaterali quali l’acatisia o sintomi extrapiramidali non differivano dal placebo in nessun gruppo. La sonnolenza era invece statisticamente più frequente, così come l’aumento di peso. Non sembravano essere modificati, invece, i principali segni vitali, gli esami ematochimici e l’elettrocardiogramma.

Questi dati sono stati recentemente rivisti da Street et al. (26) in 137 pazienti (63% donne; per il 94% di razza caucasica) che avevano superato la prima fase di trattamento in doppio cieco di 6 settimane ed erano entrati in una seconda fase in aperto dove era somministrata olanzapina a dosaggio di 5, 10, o 15 mg/die. La maggior parte dei pazienti (66%) ha assunto 5 mg/die per quasi tutta la fase in aperto. I pazienti trattati alla fine delle 18 settimane mostravano un notevole miglioramento sia delle allucinazioni e dei deliri, che dell’aggressività (media � SD = – 7,55 � 8,53,p < .001), e di 9 dei 12 item della Neuropsychiatric Inventory, volti a valutare il comportamento (- 2,84 � 3,24, p < ,001). In maniera analoga l’olanzapina determinava un miglioramento significativo globale alla BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale) (- 6,52 � 12,76, p < ,001) e alla CGI (Clinical Global Impression) (- 1,11 � 1,42, p < ,001). I punteggi al Mini Mental State Examination non hanno mostrato modificazioni rispetto al baseline. L’acatisia risultava ridotta in modo significativo rispetto al baseline (- 0,22 � 0,80, p = ,002). Il 26% dei pazienti lamentava sonnolenza (il 94% da media a moderata), il 26% traumi accidentali (il 91% da medie a moderate) ed il 22% rash (il 93% da medio a moderato).

Feidman et al. (27) hanno presentato all’lnternational Congress on Schizophrenia Research (ICSR) i dati riguardanti l’efficacia della olanzapina nella prevenzione della psicosi e dell’aggressività in pazienti affetti da MA. I dati dello studio di Street sono stati analizzati separatamente per quanto riguarda una parte (n = 76) dei 206 pazienti che non presentavano allucinazioni e deliri. In queste analisi nei pazienti che assumevano il placebo era più facile osservare l’insorgenza di una sintomatologia produttiva (p = ,006). Inoltre, l’olanzapina mostrava un profilo favorevole riguardo gli effetti collaterali; non risultavano apprezzabili modificazioni dei sintomi extrapiramidali, né tantomeno dei principali parametri vitali.

Recentemente, Mintzer et al. (28) hanno valutato l’efficacia dell’olanzapina nella sintomatologia ansiosa legata alla MA; l’olanzapina somministrata a dosaggio di 5 mg/die riduceva significativamente l’ansia
(p = ,03). Dosaggi superiori (5, 10 mg/die) non si sono dimostrati più efficaci. Non emergeva una sintomatologia extrapiramidale o una modificazione dei parametri clinici e di laboratorio. La sonnolenza era l’unico effetto collaterale presente in maniera superiore al placebo (placebo: 3,7%; 5 mg: 25%, p = ,03; l0 mg: 23%, p = ,05; 15 mg: 26%, P = ,05). L’effetto ansiolitico risultava indipendente dalla comparsa della sonnolenza o dalla scomparsa delle allucinazioni.

Risperidone

De Deyn et al. (29) hanno confrontato in 344 pazienti con MA (72%), DV (18%) e forme miste (10%) risperidone (N = 115) a dosi variabili di 0,5-4 mg/die, aloperidolo (N = 115), e placebo (N = 114). Sia alla dodicesima settimana, che alla valutazione finale (endpoint), il risperidone si mostrava leggermente più efficace dell’aloperidolo nel ridurre l’aggressività e l’agitazione. Gli effetti collaterali più frequenti in entrambi i gruppi ai quali era somministrato il farmaco attivo erano sedazione e perdita dell’equilibrio con cadute a terra. L’aloperidolo mostrava maggiori effetti motori, sia alla dodicesima settimana, che al termine dello studio.

Zarate et al. (30) hanno esaminato 122 pazienti geriatri-

ci ricoverati con diagnosi psichiatrica di demenza (52,5%), episodio depressivo maggiore con sintomi psicotici (16,4%), episodio misto o maniacale con sintomi psicotici (13,1%), e schizofrenia (8,2%). Il 77% dei pazienti riferiva almeno 1 disturbo di tipo internistico in comorbidità, tale da interferire con il trattamento; 117 sono stati trattati con risperidone (dosaggio medio giornaliero di 1,6 mg). Il 58,2% di questi pazienti riferiva la mancata risposta a precedenti trattamenti medici; 46 (82,1%) pazienti su 56 ai quali era stata posta la diagnosi di demenza con agitazione o con caratteristiche psicotiche risultavano migliorati (il 23,6% molto migliorato; il 36,1% migliorato il 25,9% minimamente migliorato). Il 10,2% dei pazienti risultava immodificato ed il 4,6% risultava addirittura peggiorato. Effetti collaterali erano emersi in 39 (32,0%) soggetti: ipotensione e sintomi extrapiramidali quali tremore, acatisia, bradicinesia o rigidità; 22 soggetti avevano interrotto il trattamento a causa degli effetti collaterali o della mancanza di efficacia del trattamento.

Katz et al. (31) hanno condotto uno dei primi studi multicentrici randomizzati, in doppio cieco, atipico versus placebo, riguardo il trattamento dei disturbi psicotici e delle alterazioni comportamentali nelle demenze. Sono stati inclusi nello studio 625 pazienti (età media 83 anni, 68% sesso femminile) con diagnosi di MA (73%), DV (15%) o forme miste (12%). Il gruppo trattato con il farmaco attivo ha ricevuto 0,5 mg, 1 mg, o 2 mg/die di risperidone; 435 (70%) pazienti hanno completato il periodo di studio. Il 45% di quelli che avevano ricevuto 1 mg/die ed il 50% di quelli che avevano assunto 2 mg/die mostravano una riduzione di almeno il 50% delle alterazioni comportamentali, dell’aggressività e dei quadri psicotici veri e propri presenti all’inizio del trattamento. La riduzione dell’aggressività si riscontrava anche a dosaggi minori (0,5 mg/die). A dosaggio di 1 mg/die il risperidone era praticamente sovrapponibile al placebo come effetti collaterali. Nel caso di 2 mg/die gli effetti collaterali più frequenti erano rappresentati da sintomi extrapiramidali, sedazione ed un modesto edema periferico. Brecher et al. (32) hanno valutato l’insorgenza di discinesie tardive in 330 pazienti che hanno proseguito, in aperto, per 1 anno il trattamento effettuato in questo studio (31). L’insorgenza di discinesie tardive si verificava nel 2,4% dei casi.

Quetiapina

L’impiego della quetiapina nell’anziano appare promettente anche se non sono stati riportati dati controllati. Cantillon et al. (33) hanno verificato l’utilità della quetiapina nel ridurre l’aggressività in 169 pazienti anziani di cui 90 con la diagnosi di demenza. Gli altri pazienti risultavano affetti da schizofrenia, allucinazioni, disturbo schizoaffettivo, disturbo bipolare e disturbi psicotici legati al Parkinson. La quetiapina, utilizzata a dosi variabili da 25 a 800 mg/die, si è mostrata efficace in tutti i pazienti ed anche se non era possibile distinguere i dementi dagli altri pazienti, i risultati ottenuti appaiono promettenti.

Più recentemente è stato condotto uno studio multicentrico (34), durato 52 settimane, su 152 pazienti anziani con diagnosi di disturbi psicotici (il 50% aveva la diagnosi di MA), trattati con dosi di quetiapina variabili da 12,5 a 450 mg/die. La dose media giornaliera era di 100 mg e la durata media del trattamento di 350 giorni. Un miglioramento statisticamente significativo era riscontrabile ad ogni valutazione eseguita dalla seconda settimana in poi. Non erano presenti effetti collaterali di rilievo. La quetiapina risultava ben tollerata e gli effetti collaterali a livello extrapiramidale, presenti nelle prime settimane, tendevano a scomparire con il proseguo del trattamento.

Un altro studio in aperto è stato condotto per 52 settimane in 78 pazienti con disturbi psicotici secondari a MA (35). Anche in questo caso il dosaggio iniziale di 25 mg/die poteva essere aumentato sino a 800 mg/die. Il farmaco si è mostrato efficace sia nel ridurre globalmente il punteggio della BPRS sia nel ridurre l’aggressività; 45 pazienti hanno mostrato una riduzione del comportamento aggressivo sin dai primi giorni, mentre la BPRS migliorava solo in un secondo tempo.

Clozapina

L’uso nella popolazione anziana non è stato ben caratterizzato e la letteratura comprende soprattutto descrizioni di casi clinici, studi in aperto e revisioni di cartelle cliniche. Uno studio retrospettivo di 18 pazienti geriatrici trattati con una dose media di 53,2 mg/die ha riscontrato un miglioramento clinico in 14 di essi; in 4 pazienti è stato necessario sospendere il farmaco a causa degli effetti collaterali o per l’assenza di efficacia (36). Chengappa et al. (37), in una descrizione retrospettiva dell’uso della clozapina in 12 donne anziane, ha mostrato che solo in 2 casi il farmaco si era mostrato superiore al neurolettico tipico, in 7 casi si era presentata ipotensione posturale, con conseguente sospensione in 5 delle 12 pazienti. In 1 caso il trattamento era stato sospeso per la comparsa di agranulocitosi. Tariot (38) in una revisione che ha riassunto i dati di 5 studi ha riportato uno scarso o nessun beneficio in tre studi; il quarto ha dimostrato una parziale riduzione di agitazione e paranoia e il quinto una riduzione di agitazione e deliri.

In conclusione i dati sulla clozapina sono insufficienti e non sembra emergere una particolare efficacia nel trattamento delle manifestazioni psicotiche associate alla demenza, migliore sembra la prospettiva di impiego nella agitazione.

Demenza con corpi di Lewy

I pazienti con DLB mostrano un’estrema sensibilità ai neurolettici; ciò complica il trattamento. Una revisione di cartelle di pazienti con DLB confermata autopticamente ha trovato che l’81% presentava reazioni indesiderate ai neurolettici, con 54% di casi gravi, contro una percentuale di solo il 7% nei pazienti con MA (39). I pazienti con DLB possono avere reazioni acute e spesso irreversibili a dosi standard di neurolettici; uno studio autoptico su 21 casi ha ipotizzato che il trattamento con neurolettici potesse avere ridotto del 50% la sopravvivenza della casistica (39).

Esistono descrizioni di casi in cui gli antipsicotici atipici, come il risperidone (40) e anche la clozapina (41), sono risultati utili nel ridurre l’agitazione e la psicosi in questi pazienti.

Più recentemente Clark et al. (42), in uno studio di 6 settimane in 206 pazienti con demenza, hanno analizzato i dati dei 29 pazienti appartenenti al sottogruppo cui era stata posta la diagnosi DLB; 5 mg/die di olanzapina si sono dimostrati efficaci nel ridurre allucinazioni e quadri deliranti (82,9%; p = ,003). Miglioramenti significativi (p = ,035) sono stati colti anche al Mini-Mental State Examination. Gli effetti extrapiramidali tra i pazienti trattati con 5 mg/die non erano superiori al placebo.

Pazienti con demenza ed agitazione

L’agitazione ed i comportamenti aggressivi sono le manifestazioni che più frequentemente conducono al ricovero ospedaliero o in casa di riposo (43,44). Le alterazioni dei comportamento spesso portano a una politerapia; è stato osservato che la proporzione di pazienti ambulatoriali con MA trattati con farmaci psicotropi (soprattutto neurolettici e agenti sedativo-ipnotici) aumenta nel corso della malattia (5).

Storicamente gli antipsicotici tipici sono gli psicotropi più frequentemente usati nel trattamento dell’agitazione. Diversi studi hanno dimostrato che questi farmaci inducono un miglioramento modesto rispetto al placebo nei pazienti agitati con demenza (45,46). L’aloperidolo e la tioridazina sono le sostanze più studiate di questa classe. Una recente metanalisi sugli studi controllati è giunta alla conclusione che gli antipsicotici tipici hanno solo un’efficacia modesta (solo 18 pazienti agitati su 100 beneficiano dei trattamento con antipsicotici rispetto al placebo) (47,48).

Per quanto riguarda gli antipsicotici atipici, l’olanzapina risulta particolarmente utile sull’agitazione, già a bassi dosaggi (2,5-5 mg/die), in monosomministrazione serale. Il composto sembra efficace anche nel ridurre la “Sundowner sindrome” (49). Per quanto riguarda il risperidone, le linee guida per il trattamento dell’agitazione nel paziente demente consigliano di iniziare con dosi di 0,25-0,5 mg/die e di aumentarle gradualmente sino a 2-3 mg/die (50). Anche la quetiapina può essere utilizzata in monosomministrazione serale. Il dosaggio iniziale deve essere particolarmente basso, per evitare la sedazione e le cadute; la dose iniziale può essere di 12,5 mg/die, con incrementi graduali sino a 50 mg/die. Raramente è necessario raggiungere i 75-100 mg/die anche se possono essere utilizzati dosaggi fino a 800 mg/die (51,52). La clozapina può essere rischiosa da impiegare a causa della possibilità di agranulocitosi; 12,5-25 mg/die sono comunque normalmente sufficienti a ridurre l’agitazione nel paziente demente. Secondo alcuni, tuttavia, possono essere utilizzati anche 100 mg/die senza particolari effetti collaterali (53).

Farmacoterapia del Morbo di Parkinson (MPI)

Nei pazienti anziani il trattamento del MPI pone problemi particolari. Gli agenti dopamino-agonisti spesso utilizzati per il trattamento dei disturbi del movimento possono scatenare o esacerbare una sintomatologia psicotica. Gli antipsicotici spesso peggiorano il tremore e la rigidità.

Le prime descrizioni dell’efficacia della clozapina nelle psicosi associate a MPI risalgono ai primi anni ottanta. Factor et al. (54) hanno trattato 17 pazienti con MPI e sintomi psicotici con 6,25-150 mg/die di clozapina, riscontrando un miglioramento sia della sintomatologia psichiatrica che motoria. Scholz et al. (55) hanno segnalato una buona risposta trattando con clozapina (25-100 mg/die) in aperto 4 pazienti con psicosi da L-dopa.

Numerosi sono al giorno d’oggi le osservazioni che indicano l’efficacia e la buona tollerabilità della clozapina a basse dosi nel controllare le manifestazioni psicotiche senza peggiorare la funzione motoria nei pazienti con MPI (56-58).

Il Parkinson Study Group nel 1999 (59) ha effettuato uno studio multicentrico in doppio cieco versus placebo utilizzando bassi dosaggi di clozapina; 30 pazienti hanno ricevuto la clozapina (dosaggio iniziale 6,25 mg/die, max 50 mg/die; dose media 28 mg/die) con un notevole miglioramento della sintomatologia psichiatrica e neurologica. Trosc et al. (58) hanno effettuato uno studio retrospettivo su 172 pazienti con MPI dimostrando come rispondano favorevolmente al trattamento con clozapina anche l’ansia, la depressione, l’ipersessualità e la frammentazione del sonno associate al disturbo ed all’impiego di agenti dopaminergici.

La clozapina a basso dosaggio sembra essere efficace anche nella acatisia e nelle sindromi dolorose spesso associate al MPI. Già nel 1993, Linazasoro et al. (60) hanno dimostrato l’efficacia della clozapina a basso dosaggio in monosomministrazione serale (dose media 26,4 mg/die) nel ridurre l’acatisia notturna in 9 pazienti seguiti per 12 mesi. Nel 1996 Juncos (61) ha effettuato uno studio in aperto durato 2 anni; 6 pazienti su 7 sono stati trattati con clozapina (25-75 mg/die) con un miglioramento di oltre il 60%
(p < 0,005) del dolore crampiforme.

Wolters et al. (62) hanno descritto per primi l’utilizzo dell’olanzapina in uno studio in aperto nel MPI. Sono stati trattati 15 pazienti per un periodo di 2-5 settimane con un miglioramento della sintomatologia psicotica e senza riscontrare alcun peggioramento dell’attività motoria. Numerosi case reports ed osservazioni in aperto su casistiche limitate hanno riportato, però, un peggioramento notevole del MPI dopo assunzione di olanzapina, tanto da necessitare la sospensione del farmaco (63) o addirittura il ricovero (64,65).

Recentemente Gimenez-Roldan et al. (66) hanno confrontato direttamente l’efficacia e la tollerabilità della clozapina e dell’olanzapina in uno studio di 12 settimane in due gruppi di 9 pazienti ammessi consecutivamente al trattamento. Tutti i pazienti trattati con clozapina (dosaggio iniziale 13,1 � 7,9 mg/die) hanno completato il periodo di osservazione nonostante gli effetti collaterali quali sonnolenza, cadute a terra, ipotensione ortostatica e svenimenti. Al contrario 3 dei 9 pazienti trattati con olanzapina (dosaggio iniziale di 3,9 � 1,3 mg/die) hanno interrotto rapidamente lo studio a causa del peggioramento dell’andatura e della sedazione. Tutti i pazienti trattati hanno mostrato una riduzione della sintomatologia psichiatrica ma, mentre i soggetti che assumevano clozapina (dose media 16,9 � 10,3 mg/die) mostravano una riduzione della sintomatologia extrapiramidale, al contrario i pazienti trattati con olanzapina (dose media 4,7 � 2,3 mg/die) mostravano un peggioramento della sintomatologia neurologica (66).

I risultati ottenuti con il risperidone sono contraddittori. Alcuni studi hanno riferito miglioramenti della psicosi e dell’agitazione senza esacerbazione di sintomi motori (67-69); altri hanno riportato un peggioramento dei sintomi parkinsoniani (70,71) e talvolta la comparsa di confusione (72,73).

Il primo studio (74) volto a verificare l’efficacia e la tollerabilità della quetiapina in pazienti parkinsoniani è stato condotto su 10 pazienti trattati in aperto a dosaggio di 50 mg/die con un miglioramento “medio” significativo (p = 0,04) sia della sintomatologia psichiatrica che di quella motoria. Lo stesso gruppo di lavoro riferisce di un follow-up di 15 pazienti seguiti per 12 mesi; anche in questo caso la quetiapina (70 mg/die) si mostrava efficace in ambedue gli aspetti (75). Più recentemente, Samantha e Stacy (76) hanno verificato che 37,5 mg/die di quetiapina in 10 soggetti, affetti da MPI grave, non riferivano un peggioramento clinicamente significativo della sintomatologia motoria. Fernandez e Friedmann (77) hanno confermato questi dati trattando con quetiapina 24 pazienti. Dopo 4 settimane il miglioramento della sintomatologia psichiatrica risultava significativo (p = 0,024) senza alcun peggioramento di quella del MPI. Gli stessi autori hanno verificato come la quetiapina possa essere sostituita alla clozapina e all’olanzapina in pazienti già stabilizzati, senza alcun peggioramento del quadro clinico. Non esistono tuttavia osservazioni controllate con questo composto.

Conclusioni

Gli antipsicotici atipici hanno rivoluzionato la terapia di gravi disturbi mentali quali la schizofrenia ed i disturbi bipolari. Attualmente sono in commercio in Italia clozapina, olanzapina, risperidone e quetiapina; tali farmaci sono caratterizzati da un’efficacia notevole e da un profilo di tollerabilità eccellente rispetto agli antipsicotici tipici, impiegati tradizionalmente. Viste le caratteristiche favorevoli di questi composti il loro impiego nell’anziano appare di grande interesse per l’impatto che può avere sulla pratica clinica. Numerose sono le ricerche dove l’utilizzo di queste sostanze è risultato più che promettente, ed è probabile che questi farmaci siano particolarmente utili nel trattamento delle manifestazioni psicotiche e dell’agitazione presenti associate a vari tipi di Demenza ed al MPI.

Nel caso dei disturbi psicotici associati alla demenza, la letteratura disponibile indica come composti da utilizzare in prima istanza l’olanzapina ed il risperidone, mentre esistono meno informazioni per quanto riguarda la quetiapina. Scarsi sono anche i dati disponibili sulla clozapina, la quale, per il maggior numero di effetti collaterali pericolosi, deve comunque essere riservata a casi resistenti selezionati.

L’olanzapina appare efficace e ben tollerata anche sull’agitazione associata alle demenze; in queste forme sono tuttavia necessarie dosi più elevate, che possono produrre sonnolenza ed aumento ponderale. Anche il risperidone può considerarsi efficace, ma sembra produrre effetti extrapiramidali ed ipotensione ortostatica in misura superiore. Quest’ultimo effetto collaterale è particolarmente frequente con la quetiapina, che risulta tuttavia promettente sul piano dell’efficacia. Non sembrano esserci particolari vantaggi nell’impiego di clozapina in questa indicazione.

Viceversa basse dosi di clozapina risultano particolarmente utili nel trattamento delle manifestazioni psicotiche associate al MPI, questo composto sembra essere efficace anche sulla componente motoria. L’olanzapina, anche se meno efficace, risulta gravata da minori rischi di tossicità ed appare come un’alternativa valida. Anche i risultati ottenuti con la quetiapina sembrano promettenti. Il risperidone appare meno utile poiché sembra peggiorare il quadro motorio.

È probabile che questi farmaci siano comunque utilizzabili anche in altri disturbi neurologici quali la Corea di Hungtinton, le neurodistonie o nel tremore refrattario, ma sono necessari ulteriori studi controllati per verificarne appieno le potenzialità.

 Corrispondenza: dott. Giulio Perugi, Dipartimento di Psichiatria, Università di Pisa, via Roma 67, 56100 Pisa – Tel. 050 835414 – Fax 050 21581 – E-mail: gperugi@psico.med.unipi.it

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