Gli stabilizzanti del tono dell’umore nel trattamento dei disturbi dello spettro bipolare

Mood stabilizers in the treatment of bipolar spectrum disorders

M. MAURI, C. BORRI, S. BANTI, M. MINIATI

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia, Biotecnologie, Clinica Psichiatrica, Università di Pisa

Parole chiave: Disturbo Bipolare • Stabilizzanti dell’umore
Key words: Bipolar disorders • Mood stabilizers Introduzione

Gli stabilizzanti del tono dell’umore costituiscono i farmaci di prima scelta per una strategia di trattamento dei disturbi dello spettro bipolare, che si articoli in almeno tre fasi: 1) trattamento dell’episodio acuto; 2) continuazione della terapia quando la fase acuta si è risolta; 3) profilassi per ridurre il rischio di ricaduta (o di ricorrenza) in episodi successivi o di viraggio in fasi di opposta polarità.

Il trattamento di una fase maniacale o mista costituisce forse uno dei momenti più complessi della pratica psichiatrica. Il paziente in fase espansiva difficilmente accetta la terapia a causa del possibile concomitare di iper-reattività, aggressività e mancanza di insight e, nei casi più gravi, solo il ricovero in ambiente ospedaliero può fornire gli strumenti adeguati al trattamento di pazienti con queste caratteristiche.

Per molti anni il litio, la carbamazepina ed il valproato sono stati gli unici stabilizzanti, impiegati in combinazione con i neurolettici e le benzodiazepine, per trattare gli episodi maniacali o misti. I più recenti agenti antimaniacali, i cosiddetti neurolettici atipici (risperidone, clozapina, olanzapina) sono stati utilizzati come possibile alternativa di trattamento, non solo in fase acuta, ma anche nelle fasi di continuazione e di profilassi. Nuovi farmaci anticonvulsivanti (gabapentin, lamotrigina, topiramato), introdotti più recentemente nella pratica clinica, hanno affiancato gli stabilizzanti tradizionali con risultati non univoci; altri, come i calcio antagonisti, pur essendo noti da tempo, hanno avuto un impiego limitato solo ai casi in cui la terapia con gli stabilizzanti tradizionali non era possibile. L’uso degli stabilizzanti ha subito una profonda trasformazione negli ultimi anni. Se sono stati ridimensionati gli entusiasmi derivati dall’interpretazione ottimistica dei dati dei primi studi clinici, la continua espansione dei confini diagnostici dello spettro bipolare ha comunque condotto ad un impiego sempre più ampio di questi farmaci. In questo senso, è stato determinante l’approfondimento di tre aspetti dello spettro bipolare: la comorbidità con altri disturbi psichiatrici, l’individuazione di un’ampia area di psicopatologia “sottosoglia” e la definizione di specifici sottogruppi di pazienti bipolari, con caratteristiche “speciali” (“special populations”) (1).

Lo spettro dei disturbi dell’umore si è espanso con la definizione degli aspetti più sfumati, incompleti, attenuati, inter-episodici, dei prodromi, dei precursori e dei residui degli episodi conclamati di malattia, che ha portato ad una revisione delle percentuali di prevalenza del disturbo bipolare nella popolazione generale. Il riscontro di elevati tassi di comorbidità (2-5) tra spettro bipolare e Fobia Sociale, Disturbo di Panico, Disturbo Ossessivo-Compulsivo o abuso di sostanze, ha favorito l’impiego degli stabilizzanti del tono dell’umore anche in tali ambiti, qualora fossero presenti sintomi o gruppi di sintomi appartenenti alla sfera bipolare. Infine, l’osservazione di aspetti di bipolarità più o meno evidenti in soggetti con comportamenti antisociali, criminali, con condotte di abuso, con dipendenza da farmaci o sostanze, con discontrollo degli impulsi, con manifestazioni atipiche ha permesso di rivalutare il ruolo della terapia con stabilizzanti in soggetti un tempo definiti “caratteropatici”, “antisociali”, “borderline” ed ha posto nuovi interrogativi sulla soglia di inizio trattamento, in particolare nei soggetti con disturbi ad esordio precoce (1). Scopo di questo articolo è quello di fornire una revisione critica dell’impiego degli stabilizzanti (tradizionali e nuovi) alla luce della profonda trasformazione in atto nella vasta area della psicopatologia dell’umore.

Gli stabilizzanti “tradizionali”: il litio, la carbamazepina, il valproato

Il litio è considerato tuttora il farmaco di prima scelta nel trattamento delle forme maniacali pure. I limiti di una terapia con litio sono conosciuti da tempo: un ridotto range terapeutico, una elevata incidenza di effetti collaterali, la potenziale interferenza con la funzionalità renale e con quella tiroidea ne hanno ridotto l’uso nelle forme più attenuate di bipolarità. È lo stabilizzante anti-maniacale per eccellenza con percentuali di risposta del 78%. La sua validità nella profilassi delle ricadute e delle ricorrenze è invece da tempo in discussione. La risposta nel trattamento delle forme depressive bipolari è di poco superiore a quella del placebo. Gli studi di Schou, Coppen ed altri hanno costituito la base per l’osservazione dell’efficacia profilattica del litio (6-8), ma hanno mostrato, ad una successiva analisi, quali possano essere i rischi associati con la sua sospensione: interrompere la terapia con litio in un paziente bipolare significa esporlo al rischio di una ricaduta nel 50% dei casi (9). Se i confini dello spettro bipolare si sono allargati, il numero dei potenziali candidati ad una terapia con il litio si è di contro ridotto: il litio ha percentuali di risposta non elevate nel trattamento degli episodi maniacali e misti con sintomi psicotici, in cui i neurolettici atipici, in particolare la clozapina, hanno mostrato una azione più rapida; gli episodi misti in genere costituiscono un fattore predittivo di risposta negativa al litio; i cosiddetti “rapidi ciclici” sembrano resistenti alla terapia con tutti gli stabilizzanti; nelle forme di bipolarità con abuso di sostanze, osservazioni naturalistiche (10) sembrerebbero indicare una maggiore utilità del valproato. Studi recenti hanno individuato una percentuale di pazienti intorno al 55% tra coloro che avrebbero risposto inizialmente al litio (11) in grado di sviluppare in un secondo tempo una forma di resistenza al farmaco, con una progressiva perdita di efficacia dopo i primi due anni di trattamento. L’osservazione di un ritorno della frequenza degli episodi ad un livello superiore a quello pre-trattamento, dopo sospensione della terapia con litio, ha condotto, in questo specifico sottogruppo di pazienti, all’adozione di terapie combinate: anziché sospendere il litio quando la risposta è stata scarsa o parziale, sono state proposte le associazioni con valproato e/o carbamazepina. Il litio ha dimostrato di essere lo stabilizzante con maggiore efficacia profilattica nei confronti delle condotte suicidarie (12,13). Studi naturalistici avrebbero riportato una riduzione dei tentativi di suicidio significativa (rischio 5 volte inferiore) che potrebbe essere correlato alla minore tendenza alle ricadute. Alla sospensione, il tasso di suicidio tornerebbe a valori pre-trattamento entro un anno; il primo anno dopo la sospensione corrisponde al momento di maggior rischio.

L’efficacia profilattica del valproato è stata dimostrata prevalentemente in studi in aperto, sia su pazienti con un disturbo bipolare che con diagnosi di disturbo schizoaffettivo. Nei confronti con gli altri stabilizzanti, in particolare con il litio che rimane il farmaco di paragone, il valproato ha dimostrato una maggiore facilità d’impiego, con una minore frequenza di drop-outs dovuti agli effetti collaterali (10% vs 25% del litio) (14), ed una buona risposta nei casi complicati da abuso di sostanze. Ancora controversa è l’osservazione di una maggiore efficacia del valproato rispetto agli altri stabilizzanti nei casi di mania mista. Per la profilassi a lungo termine, almeno 7 studi effettuati su pazienti bipolari e tre su pazienti con disturbo schizo-affettivo avrebbero dimostrato l’efficacia di questo farmaco nella prevenzione sia della mania che degli episodi depressivi. Due studi hanno confrontato il valproato con il litio. In uno di questi, 121 pazienti sono stati seguiti in aperto per due anni (14), con una riduzione del numero degli episodi da 4 a 0,51-0,61/anno. Risultati simili sono stati riscontrati in altri studi placebo-controllati (15). Rimangono tuttavia aperti alcuni interrogativi su questo farmaco: sebbene le osservazioni cliniche sembrino suggerire per il valproato una minore incidenza della sindrome da sospensione rispetto al litio, non esistono ancora dati dirimenti né su questo argomento, né sulla sua perdita di efficacia sul lungo termine. Inoltre, deve essere ancora definito lo spettro d’azione di un farmaco che è stato proposto come alternativa anche per la profilassi degli episodi depressivi, sui quali il litio non sembra avere la medesima efficacia (15).

La carbamazepina è stata impiegata largamente negli ultimi due decenni nella profilassi dei disturbi bipolari, sebbene i dati derivanti da studi prospettici placebo-controllati sulla sua efficacia siano mancanti. Gli studi di crossover dei primi anni ’80 (16,17) hanno confrontato il numero degli episodi pre-trattamento con quanto ottenuto dopo almeno 1 anno di somministrazione del farmaco con risultati non univoci a causa delle ridotte dimensioni dei campioni utilizzati e della possibilità di associare altri farmaci. Tre studi hanno poi documentato la superiorità del litio sulla carbamazepina (18-20), anche se in parte il risultato può essere stato influenzato dall’inclusione di pazienti precedentemente stabilizzati con litio. La carbamazepina, come del resto il valproato ed il litio, sembrerebbe più efficace nella profilassi delle ricadute maniacali, con una perdita di efficacia nel tempo. Questo effetto potrebbe non dipendere dalle caratteristiche del farmaco, quanto dalle caratteristiche del disturbo bipolare. Considerati nel loro complesso, gli studi sulla carbamazepina supportano comunque l’impressione clinica di un farmaco che può costituire un’opzione di scelta per il trattamento dei disturbi bipolari, in particolare nei casi di resistenza parziale al litio e nei rapidi ciclici. L’impiego principale che viene fatto attualmente della carbamazepina è legato all’adozione di schemi di terapia combinata. La combinazione litio-carbamazepina (in alternativa a litio-valproato) costituisce una possibile opzione, quando si determini una graduale progressione del disturbo bipolare verso forme di resistenza al litio in monoterapia, assunto da tempo. Questo fenomeno può rappresentare una progressione “naturale” del disturbo dell’umore, piuttosto che una vera e propria resistenza al farmaco, ma devono comunque essere considerate possibili alternative, atte a fronteggiare una simile evenienza, e la più adeguata al momento resta la combinazione di 2 o più stabilizzanti.

Altri stabilizzanti

Il range limitato di opzioni attualmente disponibili e la resistenza ai farmaci costituiscono problemi frequenti durante il trattamento di un numero consistente di pazienti con disturbo bipolare. Per questo motivo sono stati presi in considerazione approcci differenti, con l’impiego di nuovi anticonvulsivanti, di calcio antagonisti, di ormoni e più recentemente dei cosiddetti neurolettici atipici (clozapina, olanzapina, risperidone). Tra gli anticonvulsivanti di recente impiego, la lamotrigina ed il gabapentin sembrano essere utili nel trattamento della depressione cronica e della depressione bipolare, per cui è stato ipotizzato un loro impiego sul lungo termine. Tuttavia, la mancanza di studi controllati ne ha limitato finora l’impiego ai casi di mancata risposta al trattamento con gli stabilizzanti tradizionali. I calcio-antagonisti sono da tempo considerati utili nel trattamento della mania acuta (21,22), mentre ancora dubbia è la loro efficacia durante gli episodi depressivi e nella profilassi delle eventuali ricadute (23). In uno studio con verapamil somministrato per 1 anno a pazienti con disturbo bipolare a cicli rapidi è stata riscontrata una buona risposta in soggetti non trattati con litio, ed una risposta nettamente inferiore nel sottogruppo dei pazienti già sottoposti a terapia con questo farmaco (24). Risultati positivi sono stati anche riportati per la nimodipina, ma i suoi effetti cardiovascolari ne riducono le possibilità di impiego. Una riduzione nella gravità sia degli episodi maniacali che di quelli depressivi è stata descritta in pazienti con disturbo bipolare a cicli rapidi trattati con stabilizzanti e ormoni tiroidei (25), anche se il mantenimento di questo risultato sembra essere molto raro, anche nei pazienti con una buona risposta iniziale. L’impiego dei neurolettici atipici nei pazienti bipolari è stata proposta non solo per il trattamento degli episodi maniacali acuti, ma anche per la profilassi, a causa della sovrapposizione sintomatologica tra alcune manifestazioni dello spettro bipolare e manifestazioni dello spettro schizofrenico. In particolare la clozapina, ma anche il risperidone e l’olanzapina sono stati proposti in alternativa o in associazione con gli stabilizzanti dell’umore, anche se il rischio di induzione di sintomi depressivi, di manifestazioni melanconiche deve essere sempre considerato. Questi farmaci possono consentire un rapido controllo della sintomatologia maniacale o mista, dell’aggressività, degli eventuali sintomi psicotici, ed in particolare la clozapina sembra essere associata ad una riduzione delle condotte autolesive.

I confini dello Spettro Bipolare: nuove problematiche di impiego degli stabilizzanti del tono dell’umore

a) Le manifestazioni “sottosoglia”

Se il mancato riconoscimento di forme sottosoglia dello spettro bipolare ha contribuito in passato alla sottostima dell’incidenza e delle conseguenze dei disturbi dell’umore, più recentemente la sua individuazione e sistematica descrizione ha modificato il punto di osservazione relativo alla scelta del trattamento con stabilizzanti ed alla definizione del suo momento iniziale (26). Le cosiddette forme sottosoglia dell’umore possono in realtà essere clinicamente rilevanti ed interferire con il funzionamento individuale (27,28). Gli studi effettuati alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90 su pazienti con forme espansive attenuate, quali il temperamento ipertimico o quello irritabile, hanno mostrato come questi soggetti possano presentare una notevole propensione a condotte rischiose di vita, all’abuso di nicotina e caffeina, all’uso di alcoolici, alla ricorrenza di episodi depressivi, anche se ad insorgenza tardiva (29,30). Dati più recenti (26) hanno confermato l’elevata incidenza di forme ipomaniacali di durata contenuta (3-5 giorni: brief recurrent hypomania) in grado di spostare, se accuratamente rilevate, l’incidenza del disturbo bipolare dallo 0,5% al 5,5% (26). Nei pazienti classicamente considerati come unipolari, è spesso individuabile un sottofondo persistente di tipo bipolare: nei distimici è possibile osservare brevi viraggi ipomaniacali durante il trattamento con antidepressivi triciclici (30% circa), e non è infrequente il riscontro di una familiarità positiva per disturbo bipolare (1). In questi soggetti, i sintomi maniacali attenuati possono passare inosservati per vari motivi: dalla sensazione soggettiva di benessere che spesso li contraddistingue e che spinge il paziente a non riferirli, alla prevalenza di elementi della sfera neurovegetativa o di oscillazioni dell’energia fisica piuttosto che dell’umore, che portano ad una sottostima di un pattern stabile di ciclicità (31). L’impiego degli stabilizzanti dell’umore in questi pazienti è ancora in larga parte da definire. In questo senso, può essere importante l’adozione di un criterio di classificazione di questi disturbi che superi la dicotomia unipolare-bipolare, e che miri alla identificazione sistematica delle forme bipolari sottosoglia anche nei cosiddetti pazienti unipolari, con nuovi strumenti di valutazione (32).

b) Le popolazioni speciali

Sebbene le caratteristiche principali del disturbo bipolare possano essere simili nella maggior parte dei pazienti, altre manifestazioni possono variare notevolmente e possono contribuire all’identificazione di “popolazioni speciali” di pazienti bipolari. Recentemente, alcuni autori hanno proposto un inquadramento sistematico di pazienti bipolari “atipici” per età di esordio del disturbo (nell’infanzia o nel senium) per presentazione (con sintomi appartenenti ad altri ambiti diagnostici in comorbidità full-blown o di spettro) per decorso (complicato da abuso di sostanze, alcool ecc.) o caratterizzati dalla concomitanza, in particolari epoche della vita, di fenomeni fisiologici (dalla gravidanza, alla menopausa) in grado di modificare significativamente alcune caratteristiche del disturbo bipolare (1). L’utilità di un approccio descrittivo a queste popolazioni speciali consisterebbe nella ricerca ed individuazione degli elementi di bipolarità in soggetti per i quali il riconoscimento di un disturbo bipolare dalle caratteristiche “particolari”, “speciali” può porre problemi di diagnosi differenziale e di corretto inquadramento diagnostico prima che terapeutico. Per molti di questi pazienti il riconoscimento del disturbo bipolare può risultare estremamente complicato: dal giovane adolescente con condotte di abuso di sostanze o comportamenti antisociali, impulsivi, all’anziano con una forma cronica di mania mono-sintomatica o oligo-sintomatica in cui prevalgano la querulomania, la litigiosità, o aspetti pseudo-demenziali, con compromissione delle funzioni cognitive (33); dalla concomitanza di elementi degli spettri panico-agorafobico, social-fobico o ossessivo-compulsivo, alla comorbidità con disturbi organici, neurologici, cerebrovascolari. Per tutti questi pazienti è estremamente complicato poter proporre schemi terapeutici da seguire e l’impiego degli stabilizzanti del tono dell’umore risulta essere in larga parte condizionato dalla parziale risposta sul lungo termine e dalla scarsità di dati, principalmente basati sull’esperienza.

c) La Comorbidità

L’impiego degli stabilizzanti del tono dell’umore è complicato attualmente dalla più accurata definizione di due aspetti dello spettro bipolare: la comorbidità ed il sottosoglia. Le osservazioni di disturbi concomitanti in uno stesso individuo si sono estese dalla presenza di forme ad espressione completa a quella di forme ad espressione attenuata, incompleta, con una modifica dei modelli diagnostici e dell’operatività clinica. Elevati livelli di comorbidità tra lo spettro bipolare ed altre aree psicopatologiche sono di frequente riscontro negli studi clinici (5,34), con una sovrapposizione non solo relativa all’area dei disturbi d’ansia, ma anche all’area dello spettro schizofrenico (35,5). In questi casi, gli stabilizzanti del tono dell’umore sono stati proposti come farmaci in grado di controllare, almeno parzialmente, non solo i sintomi del disturbo dell’umore, ma anche dell’eventuale disturbo in comorbidità: dal valproato ed il gabapentin per il disturbo di panico (36), dal topiramato alla lamotrigina per il disturbo ossessivo-compulsivo (1), al gabapentin per la fobia sociale (37).

Considerazioni conclusive

La classificazione dei disturbi bipolari secondo i principali sistemi categoriali in disturbi dai limiti definiti per esigenze di studi clinici e farmacologici, non appare in grado di esaurire la molteplicità delle manifestazioni riscontrabili nella realtà clinica. L’eterogeneità di presentazione del disturbo bipolare ha determinato problemi di corretto inquadramento diagnostico ed ha in parte condizionato l’impiego degli stabilizzanti attualmente disponibili: il disturbo bipolare può presentarsi con quadri sintomatologici differenti, a seconda dell’età di insorgenza, della eventuale comorbidità con altri disturbi psichiatrici o internistici, dalla co-presenza di uso/abuso di alcool o sostanze, della presenza di un ritardo mentale o di una patologia mentale organica che possono orientare la scelta farmacologica. L’uso degli stabilizzanti del tono dell’umore ha pertanto subito una evoluzione, non solo dovuta alla maggiore conoscenza delle loro conseguenze sul lungo termine, dei loro effetti collaterali e delle loro limitazioni di impiego, ma anche determinata dalla continua revisione clinico-diagnostica dei confini della patologia bipolare. Se la maggiore enfasi conferita al sottosoglia, il riconoscimento di forme attenuate di comorbidità, l’identificazione di elementi precoci di malattia hanno permesso di descrivere con maggiore accuratezza il decorso e le caratteristiche del disturbo bipolare, è anche vero che questo approccio ha in parte ridimensionato le aspettative della terapia con stabilizzanti: questi rimangono i farmaci di elezione per la terapia e la profilassi degli episodi maggiori, ma la loro efficacia è oramai riconsiderata non solo in funzione della loro capacità di prevenire le ricadute o di ridurre la frequenza degli episodi a piena espressione sintomatologica, ma anche dall’osservazione di una sintomatologia residua, di sequele, che possono cronicizzare o trasformarsi in prodromi di un episodio successivo. La sempre maggiore attenzione al sottosoglia, alle manifestazioni atipiche ed incomplete, alla presenza di segni e sintomi a carattere persistente, di prodromi e residui degli episodi maggiori, ha di fatto cambiato le misure di outcome e la prognosi del disturbo bipolare, e conseguentemente l’indice di efficacia degli stabilizzanti. D’altro lato, l’identificazione di elementi sfumati di ipertimia, di ipomania, di elementi dello spettro bipolare anche in soggetti classicamente definiti “unipolari” (con ciclicità dei pattern neurovegetativi, con oscillazioni sub-cliniche dei livelli di energia, con periodi caratterizzati da comportamenti a rischio o promiscui e di ridotto controllo degli impulsi) ha condotto ad una graduale espansione dello spettro bipolare ed ha favorito l’impiego degli stabilizzanti in un più ampio numero di pazienti con disturbi dello spettro dell’umore.

Corrispondenza: prof. Mauro Mauri, Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia, Biotecnologie, Clinica Psichiatrica, Università di Pisa – Tel. 050 835409 – Fax 050 21581.1 Cassano GB, McElroy S, Brady K, Nolen WA, Placidi GF. Current issues in the identification and management of bipolar spectrum disorders in “special populations”. J Affect Disord 2000;59:S69-S79.

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