I nodi critici dell’assistenza psichiatrica ospedaliera

R. Raimondi

Coordinatore DSM Az. USL 1 di Massa e Carrara

In Italia, a distanza di 24 anni dall’approvazione della legge di riforma psichiatrica, il dibattito scientifico sui trattamenti pi� efficaci e le interconnessioni pi� adatte per garantire un’assistenza adeguata ai disturbati mentali si mantiene vivace, anche se si sono attenuati i toni polemici dei primi anni sull’abolizione dei manicomi. Il dibattito si � spostato dalle posizioni oltranziste pro e contro la psichiatria asilare alla necessit� di individuare e validare modelli operativi, procedure (1), governo dei processi (2), generalizzabili e riproducibili, per estendere e consolidare i risultati di esito (3) della psichiatria di comunit�. La molteplicit� delle esperienze esemplari, fortemente vincolate ai singoli contesti e alle risorse professionali ed economiche localmente investite, ha finora impedito una comparazione sulla significativit� dei dati di esito dei trattamenti medici e psicologici, sul rapporto costo/benefici (4) dei servizi attivati, sull’efficacia teorica/efficacia reale dell’organizzazione assistenziale, sull’efficienza/efficacia dei programmi terapeutici. La legge 180/78, abolendo il ricovero del malato di mente in strutture manicomiali, istitu� i SPDC come spazi ospedalieri non strutturati per i trattamenti psichiatrici sia in regime di obbligatoriet� sia in regime volontario. La legge di Riforma Sanitaria 833/78 con l’art. 34 delegava le Regioni a dotarsi con proprie leggi di un complesso di servizi a struttura dipartimentale con funzioni preventive, curative e riabilitative per tutelare la salute mentale.

Le prime Regioni, che adottarono leggi disciplinanti l’assetto dei servizi di salute mentale, furono l’Emilia-Romagna e la Toscana (5).

La Regione Toscana con la legge 61/90 e la Deliberazione del Consiglio Regionale 160/92 istitu� il DSM come organizzazione strutturale, unitaria e multiprofessionale, territorialmente definita, che doveva farsi carico dell’assistenza psichiatrica in continuit�. Le due priorit� prescritte come obbliganti, che il DSM doveva perseguire nel primo triennio, erano il superamento del manicomio e la costruzione di una rete di servizi ad alta integrazione sociosanitaria per trattare i disturbi gravemente disabilitanti (prevalentemente psicosi). Il ruolo e la funzione del ricovero ospedaliero psichiatrico nei percorsi assistenziali furono, come scelta politica condivisa tecnicamente dagli operatori, marginalizzati e resi eccezionali (6).

Le pratiche assistenziali mediche del disturbato mentale si sono caratterizzate nelle diverse realt� italiane come un processo sperimentale perpetuo e autoreferenziale. I dati di esito dei trattamenti pubblicati dai vari servizi sono una sequela di narrazioni frammentate e descrittive ed evidenziano ancora le contaminazioni ideologiche di chi li produce. Le variabili evidenziabili in questi dati sono cos� determinanti per la loro frequenza da diventare costanti, per cui rendono gli esiti descritti non comparabili tra di loro e non riproducibili.

Sono dati, spesso significativi, di una esemplarit� non riproducibile in altri contesti.

La funzione medica della psichiatria � stata identificata dagli psichiatri dei servizi territoriali, orientati ideologicamente verso il radicamento della psichiatria di comunit�, con il riduzionismo biologico (encefaloiatria), che collude pervicacemente con il contesto sociale nella stigmatizzazione del malato di mente grave (7). Gli psichiatri ospedalieri, orientati ideologicamente verso il radicamento della psichiatria biologica con i suoi criteri diagnostici e i suoi trattamenti farmacologici, hanno fatto coincidere la funzione della psichiatria di comunit� con il riduzionismo sociale (socioiatria). Entrambi i riduzionismi hanno contribuito a complicare la complessit� dell’intreccio medico, psicologico e sociale, evidenti in ogni disturbo mentale clinicamente rilevante, ed hanno svilito la centralit� della funzione medica, che � insostituibile nell’orientare, su basi scientifiche valide, i programmi curativi, riabilitativi e assistenziali strettamente interconnessi tra di loro.

Questa dicotomica contrapposizione � stata utilizzata strumentalmente dagli amministratori per comprimere la spesa da destinare ai servizi di assistenza psichiatrica.

Il Progetto Obiettivo Regionale Toscano, ad esempio, del ’90 indicava per ciascuna U.S.L. nel 5% del bilancio l’impegno di spesa per le attivit� di assistenza psichiatrica della popolazione adulta del DSM e nel 3% del bilancio sociale gli interventi sussidiari economici alla popolazione indigente con patologia mentale. In nessuna realt� territoriale toscana le amministrazioni hanno speso tale percentuale di bilancio per garantire servizi di assistenza di qualit� ai propri assistiti con disagio mentale. Il disimpegno degli amministratori locali a investire nei servizi di salute mentale � stato ancora pi� acuto in quelle regioni, specie del meridione, dove la legislazione regionale era stata disattesa.

La realizzazione ed il radicamento di attivit� e di strutture come percorsi assistenziali interconnessi risultano disomogenei e spesso frammentati, perch� fortemente condizionati dalle opportunit� politiche perseguite dagli amministratori locali pi� meno sensibili alle spinte dei movimenti sociali (associazioni, sindacati, partiti, psichiatria democratica) e ai finanziamenti regionali sui singoli progetti, vincolati al superamento dei manicomi (8).

La funzione medica della psichiatria � stata paradigmaticamente subordinata alla funzione sociale (9).

Il Servizio di diagnosi e cura reso dalla 180/78 �luogo non luogo�, indefinito e senza una collocazione strategica, che valorizzi l’essenzialit� della sua funzione medica e del suo ruolo clinico come spazio adatto nel ricercare i rimedi necessari a diminuire o ad eliminare la sofferenza mentale di chi si � smarrito nel caos del discontrollo emotivo e del disordine relazionale, ha assunto nel tempo il compito di tamponare le emergenze sociali espulsive, di colludere con le paure collettive suscitate dal disgoverno dei comportamenti alienati del disturbato-disturbante e talora di vicariare l’incollocabilit� in strutture residenziali dei soggetti multiproblematici (10).

Il fenomeno preoccupante del revolving door, che penalizza la pratica clinica ospedaliera, � la drammatica visualizzazione della incapacit�/impossibilit� a gestire situazioni complesse, prevalentemente sociali, da parte dei gruppi multidisciplinari territoriali.

L’indeterminatezza legislativa nazionale sulla funzione psichiatrica ospedaliera ha impedito una definizione organizzativa degli spazi di degenza e lo sviluppo di una metodologia di interventi misurabili e confrontabili, basati su evidenze scientifiche, interconnessi con i programmi di continuit� assistenziali elaborati dai CSM.

Il ruolo ambiguo, sbilanciato pi� sul versante del controllo sociale che su quello di cura, rende i SPDC un �oltre�, dove il progetto di aiuto alla vita del singolo viene sospeso ed il sintomo riecheggia come predominio della disragione che impone la sedazione e il contenimento senza incontro.

Ciascun DSM, in assenza di indicatori nazionali e regionali concordati e condivisi, ha sviluppato proprie metodologie e si � dotato di procedure incomparabili tra le diverse articolazioni di assistenza psichiatrica ma rispondenti esclusivamente a esigenze operative locali sull’uso dello spazio ospedaliero.

La riorganizzazione della sanit� sulla logica aziendale ha evidenziato e fatto esplodere tutti i nodi critici del mancato ordinamento sulla natura medica dei SPDC in tutto il territorio nazionale.

Questi nodi non sono stati neppure sfiorati dai Progetti Obiettivi Nazionali sulla Salute Mentale (1994/96 e 1998/2000) (11) che indicano con precisione obiettivi e interventi, azioni, modelli organizzativi, funzioni del DSM, standard e gestione del personale, requisiti strutturali e tecnologici per le strutture del DSM e il ruolo degli Enti Locali.

Le autonomie regionali, nel programmare le attivit� sanitarie sulla logica aziendale della competitivit�, hanno reso lo scenario nazionale sull’assistenza psichiatrica ancora pi� difforme.

I modelli organizzativi seguono la logica di mercato dell’offerta prezzo/qualit� e le risorse impegnate non sono pi� parametrabili sui bisogni di salute della popolazione ma sul rendimento funzionale delle prestazioni erogabili dai singoli servizi specialistici (12).

In sintonia con questa tendenza nazionale la legge Regionale Toscana 71/98 ha declassato il DSM da organizzazione strutturale autonoma a coordinamento tecnico, riconducendo la salute mentale a una delle funzioni dei distretti (13).

Il budget dipartimentale � stato ridimensionato al 3,50% con tendenza al 4% e attribuito alle articolazioni zonali delle Unit� Funzionali (14).

L’attuale organizzazione dipartimentale per la tutela della salute mentale, incentrata sui principi della psichiatria di comunit�, ha consentito di ottenere risultati significativi per la popolazione di pazienti con gravi limitazioni e disabilit�. La presa in carico, la continuit� terapeutica, i gruppi di auto-aiuto, la psicoeducazionale, gli inserimenti lavorativi sono strumenti operativi necessari per contrastare l’andamento disabilitante del disturbo mentale, per diminuire il pregiudizio che emargina il malato di mente, per favorire processi di integrazione sociale dei pazienti. L’adozione e l’uso adeguato di questi strumenti operativi sono e restano funzioni importanti e ancora centrali della psichiatria di comunit�, ma non sono pi� sufficienti a dare risposte efficaci all’aumento e alla patomorfosi della sofferenza mentale nella popolazione.

La psichiatria � e resta una disciplina medica di confine. Deve sempre declinare le sue conoscenze e la sua azione in un orizzonte antropologico, che si coniuga tra il biologico e il sociale.

I suoi strumenti per alleviare, modificare, dare senso alla sofferenza mentale e contrastare le limitazioni del funzionamento socio-relazionale erano e restano il farmaco, la parola, la relazione inscritti nella vita quotidiana. Deve fare i conti con l’esistenza umana e i suoi fallimenti.

In questi anni abbiamo assistito a profondi cambiamenti sociali, che hanno influenzato comportamenti e stili di vita. La sofferenza mentale ha modificato i suoi segni di esplicitazione e i suoi linguaggi di rappresentazione. Si sono moltiplicate le sollecitazioni prestazionali, i ritmi di vita collettiva si strutturano su una competitivit� estrema per cui aumentano i rischi di disagi mentali individuali e collettivi. Questo disagio � scatenato, facilitato e complicato da eventi molteplici e non sempre visibili, che sfuggono alla linearit� delle nostre attuali classificazioni cliniche.

La complessit� dei nuovi processi psicopatologici non trova risposta nei modelli paradigmatici, che finora hanno fondato le nostre conoscenze. Le nuove forme di disturbi non sono pi� ascrivibili a categorie diagnostiche lineari e riduttive (15).

La sofferenza mentale si esprime con linguaggi proteiformi, in continuo mutamento e ci costringe a una perenne riformulazione del nostro ruolo e della nostra funzione medica.

Le nuove istanze sociali collettive chiedono alla psichiatria delle certezze fondate sulle misure predefinite per arginare la violenza imprevedibile del singolo (16). I singoli sollecitano risposte tecnologiche, meccanizzate per rimuovere le difficolt� gestionali delle proprie emozioni e sentimenti; risposte che non trovano pi� in altri campi della conoscenza (17).

La psichiatria � costretta a misurarsi con nuovi bisogni e ad elaborare modelli operativi plastici basati su evidenze scientifiche. Gli psichiatri, per erogare prestazioni efficaci, hanno necessit� di avere a disposizione luoghi fisici e spazi operativi distinti ma non separati, integrati e integrabili con le altre funzioni mediche e sociali. L’indefinibilit� dei luoghi di cura medica psichiatrica � confusiva e confondente. Segue una strisciante logica di manicomialit� (18).

Il SPDC � sempre in attesa di un riconoscimento della sua identit� istituzionale (19) e di essere definito nelle sue funzioni come il �luogo di qualificate prestazioni mediche, psicologiche e relazionali�, dove la psichiatria ospedaliera mette a servizio della persona in stato di sofferenza mentale acuta le sue conoscenze scientifiche pi� accreditate per definire la natura del disturbo psichico. Deve essere uno spazio clinico dove lo psichiatra possa espletare le sue funzioni cliniche, scandite da tempi adeguati e da procedure chiare, per identificare o escludere la coesistenza o la complicanza di patologie mediche. Deve essere uno spazio di vivibilit� per il ricoverato e per chi lo cura dove utilizzare le metodiche diagnostiche cliniche come strumenti concorrenti alla comprensione dello scacco esistenziale del sofferente e non come sentenze cataloganti la devianza. Deve essere uno spazio accogliente e rassicurante, strutturato a dimensione umana, per consentire un’osservazione non oggettivante, un’osservazione che si sviluppa come incontro interumano, anche quando la condizione psicopatologica lo rende difficile e problematico. Deve essere uno spazio curativo, che valorizzi la dignit� della sofferenza della persona e permette di dare senso al fenomeno psicopatologico per individuare i rimedi pi� adatti con limitati danni iatrogeni. Deve essere uno spazio confidenziale che promuove la ricerca del consenso del paziente sui trattamenti necessari pi� vantaggiosi senza far ricorso a contenzioni chimiche o fisiche.

Deve essere lo spazio sociale dell’incontro e della negoziazione sui percorsi terapeutici pi� utili per garantire la continuit� curativa. Deve essere lo spazio tecnico e comune degli operatori, il luogo dell’incontro del dentro e fuori, indispensabile per definire e condividere i progetti terapeutici, le procedure e i protocolli omogenei, che vincolano professionisti e servizi, anche di dipartimenti diversi, alla presa in carico e alla continuit� terapeutica dei soggetti in condizioni di gravit� (20).

La Psichiatria ospedaliera, per rispondere a questo suo mandato, ha necessit� di dotarsi di professionisti con conoscenze molteplici mediche, psicologiche e sociali per attivare ed attuare le interconnessioni programmatiche necessarie per la costruzione del progetto terapeutico; ma per garantire l’erogazione di prestazioni di qualit� gli psichiatri, gli psicologi clinici e gli infermieri ospedalieri, che gestiscono i SPDC, devono possedere competenze specifiche (21).

Le criticit� dell’assistenza ospedaliera psichiatrica, che devono essere esaminate e risolte, sono molteplici. La legge di riforma psichiatrica, i Progetti Obiettivi Nazionali e Regionali indicano genericamente che i SPDC devono essere dotati di �adeguati spazi per le attivit� comuni�.

Ma quali sono i luoghi ospedalieri strutturalmente pi� adatti per garantire trattamenti complessi, di alto profilo tecnico di natura medica, psicologica e relazionale? Le aree di emergenza medica? Le aree critiche?

Il SPDC � un luogo funzionale solo alle crisi acute psicopatologiche di pazienti in regime volontario o obbligatorio o � anche uno spazio elettivo di osservazione medica per ridefinire orientamenti diagnostici e cure adeguate per alleviare sofferenze mentali spesso mortali?

Quali professionisti devono garantire la loro integrazione per gestire in continuit� il paziente in regime di ricovero? solo il medico e l’infermiere o anche lo psicologo clinico, l’educatore professionale, l’assistente sociale, il riabilitatore psichiatrico, il gruppo di autoaiuto?

Quale significato attribuiamo alla continuit� terapeutica? la garanzia della continuit� di un percorso terapeutico, costruito su prestazioni multiprofessionali di qualit� per ogni manifestazione di sofferenza mentale ospedalizzata (depressioni maggiori, disturbi d’ansia fobica, attacchi di panico recidivanti etc.) o il legame a singoli professionisti che seguono il paziente grave psicotico nei vari luoghi di cura?

Con quali criteri costruiamo il consenso su protocolli, procedure limitanti libert� e consenso (TSO, ASO, TSV)? Solo medicolegali?

Noi psichiatri non possiamo, isolatamente e passivamente, delegare ulteriormente ai politici, alle Amministrazioni Locali e alle Direzioni Aziendali la loro soluzione.

Il superamento della Psichiatria asilare � stata voluta e portata avanti da noi psichiatri (22), consapevoli di avviare un processo necessario, anche se complesso e contraddittorio, per modificare e contrastare i danni aggiuntivi istituzionali sugli esiti del disturbo mentale. Per rendere praticabile il percorso di cambiamento abbiamo adottato competenze e sviluppata una cultura psichiatrica di comunit�. Abbiamo sperimentato pratiche per costruire nuove teorie di senso e di significato sul disturbo mentale. Questa scelta strategica ci ha consentito di costruire un’organizzazione dipartimentale, strutturata su una rete dei servizi di assistenza psichiatrica territoriale interconnessa e multiprofessionale che tutela i malati pi� gravi. In questa interconnessione abbiamo trascurato e lasciato isolato dalla rete dei servizi un nodo forte: il SPDC.

Viviamo una fase storica di transizione (23), per cui non possiamo procrastinare la necessit� di determinare su presupposti scientifici evidenti quale funzione e significato vogliamo riconoscere alla psichiatria medica.

La cultura psichiatrica si fonda sulle conoscenze biologiche del cervello e delle sue funzioni, sui saperi psicologici del funzionamento della mente, sull’osservazione e gestione delle relazioni intersoggettive di reciprocit�, che rimandano alla natura umana il senso di ogni manifestazione e di ogni rappresentazione di sofferenza mentale anche se estrema e non comprensibile con gli accreditamenti conoscitivi convenzionali.

Non possiamo sottrarci al nostro ruolo di costruttori di prospettive di cambiamenti e delegare ad altri scelte che comunque e inevitabilmente incidono significativamente sul �centro di gravit� della nostra propria esistenza�.

NOTE

(1) Documenti scritti, condivisi e adottati da un’organizzazione erogante prestazioni (ricovero in SPDC, assistenza domiciliare, inserimento in Comunit� socioriabilitativa etc.), che contengono istruzioni che spiegano in dettaglio come eseguire compiti specifici.

(2) Sequenza finalizzata e interconnessa di attivit� (di compiti) con lo scopo di fornire una serie di prestazioni multiprofessionali al paziente con disturbo mentale. La sequenza coinvolge pi� di un’unit� organizzativa e pi� di una figura professionale, che deve scegliere, condividere e interconnettere le prestazioni professionali pi� appropriate per raggiungere i risultati attesi.�

(3) Modificazioni positive o negative delle condizioni di salute mentale dei soggetti trattati determinate dagli interventi medici, psicologici e sociali adottati ed erogati.

(4) Confronto tra i costi di un trattamento (ricovero in SPDC, ricovero in DH, trattamento domiciliare, ricovero in RS etc.) e i suoi esiti, espressi anche in unit� monetarie.

(5) Negli ultimi dieci anni tutte le Regioni si sono dotate di� leggi disciplinanti l’assetto sanitario e sociale dell’assistenza psichiatrica. La politica di tutela della salute mentale ha assunto per ogni realt� regionale una caratterizzazione particolare che le rende difformi e non confrontabili. Si oscilla da una forte e frammentata funzione medica incentrata sul ricovero ospedaliero pubblico e privato, come in Lombardia, ad una marcata� integrazione sociosanitaria pubblica ma subordinata alla rete sociale, come in Toscana, in Emilia e Romagna e in Veneto.�

(6) �Ciascuna U.O. di Psichiatria assicura il ricovero ospedaliero per i pazienti del territorio di competenza. Allo scopo di garantire la continuit� terapeutica, l’U.O. di Psichiatria provvede alla cura dei pazienti psichiatrici in condizioni di degenza ospedaliera con il personale globalmente assegnato per il complesso delle attivit� intra ed extraospedaliere; in nessun caso si costituisce un organico distinto per il servizio di diagnosi e cura.
Ciascun USL � dotata di posti letto ospedalieri per la psichiatria nella misura di 0,6 p. l. ogni 10.000 abitanti.
Il ricovero ospedaliero dei pazienti psichiatrici si effettua in posti letto collocati nell’area della degenza medica, di norma nei reparti di medicina generale. Il personale del reparto assicura anche ai pazienti psichiatrici il servizio infermieristico e l’assistenza medica generale in collaborazione con la U.O. di psichiatria. La responsabilit� della conduzione terapeutica dei ricoveri psichiatrici compete alla U.O. di psichiatria, che articola le presenze del personale medico e dei propri infermieri secondo il programma riferito a ciascun ricoverato. Nei casi in cui, per le caratteristiche del ricovero o per particolari bisogni del paziente, sia necessaria un’assistenza continua, gli infermieri della U.O. di psichiatria sono presenti nel reparto ad integrare l’assistenza infermieristica di routine.
In caso di TSO gli infermieri assegnati alla U.O. di psichiatria assicurano comunque una presenza continuativa.� (Legge Regione Toscana 61/90 e P.O. Delib. C. R. T. 160/92 ).

(7) La convinzione radicata e ostinata che l’uso categoriale delle diagnosi e della cura medica in luoghi separati potesse riproporre logiche manicomiali indusse di fatto gli psichiatri� territoriali a trascurare la funzione ospedaliera della psichiatria. Nel lungo processo di costruzione dei servizi territoriali di trattamento psicomedicosociali e di tutela della salute mentale per favorire esiti emancipanti delle patologie gravi il Servizio di diagnosi e cura ospedaliero ha assunto una funzione negativa di incidentalit� nella costruzione dei percorsi terapeutici. Il ricovero ospedaliero � vissuto dagli operatori come l’evento di un’inattesa e fastidiosa interferenza sulla programmazione virtuosa dell’assistenza territoriale e serve come �spazio di sospensione attiva dei programmi socioriabilitativi�. � lo spazio dell’attesa dell’attenuazione naturale dell’acuzie� psicopatologica e della caduta delle tensioni sociali� che hanno favorito l’espulsione del disturbante.��

(8) In Toscana, per esempio, le residenze, i centri diurni, i �gruppo-appartamenti�� sono stati realizzati su proposte dei singoli DSM con risorse aggiuntive regionali, finalizzate al rientro degli ex degenti O.P. nei territori di origine. Di tali strutture ne hanno beneficiato anche gli utenti gravi dei servizi psichiatrici territoriali. Non � stata mai elaborata una programmazione regionale concertata con i direttori dei DSM, legata ai bisogni della popolazione e alle strategia di cura e di riabilitazione.

(9) In alcune Regioni italiane, dove la cultura antimanicomiale era pi� radicata (Toscana, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), il processo di superamento dell’O.P. come luogo inadatto alla cura del malato di mente ha condotto gli amministratori regionali e i funzionari a porre a base del loro agire riformatore l’equivalenza paradossale che la malattia mentale � un prodotto del disagio sociale. La programmazione dei servizi � stata orientata a facilitare la� realizzazione di un’efficiente rete sociale di tutela per contrastare la medicalizzazione della malattia. Questo riduzionismo sull’origine sociale del disturbo mentale si fonda sul paradigma che gli esiti di cronicit� sono il mero prodotto dell’agire medico.��

(10) Mi risulta che diversi SPDC nazionali, ma capita anche in Toscana, sono utilizzati per periodi di degenza lunga (anche di anni) per persone non in fase acuta (prosciolti dall’OPG, Homeless, psicotici multiproblematici senza riferimenti familiari o rifiutati dagli stessi per la loro ingovernabilit�), in attesa di collocazione socio sanitaria residenziale adatta.

(11) �Il Servizio psichiatrico di diagnosi e cura � un servizio ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici volontari e obbligatori in condizione di ricovero; esso, inoltre, esplica attivit� di consulenza agli altri servizi ospedalieri.
… ciascun SPDC contiene un numero non superiore a 16 posti letto ed � dotato di adeguati spazi per le attivit� comuni� (DPR 10 novembre 1999 P.O. Tutela della salute menale 1998/2000).

(12) In questi ultimi anni si � aperto un vero mercato, che offre pacchetti di prestazioni psichiatriche in regime ricoveriale pubblico e privato per disturbi della condotta alimentare, per doppia diagnosi, per gioco d’azzardo, svincolate da ogni razionale di continuit� terapeutica e con risultati di esito non monitorabili.�

(13) �Le Aziende sanitarie, al fine di assicurare l’ottimizzazione delle risorse disponibili e la continuit� del percorso assistenziale nonch� per garantire l’omogeneit� delle procedure operative e l’integrazione tra prestazioni erogate in regimi diversi, possono costituire appositi dipartimenti di coordinamento tecnico, sia a livello aziendale che interaziendale, cui � preposto un coordinatore nominato dal direttore generale� (art. 36 Legge Regionale Toscano 71/98)

(14) La frammentazione gestionale delle attivit� di salute mentale distrettualizzate declassa la funzione specialistica psichiatrica a quella di primo livello, assimilandola alla pediatria di base e alla specialistica poliambulatoriale. Gli psichiatri sono cos� esclusi dalla specialistica di secondo livello che � propria dei medici ospedalieri. Ancora una volta il trattamento medico (farmacoterapico e psicoterapico) del disturbato mentale viene ridotto a funzione di controllo del comportamento complementare alla centralit� dell’assistenza sociale.
La funzione ospedaliera psichiatrica resta una proiezione indefinita delle attivit� territoriali: il �fuori sociale� che si innesta in �un dentro sanitario� senza identit� riconosciuta e disciplinata. Il malato di mente ospedalizzato diventa, in una fase delicata della sua esistenza, un intruso insieme ai suoi curanti.

(15) � sempre pi� raro osservare manifestazioni psicopatologiche gravi non derivate o complicate da uso di sostanze eccitative (alcool, stupefacenti, derivati chimici di anfetamine, sostanze dopanti) o manifestazioni coesistenti con danni biologici cerebrali (demenze, Aids, disendocrinie, traumi etc.) o forme reattive sostenute cronicamente da disturbi di personalit�. Il nostro ricorso alle categorie diagnostiche in adozione basate sulla multiassialit�, sulla comorbilit�, sulla dimensionalit� non sono sufficienti a cogliere la complessit� n� la natura del disturbo. In tali situazioni il nostro agire terapeutico evidenzia i limiti della parzialit�. Il trattamento di questi soggetti multiproblematici richiede una strategia di interconnessione tra servizi sanitari e sociali, che travalicano le competenze del DSM. Frequentemente queste persone problematiche e i loro familiari sono vittime di una serie di rifiuti della continuit� assistenziale da parte dei singoli servizi, che non si ritengono competenti della presa in carico.�����

(16) � cronaca di questi giorni. Dai delitti di Maso a quelli di Chiavari, gli infanticidi e tutte le violenze pi� efferate sono occasioni di campagne giornalistiche per orientare l’opinione pubblica sulla necessit� di potenziare la funzione sociale di controllo della psichiatria. Il pregiudizio affonda le sue radici sulla paura e si alimenta con l’arcaicit� delle categorie bene-male, normalit�-follia, ragione-disragione, e reclama soluzioni assolute e drastiche di tutela della norma sociale.

(17) La penetrazione tecnologica del farmaco (la pillola della felicit�, la pillola dell’amore, la pillola del sesso…) � resa possibile dall’induzione mediatica del ‘mordi e fuggi’ edonistico. L’abbassamento della soglia di resistenza alle frustrazioni � una delle possibili ragioni di questi comportamenti largamente diffusi nella popolazione specie giovanile.

(18) Il manicomio non era e non � un luogo fisico, ma � lo spazio mentale della rassegnazione all’inevitabilit� di un destino senza speranza, dell’abbandono scientifico di sperimentare nuove prospettive di cambiamento, della conferma tautologica della persistenza incomprimibile della diversit� che nega il diritto alla vita sociale. Ogni luogo o condizione che attiva questo spazio mentale ripropone logiche manicomiali. Oggi in Italia esistono Residenze, Centri diurni, SPDC, Cliniche Universitarie, Comunit� Terapeutiche, Cliniche Private, Comunit� Alloggio che perpetuano queste logiche.

(19) Nelle attuali politiche sanitarie il ruolo e la funzione ospedaliera della psichiatria sono stati ridotti a prevalente attivit� di contenimento del comportamento quando questo diventa ingovernabile negli spazi sociali abituali del disturbato mentale.
La funzione clinica diventa un’opzione. In tal modo il SPDC assume pi� la configurazione di caravanserraglio dove confluiscono, per periodi pi� o meno brevi, specie di notte e nei giorni festivi, soggetti con disturbo comportamentale di origine diversa: organici, tossicodipendenti, piccoli criminali, extracomunitari rissosi, trans, prostitute straniere, homeless.���

(20) Il progetto terapeutico � uno strumento operativo, negoziato e scritto dagli operatori multiprofessionali territoriali ed ospedalieri, in cui si definiscono obiettivi, metodiche, tempi, luoghi, verifiche, responsabilit�, risultati attesi. Il progetto � sottoscritto dagli operatori e dal paziente e/o dai familiari. Il progetto � suscettibile di cambiamento, adattamento e rinegoziazione con l’utente in funzione ai risultati o all’andamento non previsto del percorso curativo (crisi, cambiamenti di riferimenti sociorelazionali etc.).

(21)Le politiche sanitarie, per aver trascurato la funzione ospedaliera della psichiatria, hanno autorizzato direzioni sanitarie dei Presidi Ospedalieri e Amministrazioni Sanitarie Aziendali a una sequela di inappropriatezze istituzionali, gravemente nocive per la salute del malato e pesantemente penalizzanti per la professionalit� medica e infermieristica in campo psichiatrico. In genere i SPDC sono collocati negli ospedali generali in spazi fatiscenti e separati (in qualche caso confinati in vecchi scantinati riadattati). Non sono stati concepiti come luoghi strutturati a dimensione umana, con spazi terapeutici dove promuovere scambi relazionali di gruppo e spazi� per colloqui� e incontri interpersonali. Sono luoghi angusti, trascurati, dove riservatezza e personalizzazione sono ignorate. Sono luoghi-prigione, che favoriscono reazioni di rabbia, ribellioni e acting out auto-eteroaggressivi in� persone che, vivendo una fase delicata e problematica della propria esistenza, hanno il diritto a un incontro di aiuto amorevole e non compassionevole.� Gli psichiatri, la maggior parte turnanti , vivono come un obbligo dequalificante questa loro funzione clinica. Gli psicologi clinici, in genere, non sono presenti negli spazi psichiatrici del SPDC. La loro funzione, quando esiste, � di retroguardia istituzionale perch� non sono formati alla gestione dell’evento psicopatologico acuto. Gli infermieri, assegnati al reparto, non hanno formazione specifica e sentono la pesantezza psicologica del loro ruolo di carcerieri. Psichiatri e infermieri, in un contesto senza riferimenti certi, sono ad alto rischio di burn out.

(22) �… l’essere psichiatra chiama in causa l’uomo nel suo insieme e ve lo impegna. Mentre negli altri rami della scienza � ammissibile che si possa distinguere pi� o meno tra loro la professione e l’esistenza e trovare ‘il centro di gravit� della propria esistenza’ in altri interessi, l’essere psichiatra reclama anche l’esistenza dello psichiatra…� L. Binswanger 1947.

(23) Sono in discussione nelle Commissioni Parlamentari numerose proposte di legge di modifica della 180. Tutte le proposte, in maniera pi� o meno marcata, sottolineano la pericolosit� sociale del malato di mente e propongono la trasformazione di un atto medico (TSO) in una misura di sicurezza psichiatrica. Il mandato alla psichiatria di un� forte controllo sociale indebolisce significativamente la sua funzione medica. L’attuale clima di forte pressione sociale, che � generato dal pregiudizio e dall’allarme verso il diverso, � in grado di influenzare l’attuale maggioranza di governo a riformare la 180 con dispositivi di controllo sul comportamento deviante. Qualsiasi atto legislativo di modifica inevitabilmente stravolger� invece di migliorare gli attuali assetti organizzativi dei DSM e i loro programmi di prevenzione, cura e riabilitazione del disturbo mentale.