Impiego delle benzodiazepine e degli SSRI nel trattamento del Disturbo da Panico

Use of benzodiazepines in the treatment of Panic Disorders

G. RUFFOLO*, G. PERUGI**

* Istituto di Scienze del Comportamento "G. De Lisio", Carrara-Pisa ** Clinica Psichiatrica, Università di Pisa

Key words: Benzodiazepines (BDZ) • Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (SSRI) • Panic Disorder • Agoraphobia

Correspondence: Dr. Giulio Perugi, Dipartimento di Psichiatria, via Roma 67, 56100 Pisa, Italy – Tel. +39 050 835414 – Fax +39 050 21581 E-mail gperugi@psico.med.unipi.it

La ricerca clinica sul trattamento farmacologico del Disturbo da Panico (DP) ha subito un notevole impulso negli ultimi 20 anni, come dimostrato dalla pubblicazione di numerose sperimentazioni, controllate e non, che hanno avuto come oggetto di studio composti appartenenti a classi diverse, principalmente antidepressivi Triciclici, Inibitori delle Monoaminossidasi ed i più recenti Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI) e Benzodiazepine (BDZ). Parallelamente si sono andate affinando le conoscenze relative alle caratteristiche cliniche e di decorso del DP, con la pubblicazione di numerosi dati derivanti da studi di follow-up. Si è reso così disponibile un corpo di conoscenze in grado di indirizzare, su base empirica e razionale, la gestione terapeutica a breve e a medio termine del DP. Meno numerose sono le informazioni relative ai trattamenti farmacologici a lungo termine e ciò rappresenta una lacuna di notevole importanza, soprattutto in considerazione del fatto che, ad opinione di molti, una larga parte di pazienti con DP necessita di terapie protratte, della durata di anni. In questo lavoro passeremo in rassegna la letteratura riguardante BDZ ed SSRI che sono considerati gli strumenti di prima scelta per il trattamento del DP.

Benzodiazepine

L’azione anti-ansia delle BDZ può essere ricondotta alla capacità di produrre una modificazione allosterica positiva del recettore Gaba-A, con conseguente potenziamento della neurotrasmissione inibitoria GABA-ergica. Nutt (1) ha ipotizzato che i soggetti con disturbi d’ansia abbiano una disfunzione del sistema GABA-ergico, nel senso di una sensibilità recettoriale ridotta oppure di una deficienza di neurotrasmettitore. Roy-Byrne et al. (2) ad esempio, hanno dimostrato una ridotta sensibilità al Diazepam dei movimenti saccadici degli occhi in pazienti con DP e ciò a sostegno dell’ipotesi di una ridotta sensibilità dei recettori per le BDZ; un’altra sperimentazione ha mostrato un ridotto “binding” di BDZ radiomarcate nel cervello di pazienti con DP rispetto a soggetti normali (3).

Nel trattamento del DP hanno ricevuto un’attenzione particolare BDZ ad elevata potenza quali Alprazolam (ALZ) e Clonazepam (CLO), non è chiaro, tuttavia, se tutti i composti appartenenti a questa classe possano risultare efficaci nel DP se utilizzati a dosi adeguate (Tab. I).

Alprazolam

Il Cross-National Collaborative Panic Study (CNCPS) è uno degli studi multicentrici internazionali più ampi condotti sul DP. Nella prima fase di tale sperimentazione sono stati confrontati ALZ (6-10 mg/die) e Placebo in 526 pazienti con diagnosi di DP (4). Dopo 8 settimane di terapia, un numero significativamente più elevato di pazienti appartenenti al gruppo trattato con ALZ (55%) era libero da attacchi di panico a paragone di quelli che avevano ricevuto il Placebo (32%). Al termine della prova, nel gruppo che aveva ricevuto ALZ il miglioramento degli attacchi di panico si accompagnava anche ad un miglioramento dell’”ansia generalizzata” (valutata attraverso la HAM-A), della frequenza degli episodi di ansia anticipatoria e della disabilità lavorativa, sociale e familiare.

Nella seconda fase dello studio (5) (Cross-National Collaborative Panic Study, Second Phase Investigators), più di 1000 pazienti con DP sono stati randomizzati a ricevere ALZ (6-10 md/die), Imipramina (150-250 mg/die) o Placebo. Dopo 8 settimane, il 70% dei pazienti trattati con Imipramina e ALZ non presentava più attacchi di panico contro il 50% di quelli che assumevano Placebo. I soggetti che avevano ricevuto ALZ avevano mostrato una riduzione della frequenza degli episodi critici a partire dalla prima settimana di trattamento, quelli con Imipramina invece, a partire dalla sesta. Entrambi i trattamenti farmacologici producevano un miglioramento della sintomatologia fobica e del funzionamento sociale, anche questi più rapidi con ALZ.

Risultati simili sono stati ottenuti da Uhlenhuth et al. in una casistica più contenuta; gli autori sottolineavano la migliore compliance al trattamento con ALZ piuttosto che a quella con Imipramina (6).

Anche l’efficacia nel DP di ALZ SR – a rilascio prolungato – (1-10 mg/die) è stata indagata in uno studio controllato vs. Placebo, su 194 pazienti con DP; l’85% (74/87) dei soggetti che ricevevano ALZ SR erano completamente liberi da crisi di panico dopo 6 settimane di trattamento a confronto del 61% (37/61) di quelli trattati con Placebo (7).

Oltre a queste ricerche multicentriche, anche diversi studi condotti su casistiche meno numerose hanno confermato l’efficacia di ALZ nel trattamento a breve termine del DP, specialmente in relazione alla frequenza degli episodi critici, all’ansia anticipatoria, all’evitamento ed alla disabilità sociale e lavorativa (8)-(10).

Le informazioni relative all’impiego di ALZ a lungo termine sono inferiori e si limitano ad osservazioni a 6-8 mesi. I pazienti che avevano completato la Fase II del CNCPS, sono stati invitati a proseguire il trattamento per ulteriori 6 mesi; 181 hanno accettato tale proposta, 78 fra quelli trattati con ALZ, 65 con Imipramina e 38 con Placebo (11). L’efficacia di ALZ, Imipramina e Placebo sulla frequenza delle crisi di panico, sull’evitamento agorafobico e sull’ansia generalizzata si manteneva dopo 6 mesi. Schweizer et al. (12) hanno riportato risultati sovrapponibili in uno studio della durata di 8 mesi condotto su 106 pazienti randomizzati ad ALZ (6-10 mg/die, n = 37), Imipramina (150-250 mg/die, n = 4) o Placebo (n = 35). Il miglioramento nella frequenza degli attacchi di panico e sull’ansia generalizzata si manteneva a lungo termine e tutti i pazienti che avevano portato a termine la sperimentazione (27 nel gruppo ALZ, 11 in quello Imipramina e 10 nel Placebo) risultavano asintomatici alla fine degli 8 mesi di trattamento.

Clonazepam

L’impiego nel DP del CLZ, è stato studiato da Rosenbaum et al. (13) in una sperimentazione multicentrica controllata su di una casistica di 413 pazienti. Questi ultimi sono stati trattati per 6 settimane con CLZ (dosaggi pari a 0,5, 1, 2, 3, 4 mg/die) o Placebo. Al termine della sperimentazione il 73% dei soggetti (49/67) trattati con CLZ a 1 mg/die era asintomatico a paragone del 55% (38/69) di quelli trattati con Placebo. Non sono state riscontrate differenze fra i gruppi a confronto in relazione al miglioramento nella sfera socio-lavorativa.

In una sperimentazione controllata vs. Placebo, su 71 pazienti con DP della durata di 6 settimane, l’effetto antipanico del CLZ è risultato simile a quello dell’ALZ. Dopo le 6 settimane, il 50% (13/24) dei soggetti che ricevevano CLZ erano asintomatici, ciò a confronto del 46% (11/26) di quelli trattati con ALZ e del 22% (3/22) di coloro che ricevevano Placebo. CLZ è risultato essere efficace anche nel ridurre l’evitamento fobico e la disabilità al lavoro (14).

In uno studio di 4 settimane su di una casistica più piccola (n = 32), i pazienti trattati con CLZ avevano attacchi di panico meno frequenti e d’intensità e durata inferiori; inoltre, a paragone del gruppo che riceveva Placebo, erano migliorati i sintomi depressivi e l’ansia libera (15).

Altre Benzodiazepine

Il Lorazepam è risultato efficace quanto l’Alprazolam nel ridurre la frequenza degli attacchi di panico in uno studio comparativo su 67 pazienti (16). Dopo 6 settimane di trattamento, nel 50% dei soggetti trattati con Lorazepam e nel 52% di quelli trattati con Alprazolam, si poteva registrare un blocco completo delle crisi di panico. Per entrambi i farmaci, il miglioramento nella frequenza degli attacchi, nell’ansia anticipatoria e generalizzata così come nell’evitamento, erano evidenti dopo 1 settimana di trattamento e persistevano fino alla fine dello studio. Risultati sovrapponibili sono emersi da uno studio di confronto tra Lorazepam ed Alprazolam in 48 pazienti con DP (17).

Noyes et al. (18) hanno confrontato il Diazepam (60-100 mg/die) con Alprazolam (6-10 mg/die) e Placebo in uno studio di 8 settimane su di un campione di 241 pazienti con diagnosi di DP. Dall’analisi dei risultati è emerso come entrambi i trattamenti attivi erano più efficaci del Placebo nel ridurre gli attacchi di panico. Anche Dunner et al. (19), in una sperimentazione su di una casistica più limitata (n = 48), hanno riscontrato efficacia sovrapponibile fra Diazepam ed Alprazolam nel ridurre la frequenza degli attacchi di panico e la gravità della sintomatologia ansiosa generalizzata.

Problematiche connesse all’impiego delle BDZ

Il profilo di effetti collaterali delle differenti BDZ utilizzate nel trattamento del DP appare piuttosto omogeneo e, fra le reazioni avverse, sedazione o sonnolenza sono quelle riportate più frequentemente (7). Altri effetti collaterali comuni sono atassia, faticabilità, problematiche a carico della sfera sessuale (ridotta libido, disfunzioni erettili, anorgasmia), problematiche cognitive (4) (5) (7) (10) (12) (13) (18) (20) (21). Durante il trattamento a lungo termine con BDZ, i pazienti trattati con ALZ hanno riportato maggiori secchezza delle fauci e sudorazione rispetto a quelli appartenenti al gruppo del Placebo (11). Sono da considerare inoltre il rischio di cadute per i pazienti anziani e l’aumentato rischio di incidenti stradali; a tale proposito, uno studio prospettico ha dimostrato come, in una popolazione di soggetti che assumevano BDZ, ci fosse un rischio doppio di essere coinvolti in incidenti stradali rispetto a coloro che non assumevano ansiolitici (22).

Nonostante questi effetti collaterali le BDZ risultano comunque sicure e ben tollerate, in particolare se impiegate a breve termine. La limitazione principale di questi composti è legata all’insorgenza di fenomeni di dipendenza e di tolleranza. Più di un terzo dei soggetti che fa uso di BDZ sviluppa dopo pochi mesi di trattamento dipendenza fisica (23)-(27). Prolungando l’assunzione di BDZ nel tempo la percentuale di pazienti che mostra fenomeni di tolleranza, dipendenza e astinenza aumenta considerevolmente, pur in assenza di condotte di abuso d’incrementi cospicui di dose. Ansia, insonnia, irritabilità, tremore e agitazione sono i più comuni sintomi dell’astinenza da BDZ.

Il trattamento del DP richiede elevati dosaggi di BDZ cosicché una dipendenza si può sviluppare sin già dal termine del primo mese di trattamento e ciò a confronto dei quattro mesi necessari quando le BDZ sono utilizzate, a dosaggi più bassi, nel trattamento sintomatico dell’ansia (4) (28) (29). Inoltre, lo sviluppo di dipendenza è tanto più probabile quanto maggiore è la durata della somministrazione delle BDZ. La problematica della dipendenza/astinenza da BDZ è stata valutata in una parte della casistica del CNCPS (24) (27). Una sintomatologia da astinenza da BDZ clinicamente evidente si è manifestata in 109 dei pazienti che avevano ricevuto ALZ (dose media 4,8 mg/die) per 8 settimane (dosaggio successivamente ridotto gradualmente durante un periodo di 4 settimane). Nello studio a lungo termine, 142 pazienti avevano ricevuto ALZ per più di 1 anno; durante la fase di discontinuazione, il 33% era riluttante o incapace di smettere tale BDZ; inoltre il 20% era stato sì capace di ridurre gradualmente fino interrompere ALZ tuttavia ne aveva ricominciato presto l’assunzione. In considerazione di quanto sopra esposto, le BDZ non sembrano quindi proponibili come farmaci di prima scelta per il trattamento a medio e a lungo termine di questo disturbo. È, invece, da rilevare come molti pazienti con DP che assumono BDZ da anni, con fenomeni evidenti di tolleranza all’effetto terapeutico e dipendenza, si giovino della sospensione graduale di questi composti e della loro sostituzione con antidepressivi (30).

Gli SSRI nel trattamento del disturbo da panico

Diverse evidenze suggeriscono che il DP possa essere mediato da una disfunzione del sistema serotoninergico anche se il ruolo che la serotonina potrebbe avere nella patogenesi di questo disturbo è molto controverso infatti, alcuni studi suggeriscono un’iperfunzione, altri un’ipofunzione di tale sistema.

I dati in favore dell’iperattività ci vengono dagli studi di challenge farmacologico, nei quali gli agonisti serotoninergici e gli agenti rilascianti serotonina risultano essere ansiogeni in pazienti con DP (31) (32). Un limite di tale teoria è che non esiste alcuna evidenza che gli antagonisti serotoninergici siano agenti anti-panico (33).

Deakin e Graeff (34) hanno ipotizzato che gli attacchi di panico siano dovuti ad una scarica neuronale spontanea nel grigio periacquiduttale, l’area cerebrale dove vengono attivate le reazioni di lotta o di fuga, attività queste che verrebbero inibite dalla serotonina; questa scarica spontanea potrebbe verificarsi con maggior frequenza qualora il meccanismo di controllo fosse alterato. I neuroni serotoninergici possiedono, tra l’altro, un effetto inibitorio su quelli noradrenergici del locus coeruleus così, un deficit di serotonina, può risultare in una scarica noradrenergica incrementata con conseguente comparsa dei sintomi vegetativi tipici del DP (35). Inoltre, ulteriori evidenze suggeriscono che il potenziamento dell’attività serotoninergica produce un ridotto rilascio del neurotrasmettitore ansiogenico corticotropin-RF dall’ipotalamo (36). Infine, i neuroni serotoninergici avrebbero un effetto inibitorio sugli input sensoriali all’amigdala; quest’ultima si ipotizza essere il principale centro nel SNC coinvolto nella modulazione dei meccanismi della paura.

In conclusione, il sistema serotoninergico sembra essere coinvolto nella genesi del DP attraverso l’interazione con diverse vie nervose (37).

Si comprende come con l’avvento degli antidepressivi SSRI, la ricerca clinica si è indirizzata tempestivamente verso la valutazione della loro efficacia, oltre che nella depressione, anche in vari disturbi d’ansia, tra i quali il DP, approdando a risultati ormai più che promettenti. Di seguito verranno passati in rassegna i principali studi riportati in letteratura in merito al trattamento del DP con gli SSRI attualmente in commercio nel nostro paese.

Paroxetina

Fra gli SSRI la paroxetina è uno dei composti più studiati nel trattamento del DP (Tab. II). In una ricerca controllata in doppio cieco, 278 pazienti con DP venivano randomizzati a dosi fisse di Paroxetina (10, 20, 40 mg/die) o Placebo per 10 settimane (38). Soltanto Paroxetina a 40 mg/die ha procurato una riduzione statisticamente significativa nella frequenza degli attacchi di panico a confronto del Placebo ed a partire dalla quarta settimana di trattamento. Nel corso delle ultime due settimane, l’86% dei pazienti trattati con Paroxetina a 40 mg/die erano asintomatici a confronto del 50% dei soggetti del gruppo che aveva ricevuto Placebo. Paroxetina a dosaggio pieno è risultata significativamente superiore al Placebo nel ridurre l’evitamento fobico, l’ansia generalizzata e la sintomatologia depressiva.

Oehrberg et al. (39) hanno effettuato uno studio, controllato versus Placebo, di 12 settimane con Paroxetina (10-60 mg/die) in soggetti con DP già in trattamento con psicoterapia di tipo cognitivo. A partire dalla settimana 12 si è assistito ad un decremento degli attacchi di panico, nei pazienti trattati con Paroxetina (36%) superiore a quello riportato dal gruppo in Placebo (16%).

In un’altra sperimentazione controllata, Lecrubier et al. (40) hanno confrontato Paroxetina (20-60 mg/die) e Clomipramina (50-150 mg/die) in 367 pazienti con DP. Dall’analisi dei risultati è emerso come, al termine della sperimentazione (settimana 9), Paroxetina risultava più efficace di Clomipramina nel ridurre il numero di attacchi di panico, fino al loro blocco completo (51 vs. 37% rispettivamente); Paroxetina è risultata inoltre superiore al Placebo nel ridurre la frequenza degli attacchi di panico, a partire dalla 4-6 settimana, laddove Clomipramina risultava superiore rispetto al Placebo solo a partire dalle settimane 10-12. Sia Paroxetina che Clomipramina sono risultate efficaci nel ridurre i sintomi d’ansia, l’evitamento fobico e la disabilità sociale, familiare e lavorativa. Risultati sovrapponibili sono stati ottenuti in una sperimentazione controllata vs. Placebo con Paroxetina (20-60 mg/die), Clomipramina (50-150 mg/die) e Terapia Cognitiva (41). Al termine della dodici settimane un numero maggiore di pazienti fra quelli trattati con Paroxetina erano liberi da crisi di panico (65%, 21/32), rispetto a quelli del gruppo trattato con Placebo (34%, 11/32) o Terapia Cognitiva (40%, 14/35). Le percentuali di soggetti “liberi” da panico con Clomipramina (53%, 17/32) non è risultato significativamente differente da quello ottenuto con Placebo o Terapia Cognitiva, tuttavia, entrambi i trattamenti “attivi”, sono risultati più efficaci del Placebo nella riduzione dell’ansia anticipatoria, dell’evitamento fobico e della disabilità.

L’efficacia della terapia di mantenimento a lungo termine con Paroxetina è stata esaminata da Lecrubier e Judge (40) in un’estensione a 6 mesi dello studio a breve termine di Lecrubier et al. (42). Alla fine del nono mese di osservazione, l’85% (55/65) dei pazienti trattati con Paroxetina erano completamente asintomatici a paragone del 59% (26/44) di quelli trattati con Placebo e del 72% (42/58) di quelli trattati con Clomipramina.

Judge e Steiner (43) hanno esteso di ulteriori 6 mesi lo studio di Ballenger (pubblicato successivamente, nel 1998 (38)) al fine di valutare la capacità di Paroxetina nel prevenire gli attacchi di panico. Nei primi 6 mesi di sperimentazione i pazienti hanno continuato ad assumere la solita terapia (Paroxetina o Placebo) mentre, nei 3 mesi successivi, sono stati nuovamente randomizzati a ricevere Placebo o Paroxetina. Il 30% dei pazienti passati da Paroxetina a Placebo ricadevano nel corso dei 3 mesi successivi mentre soltanto il 5% di quelli che continuavano a ricevere Paroxetina andavano incontro a ricaduta. Le percentuali elevate di ricaduta alla sospensione della paroxetina potrebbero essere, almeno in parte, correlate alla presenza di sintomi da sospensione, particolarmente marcati con questo composto.

Fluoxetina

I dati relativi all’impiego della fluoxetina nel DP non sono numerosi e molti si riferiscono ad osservazioni non controllate su casistiche limitate (Tab. III). In uno studio in aperto di Pecknold et al. (44), 30 pazienti con DP sono stati trattati con Fluoxetina a 20 mg/die. Al termine dell’ottava settimana è stato registrato un cospicuo decremento rispetto al baseline nella frequenza degli attacchi di panico con il 67% dei pazienti che presentava una riduzione pari almeno al 50% nella frequenza dei medesimi; tuttavia, il 36% dei soggetti sospendeva il trattamento a causa di un incremento dell’ansia in fase iniziale o per mancanza di efficacia terapeutica. Gorman et al. (45) hanno riportato risultati simili in uno studio in aperto con Fluoxetina (10-70 mg/die) in 16 pazienti con diagnosi di DP; 7/16 rispondevano bene alla Fluoxetina ed erano asintomatici al termine del periodo di osservazione, tuttavia 7 sviluppavano un incremento significativo dell’ansia, agitazione e diarrea nei primi giorni di assunzione; il 50% dei soggetti era incapace di tollerare dosaggi superiori a 20 mg/die a causa delle reazioni avverse. Gli autori hanno dunque raccomandato di iniziare il trattamento con Fluoxetina utilizzando dosaggi iniziali molto bassi.

Michelson et al. (46) hanno riportato i risultati della prima sperimentazione controllata su larga scala (n = 243) relativa all’impiego di Fluoxetina nel DP. Ai pazienti, per 10 settimane, era somministrata Fluoxetina a dosaggi di 10 o 20 mg/die oppure Placebo. Fluoxetina a 20 mg/die produceva un miglioramento statisticamente significativo rispetto al Placebo su molti parametri di valutazione, ad esempio CGI-Miglioramento, frequenza totale degli attacchi di panico, sintomatologia fobica e funzionamento complessivo.

L’efficacia anti-panico a breve termine della Fluoxetina (10-30 mg/die) è stata comparata con Moclobemide (300-600 mg/die) su di una casistica di 366 pazienti con DP (47). Al termine dell’ottava settimana di terapia, il 70% dei soggetti che avevano ricevuto Fluoxetina era asintomatico, a paragone del 63% di quelli trattati con Moclobemide.

Infine, è stato suggerito il possibile impiego di Fluoxetina nell’ambito di una strategia di “augmentation” nelle forme di DP resistente alle terapie standard. Tiffon et al. (48) hanno segnalato l’utilità del potenziamento di un regime terapeutico con Imipramina a dosaggi correnti con piccole dosi di Fluoxetina (ad es. 10 mg/die); risultati simili sono stati ottenuti con l’aggiunta di Imipramina a basse dosi (50 mg/die) ad un regime terapeutico a base di Fluoxetina a dosaggi 20 mg/die (49).

Per quanto riguarda il lungo termine, in un’estensione a 24 settimane dello studio di Michelson et al. (46), i soggetti che avevano risposto a Fluoxetina, sono stati randomizzati o per continuare con le stesse dosi di principio attivo oppure per passare a Placebo (50). I pazienti che hanno continuato a ricevere Fluoxetina per le 24 settimane successive hanno presentato un miglioramento ulteriore della sintomatologia ansiosa invece, i soggetti passati a Placebo, hanno presentato un peggioramento clinico con incremento significativo dei punteggi di tutte le scale sintomatologiche.

Schneier et al. (51) hanno condotto una sperimentazione in aperto della durata di 12 mesi impiegando Fluoxetina in pazienti con DP, incominciando la somministrazione del principio attivo a dosi basse (5 mg/die) per minimizzare gli effetti collaterali già emersi dalle precedenti sperimentazioni (44) (45). Il 76% (19/25) dei pazienti ha mostrato un miglioramento da “moderato” a “marcato” tuttavia il 16% (4/25) è stato incapace di tollerare il trattamento a causa degli effetti collaterali quali nausea, agitazione, mal di testa. Risultati interessanti sono emersi anche dall’esperienza di Emmanuel et al. (52) che hanno condotto uno studio con dosi settimanali di Fluoxetina come trattamento di mantenimento del DP. In questo caso, 10 pazienti sono stati trattati in aperto con 20-40 mg/die di Fluoxetina; una volta asintomatici, si è passati a somministrare un’unica dose settimanale: dopo 18 mesi dallo “switch” settimanale un solo paziente ha presentato una riesacerbazione della sintomatologia panico.

Fluvoxamina

La fluvoxamina è stata studiata più nel trattamento della depressione e del disturbo ossessivo-compulsivo che in quello del DP (Tab. IV). Black et al. (53) hanno confrontato Fluvoxamina (fino a 300 mg/die) con Terapia Cognitiva e Placebo in 75 soggetti con DP. Dopo 8 settimane di trattamento, i pazienti che assumevano Fluvoxamina presentavano una riduzione statisticamente significativa della media dei punteggi di gravità degli attacchi di panico rispetto a quelli che assumevano Placebo. Sebbene anche i soggetti trattati con Terapia Cognitiva mostrassero un miglioramento nella gravità delle crisi, ciò non era significativamente differente rispetto a quanto registrato con Placebo. I soggetti trattati con Fluvoxamina, tuttavia, riportavano più frequentemente effetti collaterali rispetto a quelli che assumevano Placebo o effettuavano Terapia Cognitiva.

Hoehn-Saric et al. (54) hanno condotto una sperimentazione con Fluvoxamina (50-300 mg/die) per 8 settimane in 50 pazienti con DP. A partire dalla terza settimana è emersa una riduzione statisticamente significativa della frequenza delle crisi di panico “maggiori”, ma non è stato evidenziato alcun effetto sulle crisi “minori” a paragone col Placebo.

Altre due sperimentazioni di 8 settimane controllate con Placebo, una su 88 e l’altra su 60 pazienti, hanno dimostrato l’efficacia di Fluvoxamina (50-300 mg/die) nel ridurre la frequenza delle crisi di panico (33) (55). Vanno infine ricordati due studi. In una sperimentazione multicentrica di confronto con Imipramina (50-300 mg/die) e Placebo su 148 soggetti con DP della durata di 8 settimane, Fluvoxamina (50-300 mg/die) non è risultata essere significativamente differente dal Placebo per quanto concerne la riduzione del numero degli attacchi di panico e dell’ansia anticipatoria (56). La proporzione di pazienti liberi da crisi di panico al termine della sperimentazione era del 37% nel gruppo che aveva ricevuto Fluvoxamina, del 64% in quello trattato con Imipramina e del 47% per il Placebo. Anche in questo parametro non venivano evidenziate differenze significative fra Fluvoxamina e Placebo. In un altro studio controllato e della durata di 6 settimane, su 46 pazienti con DP, Fluvoxamina (100-300 mg/die) non si è dimostrata significativamente differente dal Placebo nel ridurre la frequenza delle crisi ansiose (57).

Per quanto riguarda l’impiego a lungo termine di Fluvoxamina sono disponibili solamente i risultati preliminari di uno studio in aperto della durata di 12 mesi, che indicano una possibile efficacia di tale molecola (58).

Sertralina

La Sertralina è, tra gli SSRI, il composto per il quale sono disponibili dati controllati su un maggior numero di pazienti con DP (Tab. V). Tutti gli studi condotti sono indicativi di una buona efficacia e di una ottima tollerabilità del composto.

Gorman e Wolkow hanno condotto una sperimentazione controllata con Placebo della durata di 12 settimane relativa all’impiego di Sertralina (100-200 mg/die) in 320 pazienti affetti da DP. Gli autori hanno registrato un decremento significativo rispetto al placebo nella frequenza degli attacchi di panico, sia nel gruppo trattato con 100 mg/die che in quello che riceveva 200 mg/die. Solamente il 22% dei pazienti trattati con Sertralina ha interrotto il trattamento a causa di effetti collaterali quali bocca secca e nervosismo (59).

DuBoff et al. si sono proposti di valutare le relazioni intercorrenti fra efficacia clinica e dosaggi di Sertralina somministrati (50, 100 oppure 200 mg/die) in un gruppo di soggetti con DP; tale sperimentazione era in doppio cieco, controllata verso Placebo e della durata di 12 settimane. A paragone del Placebo, la Sertralina è risultata efficace nel ridurre sia la frequenza degli attacchi di panico che le manifestazioni ansiose intercritiche; è inoltre importante sottolineare come non sia stata evidenziata alcuna differenza significativa di risposta clinica tra i vari dosaggi somministrati (60). A risultati sovrapponibili ha condotto anche una sperimentazione multicentrica di 10 settimane su 176 con DP i cui risultati sono stati riportati da Wolkow et al. (61).

Buona efficacia clinica, grande tollerabilità e ottima sicurezza di Sertralina nel trattamento del DP sono state riportate da Baumel et al. (62). Questi Autori hanno proposto la somministrazione di dosaggi iniziali bassi (25 mg/die) alfine di scongiurare problematiche connesse all’iperstimolazione serotoninergica che si presenta talvolta nelle prime fasi di trattamento.

Londborg et al., in uno studio della durata di 12 settimane, hanno confrontato con Placebo l’efficacia di dosi fisse di Sertralina (50, 100 e 200 mg/die) in 178 pazienti con DP. Al termine della sperimentazione non sono emerse differenze statisticamente significative in merito alla percentuale di pazienti liberi da attacchi di panico tra i gruppo a confronto (Sertralina 57%, 72/127; Placebo 41%, 18/144); tuttavia, i differenti dosaggi giornalieri di Sertralina sono risultati essere, tutti, più efficaci del Placebo nel ridurre il numero degli attacchi di panico ed il numero di episodi di ansia anticipatoria (63).

In un’altra sperimentazione Placebo-controllata, di 12 settimane e con dosi fisse di Sertralina (50, 100, e 200 mg) su 322 pazienti con DP, è emerso come, ciascun dosaggio, abbia prodotto una riduzione significativa della frequenza degli attacchi di panico a paragone del Placebo. Sertralina era inoltre efficace sulla sintomatologia depressiva in un sottogruppo di pazienti nei quali il DP era in comorbidità con depressione (64).

Due studi Placebo-controllati della durata di 10 settimane su, rispettivamente, 168 e 176 pazienti con DP, hanno investigato, retrospettivamente, l’efficacia di Sertralina, somministrata a dosaggi variabili da 50 a 200 mg/die. In entrambe le sperimentazioni i pazienti trattati con Sertralina hanno presentato una riduzione significativa nella frequenza degli attacchi di panico ed hanno totalizzato punteggi più elevati rispetto al gruppo del Placebo, sia alla CGI-Miglioramento che alla Patient Global Evaluation (65) (66).

Nello studio di Pohl et al. (65), un numero superiore di pazienti fra quelli trattati con Sertralina (62%, 49/80) era, al termine della sperimentazione, libero da attacchi di panico rispetto a quelli trattati con Placebo (46%, 40/88). Inoltre, i pazienti trattati con Sertralina ottenevano un punteggio migliore ad un questionario che valutava la qualità della vita. Un’analisi combinata condotta sui due studi precedenti ha consentito di definire con maggior dettaglio i settori nei quali i pazienti avevano un miglioramento della qualità di vita (relazioni sociali e familiari, portare a termine le faccende domestiche, impiegare il tempo libero e svolgere le attività di lavorative) (67).

Pollack et al. hanno effettuato una meta-analisi sui dati provenienti da 4 studi in doppio cieco, placebo controllati (n = 664) e relativi all’impiego di Sertralina nel trattamento del DP. Due di tali sperimentazioni erano della durata di 12 settimane e prevedevano l’impiego di dosi fisse di principio attivo (50 mg/die), le rimanenti avevano una durata di 10 settimane e si basavano sull’utilizzazione di dosaggi flessibili di Sertralina. Dall’analisi dei risultati è emersa la presenza di un miglioramento clinico significativo anche nei pazienti con predittori clinici di decorso sfavorevole, in particolare in quelli con agorafobia, con durata di malattia > di 2 anni e nei soggetti di sesso femminile (68).

Per quanto riguarda l’efficacia nella profilassi delle ricadute a lungo termine, recentemente, Rapaport et al. (69) hanno pubblicato i dati conclusivi di un studio che si proponeva di valutare efficacia e sicurezza di Sertralina (fino a 200 mg/die) nel trattamento a lungo termine di pazienti con diagnosi di DP secondo i criteri del DSM-III-R. Il disegno sperimentale prevedeva una prima fase “in aperto” della durata di 52 settimane (n = 398) seguita da una seconda della durata di 28, “in doppio cieco”, controllata con placebo. A quest’ultima accedevano i pazienti considerati “responders” al termine della prima (n = 183) che così venivano randomizzati a Placebo (n = 90) o Sertralina (n = 93). Dal confronto con il Placebo nel corso delle 28 settimane della prova clinica è emersa la superiorità, statisticamente significativa, della Sertralina nel prevenire le riesacerbazioni del DP. Il trattamento è risultato, inoltre, sicuro e ben tollerato.

In ultimo, Rapaport et al. si sono proposti di ricercare eventuali differenze “qualitative” e/o “quantitative” nella risposta al Placebo o a Sertralina in pazienti con DP. A tal fine sono stati analizzati i dati provenienti da due studi multicentrici, randomizzati, in doppio cieco, controllati e della durata di 10 settimane (n = 351). Erano presenti differenze statisticamente significative fra i due gruppi a confronto; in particolare, soltanto i pazienti che ricevevano il trattamento attivo presentavano un reale miglioramento nella qualità della vita, misurata mediante il Quality of Life Enjoyment and Satisfaction Questionnarie (70).

La buona tollerabilità e l’ottima sicurezza di Sertralina ne indicano l’impiego preferenziale nei trattamenti a lungo termine del DP. Ciò anche in ragione delle scarse interferenze di tipo farmacocinetico con eventuali trattamenti concomitanti. Il composto presenta, inoltre, un ampio spettro di azione essendosi dimostrato efficace anche nella depressione, nella fobia sociale, nel disturbo ossessivo-compulsivo e nel disturbo post-traumatico da stress. La Sertralina sembra quindi particolarmente indicata anche nel trattamento DP in comorbidità con disturbi dell’umore ed altri disturbi d’ansia, evenienza che si verifica in una larga parte dei pazienti che si presentano allo specialista. In particolare il DP nell’anziano è quasi invariabilmente concomitante a manifestazioni depressive. Anche in queste situazioni per ragioni sia farmacocinetiche che farmacodinamiche la Sertralina sembra rappresentare il trattamento di scelta.

Citalopram

Anche il citalopram è stato oggetto di alcune sperimentazioni controllate nel DP, sia a breve che a lungo termine (Tab. VI). Wade et al. (71) hanno condotto uno studio controllato di confronto (Citalopram vs. Clomipramina vs. Placebo) in 475 pazienti con DP. Al termine dell’ottava settimana, il 60% dei soggetti trattati con Citalopram (20-30 mg/die) erano asintomatici. Tale risultato risultava essere simile a quello prodotto dalla Clomipramina e migliore rispetto a quello ottenuto con Placebo. Alcuni dei pazienti (n = 279) che avevano completato le 8 settimane di trattamento nella sperimentazione di Wade et al. (71) erano successivamente inseriti in una sperimentazione in doppio cieco della durata di 1 anno con Citalopram, Clomipramina o Placebo (72). Al termine dei dodici mesi di osservazione, una percentuale maggiore dei pazienti che ricevevano Citalopram a 20-30 mg/die o 40-60 mg/die era asintomatica se paragonata al Placebo. La risposta al trattamento con Clomipramina non è risultata invece significativamente differente dal Placebo.

Un’altra sperimentazione controllata ha studiato gli effetti di Citalopram (10-15, 20-30 o 40-60 mg/die) e Clomipramina (60-90 mg/die) sulla sintomatologia fobica in pazienti con DP (73). La riduzione media del punteggio totale della “fobia” è risultata significativamente maggiore nel gruppo di pazienti trattati con Citalopram rispetto a quelli che aveva ricevuto Placebo.

Infine, in uno studio in aperto su 17 pazienti con DP, 13/17 sono stati considerati “responders” al termine delle 8 settimane di trattamento con Citalopram, sulla base della riduzione dell’ansia anticipatoria, dell’agorafobia e della somatizzazione, sebbene sia stato osservato un incremento transitorio della sintomatologia da panico nel corso della prima settimana di terapia. Tale miglioramento è stato mantenuto nel corso dei 15 mesi di estensione dello studio (74). Il citalopram sembra quindi essere efficace nel DP al pari degli altri SSRI.

Scelta e gestione del trattamento nel disturbo da panico: il ruolo degli SSRI

Alla luce dei dati riportati in letteratura, gli SSRI si propongono come farmaci di prima scelta nel trattamento del DP. A parità di efficacia, infatti, rispetto agli antidepressivi triciclici sembrano possedere tollerabilità e sicurezza migliori. In molti casi, tuttavia, nelle fasi iniziali della terapia, è stata descritta una “sindrome da attivazione” (“jitteriness syndrome”), sovrapponibile a quella osservata con i TCA (75). La “jitteriness syndrome” si caratterizza per una esacerbazione delle manifestazioni ansiose, associata ad agitazione, insonnia e diarrea. Come per i TCA, si raccomanda perciò di impiegare inizialmente basse dosi, da aumentare molto gradualmente nelle settimane successive.

Per attenuare la “jitteriness syndrome” da SSRI, può risultare utile l’associazione con BDZ. Queste ultime, rispetto agli altri composti ad efficacia antipanico, possiedono una maggiore rapidità di azione. Quindi, in condizioni di acuzie sintomatologica, in cui si richiede una attenuazione dei livelli di ansia in pochi giorni, le BDZ risultano molto utili. In tutti i casi in cui è possibile è, comunque, preferibile utilizzare gli SSRI in monoterapia. In questo modo la risposta terapeutica agli antidepressivi è meglio interpretabile e non si rischiano ricadute al momento della sospensione delle BDZ.

Il periodo iniziale rappresenta uno dei momenti cruciali della terapia del DP. La sensibilità agli effetti collaterali, unitamente ad un atteggiamento fobico nei confronti dei farmaci, condiziona un’elevata percentuale di interruzioni del trattamento dopo le prime assunzioni. La corretta informazione sugli eventuali effetti collaterali che possono comparire all’inizio del trattamento favorisce l’accettazione del farmaco da parte del paziente, rassicurandolo sull’origine dei sintomi che si trova ad esperire.

Una volta raggiunta la remissione degli episodi critici si assiste, dopo circa 2-3 mesi, alla progressiva risoluzione dell’ansia anticipatoria e delle condotte di evitamento. Se l’Agorafobia tende a persistere, è necessario fornire al paziente alcune indicazioni comportamentali, fornendo istruzioni per una graduale autoesposizione alle situazioni fobiche e sulla eventualità che in questi esercizi possa comparire una riesacerbazione dell’ansia anticipatoria. Se le condotte agorafobiche si mostrano resistenti, può essere utile aumentare i dosaggi degli SSRI. Questa condotta terapeutica trova sostegno in recenti ricerche che hanno evidenziato come l’Agorafobia spesso receda solo con dosaggi elevati di antidepressivi impiegati per periodi di tempo prolungati (30) (76).

Una fase di mantenimento, della durata di almeno un anno, precede la riduzione graduale del farmaco. Nella maggior parte delle indagini su trattamenti prolungati è riferito che i pazienti continuano a migliorare anche dopo diversi mesi di terapia, specialmente per quanto riguarda le manifestazioni di evitamento fobico (11) (77). Sulla base di queste osservazioni sembra quindi opportuno prendere in considerazione la sospensione della terapia solo quando il miglioramento appare definitivamente stabilizzato.

Un certo numero di soggetti che rispondono alle terapie, anche con remissioni complete, possono presentare ricadute. Dopo la sospensione o la riduzione del dosaggio del composto utilizzato, la possibilità che gli attacchi si ripresentino risulta superiore al 50% nella maggior parte delle osservazioni cliniche (78)-(80). Alla luce di queste acquisizioni, emerge la necessità, in molti casi, di protrarre il trattamento per anni. Talora, inoltre, può risultare utile cercare il dosaggio minimo mediante il quale è possibile il controllo degli episodi critici.

Se per gli SSRI disponiamo di numerosi dati sulla loro efficacia, tollerabilità e sicurezza di impiego a breve e medio termine, a tutt’oggi le informazioni sulla efficacia e praticabilità del trattamento a lungo termine non sono sufficienti. Nella nostra esperienza clinica il profilo di effetti collaterali degli SSRI è differente nel breve e nel lungo termine. Se inizialmente prevalgono i sintomi gastrointestinali e la cefalea, dopo alcuni mesi di trattamento le disfunzioni sessuali, l’incremento ponderale e le alterazioni della sfera cognitiva, quali disturbi della memoria e della concentrazione, rappresentano gli effetti collaterali più frequenti. Inoltre, in alcuni casi sono stati segnalati iperprolattinemia e comparsa di sintomi extrapiramidali a tipo Parkinsonismo (81). In particolare l’anorgasmia, l’aumento ponderale ed i disturbi della memoria e della concentrazione possono risultare fortemente interferenti sulla vita del paziente, soprattutto in soggetti giovani e studenti. L’aumento ponderale, infine, può costituire una controindicazione in pazienti con problemi di obesità.

Un’altra lacuna da colmare è quella relativa allo studio di eventuali fenomeni da sospensione con l’interruzione brusca di un trattamento protratto con SSRI. Alcune informazioni preliminari e varie osservazioni cliniche riportano la comparsa di fenomeni quali vertigini, cefalea, nausea ed irritabilità dopo alcuni giorni dalla sospensione di un trattamento prolungato con questi composti. Tali manifestazioni possono protrarsi per alcune settimane (82) (83). La gravità della sindrome da sospensione dipende dalla dose assunta e da alcune caratteristiche quali l’emivita del farmaco utilizzato. Quest’ultima è variabile, da 15 ore per la Fluvoxamina a 12-24 ore per la Paroxetina, 26 ore circa per la Sertralina e 33 ore per il Citalopram; la Fluoxetina ha una emivita molto più lunga di 2-4 giorni. È poi da considerare che Fluoxetina e Sertralina hanno metaboliti attivi la cui emivita è rispettivamente 7-15 giorni e 2-4 giorni. Fluvoxamina e paroxetina sono quindi gli SSRI con i quali la sindrome da sospensione è più evidente, mentre Sertralina e Fluoxetina quelli con i quali il fenomeno si osserva in misura minore.

Conclusioni

Il DP è un disturbo cronico con considerevoli effetti sulla qualità della vita del paziente. Il primo obiettivo terapeutico nel trattamento del DP è quello di far cessare le crisi acute di panico; in via secondaria ci si propone di migliorare l’ansia anticipatoria, e le condotte di evitamento, intervenendo anche sull’eventuale sintomatologia depressiva associata. Le BDZ, utili nelle prime fasi di trattamento in funzione della loro proprietà ansiolitica associata al rapido inizio d’azione, non possono essere utilizzate nel lungo termine in considerazione delle problematiche, ben documentate, connesse alla comparsa di fenomeni di tolleranza e dipendenza; gli SSRI, generalmente ben tollerati ed efficaci sia sulla componente ansiosa che su quella depressiva, sono da considerare di prima scelta. I pazienti con DP non sottoposti a trattamento specifico ricorrono molto spesso alle prestazioni delle strutture di pronto soccorso, affollandole ed aumentandone significativamente i costi di gestione annuali. L’impatto che gli SSRI hanno sul management del disturbo e sulla entità delle richieste d’intervento messe in atto dai pazienti è stato valutato recentemente su 120 pazienti con diagnosi di DP sottoposti a trattamento con SSRI (Paroxetina, n = 54; Fluoxetina, n = 30 e Sertralina, n = 36), per un periodo di 6 mesi (84). Gli stessi soggetti, nei 6 mesi precedenti l’inizio della terapia con SSRI, si erano dimostrati “forti utilizzatori” delle strutture ospedaliere d’emergenza. Dall’analisi dei risultati è emerso con chiarezza come, l’impiego di antidepressivi serotoninergici, migliorando la sintomatologia ansiosa acuta e l’evitamento fobico, riduce in maniera fortemente significativa la richiesta d’interventi farmacologici e strumentali in regime d’emergenza. In particolare le stime in percentuale della riduzione delle visite e dei costi per i vari SSRI utilizzati sono: Sertralina, visite -79,5% e costi -85,2%; Fluoxetina, visite -25% e costi -69,5%; Paroxetina, visite -8,6% e costi -30,8%.

Non emergono differenze di efficacia nei pochi studi di confronto condotti tra i vari SSRI, i quali comunque presentano alcune differenze sul piano farmacocinetico e degli effetti collaterali. Tra gli SSRI sono da preferire quelli che presentano un profilo migliore di effetti collaterali; inoltre, negli anziani e nei pazienti che assumono altri farmaci è importante privilegiare i composti con minori interazioni farmacologiche. Per i trattamenti prolungati sono invece da prediligere gli SSRI con minore propensione a produrre fenomeni da sospensione nel caso di interruzione brusca della terapia.

Tab. I. Tabella Riassuntiva dei Principali Studi Randomizzati Controllati con BDZ nel Disturbo da Panico. Summary of Randomised Controlled Studies of BDZ in Panic Disorder.

Studio

Dosaggio (mg/die)

Durata

n

Non Panico (end-point)

Altre informazioni
Alprazolam
Placebo
(Ballenger et al., 1998a)

6-10

8 settimane

526

Alprazolam (55%)

Alprazolam superiore al Placebo per l�ansia generalizzata, disabilità.
Alprazolam
Imipramina
Placebo
(Cross-National Study, 1992)

6-10

8 settimane

1168

Alprazolam = Imipramina (70%)> Placebo (50%)

Alprazolam superiore ad Imipramina per inizio d�azione; con Imipramina, maggior incidenza di effetti collaterali.
Alprazolam SR, Placebo
(Schweizer et al., 1993a)

1-10

6 settimane

194

Alprazolam (85%)> Placebo (61%)

Alprazolam superiore al Placebo in relazione ad ansia, fobia, disabilità. Maggior incidenza di sonnolenza ed incoordinazione con Alprazolam.
Alprazolam SR, Alprazolam tablet Placebo
(Pecknold et al., 1994)

1-10 (1-10)

6 settimane

209

Alprazolam tablet (80%) > Alprazolam SR (54%) = Placebo (48%)

Alprazolam superiore al Placebo in relazione ad ansia, fobia, disabilità. Maggior incidenza di sonnolenza ed incoordinazione con Alprazolam.
Alprazolam
Imipramina Placebo (Curtis et al., 1993)

6-10
150-200

6 mesi

181

Non riportato

Alprazolam ed Imipramina superiori al Placebo per efficacia globale.
Alprazolam
Imipramina
Placebo
(Schweizer et al., 1993b)

6-10
150-200

8 mesi

106

Placebo (22%)> Alprazolam (9%)> Imipramina (0%)

Alprazolam ed Imipramina superiori al Placebo in relazione alla fobia. Maggior incidenza di xerostomia e sudorazione con Imipramina.
Clonazepam
Placebo
(Rosenbaum et al., 1997)

0,5, 1, 2, 3, 4

6 settimane

413

Clonazepam 1 mg (73%)> Placebo (55%)

Clonazepam 1-4 mg superiore al Placebo per evitamento fobico, ansia anticipatoria. Maggior incidenza di effetti collaterali con Clonazepam 3-4 mg.
Clonazepam
Alprazolam
Placebo (Tesar et al., 1991)

0,5-5
1-10

6 settimane

72

Clonazepam (50%)= Alprazolam (46%)> Placebo (14%)

Trattamenti attivi superiori al Placebo per stress fobico e disabilità. Maggior incidenza di sedazione con Alprazolam. Maggior incidenza di atassia con Clonazepam.
Clonazepam
Placebo
(Beauclair et al., 1994)

1-5

4 settimane

32

Non riportato

Clonazepam superiore al Placebo per frequenza del panico e gravità della ansia, depressione.
Lorazepam
Alprazolam
(Schweizer et al., 1990)

4-16
2-8

6 settimane

67

Lorazepam (50%)= Alprazolam (52%)

Lorazepam come Alprazolam per ansia, evitamento.
Diazepam
Alprazolam
Placebo
(Noyes et al., 1996)

60-100
6-10

8 settimane

241

Non riportato

Trattamenti attivi superiori al Placebo in relazione a frequenza del panico, ansia, fobia, disabilità.

Tab. II. Tabella Riassuntiva dei Principali Studi Randomizzati Controllati con Paroxetina nel Disturbo da Panico. Summary of Randomised Controlled Studies of Paroxetine in Panic Disorder.

Studio

Dosaggio (mg/die)

Durata

n

Non Panico (end-point)

Altre informazioni
Paroxetina
Placebo (Ballenger et al., 1998a)

10, 20, 40

10 settimane

278

Paroxetina 40 mg (76%)
> Placebo (44%)

Paroxetina 40 mg superiore al Placebo per fobia, ansia, depressione.ma maggior incidenza di xerostomia, dispepsia, disfunzioni sessuali.
Paroxetina Placebo (Oehrberg et al., 1995)

10-60

12 settimane

129

Paroxetina (36%)> Placebo (16%)

Paroxetina superiore al Placebo per ansia, ma maggior incidenza di effetti collaterali.
Paroxetina
Clomipramina
Terapia Cognitiva
Placebo (Bakker et al., 1999)

20-60
10-150

12 settimane

131

Paroxetina (65%)> Placebo (34%)= Terapia Cognitiva (40%)= Clomipramina (53%)

Paroxetina e Clomipramina superiori al Placebo e terapia cognitiva in relazione ad ansia anticipatoria, fobia, disabilità.
Paroxetina
Clomipramina
Placebo (Lecrubier et al., 1997a)

20- 6015-150

12 settimane

367

Paroxetina (51%)= Clomipramina (37%)> Placebo (32%)

Paroxetina e Clomipramina superiori al Placebo per ansia, fobia e disabilità. Maggior incidenza di effetti collaterali con la Clomipramina.
Paroxetina
Clomipramina
Placebo (Lecrubier and Judge, 1997b)

20-60
50-150

9 mesi

180

Paroxetina (85%)
= Clomipramia (72%)
> Placebo (59%)

Tab. III. Tabella Riassuntiva dei Principali Studi Randomizzati Controllati con Fluoxetina nel Disturbo da Panico. Summary of Randomised Controlled Studies of Fluoxetine in Panic Disorder.

Studio

Dosaggio (mg/die)

Durata

n

Non Panico (end-point)

Altre informazioni
Fluoxetina
Placebo
(Michelson et al., 1998)

10 o 20

10 settimane

243

Non riportato

Fluoxetina superiore al Placebo per frequenza del panico, fobia, disabilità, miglioramento globale.
Fluoxetina
Moclobemide
(Tiller and Bouwer, 1999)

10-30

8 settimane

366

Fluoxetina (70%) = Moclobemide (63%)

Fluoxetina e Moclobemide simili per miglioramento globale e tollerabilità.

Tab. IV. Tabella Riassuntiva dei Principali Studi Randomizzati Controllati con Fluvoxamina nel Disturbo da Panico. Summary of Randomised Controlled Studies of Fluoxamine in Panic Disorder.

Studio

Dosaggio (mg/die)

Durata

n

Non Panico (end-point)

Altre informazioni
Fluvoxamina
Terapia Cognitiva
Placebo
(Black et al., 1993)

< 300

8 settimane

75

Non riportato

Fluvoxamina superiore a Placebo e terapia cognitiva in relazione alla gravità del panico.
Fluvoxamina
Placebo
(Hoehn-Saric et al., 1993)

50-300

8 settimane

50

Non riportato

Fluvoxamina superiore al Placebo in relazione alla frequenza degli attacchi di panico.
Fluvoxamina
Placebo
(Hoehn-Saric et al., 1 994)

100-300

8 settimane

88

Non riportato

Fluvoxamina superiore al Placebo in relazione alla frequenza degli attacchi di panico.
Fluvoxamina
Placebo
(den Boer and Westenberg, 1990)

100-300

8 settimane

60

Non riportato

Fluvoxamina superiore al Placebo in merito a frequenza degli attacchi di panico. Con essa, maggior incidenza di sonnolenza, sudorazione, nausea e diarrea.
Fluvoxamina
Placebo (Sandmann et al., 1998)

50-300

6 settimane

46

Non riportato

Fluvoxamina non superiore rispetto al Placebo in relazione alla frequenza degli attacchi di panico.
Fluvoxamina
Imipramina Placebo (Nair et al.,1996)

50-300
50-300

8 settimane

148

Impiramina (64%) > Placebo (47%)= Fluvoxamina (37%)

Imipramina superiore al Placebo e Fluvoxamina per ansia, depressione, miglioramento globale. Con Imipramina maggior incidenza di effetti collaterali.

Tab. V. Tabella Riassuntiva dei Principali Studi Randomizzati Controllati con Sertralina nel Disturbo da Panico. Summary of Randomised Controlled Studies of Sertraline in Panic Disorder.

Studio

Dosaggio (mg/die)

Durata

n

Non Panico (end-point)

Altre informazioni
Sertralina Placebo (Londborg et al., 1998)

50, 100, 200

12 settimane

178

Sertralina (57%) = Placebo (41%)

Sertralina superiore al Placebo per frequenza del panico, ansia anticipatoria. Con Sertralina maggior incidenza di xerostomia, anorgasmia.
Sertralina
Placebo
(Gorman and Wolkow, 1994)

100 o 200

12 settimane

320

Non riportato

Sertralina superiore al Placebo per frequenza del panico. Con Sertralina maggior incidenza di xerostomia, nervosismo, anorgasmia.
Sertralina
Placebo
(Pohl et al., 1998)

50-200

10 settimane

168

Sertralina (62%)> Placebo (46%)

Sertralina superiore al Placebo per frequenza del panico, miglioramento globale. Con essa, però, maggior incidenza di discontinuazione per e.c.
Sertralina
Placebo (Pollack et al., 1998)

50-200

10 settimane

176

Non riportato

Sertralina superiore al Placebo per frequenza del panico, miglioramento globale. Con essa, però, maggior incidenza di tremore e diarrea.
Sertralina
Placebo (Sheikh et al., 2000)

50, 100, 200

12 settimane

322

Non riportato

Sertralina superiore al Placebo per frequenza del panico e miglioramento della sintomatologia depressiva tuttavia, maggiori e.c. rispetto al Placebo.
Sertralina
Placebo
(Rapaport et al., 2001)

50-200

52 settimane “in aperto” e 28 in “doppio cieco”

398
183

Non riportato

Sertralina più efficace del Placebo nel prevenite ricadute. Sertralina generalmente molto ben tollerata.

 

Tab. VI. Tabella Riassuntiva dei Principali Studi Randomizzati Controllati con Citalopram nel Disturbo da Panico. Summary of Randomised Controlled Studies of Citalopram in Panic Disorder.

Studio

Dosaggio (mg/die)

Durata

n

Non Panico (end-point)

Altre informazioni
Citalopram
Clomipramina
Placebo (Wade et al., 1997)

10-15, 20-30,
40-60, 60-90

8 settimane

475

Non riportato

Citalopram e Clomipramina superiori al Placebo per miglioramento globale, ansia, punteggi somatici, depressione.
Citalopram
Clomipramina Placebo(Lepola et al., 1998)

10-15, 20-30,
60-90

1 anno

279

Non riportato

Citalopram superiore al Placebo per miglioramento globale. Con Clomipramina maggior incidenza di xerostomia e tremore, di sudorazione con il Citalopram.
Citalopram
Clomipramina
Placebo (Leinonen et al., 2000)

10-15, 20-30,
40-60, 60-90

1 anno

279

Non riportato

Citalopram superiore al Placebo per fobia. Con Clomipramina maggior incidenza di effetti collaterali (tremore, xerostomia).

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