Neurolettici tradizionali e nuovi antipsicotici nella relazione terapeutica

Typical and atypical antipsychotic drugs in therapist-patient relationship

P. Castrogiovanni, S. Iapichino, F. Pieraccini

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Siena

Parole chiave: Neurolettici • Antipsicotici • Relazione terapeutica
Key words: Neuroleptics • Antipsychotic drugs • Therapist-patient relationship

Dai vecchi neurolettici ai nuovi antipsicotici

L’introduzione nella pratica clinica dei neurolettici (NRL) ha rappresentato una vera rivoluzione nella gestione dei pazienti schizofrenici fino ad allora “incurabili”. L’indubbia utilità di questi agenti si è osservata non solo nel controllo dei sintomi produttivi, ma anche nella prevenzione delle fasi di riacutizzazione del disturbo (1) .Quattro decadi di esperienza clinica e numerosi studi controllati condotti negli ultimi decenni hanno permesso di evidenziare alcuni significativi limiti di questi farmaci: innanzitutto è stata ampiamente documentata la potenziale capacità di tutti i NRL classici di indurre gravi effetti collaterali, neurologici (quali acatisia e parkinsonismo) e non neurologici (ipotensione posturale, sedazione, iperprolattinemia) (2) .È stato dimostrato altresì che i NRL nel complesso non sono in grado di controllare la “sintomatologia negativa” del disturbo schizofrenico, fenomenica spesso predominante del quadro clinico (3) .Infine, la somministrazione protratta nel tempo di questi farmaci ha avuto drammatiche ripercussioni sulle funzioni cognitive e quindi sull’autonomia dei pazienti trattati, con ovvie conseguenze negative sui programmi di intervento sociale e riabilitativo (1) .Alla luce di queste evidenze nasce l’esigenza di poter disporre di molecole ad azione antipsicotica che non presentino effetti extrapiramidali sia nel breve che nel lungo termine, che siano in grado di controllare i sintomi negativi primari e quelli deficitari della schizofrenia, che abbiano un migliore profilo di tollerabilità (non solo extrapiramidale) al fine di migliorare l’aderenza al trattamento prolungato da parte dei pazienti. Clozapina, Risperidone, Olanzapina, Ziprasidone e Quetiapina vengono presentati come capaci di dare una risposta a queste esigenze e quindi come una nuova prospettiva nel campo della farmacoterapia del disturbo schizofrenico. Da un punto di vista neurochimico i nuovi antipsicotici si differenziano dai vecchi NRL per l’affinità con alcune sottopopolazioni di recettori della dopamina (non solo i D2) e per l’azione antiserotoninergica osservata in tutti gli “atipici” in virtù del loro legame con i recettori 5HT2; per alcune di queste nuove molecole (nell’ordine risperidone, clozapina, ziprasidone, olanzapina e quetiapina) l’attività antiserotoninergica risulta decisamente superiore a quella antidopaminergica (Tab. I). Proprio in considerazione del diverso profilo recettoriale è stato proposto di identificare due categorie all’interno del gruppo delle nuove molecole antipsicotiche: i cosiddetti SDA (“Serotonin-Dopamine-Antagonists”) ed i “Broader Multispectrum Compounds”, che si caratterizzano per un’azione multirecettoriale (4) .Il prototipo del primo gruppo è rappresentato dal Risperidone, mentre quello del secondo dalla Clozapina e dai nuovi “atipici” in grado di agire sui recettori dopaminergici non D2, colinergici, istaminergici ed alfa-adrenergici (1) .Gli studi clinici controllati (vs placebo ed aloperidolo) hanno dimostrato in maniera univoca che tutti i nuovi antipsicotici risultano superiori al placebo e quantomeno sovrapponibili all’aloperidolo nel controllo della sintomatologia positiva. Relativamente alla clozapina ed al risperidone è stato inoltre verificato che i due farmaci risultano superiori ad aloperidolo per il trattamento di alcuni disturbi delle funzioni cognitive presenti nei pazienti schizofrenici (e questo indipendentemente dal miglioramento psicopatologico) (5) e per il miglioramento nelle scale che indagano il parametro “qualità della vita” (6) .I nuovi antipsicotici si propongono come innovativi per la loro azione sulla sintomatologia negativa della schizofrenia, uno dei limiti dei vecchi NRL (7) ,che d’altra parte correla con un livello di maggiore gravità di malattia, un più alto numero di non-responder alla terapia con neurolettici convenzionali, un maggior rischio di sviluppare discinesia tardiva e rappresenterebbe un indicatore di prognosi sfavorevole (8) .Un’altra caratteristica di questa nuova categoria di farmaci riguarda la tendenza alla progressiva efficacia del farmaco nei trattamenti prolungati, come si evidenzia in studi di follow-up della durata superiore alle 40 settimane con clozapina e risperidone, mentre poco si sa per le altre molecole immesse sul mercato più di recente. La progressione dell’efficacia di certo non si osservava con i vecchi NRL; è esperienza comune osservare in pazienti trattati per anni ed in maniera continuativa con NRL convenzionali l’ingravescenza dei disturbi extrapiramidali e delle disfunzioni sul piano cognitivo piuttosto che un incremento degli effetti positivi. Infine le nuove molecole si caratterizzano per una relazione “non lineare” tra dose ed effetto terapeutico, in contrapposizione con la “linearità dose-effetto” tipica dei NRL. La “non-linearità” in parte è imputabile alla complessità del meccanismo di azione (non solo pro-dopaminergico) che rende ragione, ad esempio nel caso del risperidone, di un’iniziale e prevalente azione serotoninergica e solo a dosi più elevate un’azione anche sul sistema dopaminergico. Una delle più significative limitazioni dei NRL classici è la capacità di provocare effetti collaterali (soprattutto nel lungo termine) gravi ed invalidanti quali gli effetti extrapiramidali (EPS) che si verificano in un range compreso tra il 2% ed il 100% dei soggetti schizofrenici trattati (2) .I nuovi antipsicotici presentano certamente una maggiore tollerabilità extrapiramidale (1) .Con l’introduzione di questi nuovi agenti è cambiata l’attitudine, errata, dei clinici proprio nei confronti degli EPS, la cui induzione nel paziente veniva interpretata come un requisito fondamentale per predire un’azione terapeutica antipsicotica. Di fatto è stato chiarito che l’efficacia antipsicotica si realizza indipendentemente dalla comparsa degli effetti extrapiramidali. Anche la tollerabilità psichica, intendendo con questo termine gli effetti collaterali anticolinergici, le modificazioni percettive-cognitive e di performance, la depressione e la sindrome negativa iatrogena, appare significativamente a favore dei nuovi antipsicotici (Tab. II).

I nuovi antipsicotici nella relazione terapeutica con il paziente schizofrenico

Alla luce delle differenze/similitudini tra NRL classici e nuovi antipsicotici ed in considerazione del “drammatico” effetto positivo delle nuove molecole sulla complessa fenomenica schizofrenica sorge legittima la domanda come i NRL tradizionali ed i nuovi antipsicotici interagiscano nella relazione terapeutica. Farmacoterapia e psicoterapia non possono essere considerate appartenenti a due piani di intervento separati ed inconciliabili. Farmaco e relazione interagiscono fra loro in quanto la somministrazione farmacologica possiede anche significati ed effetti “psicologici” ed il rapporto interumano nelle sue diverse manifestazioni correla con i substrati biologici cerebrali. Superato l’ormai anacronistico dualismo fra psicologico e biologico, ci si pone piuttosto il problema di come il biologico (farmacoterapia) si possa integrare con lo psicologico (psicoterapia) in una integrazione che avviene a livello della relazione, conferendo al farmaco un significato che va al di là dell’essere una sostanza chimica inanimata.

Si può concordare con Freni S. (1988) quando afferma che “… la cura degli stati psicotici, negli anni ’90, alla luce delle nuove prospettive in campo farmacologico, non può che caratterizzarsi dalla sempre più forte tensione verso un approccio integrato rispetto ai problemi posti dalla complessità della realtà clinica …”.

Certamente gli aspetti psicologici della somministrazione del farmaco sono stati valorizzati e descritti molto più di quanto non sia stato fatto per gli aspetti psicobiologici della relazione terapeutica, ancorché sia intuibile che la relazione è sì innanzitutto l’incontro fra due persone, ma anche fra gli assetti dei sistemi neurotrasmettitoriali dei due protagonisti dell’incontro.

Se ci poniamo in un’ottica psicobiologica, qualsiasi tipo di relazione umana rimanda alle complesse e dinamiche modulazioni del sistema oppioide il cui coinvolgimento nelle relazioni del mondo animale è seguito da varie osservazioni: l’effetto placebo è antagonizzato dalla preventiva somministrazione di naloxone, antagonista dei recettori per gli oppioidi (9) ;solo la somministrazione di morfina è in grado di alleviare fino ad annullare gli effetti sul cucciolo derivati dal distacco dalla figura materna (10) ;nell’autismo infantile, caratterizzato dalla totale assenza di un qualsiasi rapporto umano, il sistema oppioide risulta decisamente disfunzionante (11) ;un eccesso di oppioidi, indotto per esempio da un abuso di oppio o eroina, determina una condizione di “autistico benessere” in cui il soggetto non avverte alcun bisogno di relazionarsi (12) .Analogamente non è difficile prospettare il ruolo del sistema dopaminergico nella relazione interumana. Si pensi alla condizione di iperattivazione dopaminergica, sia essa primaria (come nella schizofrenia a prevalenti sintomi positivi) sia essa secondaria (come dopo l’assunzione di psicostimolanti, vedi amfetamina o cocaina), dove, all’aumento della trasmissione dopaminergica, corrisponde sul piano comportamentale l’eccitazione e l’atteggiamento ostile o diffidente nei confronti dell’interlocutore, fino al concretizzarsi di franche tematiche persecutorie (13) .In tale condizione “neurochimica” la relazione interumana è inficiata dalla posizione di “difesa” o di allarme che rende la persona difficilmente accessibile a qualsiasi tentativo di comunicazione. Nella iperattivazione dopaminergica associata ad iperfunzionamento di altri sistemi neurotrasmettitoriali, come accade nella fase maniacale, dietro un atteggiamento apparentemente cordiale ed empatico si nasconde un grande distacco, una oggettificazione dell’interlocutore che rende impossibile il contatto (14) .L’effetto di alcuni antidepressivi serotoninergici che si sono dimostrati capaci di modificare l’atteggiamento nei confronti degli altri, anche indipendentemente dalla valenza antidepressiva o da una sottostante condizione fobico sociale, chiama in causa il sistema serotoninergico. La paroxetina ad esempio sembra essere in grado di modificare la capacità di rapportarsi agli altri diminuendo la dimensione “ostilità” ed aumentando significativamente la curva di tollerabilità agli eventi esterni (15) .Agire su questi parametri vuol dire modificare il rapporto rendendolo più agevole. Così le difficoltà che si incontrano nel tentare di creare un rapporto con soggetti ansiosi e soprattutto con pazienti ossessivi è riferibile allo stato di ansietà, sotteso da un’iperfunzione serotoninergica; il soggetto appare incapace di ascoltare, tende a chiudersi in un mondo personale che ruota intorno alla sua ansia e ad assumere un atteggiamento di “difesa e rifiuto” di tutto ciò che viene dall’esterno. Ridurre il livello di ansia del paziente diviene un imperativo categorico se si vuole instaurare una relazione.

Alla luce di queste considerazioni sarebbe necessario completare i “trials” clinici, tesi ad accertare l’effetto terapeutico su determinati quadri morbosi, con studi volti a verificare gli effetti delle diverse molecole su caratteristiche “psicologiche”, sugli assetti cognitivi e quindi in ultimo sulle relazioni interumane. Da questo punto di vista i farmaci non sono verosimilmente tutti uguali: alcuni sono più “aggressivi”, altri più “dolci”, alcuni più “graduali”, altri meno, alcuni “attivanti” l’assertività, altri che spostano il controllo da esterno ad interno e che aumentano il livello di tolleranza, etc. Tali modificazioni non possono non incidere sulla relazione.

D’altra parte la relazione non è priva di conseguenze sul piano biologico, basta citare i dati conseguiti con la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) in soggetti trattati esclusivamente con terapia comportamentale, nei quali ad una psicoterapia efficace corrisponde una diminuzione dell’utilizzo di glucosio nelle aree cerebrali dove in fase di pre-trattamento risultava aumentato (giro orbitale, giro del cingolo, corteccia pre-frontale, nuclei della base) (16) .In conclusione, se esistono riflessi dell’attività biologica neurotrasmettitoriale sulla relazione terapeutica, se la psicoterapia (quando efficace) riesce a modificare alcuni substrati biologici, se nella somministrazione di un farmaco interagiscono le modificazioni indotte in via chimica con quelle legate alla messa in atto di variabili psicologiche, dovremmo aspettarci un’interferenza, in positivo o negativo, specifica per ogni molecola psicoattiva sulla relazione terapeutica. In questo contesto psicobiologico diviene legittimo domandarsi se i nuovi antipsicotici intervengano nella relazione terapeutica diversamente dai NRL tradizionali.

I NRL, attraverso il blocco sui recettori D2, indispensabile per mediare l’effetto deliriolitico, “spengono” in maniera drammatica la “vivacità” mentale del soggetto appiattendo quelle funzioni (attenzione, memoria, capacità di cogliere i significati) che sono indispensabili per instaurare una relazione; in altre parole le molecole tradizionali inducono “passività”, riducendo la creatività e la fantasia. Questi agenti, nella misura in cui dimostrano dei grossi effetti sulla cenestesi e sulla motricità, cambiano l’immagine corporea, tramite importante del rapporto con l’altro. La possibile comparsa di un ventaglio ampio di effetti collaterali, non solo extrapiramidali, fanno vivere il farmaco negativamente, connotando negativamente anche chi lo prescrive. Farmaci con una potente azione sedativa, necessari per bloccare sintomi quali le condotte aggressive e violente, permettono di ottenere il sicuro controllo della situazione di crisi o di urgenza, a discapito della “vivacità” e della spinta volitiva del soggetto, premesse per qualsiasi rapporto umano. Appare fondamentale quindi che il trattamento farmacologico conservi una certa attivazione dopaminergica, dal momento che questo sistema governa le funzioni cognitive superiori e le capacità pulsionali, elementi indispensabili per instaurare una relazione. Perché si possa instaurare una relazione “paritaria” con il soggetto schizofrenico è importante che il trattamento neurolettico sia meno costrittivo, meno coartante, più modulato e progressivo possibile; ed i nuovi antipsicotici sembrano andare incontro a questa esigenza.

Parlando della clozapina, ma il concetto può essere esteso a tutta la categoria dei nuovi antipsicotici, Goldberg e Weinberger (1994) affermano che “… la molecola si configura come un farmaco a sé rispetto ai neurolettici tradizionali anche per le diverse modalità “relazionali” messe in atto dai pazienti trattati …”. Tutto questo sarebbe legato al maggiore ed ampio spettro recettoriale del farmaco. In particolare i dati derivati dalle tecniche di brain-imaging sembrano indicare che la clozapina si diversifica dai “tradizionali” perché va a fissarsi nelle vie che dai nuclei sottocorticali si irradiano alla corteccia prefrontale (17) .Questo dato appare importante perché, oltre alla regolazione della pulsionalità, fornisce una possibile spiegazione della modulazione degli assetti affettivo-ideativi e del fatto che il farmaco migliora anche le funzioni cognitive, tutte premesse per una relazione più “attiva”. L’introduzione dei nuovi antipsicotici sembra aver imposto una modificazione ed un allargamento anche della nozione di setting inteso fino a pochi anni fa come “contenitore preposto ad una esclusiva funzione di controllo della sintomatologia psicotica”. Il farmaco viene disinvestito dal ruolo di “controllo” per assumere un ruolo centrale che permette l’instaurarsi di un nuovo rapporto in cui il paziente, da una posizione di “passiva adesione” indotta dal NRL tradizionale, passa ad una “collaborazione attiva”. In altri termini, da un modello esclusivamente “prescrittivo-impositivo” con i nuovi antipsicotici si passa alla ricerca di una “alleanza” spontanea finalizzata all’aderenza a programmi terapeutici volti alla soluzione di problemi ed alla promozione nel paziente di una corretta valutazione dei propri bisogni.

Problematiche aperte e prospettive future

L’introduzione nella pratica clinica dei nuovi antipsicotici ha aperto a problematiche fino ad un decennio fa messe in secondo piano rispetto al controllo delle manifestazioni psicotiche e degli stati di agitazione, quali ridefinire il concetto di “compliance” nel paziente schizofrenico, stabilire quali possono essere i nuovi obiettivi da perseguire nei pazienti trattati con “atipici”, formare gli operatori. L’adesione del paziente schizofrenico al trattamento costituisce il primo ed indispensabile passo per l’avvio di un programma trattamentale. L’assenza, completa o parziale, di compliance può interessare fino all’80% dei casi ed i costi sociali diretti o indiretti della malattia per mancanza di compliance sono molto elevati (18) .La non compliance riguarda non solo il rifiuto di una prescrizione medica, ma può riguardare anche l’auto-prescrizione di sostanze o procedure decisamente inadeguate al caso. Dipende in larga parte dal rapporto che si riesce a stabilire con il paziente schizofrenico e da alcune caratteristiche del terapeuta stesso, quali la sua capacità di ascolto, di tolleranza, l’esperienza e l’autorevolezza che è in grado di mostrare, elementi non dissimili dal rapporto interumano “normale”. Fattori che non favoriscono l’aderenza del paziente al trattamento sono la complessità delle prescrizioni, l’assunzione del farmaco più volte al giorno e in orari stabiliti e per un lungo periodo, il costo della terapia e la comparsa di effetti collaterali. Di questa problematica si è fatta interprete, nell’ultima decade, la Royal Pharmaceutical Society inglese, che ha sollecitato lo sviluppo di studi e iniziative di educazione sanitaria finalizzati a promuovere un nuovo modello di compliance, meglio definito come “concordance” (19) .È compito dei servizi adoperarsi per favorire la compliance e questo può avvenire attraverso la scelta di un presidio farmacologico più maneggevole, evitando, quando possibile, il ricorso alla costrizione terapeutica ed anche all’uso indiscriminato della terapia long-acting. La formulazione depot nella pratica clinica, risalente a circa 30 anni fa (Giugno 1966), nasceva come un presidio volto a restituire alla coppia medico-paziente un rapporto libero dalla prescrizione e dalla assunzione reiterata. In un primo momento l’introduzione sul mercato di questa originale e pratica formulazione terapeutica aveva portato molti autori ad esaltarne eccessivamente i vantaggi terapeutici, scotomizzando le difficoltà di gestire una relazione con un paziente “reso passivo-inerte” e gli effetti collaterali dei long-acting. Successivamente l’euforia ha lasciato spazio ad una visione più realistica; su un piano esclusivamente relazionale, l’uso indiscriminato delle formulazioni depot ha trasformato il tentativo di liberare il rapporto medico-paziente in un “non-rapporto”- in cui si assiste ad un distacco “fisico e temporale” scandito da visite (spesso delegate ad altre figure professionali) finalizzate solo a verificare la necessità di ripetere il farmaco. Si è sostenuto che nel malato schizofrenico la non-compliance sia una caratteristica insita nella stessa malattia, in quanto il soggetto come sintomo negativo presenta l’assenza di motivazione (“lack of motivation”), che comprende anche quella rivolta alla propria cura e la mancanza di insight. Questo è vero, ma solo in parte: il malato schizofrenico, se adeguatamente orientato ed informato rispetto alla terapia e se la terapia impostata non presenta quali esclusive finalità la sedazione e lo “spegnimento” della sintomatologia florida psicotica, può essere condotto ad una consapevolezza (“insight”) della propria malattia, presupposto primo per l’aderenza al trattamento. I NRL hanno contribuito alla non-compliance creando una certa immagine degli psicofarmaci come strumenti di “contenzione” e forse hanno contribuito anche a rinforzare la mancanza di insight, visto che propongono, come “buoni” farmaci in realtà responsabili di gravi effetti collaterali.

Poiché gli stessi processi neurotrasmettitoriali sui quali agiscono i farmaci sono coinvolti nei processi cognitivi (capacità attentive, elaborazione dell’informazione, funzioni mnesiche) disfunzionanti nei pazienti affetti da schizofrenia, con i nuovi antipsicotici cambiano anche gli obiettivi da perseguire. Scopo della terapia farmacologica non è l’eliminazione dei sintomi psicotici di per sé, quanto piuttosto il fatto che la loro riduzione mette il paziente in grado di partecipare attivamente al trattamento. Ridurre per esempio il sovraccarico sensoriale legato alla presenza di sintomi positivi consente al paziente di reagire a sollecitazioni ambientali in un programma riabilitativo più complesso. Numerosi Autori, a questo proposito, hanno sottolineato la necessità di mettere a punto e perfezionare tecniche di riabilitazione cognitiva specifica che abbiano un effetto compensatorio o restaurativo diretto ai deficit dell’attenzione, della memoria semantica a breve ed a lungo termine, delle capacità di astrazione e organizzazione semantica, delle difficoltà nel processare le informazioni e nel problem solving, funzioni che peggiorano in maniera drammatica con i NRL tradizionali (17,20) .Ed è proprio con gli antipsicotici “atipici” che si sono aperte nuove ed originali prospettive nell’approccio cognitivo-comportamentale. La ricerca sull’information processing, sugli assunti disfunzionali della schizofrenia, sulle emozioni e sui substrati cognitivi, insieme alla rilevanza di recenti studi hanno consentito di sottolineare la possibilità di potenziare le abilità del paziente di far fronte ai sintomi (20,21) .

Alla luce di quanto sostenuto in precedenza diventa imperativo formare gli operatori a saper adoperare questi nuovi farmaci, a saperli utilizzare nelle loro svariate potenzialità, ma anche, e specialmente, a saper gestire un tipo di miglioramento inconsueto con il ricorso ai NRL classici. I “risvegli” da clozapina hanno creato non pochi problemi agli operatori, impreparati rispetto ad un risultato così clamoroso, al punto che talvolta si è preferito tornare alle vecchie terapie perché il miglioramento creava più problemi di quanti non ne risolvesse. Al di là della formazione ad adoperare correttamente i farmaci, alcune considerazioni sono da fare anche sulla formazione da parte dei farmaci. Nella formazione degli operatori i farmaci hanno probabilmente un ruolo, certamente più insidioso e nascosto, ma molto più importante di quanto non si creda, e proprio in rapporto alla loro influenza sul modello di relazione terapeutica alla quale ciascuno si va formando. Questa relazione, e questa formazione, non possono non risentire anche degli strumenti che abbiamo a disposizione. I già citati neurolettici Depot non sono stati indifferenti nel formare un certo tipo di relazione col paziente, spesso una relazione “delegata” ad altri. Con il malato psichiatrico, e specialmente con lo psicotico, nella prassi corrente, non esiste una relazione in sé che prescinda dallo strumento adoperato, ovvero dal farmaco impiegato. Così come il rapporto medico-paziente del chirurgo è determinato anche dallo strumento bisturi (e non solo nel momento in cui lo impiega), sostanze psicotrope possono modificare il modello di relazione terapeutica e quindi influenzare la formazione. Certo è che quanto più i nuovi antipsicotici risulteranno effettivamente diversi dai NRL tradizionali, tanto più l’impatto sui modelli relazionali potrà essere importante.

Oltre a ciò una innovazione terapeutica sostanziale può intervenire anche nella relazione con gli altri operatori, e più in generale con le altre competenze. Quanto più il farmaco è efficace sui sintomi psicotici, tanto più lo psichiatra sarà portato a valorizzare le competenze psicologiche e psicoterapeutiche, altrimenti considerate inutili, ovvero utilizzate come “scarico”, essendo pressoché vanificate dalla persistenza dei sintomi negativi o dalla “negatività” iatrogena indotta dai NRL classici. Utopisticamente, nuovi trattamenti farmacologici potrebbero essere in grado di rivoluzionare il modello di intervento psichiatrico e potrebbero contribuire a restituire più dignità e più potere allo psichiatra, aiutandolo a ricostruire una immagine dotata di maggiore accettabilità sociale: non più quella di una figura che contiene, che controlla, che ferma con la camicia di forza (ancorché chimica), che, con la pretesa di curare, spenge, “uccide” e poi eventualmente assiste, ma una figura che restituisce libertà dalla malattia, libertà di movimento nella società, che restituisce in definitiva la persona alla capacità di fare esperienze e di riprendere la propria storicità fratturata dalla malattia, alla possibilità di una vera ri-abilitazione.

Infine, per quanto gli strumenti condizionino i modelli organizzativi e per quanto questi dipendano dagli obiettivi, i nuovi antipsicotici possono contribuire a proporre una diversa organizzazione dei servizi psichiatrici.

 Parte del lavoro è stato presentato in occasione del primo incontro della Scuola Inter Universitaria di Psichiatria della Toscana. A.U.S.L. 8 Arezzo, U.O. Psichiatria di Arezzo “Formazione dello psichiatra nella salute mentale, principi generali e progetto per la Toscana”. Arezzo, 24 Marzo 2000.

 Corrispondenza: prof. Paolo Castrogiovanni, Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Policlinico Le Scotte, viale Bracci 6, 53100 Siena – Tel. 0577 586275 – Fax 0577 234351 – e-mail: castrogiovan@unisi.it

Tab. I. Profilo delle affinità recettoriali dei nuovi antipsicotici. Receptor affinity profile of new antipsychotics.

Recettori

Molecola

D1

D2

5HT2

alfa1

Ach

H1

Clozapina

++

+

+++

++

+++

++

Risperidone

+++

+++

++

Ziprasidone

+

+++

+++

++

Olanzapina

++

++

++

++

+++

++

Quetiapina

(+)

+

+

+++

++

Tab. II. Effetti collaterali indotti dai NRL tradizionali e dai nuovi antipsicotici.
Side effects induced by typical neuroleptics and new antipsychotics.

Farmaci

Effetti collaterali

NRL

CLOZ

RISP

ZIPR

OLA

QUET

EPS

+++

-/+

-/+

Sedazione

+++

+++

++

+

++

++

anticolinergici

+++

+++

+

++

++

vascolari

+++

+++

++

+

++

++

cognitivi

si

no

si

si

si

si

Iper PRL

si

no

si

no

si

no

> peso

si

si

no

no

si

si

DE

no

si

no

no

no

no

NRL – neurolettici tradizionali
CLOZ – Clozapina
RISP – Risperidone
ZIPR – Ziprasidone
OLA – Olanzapina
QUET – Quetiapina
EPS – Extrapiramidal side effects
PRL – Prolattina
DE – Discrasie ematiche

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