Oltre i limiti della “personalità limite”. Ruolo dell’impulsività nel disturbo borderline di personalità

Beyond the borders of borderline personalità. Role of impulsiveness in borderline personalità disorder

V. Manna, M.T. Daniele, M. Pinto

Dipartimento Salute Mentale, A.U.S.L. ROMA H, Albano Laziale, Roma

Key words: Impulsiveness • Borderline personality disorder • Psychiatric comorbidity • Drug dependence • Quetiapine
Correspondence: Dr. Vincenzo Manna, Psichiatra, Psicoterapeuta e Dirigente Responsabile del Centro di Salute Mentale di Genzano di Roma (Roma), Azienda USL RM H, via Ospedale 1, Genzano di Roma, Roma, Italy – Tel. +39 06 93273781 Fax +39 06 93273753, e-mail: vi.manna@tiscali.it

Introduzione

La psicopatologia borderline, per molti anni, ha trovato difficile collocazione nosografica, al limite fra l’area delle nevrosi e quella delle psicosi, venendo, quindi, variamente identificata come “sindrome pseudonevrotica”, “stato limite”, “sindrome marginale” (1). Kraepelin ha descritto forme attenuate di “demenza precoce”, già nel 1887 (2). Bleuler ha introdotto il concetto di “schizofrenia latente”, per indicare condizioni cliniche particolari, in cui questa latenza psicotica sembra svolgere un ruolo rilevante in quadri clinici, solo apparentemente nevrotici o caratteriali (3). Ey ha definito questi quadri clinici “schizonevrosi”, considerandoli espressione dell’evoluzione dalle nevrosi alle psicosi (4). Altri Autori hanno considerato gli stati borderline come disturbi mentali, propriamente detti, dotati di stabilità e coerenza interna, dandogli dignità diagnostica autonoma (5).

Nelle nosografie psichiatriche classiche, tali condizioni psicopatologiche “di confine” erano descritte come quadri sindromici complessi e vari, che includevano:

1. sintomi d’ansia intensa, prolungata e pervasiva;

2. sintomi nevrotici (ossessioni, fobie, manifestazioni isteriche, neurastenia etc.);

3. sintomi psicotici (idee di riferimento, ideazione paranoidea, etc.);

4. disturbi cognitivi transitori con episodi confusionali occasionali;

5. comportamenti impulsivi ed aggressivi, tipici delle personalità psicopatiche.

Recentemente, alcuni Autori hanno dato specifico rilievo, in questi soggetti, alla presenza di una inadeguata modulazione dell’impulsività, sottolineando la rilevanza clinica dei comportamenti aggressivi auto- ed eterodiretti, dei gesti autolesivi, dei sentimenti di rabbia, eccessiva e non proporzionata alle situazioni in cui si esprime, nonché, dell’incapacità di questi pazienti a dilazionare la gratificazione ed a tollerare le frustrazioni (6). Contrariamente ai disturbi psicotici, propriamente detti, il decorso di queste condizioni patologiche viene descritto, classicamente, come cronico, con scarsa tendenza al deterioramento, con ricorrenti crisi d’instabilità affettiva e frequenti comportamenti disadattivi di natura impulsiva (7).

Solo con la pubblicazione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), III edizione e successive, la psicopatologia borderline è stata inquadrata tra i disturbi di personalità (8)-(10).

Il DSM-IV definisce il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) come una modalità pervasiva d’instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore con una marcata impulsività, comparse nel corso della prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque o più dei seguenti elementi:

1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

2. un quadro di relazioni interpersonali instabili ed intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;

3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;

4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate;

5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;

6. instabilità affettiva dovuta a marcata reattività dell’umore (p. es. episodica intensa disforia, irritabilità o ansia che di solito durano poche ore e soltanto raramente più di pochi giorni);

7. sentimenti cronici di vuoto;

8. rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (p. es. accessi di ira, rabbia costante, ricorrenti scontri fisici, etc,);

9. ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

Comorbidità psichiatrica del disturbo borderline di personalità

Nelle società occidentali, secondo recenti studi epidemiologici, il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) presenta tassi di prevalenza, morbilità e mortalità in rapido aumento. Alcuni studi hanno evidenziato che la prevalenza del DBP, nella popolazione generale, raggiunge l’1,8%, superando la prevalenza della stessa schizofrenia (11). I pazienti con DBP rappresentano un’elevata percentuale dei soggetti per i quali sono richieste ed effettuate consulenze psichiatriche. Secondo alcuni studi osservazionali, essi rappresentano il 11% dei pazienti ambulatoriali e, in alcune strutture psichiatriche, il 23% dei pazienti ricoverati (12). In uno studio su pazienti con DBP, circa la metà del campione aveva fatto ricorso ad un servizio ambulatoriale di salute mentale, nei sei mesi precedenti l’indagine, e il 19,5% era stato ricoverato, in una struttura psichiatrica, nell’anno precedente (11). La sintomatologia psicopatologica manifestata dai soggetti con DBP, in genere, appare significativamente invalidante. In un campione di pazienti con DBP, ricoverati consecutivamente presso l’Università di Pittsburgh, il 62,2% aveva avuto, in passato, condotte suicidarie e circa il 50% aveva avuto altri comportamenti autolesivi. Il numero di pazienti con DBP che si era ucciso variava tra il 3% e il 9,5% della popolazione di pazienti trattati, una percentuale simile a quell’evidenziata nei soggetti affetti da disturbi depressivi o da disturbi psicotici (13).

La definizione nosografica attuale del DBP prevede una sintomatologia clinica meno ampia di quella attribuita, nelle descrizioni tradizionali, alle cosiddette “sindromi marginali”. Il sistema diagnostico DSM permette un perfetto inquadramento nosografico del singolo caso clinico, ricorrendo all’utilizzo dei diversi Assi diagnostici, ma introduce, inevitabilmente ed implicitamente, una artificiosa sovrastima della comorbidità psichiatrica. Diverse ricerche hanno evidenziato, infatti, un’alta comorbidità fra DBP ed altri disturbi psichici d’Asse I (12) (13). Lo studio di comorbidità della psicopatologia borderline si presenta, oggigiorno, alla stregua di un’analisi di correlazione tra DBP ad altre condizioni cliniche d’Asse I.

Recenti osservazioni hanno confermato un elevato tasso di comorbidità e sostanziali affinità etio-patogenetiche fra disturbo borderline e disturbi dell’umore, al punto che il disturbo depressivo maggiore sembrerebbe correttamente diagnosticabile, in circa la metà dei pazienti borderline (14) (15). In particolare, risulta che:

– i pazienti con DBP hanno una depressione più grave dei soggetti con altri disturbi di personalità (12);

– i pazienti con DBP e depressione maggiore, in comorbidità, hanno una storia clinica con più numerosi e gravi tentativi di suicidio, rispetto ai soggetti affetti da depressione maggiore (13) (16);

– i pazienti con DBP, depressione maggiore ed elevati livelli di impulsività/aggressività presentano una più alta incidenza di dipendenza da sostanze d’abuso (17).

Il rapporto intercorrente tra impulsività e condotte suicidarie è stato oggetto di numerose indagini cliniche e neurobiologiche. L’impulsività sembra essere significativamente associata a comportamenti autolesivi, tra i pazienti psichiatrici (18) (19). Nei soggetti con DBP, l’impulsività è il tratto di personalità più fortemente correlato ai comportamenti suicidari (18). Alcuni indici clinici e biologici d’impulsività risultano più elevati nei soggetti con comportamenti d’automutilazione (19). Un basso livello del tono serotoninergico centrale si correla significativamente tanto ai comportamenti impulsivo-aggressivi quanto alle condotte suicidarie (20) (21). Alcuni di questi studi sembrano suggerire la presenza di un comune substrato psicopatologico e/o neurobiologico tra impulsività e suicidio (22) (23).

In apparente contraddizione, numerose altre osservazioni cliniche sostengono che i traumi infantili si associano significativamente a comportamenti autolesivi e suicidari, espressi in età giovanile o adulta (23) (24). Inoltre, un’alta frequenza di traumi infantili sembra essere presente negli adulti depressi con alti livelli d’aggressività, impulsività e comportamenti suicidari. Esperienze di abuso nell’infanzia si correlano ad un’età più precoce della condotta suicidaria, che può presentarsi già in età infantile o adolescenziale (17).

L’impulsività potrebbe essere considerata, in una prospettiva più ampia, un tratto ereditario, aggravato da esperienze d’abuso e da traumi infantili, che si correla significativamente all’aggressività ed alle condotte suicidarie. Secondo alcune osservazioni, per esempio, il livello d’impulsività e d’aggressività di tratto, non la gravità obiettivabile di depressione, è direttamente correlato al numero ed alla frequenza dei tentativi di suicidio (17). Nei parenti di primo grado di adolescenti suicidi sono stati evidenziati alti livelli d’aggressività ed una forte familiarità per il suicidio (25). In uno studio, inoltre, la gravità della depressione, valutata in modo obiettivo dal clinico, non ha permesso di distinguere i pazienti con recente tentativo di suicidio dai pazienti depressi di controllo. Al contrario, i livelli d’aggressività e d’impulsività sono risultati significativamente più elevati nei soggetti con tentato suicidio (26).

Notevole rilevanza psicopatologica assume la comorbidità tra DBP e disturbo bipolare dell’umore. Sulla base degli elevati tassi di comorbidità lifetime e familiare, evidenziata già negli anni ’90, numerosi ricercatori hanno suggerito una relazione tra DBP e disturbi dello spettro bipolare, fino ad ipotizzare di includere le manifestazioni del disturbo borderline fra quelle proprie dello spettro bipolare (14) (27) (28). Altri Autori sostengono che sia impossibile soddisfare i criteri del DSM-IV per un episodio maniacale in assenza di condotte impulsive (29). Altri, ancora, riferiscono livelli d’impulsività, misurata con scale specifiche di valutazione psichiatrica, costantemente presente negli episodi maniacali (30). Un’elevata impulsività è evidenziabile, nei pazienti bipolari, anche nelle fasi eutimiche. Ciò potrebbe indicare che l’impulsività si esprime, nei disturbi bipolari e in quelli correlati, sia nelle componenti psicopatologiche di stato sia in quelle di tratto (30).

Da quanto premesso è possibile ipotizzare un modello interpretativo, dell’impulsività nel soggetto borderline, nel framework stress/vulnerabilità, in cui tratti biologici e di personalità possono predisporre ad un abbassamento della soglia individuale di passaggio all’atto, mentre condizioni di intenso stress ambientale possono precipitare la condizione clinica (1).

Esiste una frequente comorbidità, ben nota in clinica, tra DBP e abuso d’alcol e droghe. Secondo alcune ricerche, circa il 75% dei pazienti con DBP presenta una condizione d’abuso/dipendenza da sostanze, mentre circa il 20% dei soggetti con abuso di sostanze presenta un DBP (31)-(34). L’abuso e la dipendenza da sostanze voluttuarie è un comportamento complesso, che non può essere considerato semplicisticamente e sempre di natura impulsiva (35). Ciò nonostante, un soggetto con abuso/dipendenza da sostanze, in condizioni di stress soggettivo, può assumere impulsivamente le droghe d’abuso, a volte in modo repentino, imprevisto ed eccessivo (36). L’impulsività sembra svolgere un ruolo patogenetico nell’esordio e nel prosieguo della dipendenza da sostanze (37) (38). L’abuso può essere più frequente, più intenso e meno controllato, quindi, potenzialmente più pericoloso, in soggetti impulsivi (39). Tassi più elevati di abuso e dipendenza da sostanze sono presenti, in alcune osservazioni, tra aggressori impulsivi e soggetti con disturbo esplosivo intermittente (40). Diversi studi hanno evidenziato livelli più elevati d’impulsività tra i soggetti tossicodipendenti, rispetto ai controlli sani (41)-(43). Alcuni ricercatori hanno riscontrato, tra i pazienti con DBP e dipendenza da sostanze, l’utilizzo di un maggior numero di differenti droghe e maggiore impulsività, rispetto ai soggetti non borderline (44).

Il disturbo borderline di personalità si associa, in modo statisticamente significativo, alla multi-impulsività tipica dei pazienti bulimici. In diversi studi su soggetti con disturbo alimentare, è stata evidenziata, inoltre, una significativa correlazione fra DBP, alti livelli d’impulsività e tendenza al suicidio (45)-(48). Il DBP si associa, inoltre, in modo non casuale, anche ai disturbi alimentari caratterizzati da abbuffate e condotte d’eliminazione forzata del cibo ingerito. Anche in queste condizioni cliniche, l’impulsività sembra svolgere un ruolo psicopatologico rilevante (49)-(51). Numerosi Autori hanno evidenziato la presenza di alti livelli d’impulsività nei pazienti bulimici, talora con differenze significative rispetto a soggetti con altri disturbi dell’alimentazione, come l’anoressia di tipo restrittivo (52) (53). In uno studio è stata valutata la presenza d’impulsività, in un gruppo di 236 soggetti, con diagnosi di disturbo alimentare (54). L’impulsività veniva definita, da questi Autori, come la presenza di almeno tre fra i seguenti comportamenti: abuso d’alcol, tentativi di suicidio, automutilazioni, furti reiterati in negozi, rapporti sessuali a rischio con persone poco conosciute. Tale impulsività è stata evidenziata in circa il 18% dei pazienti affetti da bulimia nervosa, in circa l’11% dei soggetti con anoressia tipo binge-eating purging ed in circa il 2% del gruppo con anoressia restrittiva, rispetto ai controlli sani. Inoltre, l’impulsività nei disturbi alimentari sembra essere un fattore predittivo dell’esito terapeutico a lungo termine. In uno studio su 35 soggetti con anoressia e bulimia nervosa, è stato evidenziato che l’impulsività correlava positivamente con il 25% dei sintomi a 2-3 anni di follow-up e con il 14% dei sintomi dopo 4-6 anni (55).

La correlazione tra impulsività, DBP e comorbidità con diversi disturbi psichiatrici d’Asse I merita di essere valutata con particolare attenzione (37) (38). L’incapacità di modulare le proprie reazioni emotive e le proprie condotte, tipica di questi pazienti, potrebbe essere considerata una sintomatologia nucleare, in ottica dimensionale, sottesa a diverse entità nosografiche classiche (56).

Ruolo e significato clinico dell’impulsività nel disturbo borderline di personalità

Nel XIX secolo Pinel ed Esquirol hanno introdotto in psichiatria il concetto di “impulso istintivo” coniando il termine di “monomania istintiva”. In origine tra queste monomanie erano incluse: l’alcolismo, la piromania e l’omicidio.

In realtà, la definizione stessa dell’impulsività è controversa e non univoca, in ambito psichiatrico. Alcuni Autori definiscono il comportamento impulsivo come la tendenza a reagire immediatamente agli stimoli ambientali, emotivamente rilevanti, senza controllare a sufficienza l’intensità della risposta, altri considerano l’impulsività una predisposizione, ossia un comportamento biologicamente determinato, caratterizzato dalla tendenza ad agire rapidamente, senza pianificare la propria azione, in assenza di una valutazione razionale e/o consapevole, di tutte le conseguenze dell’atto (56) (57).

Le caratteristiche essenziali dei disturbi del controllo degli impulsi sono: 1. l’incapacità a resistere all’impulso, alla spinta o alla tentazione di eseguire un atto pericoloso per sé o per gli altri; 2. il crescente senso di tensione o attivazione prima di commettere l’atto; 3. un senso di piacere e/o gratificazione al momento di commettere l’atto con successivo ed immediato rilassamento. Anche ad una osservazione superficiale non può sfuggire l’affinità esistente tra i disturbi del controllo degli impulsi e la disregolazione omeostatica edonica (disedonia) (56). La stessa impulsività potrebbe essere interpretata come espressione disadattiva del controllo motivazionale, esercitato da circuitazioni neurobiologiche filogeneticamente arcaiche, che includono i nuclei della base, la corteccia prefrontale, l’accumbens e l’amigdala. L’attività di tali strutture risulta orientata, infatti, da un lato a facilitare l’approccio agli stimoli ambientali gratificanti (ricerca del piacere) e dall’altro al distanziamento attivo degli stimoli ambientali avversivi o potenzialmente pericolosi (aggressione/fuga) (56).

Il DSM-I (1952) ed il DSM-II (1968) dell’American Psychiatric Association, (APA) non includevano tra i disturbi mentali il gioco d’azzardo patologico, la piromania e la cleptomania, che solo nel 1980, hanno avuto un inquadramento diagnostico nel DSM-III (8). Il DSM-III, accanto a questi disturbi del controllo degli impulsi, ha riconosciuto una dignità diagnostica anche al disturbo esplosivo intermittente ed al disturbo esplosivo isolato. Solo sette anni dopo, nel DSM-III-R (APA, 1987) veniva eliminato il disturbo esplosivo isolato “per l’elevato rischio d’errore diagnostico correlato ad un singolo episodio di comportamento aggressivo”. Il disturbo esplosivo intermittente è stato mantenuto nonostante fossero emersi “seri dubbi sulla sua validità” ed è stato riconosciuto valore diagnostico alla tricotillomania. La categoria diagnostica del DSM-IV (APA, 1994) definita come “disturbi del controllo degli impulsi non altrove classificati” è considerata una categoria diagnostica “residua”, anche se nel DSM-IV non esiste un’altra aggregazione categoriale di disturbi dell’impulsività (9). In questo gruppo diagnostico venivano inclusi: il gioco d’azzardo patologico, la piromania, la cleptomania, il disturbo esplosivo intermittente, la tricotillomania ed il disturbo del controllo degli impulsi non altrimenti specificato (NAS). Fatte queste considerazioni, sembra evidente una insufficiente attenzione diagnostica ai disturbi dell’impulsività, non solo nell’ambito della moderna interpretazione spettrale dei disturbi mentali, ma, persino, nel più tradizionale ambito nosografico categoriale.

I disturbi di personalità nel DSM-IV-TR (10) sono raggruppati in tre clusters (A-odd, B-dramatic, C-anxious), sulla base di alcune affinità sindromiche e d’espressione clinica dei disturbi. Il disturbo borderline di personalità, insieme al disturbo istrionico ed al disturbo narcisistico, è inserito nel dramatic cluster, caratterizzato da un’esasperata espressione dell’emotività. Alcuni studiosi hanno sostenuto che l’impulsività è la dimensione comune sottesa a tutti i disturbi di questo cluster (58). Le differenze sindromiche, presenti tra i disturbi di personalità di questo cluster, potrebbero essere correlate sia alla diversa gravità dei tratti impulsivi sia all’interazione dell’impulsività con altre variabili psicopatologiche ed ambientali.

I sintomi caratteristici del disturbo borderline di personalità, secondo alcuni ricercatori, sono riconducibili a tre fattori fondamentali:

1. il disturbo interpersonale-relazionale;

2. la disregolazione comportamentale impulsivo-aggressiva;

3. la disregolazione affettiva con instabilità emotiva (59)-(61).

In quest’ottica, il disturbo relazionale includerebbe l’instabilità nelle relazioni interpersonali, il disturbo d’identità, il sentimento cronico di vuoto. La disregolazione comportamentale comprenderebbe l’impulsività e il comportamento auto- ed eteroaggressivo. La disregolazione affettiva esprimerebbe l’incapacità di affrontare condizioni di stress ed includerebbe l’instabilità dell’umore, la reazione di rabbia improvvisa, eccessiva e ingiustificata, nonché l’evitamento di un abbandono immaginario o reale.

Aspetti psicopatologici correlati all’impulsività sono presenti in tutti i fattori fondamentali, enucleati nello studio dei pazienti borderline, da diversi autori (59) (60). Tali aspetti comportamentali impulsivi si possono evidenziare nella tendenza ad interrompere bruscamente le relazioni interpersonali, passando ingiustificatamente dall’idealizzazione alla svalutazione dell’altro, nell’incapacità a controllare l’intensità e l’appropriatezza delle proprie reazioni aggressive, così come nella rabbia o nelle reazioni eccessive al timore, spesso infondato, di un abbandono.

In questa prospettiva, l’impulsività può essere considerata una dimensione psicopatologica, che interessa tutti i tratti personologici e gli aspetti comportamentali e sindromici della patologia borderline (1).

I soggetti borderline presentano brusche oscillazioni affettive, con un’intensa e disadattiva reattività all’ambiente, soprattutto nelle relazioni interpersonali. È stato ipotizzato che la stessa instabilità emotiva possa essere interpretata come un fenomeno impulsivo. I rapidi cambiamenti relazionali, in risposta a stimoli spesso modesti, sembrano essere affini al comportamento impulsivo, definito come la tendenza a reagire immediatamente senza controllare a sufficienza l’intensità della risposta (62)-(64).

Linehan ha sostenuto che i comportamenti impulsivi e quelli autolesivi potrebbero essere utilizzati come meccanismi disadattivi di difesa e sollievo, da stati affettivi intollerabili (65). Altri Autori hanno evidenziato, inoltre, che tali comportamenti disadattivi, impulsivi ed autolesivi, si esprimono durante crisi d’intensa disforia (66). In uno studio sperimentale, si è cercato di verificare il rapporto tra impulsività e instabilità affettiva, in un gruppo di 100 soggetti, sottoposto ad un esperimento di stimolazione affettiva, mediante racconto breve. I pazienti con disturbi di personalità ed impulsività hanno presentato una risposta affettiva più intensa, soprattutto con l’espressione di tristezza, disperazione e solitudine. Gli Autori di questo studio hanno sostenuto, perciò, che l’instabilità affettiva rappresenta un’espressione dell’impulsività, nel contesto psicopatologico del DBP (67).

Stone ha evidenziato, in pazienti borderline/antisociali, una prognosi sfavorevole ed ha interpretato questo dato come l’effetto indotto, a livello clinico, da alti livelli d’impulsività (68). Secondo questa visione, i tentativi suicidari potrebbero essere considerati una manifestazione d’impulsività. In questa prospettiva, alcuni studiosi hanno evidenziato nei pazienti borderline, con una storia di reiterati tentativi di suicidio, un’alta probabilità di mantenere una diagnosi di DBP a distanza di tre anni. In rapporto ai risultati di tali osservazioni, il ruolo dell’impulsività, nella psicopatologia borderline, ha ricevuto una crescente attenzione, in contesti clinici e di ricerca. Alcuni Autori hanno avanzato la proposta di considerare il DBP un disturbo dello spettro dell’impulsività. In un’ottica nosografica non categoriale, è stato proposto di includere il disturbo borderline di personalità tra gli altri disturbi del controllo degli impulsi, caratterizzati dall’aspetto comportamentale prevalente, della tendenza al passaggio all’atto. Osservazioni cliniche e di storia familiare sembrano sostenere, infatti, una stretta correlazione tra DBP ed altri disturbi dell’impulsività, come abuso di sostanze, disturbo antisociale di personalità e disturbi del comportamento alimentare (69) (70).

In uno studio di follow-up a sette anni, su 130 soggetti, è stato evidenziato che il grado d’impulsività è stabile nel tempo e predittivo della persistenza a lungo termine del disturbo. In particolare, tra le cinque sottoscale della Diagnostic Interview for Borderline patients (DIB) (adattamento sociale, impulsività, affettività, psicosi, relazioni interpersonali), l’impulsività sembra avere il valore predittivo più alto, relativamente alla gravità dei sintomi borderline, nelle valutazioni di follow-up (71).

Sulla base di questi dati, gli interventi farmacologici, efficaci a breve termine nel contenimento dell’impulsività, come quelli con SSRI, andrebbero valutati dopo trattamenti sufficientemente lunghi, al fine di verificarne l’efficacia nel tempo e di valutarne gli effetti sul decorso del disturbo. È stato ipotizzato, infatti, che le anomalie del sistema serotoninergico siano responsabili dell’impulsività nel DBP e contraddistinguano le forme più gravi e resistenti del disturbo (72). Alcune osservazioni hanno confermato l’importanza clinica dell’impulsività sul decorso clinico del DBP, evidenziando come l’impulsività tenda a decrescere, in modo quasi lineare, con l’età anagrafica dei pazienti (73). In tale ottica, un contenimento della sintomatologia impulsiva sufficientemente forte, in età giovanile, potrebbe permettere la sopravvivenza e/o migliorare la qualità della vita di molti pazienti borderline, migliorandone la prognosi a breve ed a lungo termine e, soprattutto, permettendo, con l’avanzare dell’età, di godere di un relativo attenuarsi dei sintomi.

Correlati neurobiologici dell’impulsività nei soggetti borderline

Negli ultimi anni sono stati studiati i correlati neurobiologici dell’impulsività, presente nel DBP, talvolta, con il dichiarato obiettivo di ottenere informazioni utili a fini farmaco-terapeutici.

In recenti ricerche di brain imaging, la Risonanza Magnetica (RM) ha rilevato anomalie strutturali a livello dei lobi frontali e dell’ippocampo, più evidenti nei soggetti borderline con storia d’abuso, mentre la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) ha permesso di evidenziare alterazioni metaboliche, a livello prefrontale e cortico-striatale, correlabili ai tratti impulsivo-aggressivi ed ai comportamenti autolesivi (74). Questi correlati neuro-funzionali e neuro-anatomici relativamente specifici del comportamento impulsivo, aprono nuove prospettive di ricerca sulle basi neurobiologiche, dei disturbi di personalità. Secondo alcuni studi sui fattori eredo-familiari nel DBP l’impulsività potrebbe essere considerata un tratto parzialmente ereditabile. Nei gemelli monocoriali dei pazienti con DBP, infatti, è stata dimostrata la trasmissibilità del tratto impulsività, ma non la trasmissibilità del disturbo di personalità, propriamente detto (75). Pur esistendo una familiarità per il DBP, i sintomi nucleari di impulsività ed instabilità affettiva sembrano segregare in modo indipendente, nei familiari dei pazienti borderline (76).

L’evidenza scientifica di una componente genetica, nella etio-patogenesi dei comportamenti impulsivo-aggressivi, ha indotto diversi gruppi di ricerca a studiarne i correlati neurobiologici. Particolare interesse è stato riservato, in quest’ambito di ricerca, ai neuromodulatori centrali, coinvolti nell’espressione o nell’inibizione di tali comportamenti.

Alcune ricerche hanno sostenuto l’ipotesi di un coinvolgimento del tono noradrenergico nella modulazione dei comportamenti impulsivo-aggressivi. È noto che il sistema noradrenergico cerebrale, a partenza dal locus coeruleus, svolge un ruolo importante nella regolazione della vigilanza e della risposta agli stimoli esterni. In tal senso, un tono elevato della trasmissione noradrenergica potrebbe essere funzionalmente coinvolto nel facilitare condotte impulsivo-aggressive, dirette verso l’ambiente.

Nei pazienti con gambling patologico è stata evidenziata una correlazione positiva tra aumento della reattività all’ambiente ed incremento del tono noradrenergico (77). Nei pazienti con DBP l’irritabilità sembra essere correlata direttamente ai livelli di GH, dopo stimolazione con clonidina, un agonista recettoriale noradrenergico (78). In pazienti con disturbi di personalità, inoltre, gli indici dell’attività noradrenergica presinaptica, come la concentrazione plasmatica di noradrenalina, sembrano essere positivamente correlati all’impulsività (79).

Il tono serotoninergico centrale, che svolge azione inibitoria sul comportamento impulsivo-aggressivo, sembra essere funzionalmente coinvolto nella modulazione di questi tratti comportamentali. Numerose evidenze, sperimentali e cliniche, avvalorano un rapporto diretto tra riduzione del tono serotoninergico centrale ed aumento dei comportamenti impulsivo-aggressivi, sia auto che eterodiretti. Ridotti livelli liquorali dell’acido 5-idrossi-indolacetico (5-HIAA) sono stati evidenziati in soggetti depressi, con comportamenti suicidari o parasuicidari (80). In studi post-mortem, bassi livelli di serotonina e dei suoi metaboliti sono stati trovati nel cervello, di soggetti deceduti per suicidio (81). Una ridotta attività serotoninergica centrale, nei pazienti borderline con comportamenti impulsivo-aggressivi, è suggerita anche dagli studi di farmacologia clinica. L’increzione di prolattina, dopo stimolazione con fenfluramina, un farmaco serotoninergico con effetti d’aumento del suo release ed inibizione del suo reuptake, risulta più bassa nei soggetti con personalità borderline o antisociale, rispetto ai controlli sani (81). Una correlazione inversa tra livelli di prolattina e tratti d’impulsività ed aggressività, dopo stimolazione con agenti serotoninergici, è stata ripetutamente evidenziata in diversi studi (72) (82).

Queste osservazioni hanno stimolato la ricerca di specifici geni, coinvolti nella regolazione del tono serotoninergico cerebrale e, quindi, potenzialmente correlati all’espressione di questi aspetti comportamentali di tratto. Sono stati studiati i geni che codificano per diverse proteine con funzioni recettoriali e diversi enzimi coinvolti nella neuromodulazione del tono serotoninergico cerebrale, tra cui i recettori 5-HT 1a 5-HT 1b e 5-HT2a, la triptofanoidrossilasi, il trasportatore della serotonina. Le condotte impulsive sembrano funzionalmente correlate all’espressione fenotipica dell’allele “L” della triptofanoidrossilasi e dell’allele “S” del trasportatore della serotonina (83) (84). Il gene per il recettore 5-HT 1b è stato associato funzionalmente all’espressione di comportamenti suicidari (85).

Farmacoterapia del comportamento impulsivo nel paziente borderline

Gli interventi terapeutici possono condizionare positivamente il decorso del DBP, riducendo il rischio di comportamenti potenzialmente dannosi o letali. Nelle fasi precoci del disturbo, questi interventi possono permettere una remissione parziale o completa dei sintomi, in molti pazienti (86).

Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) e gli stabilizzatori dell’umore (carbonato di litio, valproato e carbamazepina) sono efficaci nel controllo dei sintomi impulsivi. I farmaci IMAO sono poco maneggevoli, in ambito clinico, per i loro effetti collaterali e per le restrizioni dietetiche, necessarie al loro uso in condizioni di sicurezza (87)-(89). Gli stabilizzatori dell’umore sono diffusamente utilizzati nel trattamento dei disturbi del controllo degli impulsi, nei pazienti borderline, sebbene le evidenze scientifiche, circa la loro efficacia nel controllo dell’impulsività, siano ancora poco numerose e poco probanti (90)-(96).

In fase terapeutica, tra le espressioni comportamentali del DBP, il trattamento dell’impulsività richiede un’attenzione particolare, poiché rappresenta il principale fattore di rischio per il comportamento suicidario e per l’aggressività diretta contro cose e persone. Le linee-guida dell’American Psychiatric Association (APA) indicano, tra i farmaci di prima scelta per il trattamento dei comportamenti impulsivo-aggressivi, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI), la cui efficacia è stata ripetutamente dimostrata (97)-(102).

Gli SSRI hanno un’ottima tollerabilità, con bassi rischi in caso di overdose. Il loro effetto terapeutico anti-impulsivo sembra essere indipendente dalla loro attività antidepressiva ed ansiolitica. L’effetto sul controllo dell’impulsività viene manifestato da questi farmaci, entro pochi giorni, ma altrettanto rapidamente si perde con la sospensione del trattamento (103). L’efficacia anti-impulsiva degli SSRI non è identica per tutti i farmaci di questo gruppo. Una risposta terapeutica incompleta ad un farmaco SSRI non significa che si avrà una scarsa risposta a tutti gli altri SSRI. Al contrario, in tal caso, va presa in considerazione una variazione del trattamento con l’utilizzo di un’altra molecola, dello stesso gruppo farmacologico (104). Se la risposta al trattamento con SSRI è inefficace o parziale può essere opportuno associare, soprattutto in condizioni d’urgenza/emergenza, un neurolettico e/o un antipsicotico atipico a basse dosi. Questi farmaci agiscono rapidamente e facilitano un rapido, ma non specifico, controllo dell’impulsività e dell’aggressività (105)-(108).

Normalmente, il trattamento con neurolettici e/o antipsicotici atipici viene effettuato per tempi relativamente brevi. Una terapia a lungo termine del DBP con neurolettici, oltre ad essere aspecifica, richiederebbe un monitoraggio continuo, per il rischio di comparsa di gravi effetti collaterali, come la discinesia tardiva (88). Diversamente da ciò che avveniva con i neurolettici classici, l’avvento in terapia degli antipsicotici atipici ha permesso di valutare la loro efficacia, sui sintomi nucleari del DBP, per periodi più lunghi.

Nell’aggressività impulsiva, più grave e refrattaria al trattamento, in presenza di ripetute automutilazioni e/o in presenza di comportamenti impulsivi e sintomi psicotici, le linee-guida dell’APA suggeriscono l’utilizzo degli antipsicotici atipici. Recenti ricerche hanno evidenziato l’efficacia della clozapina e dell’olanzapina nel controllo dei comportamenti aggressivi, ma gli studi sull’argomento sono ancora pochi e non controllati, tuttavia, è verosimile ipotizzare l’efficacia degli antipsicotici atipici nel trattamento del DBP, in particolare, delle alterazioni cognitivo/percettive e dell’instabilità affettiva, tipica di questi pazienti (108)-(113).

Gli antipsicotici atipici risultano avere una buona tollerabilità, rispetto ai neurolettici, per gli scarsi effetti extrapiramidali indotti.

Le linee-guida dell’APA, però, considerano gli antipsicotici atipici farmaci di seconda scelta. Per la clozapina, ciò probabilmente dipende dalla necessità di un continuo monitoraggio della crasi ematica durante il trattamento, al fine di prevenire eventuali fenomeni di emato-tossicità. Per gli altri antipsicotici atipici, tale valutazione potrebbe dipendere dalla loro recente introduzione nell’uso clinico e dai pochi studi controllati sulla loro efficacia, nel trattamento del DBP.

Solo alcuni studi, in aperto o su pochi casi clinici, hanno verificato l’efficacia del risperidone nel trattamento del DBP. In questi pazienti, sono stati evidenziati effetti benefici del risperidone su aggressività, instabilità dell’umore e perdita dell’iniziativa psicomotoria, con astenia/abulia (114)-(117).

Esperienza clinica strutturata

Nel rispetto dei criteri diagnostici del DSM-IV-TR, abbiamo selezionato un campione di otto pazienti ambulatoriali affetti da disturbo borderline di personalità (4 maschi e 4 femmine, con età media di 34,25 anni, storia clinica da 6 a 26 anni), con sintomatologia prevalente impulsiva e percettivo-cognitiva, afferenti al Centro di Salute Mentale di Genzano di Roma, del Dipartimento di Salute Mentale della AUSL Roma H (1) (118).

I pazienti, selezionati in accordo con i criteri diagnostici del DSM-IV-TR, sono stati sottoposti alla somministrazione della Diagnostic Interview for Borderline Patients (DIB punteggio medio = 8,625 range 7-10) all’inizio dell’esperienza clinica strutturata (119). Il campione selezionato di pazienti presentava un punteggio medio alla scala d’impulsività della DIB alto (15,8 � 5,1).

La sintomatologia è stata valutata, in condizioni basali ed ogni mese successivo, per almeno nove mesi consecutivi, utilizzando la Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) e la Global Assessment Scale (GAS).

La quetiapina, un nuovo farmaco antipsicotico, con bassa potenza nell’antagonismo dopaminergico a livello dei recettori D2 ed una potenza relativamente maggiore nell’antagonismo sui recettori serotoninergici 5HT2, sembra non possedere attività apprezzabile a livello dei recettori dopaminergici D1 e dei recettori colinergici muscarinici (120). Questo nuovo antipsicotico è stato somministrato per os, a dosi variabili da 400 mg/die a 600 mg/die (dosaggio medio 487,3 mg/die � 70,8 mg/die). La durata del trattamento è stato di almeno nove mesi consecutivi. Il trattamento farmacologico è stato associato ad una sessione settimanale di psicoterapia di supporto, con lo stesso terapeuta, per tutti i pazienti.

La compliance terapeutica è stata verificata settimanalmente, con il conteggio delle pillole e si è verificato che solo 5 pazienti avevano presentato una mancata aderenza al trattamento, solo occasionale, al massimo per 3 giorni consecutivi. La sicurezza del trattamento è risultata ottima, con pochi e rari effetti collaterali (ipotensione ortostatica, sedazione, sonnolenza, costipazione) di minima intensità e durata, prevalentemente durante il primo mese di terapia. Cinque pazienti hanno avuto un incremento ponderale di circa 2,7 � 1,7 kg dopo i nove mesi di trattamento.

La sintomatologia psicopatologica di questi pazienti, valutata mediante Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS), si è progressivamente ridotta da una media di 57,4 (SD 10,6) ad una media di 37,8 (SD 7,8) (p < 0,05) (Fig. 1).

Il Global Assessment Score (GAS) è significativamente aumentato da una media di 30,8 (SD 4,6) ad una media di 44,8 (SD 8,8) (p < 0,01) (Fig. 2).

In tutti i pazienti è stata evidenziata clinicamente, inoltre, una chiara efficacia del trattamento sui comportamenti impulsivi ed autolesivi, con una riduzione degli episodi psicotici e dell’ideazione suicidaria. Il trattamento effettuato è risultato efficace nel ridurre l’impulsività e l’autolesività in tutti i pazienti con DBP, trattati in questo studio. Dati i frequenti problemi che sorgono nel trattamento farmacologico di questi pazienti, la quetiapina potrebbe essere di particolare interesse clinico, in rapporto all’efficacia dimostrata ed agli scarsi effetti collaterali indotti.

Il trattamento ambulatoriale di pazienti con DBP è difficile. Il sopravvenire di episodi di vita stressanti, comportamenti autolesivi, episodi psicotici, comportamenti parasuicidari ed assunzione impulsiva di droghe illecite spesso compromette gli sforzi terapeutici. L’impulsività si sa essere un fattore di rischio suicidario in questi pazienti e la quetiapina si era dimostrata efficace nel ridurre il comportamento aggressivo nei disturbi schizoaffettivi, in precedenti studi (98) (121).

Il tono serotoninergico cerebrale sembra essere inversamente correlato ai comportamenti d’aggressività auto ed eterodiretta (122). In questa prospettiva, il meccanismo d’azione specifico della quetiapina potrebbe essere di particolare beneficio nel trattamento del comportamento impulsivo, nei pazienti borderline (120).

I risultati ottenuti in questo studio, circa l’efficacia della quetiapina nel trattamento dei soggetti con DBP vanno considerati solo preliminari ed ulteriori studi saranno necessari per chiarire se specifici sottogruppi di pazienti, affetti da DBP, possano essere più sensibili a questo specifico trattamento farmacologico (123).

Nella nostra esperienza, psicoterapia e psico-farmacoterapia sembrano avere effetti terapeutici sinergici, sulle dimensioni psicopatologiche del BDP. L’effettiva sinergia del trattamento integrato multimodale (psicoterapia + psico-farmacoterapia + eventuale sostegno sociale), nella terapia dei pazienti borderline, andrebbe verificata empiricamente (36)-(38) (124).

I dati sinora raccolti sembrano concordare con quelli di precedenti ricerche con clozapina e olanzapina che, a dosi relativamente basse, si sono dimostrati efficaci nel ridurre i sintomi psicopatologici nucleari, nei pazienti con DBP.

La nostra esperienza clinica sembra offrire prospettive incoraggianti circa il ruolo della quetiapina nel trattamento del DBP. Saranno necessari ed opportuni, in futuro, studi clinici controllati contro placebo, così come confronti con altri antipsicotici atipici o classi differenti di farmaci, per valutare il rapporto rischio/beneficio, per ciascuna molecola impiegata nel trattamento, a lungo termine, del DPB.

Conclusioni

L’impulsività sembra avere un ruolo centrale nell’ambito dei sintomi nucleari della psicopatologia borderline, essendo coinvolta in molti aspetti comportamentali essenziali e tipici di questo disturbo di personalità, come la tendenza a comportamenti potenzialmente dannosi o pericolosi, l’aggressività auto- ed eterodiretta, la tendenza a condotte suicidarie, la difficoltà a controllare sentimenti di rabbia eccessiva e/o immotivata (125).

L’impulsività sembra offrire anche un’interpretazione della notevole comorbidità psichiatrica tipica del DBP, con numerosi disturbi psichici d’Asse I. In tal senso, un approccio dimensionale alla psicopatologia borderline può permettere di interpretare più efficacemente il fenomeno comorbidità, facilitando il superamento di un modello nosografico esclusivamente categoriale e descrittivo, incapace di fornire al clinico indicazioni prognostiche e terapeutiche (35) (126)-(129).

La ricerca sui correlati neurobiologici dell’impulsività nel DBP sembra essere indispensabile per definire i meccanismi fisiopatologici, alla base del disturbo di personalità e, quindi, per fornire un razionale al trattamento (1). I disturbi di personalità, in ambito farmaco-terapeutico, sono stati trattati in modo sostanzialmente empirico, sino ad oggi (86). L’esperienza clinica ha prevalso, in quest’ambito, sulle scarse evidenze scientifiche provenienti dalla ricerca. La carenza di studi metodologicamente validi deriva, almeno in parte, dall’intrinseca complessità clinica del quadro psicopatologico borderline e, quindi, dalla conseguente difficoltà nel reperire campioni di pazienti sufficientemente omogenei. Risulta indispensabile, comunque, la realizzazione di sperimentazioni controllate, la raccolta di dati clinici sistematici e terapie di durata congrua con la patologia, al fine di formulare indicazioni valide per il trattamento, di questa patologia psichiatrica, molto diffusa e molto invalidante.

Fig. 1. Effetti della quetiapina nella farmaco-terapia del disturbo borderline di personalità valutati mediante Brief psychiatry Rating Scale (BPRS). Effects of quetiapine in drug treatment of borderline personality disorder as assessed through the Brief psychiatry Rating Scale (BPRS).

Fig. 2. Effetti della quetiapina nella farmaco-terapia del disturbo borderline di personalità valutati mediante Global Assessment Scale (GAS). Effects of quetiapine in drug treatment of borderline personality disorder as assessed through the Global Assessment Scale (GAS).

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